Una testimonianza su alcune ombre sulla situazione dei disabili in Italia.

In un’epoca come la nostra, l’epoca del fare, dell’agire in fretta ed efficacemente, spesso dimentichiamo la potenza delle parole, del dialogo, della trasmissione orale delle esperienze: in una parola l’importanza delle testimonianze. Dedicando qualche minuto del nostro scarsissimo tempo al dialogo, possiamo permette ai nostri interlocutori di aprire delle finestre nuove sulla realtà che noi conosciamo. In questo modo si alimenta la consapevolezza su tematiche e situazioni che altrimenti non emergerebbero. Dal seme della consapevolezza, certe volte, nasce un’azione convinta e profonda. Più circolano le informazioni, più cresce la probabilità di una reazione comune a ciò che non funziona.

L’articolo di oggi si basa appunto su una testimonianza di cui sono stata depositaria. La condivido con voi sperando di attivare una catena di consapevolezza e cambiamento.

Ciò che mi accingo a raccontare mi è stato riferito da un’operatrice di una cooperativa la quale si occupava dell’assistenza domiciliare ai disabili. Durante la sua carriera è stata mandata a fare assistenza ad una signora, circa cinquantenne, con sindrome di down, allettata a seguito di un incidente. Lo stato nel quale vivevano la madre e la figlia era a dir poco degradato e degradante. La figlia soffriva di allucinazioni in quanto viveva ormai a letto senza stimoli. In quel letto mangiava e faceva i bisogni, le lenzuola non venivano mai cambiate. Lei usava il catetere, una volta l’assistente domiciliare ha visto la madre che strappava con forza il catetere dalla vagina della figlia procurandole un forte dolore. Se l’assistente domiciliare voleva cambiare le lenzuola, la madre si opponeva e non c’era verso di farle cambiare idea. Anche la doccia alla signora down ,che chiamerò Rosa come nome di fantasia, doveva essere fatta assolutamente dalla madre, a modo suo. Quando Rosa veniva lavata urlava perché ormai associava quel gesto materno, o quando possibile delle operatrici, al dolore fisico. L’assistente domiciliare è riuscita, con garbo e premura, a tagliare le unghie della ragazza che erano talmente incolte che si erano ripiegate entrando nella carne delle dita.

Parlando a lungo con la madre della ragazza l’assistente aveva scoperto che da giovane lei rifiutava la figlia disabile. Prima dell’incidente Rosa lavorava, prendeva i mezzi pubblici da sola…  e sua madre stava giorno e notte al lavoro nel proprio ristorante in quanto non tollerava di avere una figlia disabile. Adesso con la vecchia erano arrivati i rimorsi di coscienza. Rimorsi che erano riusciti a segregare madre e figlia in una stanzetta umida, con le pareti scrostate ed una totale mancanza di igiene. Le due donne soffrivano di allucinazioni, ma sfido chiunque a vivere in una simile situazione e rimanere mentalmente lucido! Il medico di famiglia era al corrente della situazione e non faceva nulla. L’assistente domiciliare cercò di convincere la madre a rivolgersi ad una casa famiglia dove le avrebbero accolte entrambe, ma lei era troppo spaventata dal cambiare vita, temeva di perdere il totale controllo su Rosa, era terrorizzata dal cambiamento, in fondo in quella follia sentiva di avere tutto sotto controllo e per questo preferiva vivere in un tugurio, con i soldi per l’essenziale, e le sue assurde regole che le permettevano di tenere in pugno la figlia e le loro allucinazioni.

La madre faceva cose strane ad esempio spostava una pianta davanti la porta dando la colpa a gli spiriti maligni. Lasciava la figlia guardare il vuoto all’infinito.

L’assistente domiciliare aveva spiegato la situazione alla cooperativa dove lavorava, ma si era sentita rispondere che non erano fatti che competevano né a lei né a loro: meglio svolgere il proprio lavoro in silenzio. È così che vanno le cose in Italia, la regola dell’omertà e del silenzio vige ormai in molti ambiti. A mio avviso se ci fossero più denunce e maggior rispetto della dignità  umana si eviterebbero tanti episodi di cronaca nera.

Recentemente a Fermo si è verificati un caso a danni di bambini e ragazzi autistici fra gli 8 e 20 anni picchiati e tenuti sequestrati in una stanza di contenimento (cosa purtroppo non rara per la sindrome autistica). È  la pesante accusa che ha portato in carcere 5 educatori della struttura socio educativa e riabilitativa ‘Casa di Alice’ a Grottammare, in un’operazione condotta dai Carabinieri di San Benedetto del Tronto, e coordinata dalla procura di Fermo.

Si vede un uomo a torso nudo chiuso dentro e lasciato a terra da solo. Un ragazzino con una felpa che tenta disperatamente di farsi aprire la porta ma nessuno gli dà retta. Ad una ragazza vengono tolti i sandali con la forza. In un’altra stanza, arredata con tavolinetti e sedie colorate, ogni volta che un ragazzo cerca di alzarsi in piedi viene afferrato per le braccia e ributtato sulla sedia. I filmati sono stati girati dai carabinieri con telecamere nascoste.

C’è anche da aggiungere che questi episodi non sono nuovi alle forze dell’ordine in quanto dietro all’apertura di cooperative, case famiglie, ospizi… spesso ci sono interessi economici e non spirito di servizio o valori umani come dovrebbe essere. Ogni utente è una fonte di reddito per la casa famiglia, cooperativa sociale e/o casa di riposo per anziani, dunque perché non cercare di metterci le mani? In fondo si sa che molti disabili hanno problemi ad esprimersi, farsi capire o non vengono ascoltati, quindi perché non esercitare il potere e la propria volontà come insegnante, genitore, terapista o assistente?

Ovviamente non vorrei banalizzare e fare di tutta l’erba un fascio, ci sono anche strutture di eccellenza e persone che sono assistite nel modo migliore possibile vivendo da sole o con la propria famiglia. Queste situazioni dovrebbero diventare la norma per uno stato dell’Unione Europea.

 

 

 

 

 

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