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UNO SPECCHIO DIFETTOSO

ESERCIZI DI SCRITTURA FATTI PER IL LABORATORIO MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “BOMBA CARTA“

 racconto della redattrice.

Mi trovavo nel giardino dell’università, avevo appena finito le lezioni. Da lontano vidi una persona di spalle, la notai perché camminava male, feci più attenzione; camminava proprio come me. Stava andando al bar. Accelerai il passo ed entrai anch’io. C’era tanta gente dopo poco l’ho riconosciuta. Era di spalle. Aveva i capelli arruffati, una maglietta, dei jeans consumati e un grossa bisaccia piena di libri di studio: perfetta moda anni 70-pensai- quella che non ho mai seguito-.
Sono riuscita ad avvicinarmi a lei piegando le ginocchia e facendomi lentamente spazio per camminare. Non è facile camminare in questo modo ma funziona sempre!
Beveva un cappuccino usando la cannuccia mentre con le mani e gli avambracci, si aggrappava al bancone. Finalmente le misi una mano sulla spalla, ci guardammo in faccia con stupore: eravamo uguali. Qualche secondo di silenzio poi lei accenna una rissata ed io:
– ciao, come ti chiami?
– Marzia.
– mi prendi in giro?
– Perché?
– anch’io mi chiamo Marzia.
Bevve un sorso del cappuccino, poi con calma mi disse:
-senti, perché non ci sediamo su una panchina e tentiamo di capirci qualche cosa.
– buon’idea.
Ci sedemmo all’ombra di un grande albero pieno di fiori, d’improvviso mi sembrò che in tutta la facoltà c’eravamo solo io e lei, o forse dovrei dire solo io.
Ripresi a parlare
-non ti chiederò come mai cammini così: scommetto che anche tu, quando sei nata non hai cominciato subito a respirare…
-già.
-quindi hai una lesione celebrare
-proprio cosi.
Rispose lei senza nessuna espressione, come se la cosa non la riguardasse.
-bene allora parliamo d’altro; immagino che stai al secondo anno di scienze dell’educazione.
Lei ebbe uno scatto che le coinvolse tutto il corpo, poi esclamò:-no sono al terzo. Come è possibile, allora non siamo uguali.
Si bloccò, non sapeva più che dire, ma mi fissava. Anch’io per qualche instante me ne stetti in silenzio poi ripresi
-calma, calma, io sono indietro perché mi sono fermata un anno per digerire l’esperienza della scuola privata.
-“scuola privata“ disse con tono deciso, mi fa ribrezzo soltanto la parola.
– a chi lo dici!
– fin da piccola avevo delle idee ben precise: dalla finestra di camera mia vedevo le bambine che uscivano da un asilo di suore, avevano tutte la gonna a pieghe e i cappelli legati. Mi facevano tanto ridere. Crescendo poi, ho continuato a seguire le mie idee. Sono arrivata per fino a scappare di casa. I miei genitori erano arrabbiatisi… dopo qualche giorno poi, lì ho chiamati e gli detto che sarei tornata solo se mi lasciva libera di fare le mie scelte. È passato del tempo e molti litigi, ma alla fine mi hanno detto “fa come ti pare, peggio per te, la vita è tua!“
Rimasi a pensare, eravamo uguali, ma in fondo tanto diverse. Chi era lei, perché mi raccontava, le sue cose.
Comunque le chiesi:
-non pensi che sia più giusto accettare i consigli degli altri e cercare di evitare i problemi invece di crearli?
– perché, per essere una “bambina ubbidiente“ e dire di si a tutto e tutti?
– che centra. Accettare i consigli significa essere intelligenti, pronti a farli propri per arricchirsi.
– anche fare delle scelte porta ad arricchirsi, bisogna essere intelligenti.
– anche, forse si, forse ai ragione tu… no ansi forse abbiamo ragione tutt’e due.
Avevo freddo: si era alzato il vento, ero stordita. Mi chiusi bene la giacca e faci un grande sbadiglio. Mi accorsi che nel giardino non c’era più nessuno, il cancello della facoltà si stava chiudendo; riuscii ad uscire appena in tempo.
Tornando a casa ripensavo a quella giornata, ricordavo di aver seguito le lezioni, ma non sapevo di quali materie; ricordavo di essere stata al bar, ma non sapevo cosa avevo mangiato; ricordavo di aver parlato con qualcuno, ero sicura di aver parlato con qualcuno, ma non ricordavo nient’altro.
-non vedo l’ora di arrivare a casa sono stanca e ho fame.