la depessione

  • In questo articolo trovate:
    1. Cenni storici
    2. Una scheda chiara su questa malattia
    3. “Dove si cura meglio la depressione“ articolo tratto dal Corriere della Sera
    4. Testimonianza scritta da una mia amica.
  • 5. conclusioni di Marzia

 

CENNI STORICI
Il primo ad interessarsene fu “le grand père” Freud, che in uno dei suoi più famosi scritti “Lutto e malinconia”, differenziava il dolore del lutto, dovuta alla perdita “concreta” di una persona, da quello malinconico, dove la perdita era emozionale più che reale, era cioè il sentimento di fondo di aver perso qualcosa o qualcuno indefinibile ma vitale; a ciò, aggiungeva Freud, si accompagnava sempre una profonda diminuzione della stima di sé. La Klein, in relazione a quest’ultimo punto, metteva in luce il fondamentale ruolo dell’aggressività che la persona indirizza a sé stessa (e da cui scaturisce di conseguenza la svalutazione di sé). Tra gli autori contemporanei più interessanti, c’è lo psichiatra Silvano Arieti, che mette in luce una sorta di piano esistenziale preesistente della personalità “potenzialmente” depressa, che relega l’individuo a vivere “di luce riflessa”, dipendendo quindi da un altro dominante che può essere incarnato dal coniuge, da un’organizzazione, da una ideologia; a ciò la persona depressa aggiunge due pensieri antitetici: coscienza del proprio stile di vita, percezione di sé come incapace di apportare un cambiamento. Nel tentativo di uscire dalle acque stagnanti di questi sentimenti è facile cadere nella posizione opposta, quella maniacale (non a caso oggi si sostituisce il termine maniaco-depressivo con disturbo bipolare della personalità), che mette “il turbo” a pensieri, parole, opere, ma che produce il più delle volte solo (ulteriori) omissioni.
 

  • UNA SCHEDA CHIARA SU QUESTA MALATTIA
    la depressione è un disturbo sicuramente diffuso tra la popolazione generale e quindi molto ben conosciuto.
    Sembra, infatti, che ne soffra dal 10% al 15% della popolazione, con una diffusione maggiore tra le donne.
    Generalmente chi ne soffre mostra un umore depresso, una marcata tristezza quasi quotidiana e tende a non riuscire più a provare lo stesso piacere nelle attività che provava prima. Le persone che soffrono di depressione, si sentono sempre giù, l’umore ed i pensieri sono sempre negativi. Sembra che presentino un vero e proprio dolore di vivere, che li porta non riuscire a godersi più nulla.
    Oltre a questi sintomi primari, normalmente succede che le persone che soffrono di questo disturbo ne presentino altri, quali:
              un appetito aumentato o diminuito;
              un aumento o una diminuzione del sonno;
              spesso un marcato rallentamento motorio o, al contrario, una marcata agitazione;
              una marcata affaticabilità;
              una ridotta capacità di concentrarsi;
              una tendenza molto forte ad incolparsi, a svalutarsi;pensare al suicidio.
    Chi soffre di depressione può soffrirne in modo ACUTO (cioè presenta delle fasi di depressione molto acute ed improvvise, che magari tendono a scomparire da sole o con una terapia) oppure soffrirne costantemente, anche se in forma leggera, con alcuni improvvisi momenti di peggioramento.
    Spesso i parenti spronano chi ne soffre a reagire, a sforzarsi. Questo ovviamente in buona fede, senza rendersi conto che ciò tende a far sentire chi ne soffre ancora più in colpa.
    L’atteggiamento migliore da tenere è quello di aiutare gradatamente chi ne soffre a riprendere le proprie attività, assumere un’adeguata terapia farmacologica ed intraprendere una psicoterapia cognitivo comportamentale.
                Descrizione dettagliata del disturbo
                Trattamento psicoterapeutico e farmacologico
                A chi rivolgersi

 

  • Dal Corriere della Sera.
    I centri inglesi e tedeschi i migliori del continente
    Dove si cura meglio la depressione
    Una classifica stilata in base a un rigoroso metodo scientifico individua i centri all’avanguardia in Italia e in Europa
    Il futuro è a tinte fosche. Lo vedono così i malati di depressione, ma anche gli psichiatri non sembrano presagire tempi facili: secondo i dati diffusi in occasione dell’ultimo congresso della Società Italiana di Psichiatria entro quindici anni la depressione sarà la seconda malattia più diffusa dopo le patologie cardiovascolari. Purtroppo la sensazione è che di fronte a questa emergenza siamo tutti un po’ impreparati: cittadini e istituzioni sembrano lontani dall’avere una reale consapevolezza dell’entità del problema depressione. E sul fronte della ricerca non sono rose e fiori: dalla nostra inchiesta sui centri che studiano la malattia sembra emergere un’Italia a due velocità, con un pugno di grossi istituti di ricerca all’avanguardia e molte piccole strutture che faticano a competere. Uno dei motivi pare essere proprio la difficoltà della materia: “In Italia fare ricerca sulla depressione non è affatto facile“, sintetizza Mario Maj, presidente della World Psychiatric Association, “Per decenni si è dovuto lottare contro il pregiudizio per cui la depressione sarebbe un puro e semplice disagio esistenziale, da non “medicalizzare“ e quindi da non studiare con i metodi propri della ricerca medica. Inoltre i finanziamenti pubblici per la ricerca sulla depressione sono tuttora assai modesti rispetto a quelli per lo studio di altre patologie con pari diffusione e importanza sociale, come l’ipertensione e il diabete. Per di più, le leggi in vigore non consentono di istituire reparti psichiatrici pubblici con più di 15 posti letto: alcuni tipi di studi sulla depressione richiedono che il paziente sia ricoverato, ma i pochi posti letto dei reparti psichiatrici pubblici sono in genere occupati da soggetti psicotici. Perciò è molto difficile anche soltanto reclutare i pazienti per la ricerca, e solo i centri che per diversi motivi sono riusciti a conservare un numero elevato di posti letto ci riescono“, racconta Maj, “D’altra parte le strutture psichiatriche pubbliche, proprio perché si occupano prevalentemente delle patologie psicotiche, sono talvolta percepite dai pazienti depressi come troppo stigmatizzanti, come fossero “ospedali per pazzi“. Così, molti preferiscono rivolgersi altrove“. “E’ vero, in Italia la clinica non è orientata alla depressione: i malati non vengono ricoverati e sono costretti a rivolgersi a strutture convenzionate, private o, peggio, ad arrangiarsi come possono“, conferma Enrico Smeraldi, direttore del Dipartimento di Scienze Neuropsichiatriche dell’Ospedale San Raffaele di Milano e primo classificato della nostra graduatoria, “Noi siamo fortunati perché abbiamo un grosso reparto tutto dedicato alla depressione, ma non è giusto che altrove non ci siano per tutti le stesse possibilità“. Solo pochi, quindi, possono “permettersi“ di fare ricerca sulla depressione: come racconta Giovanni Battista Cassano, direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Pisa, “per riuscirci è fondamentale una struttura grande, perfettamente organizzata e in grado di investire nella ricerca grosse risorse umane e finanziarie. Anche perché si devono seguire non solo i pazienti che hanno le caratteristiche per rientrare nelle sperimentazioni, ma pure tutti gli altri: l’assistenza infatti è tuttora la parte principale del nostro lavoro, perché in Italia non esistono strutture dedicate esclusivamente alla ricerca. Del resto, la medicina è sempre più legata a doppio filo alla ricerca: senza, le conoscenze invecchiano in un batter d’occhio“.
             I migliori 20 in Europa
             I migliori 20 in Italia
             Inglesi e tedeschi i migliori
             Il metodo
             Il valore delle nostre graduatorie
    Proprio la capacità di essere all’avanguardia negli studi pare infatti essere lo spartiacque “che separa i due livelli della psichiatria nel nostro Paese“, spiega Smeraldi, “Chi non ha avuto interesse a stare al passo con la ricerca finisce inevitabilmente per trattare i suoi pazienti con terapie obsolete: i centri di riferimento offrono ai loro pazienti le cure migliori e più attuali proprio perché sono all’avanguardia nella ricerca. Inoltre, spesso l’obiettivo della psichiatria periferica è non avere grane con i pazienti: che significa, ad esempio, sedare un euforico. Ma nei disturbi dell’umore la sedazione è un effetto collaterale e gli obiettivi sono del tutto diversi. Va detto, comunque, che in Italia rispetto a vent’anni fa le cose sono assai migliorate e le differenze fra gli Istituti di assoluto valore e i centri periferici si sono man mano assottigliate“. Per progredire ancora, concordano gli esperti, la ricerca dovrebbe essere finanziata meglio, distribuendo i fondi secondo parametri di giudizio oggettivi, come accade all’estero. E se tutti sono d’accordo nell’affermare che si può e si deve fare di più in materia di ricerca, molti sono ottimisti e ricordano i meriti degli italiani: nella caratterizzazione delle diverse forme di depressione, nello studio di nuovi farmaci (anche se purtroppo la farmacologia è ancora troppo spesso separata dalla clinica), nella psicoterapia. “Considerati i mezzi a disposizione, la realtà della ricerca psichiatrica italiana non è affatto scadente, anzi“, osserva Alberto Siracusano, presidente della Società Italiana di Psichiatria, “Tante sono le sfide cliniche e di ricerca che ci aspettano per il futuro: dal punto di vista assistenziale, sarà vitale un maggior collegamento con i medici di base perché molte malattie croniche hanno un grosso impatto sull’equilibrio psichico dei pazienti e non possiamo permetterci di ignorarlo. Dovremo poi far fronte all’aumento del numero di malati: oggi molti fattori possono facilitare la comparsa di una depressione negli individui predisposti, i ritmi e gli stili di vita sono cambiati e anche la società è assai diversa rispetto al passato. Studiare i fattori di rischio e quelli protettivi, identificare i disturbi dell’umore fin dall’infanzia e dall’adolescenza (entrambe ad alto rischio per la malattia), svelare i segreti della genetica della depressione e prescrivere terapie farmacologiche e psicoterapie davvero mirate sono solo alcuni degli obiettivi della ricerca dei prossimi anni“. “Anche perché oggi un terzo dei pazienti con depressione non risponde alla terapia“, segnala Carmine Pariante, dell’Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra, “Per anni abbiamo creato nuovi antidepressivi che però agiscono sugli stessi meccanismi biologici e hanno la stessa efficacia di quelli precedenti. Dobbiamo identificare nuovi processi neurobiologici associati alla depressione, per sviluppare nuovi farmaci che curino i pazienti che oggi non possiamo aiutare“. La strada per farlo passa necessariamente dalla ricerca: “Nuove modalità di intervento potranno essere sviluppate in futuro e l’utilizzazione di tutte queste terapie potrà diventare, grazie alla ricerca, sempre più mirata e con un bilancio più favorevole tra costi e benefici“, conclude Maj.

Testimonianza di un’amica che preferisce rimanere anonima.

Ho sofferto di depressione per più di due anni soprattutto nel 2003 2004. Lentamente l’affezione, cominciata già nel 2001, mi ha causato sempre più disturbi, direi quasi tutti quelli elencanti nella “scheda di questa malattia“ che avete letto qui sopra. In un anno sono sta ricoverata due volte, la prima volta sono stata sette giorni in una clinica privata, dove ho ripreso a mangiare e a dormire qualche ora in più la notte. Purtroppo però mi somministrano un antidepressivo che non aveva nessun effetto sul mio organismo. Nei mesi successivi la mia situazione andò di male in peggio: stavo ore e ore sveglia, nel cuore della notte, con gli occhi sbarrati. Ero sempre stanca e tesa. Mangiavo sempre meno, infatti persi dieci chili, lo stomaco mi si restrinse fino al punto che i mie sforzi per mangiare un po’ di più erano del tutto inutili. Al pasqua fui ricoverata al Sant’Alessandro. Il primario, mi affidò ad un suo assistente molto in gamba, che per prima cosa mi fece fare delle flebo con un antidepressivo adatto a me e un forte ricostituente. Così ripresi a mangiare man mano qualcosa in più. La notte riposavo meglio grazie a delle gocce. Inoltre feci subito psicoterapia, i primi giorni quest’ultima durava pochi minuti poi grazie elle medicine e ai miei miglioramenti i colloqui si intensificarono.
Una volta a casa ho continuato la cura di antidepressivo, sonnifero e psicoterapia però sono riuscita dopo poco tempo a migliorare la mia capacità di concentrazione, riprende i miei studi e le mie attività quotidiane.
Quello che ho passato per circa un anno e mezzo non l’augurerei a nessun essere vivente. Anche se durante il mio secondo ricovero ho trovato un dottore veramente in gamba, con il quale faccio ancora psicoterapia, e la cura farmacologia più adatta a me.
Oggi racconto questa mia brutta vicenda con la consapevolezza che sono cresciuta sia per quello che ho passato il quel periodo sia per il percorso che ho fatto negli ultimi quattro anni.

conclusioni di Marzia

spero di avervi dato un quadro esauriente di questa malattia. Ho deciso di inserire il racconto delle mia  amica perchè credo possa essere un valido esempio per molte persone. per chi vuole mandare un commento su “la depressione” lo può mandare a: info@piccologenio.it poi lo inotrerò io stessa alla mia amica se il l’e-mail è per lei.

un saluto a tutti

Marzia

 

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