La disabilità è come il mare, sta a noi farci trasportare da esso – La disabilità nel rapporto tra fratelli.

Spesso i fratelli di bambini con disabilità vanno incontro ad un maggior carico: se da piccoli devono capire e rapportarsi con un bambino “diverso“ da grandi, specialmente se mancano i genitori o quando questi invecchiano, devono pensare ad un fratello “speciale”, ed in qual modo, a volte, devono fare le veci dei genitori.

Dopo aver parlato della mia personale esperienza di ragazza disabile con una sorella normodotata nell’articolo: Two is better than one – L’importanza di avere una sorella. Che troverete nel link: http://www.piccologenio.it/2014/08/19/two-is-better-than-one-limportanza-di-avere-una-sorella/ vorrei affrontare in modo più generale questa importante tematica e soffermarmi sul punto di vista del soggetto familiare non disabile.

Spesso le dinamiche che si istaurano tra bambini e fratelli “diversi“ sono varie e possono variare dal totale rifiuto ad un profondo amore, aiuto e complicità.  I bambini portatori di handicap possono dare un amore intenso ai fratelli  e sostegno morale e psicologico, tutto questo può creare tra di loro un’unione speciale e aiutare ambedue i fratelli ad ottenere dei risultati positivi nelle loro vite, ma può’ anche causare ansia, per esempio durante un momento di separazione.
Ci sono casi estremi nei quali la madre decide di ritirare la figlia maggiore da scuola per assistere la sorellina disabile in ospedale, come mi è capitato di leggere navigando sul web. Anche se ora sembrano felici, perché entrambe piccole, come sarà il loro rapporto in futuro segnato da rimorsi e sensi di colpa? Come si possono stravolgere così tanto le vite di due ragazzine che un domani saranno donne?

I libri, il vissuto, il sentito dire a volte servono a cambiare idea e quindi rotta. È fondamentale il ruolo dei genitori per creare l’armonia e attutire i sensi di colpa del disabile per non essere “normale“ e del figlio “normodotato“ per aver una sana voglia di farsi le sue normali esperienze di vita all’interno ed all’esterno del nucleo familiare d’appartenenza.

Fare rete, in qualche forma, in qualche modo – soprattutto nella totale assenza dello Stato – è un antidoto potente all’isolamento in cui tante persone disabili si ritrovano, spesso anche nei confronti delle proprie famiglie. Forse non salva, però aiuta: tante individualità che si trovano a superare insieme, ciascuno con le proprie capacità e forze, il dramma. Forse, con una provocazione, si potrebbe dire che la ferita lasciata nei famigliari è quasi una disabilità permanente. Ma essa si può affrontare se si vuole, se si è in grado di chiedere aiuto, se non si pensa solo alla propria ferita ed al lato negativo della cosa. Un figlio, un fratello speciale non sarà mai uguale agli altri, ma quanto saranno importanti le sue conquiste, le sue vittorie quotidiane? La disabilità può essere come il mare sta a tutti noi farci trasportare da esso.

In passato si credeva che il rapporto tra fratelli, dove uno di questi fosse portatore di handicap, sarebbe stato meno positivo e meno affettuoso. Ma, in alcuni casi si è riscontrato il contrario. Secondo lo studioso Stoneman il rapporto tra fratelli, dove uno di questi è portatore di handicap, è risultato più positivo del convenzionale rapporto tra fratelli, tuttavia quando sussistono delle discordie, queste sono più frequenti nei confronti di fratelli maggiori disabili.

Aldilà delle specifiche caratteristiche, il rapporto tra fratelli di cui uno è portatore di una disabilità è comunque diverso, alcune ricerche hanno osservato che nell’interazione tra fratelli, quando uno di questi ha disabilità, il bambino non disabile tende a prendere un ruolo d’aiuto e quindi un ruolo protettivo nei confronti del fratello disabile.

La disabilità, prima o poi, porta sempre ad un livello di solitudine più o meno accentuato, tanti genitori scappano tornando alla vita che svolgevano prima “dell’arrivo del figlio della discordia“ altri si rifugiano nell’alcol e nella depressione. I fratelli sono spesso in grado di rapportarsi meglio con gli insuccessi, i sensi di colpa, ma anche le sfide e le vittorie di una persona disabile perché nascono e crescono nella disabilità insegnando e imparando da essa.
E di solitudine parla anche Sandro Rizzi dalle pagine del Corriere della Sera (http://www.corriere.it/salute/cardiologia/13_ottobre_28/dopo-l-ictus-il-passo-diventato-lento-parole-hanno-ancora-piu-valore-0a12689a-3fdf-11e3-9fdc-0e5d4e86bfe5.shtml )descrivendo un “Prima“ dell’ictus che stenta a diventare un “Dopo“ perfettamente compiuto. Lo fa usando un’immagine di rara suggestione: “Gli anziani spesso si sentono isole, i disabili in più sono atolli. Sono lì da vedere, difficili da viverci“. “Ora che il passo è diventato lento, le parole hanno ancora più valore“ recita il titolo dell’articolo. Ed è vero che le parole sono ponti che permettono a tante solitudini diverse tra loro per origini, contenuti e protagonisti , di mettersi in comunicazione profonda,  così rendendo l’essenza della disabilità. Che non è altro che l’atollo descritto da Rizzi; un’isola con un buco in mezzo, una laguna  difficile da vivere, certo, ma tutta da scoprire. Un cerchio  imperfetto che non si perde come una tangente, piuttosto si curva, si chiude lentamente come un abbraccio e ridefinisce uno spazio dentro il quale si forma e vive un altro ecosistema, unico più che solitario.

 

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