Italy in a day… ma non tutta

https://www.youtube.com/watch?v=jmu0tmwdWEI&feature=youtu.be Il mio Italy in a day

Lo scorso sabato attendevo con una certa ansia la visione del film documentario Italy in a day di Gabriele Salvatores. Il regista aveva invitato tutti gli italiani e le italiane a filmare un momento della loro giornata del 26 ottobre 2013: era un sabato. Anch’io avevo inviato allora il mio contributo. Sapevo di non essere stata scelta, perché in caso contrario mi avrebbero contattato per tempo, per filmare alcune liberatorie. Essendone giunti 45.000  non sono rimasta stupita quando mi sono resa conto  che non era stato inserito il mio video, che per quanto lo apprezzi rivedendolo e per quanto lo consideri prezioso in quanto ha coinvolto me e  le persone care intorno a me, magari non era giusto che venisse scelto. Ritengo di non aver una voce, una parlata diciamo.. adatta alla televisione o al cinema.  Detto questo ero comunque molto curiosa della visione del film, nutrendo delle aspettative  su come potesse venire rappresentata e narrata la disabilità.

Cosa ho trovato:

presenti molte fasi della vita nell’arco del tempo dell’essere al mondo quali la nascita, l’infanzia, la gioventù, la maturità e la vecchiaia.

Compaiono un gran numero di bambini. (Come dice Augusto Sainati:  “Ci sono molti bambini: bellissima immagine, carica di speranza e di futuro, ma forse un po’ troppo di parte in un paese che di bambini ne fa davvero pochi“).

Ben costruito anche il discorso sui ragazzi che vorrebbero emigrare in un altro Paese perché nel loro non scorgono prospettive e futuro. Anche gli anziani sono stati diversificati nelle loro storie ed è stata adeguatamente raccontata la loro quotidianità. Mi ha colpito la storia di un medico italiano dentro una realtà povera e disagiata di un altro paese che riusciva a dare senso profondo al suo lavoro e “sacrificio“ come se in Italia non si trovino abbastanza storie esemplari  tra ospedali, reparti pediatrici e luoghi di cura o di terapia. Un altro spunto interessante ben sviluppato all’interno di un discorso narrativo è stata la presenza dei padri divorziati che si occupavano dei loro figli con un certo trasporto. Tema ricorrente la giornata di sportivi e le loro imprese, dalla bicicletta al paracadutismo. Mi ha colpito la scelta di narrare storie dal carcere e il punto di vista dei collaboratori di giustizia. Questi temi, di cui di solito sappiamo ben poco, hanno trovato uno spazio adeguato.

A mio avviso ridondante e superfluo il video, quindi la testimonianza, della ragazza che preferiva stare sotto le coperte invece di affrontare un nuovo giorno. Anche la mamma impegnata ad insegnare a guidare alla figlia, mi è sembrato un po’una  forzatura a discapito di tematiche e scorci di vita che potevano essere interessanti, quali il cinema, il teatro, la cultura in genere, in relazione alle storie delle persone che ne potevano testimoniare la presenza nella loro vita, in un sabato come tanti.

Esteticamente parlando, mi è sembrata buona e appropriata l’idea di dividere il filmato in varie ore del giorno, creando un effetto movimentato e divertente nello spettatore. Ampio spazio nel montaggio è stata data alla percezione  variegata del tempo climatico, dei paesaggi ripresi, delle città vissute a diversi livelli. Particolarmente azzeccato e divertente il momento del pranzo che ha visto buona parte dei protagonisti accingersi a mangiare; nello specifico mi ha fatto molto sorridere  la storia di un ragazzo che, dopo un breve monologo sulla bellezza e sul gusto, mangia lentamente e assapora in modo sapiente il suo panino davanti alla telecamera per diversi minuti.

 

Sul Fatto quotidiano del 28 settembre, Augusto Sainati – professore universitario e critico cinematografico – scrive che il cinema, utilizzando tutte le sue possibilità espressive, ha il compito di creare nuove sintesi, nuovi mondi totali. “… Ciò che invece un po’ manca in Italy in a day è proprio questa capacità di saltare verso la sintesi: tante immagini fanno accumulo, ma se l’accumulo resta tale, il cinema è solo in potenza“. E ancora …“ Italy in a day non è un selfie dell’Italia, ma il ritratto di “una vita da mediano“.

Dentro queste considerazioni si inserisce la mia più grande delusione e amarezza durante e dopo la visione del film: la constatazione della totale e forse imperdonabile assenza – visto l’esperimento comunitario – di storie narrate da o insieme a persone disabili, con qualsivoglia tipo di disabilità o semplicemente malate, dentro i confini italiani.

 Mi sono chiesta: a che cosa è dovuta questa mancanza?  Scarso materiale inviato non all’altezza? O impossibilità da parte di famiglie o delle persone con disabilità di potersi raccontare  “in leggerezza“ senza dover per forza testimoniare malasanità, inadeguatezza politica e sociale, drammi familiari, etc. O qualora invece ci sia stato abbastanza materiale, possibile che non ci fosse una traccia, una microstoria che rispettasse canoni estetici richiesti o rispondesse alla serie di domande proposte a cui attenersi? (Posso testimoniare che la sottoscritta ha inviato un video di durata inferiore ai quindici minuti richiesti dove rispondevo ad almeno  due delle domande che per regolamento dovevano essere toccate e prese in considerazione, almeno in parte).  Possibile che in 45000 contributi arrivati e visionati non ci sia stato nulla di decente su e da parte di tale rappresentanza?  Non voglio dire questo per lamentarmi o fare la parte della disabile che si lagna perché non si parla deiproblemi dei disabili… anzi il contrario. Italy in a day grazie all’opportunità che aveva nel suo potenziale e alla sensibilità e sapienza  del suo regista, poteva essere l’occasione per condividere il fatto che le persone con disabilità possono raccontare di tutto e raccontarsi in infinite combinazioni possibili, senza ricorrere ai soliti clichè e stereotipi che ostacolano la narrazione e l’ esperienza di raccontarsi liberamente… avendo cioè un pretesto, uno spunto o un’ispirazione, qualcosa da dire insomma, a tutti quanti.

Senza ricorrere per forza ai casi limite o estremi, si poteva scegliere come rappresentanza  anche solo il coraggio  di una persona con problemi motori che “vive“ la sua giornata e si racconta “in soggettiva“ davanti la macchina da presa; anche questa “semplicità“ poteva essere interessante condividere.

Rispetto poi alla leggerezza “calviniana“ in questo momento diversi documentari e narrazioni audiovisive stanno cercando di fare emergere punti di vista mai esplorati intorno ai temi del disagio psichico oltre fisico (Sconosciuti, i 10 comandamenti, The special need, etc, Capitan Pistone di Mara Consoli, etc…).

E poi mi chiedo: era proprio indispensabile approvare video di persone lontane, oppure le testimonianze  dei collaboratori di giustizia?  Non era necessario, fondamentale, doveroso inserire, nel film collettivo, almeno un solo minuto prezioso di una persona disabile che racconta il mondo?

E poi pensiamo alla giornata dell’ astronauta Luca Parmitano. Chiaramente suggestiva, bella cinematograficamente la giornata di Parmitano… ma possibile che non sia stato trovato del bello nella giornata di un disabile che lotta per la conquista di un senso o di un piacere da condividere nell’arco della sua giornata?

Forse chissà aggiungendo un quarto d’ora a quei brevi settantacinque minuti si poteva raccontare qualcosa in più.

Questa mia riflessione non è semplicemente suggerita dal fatto di essere parte in causa, rispetto alla voragine constatata in termini di rappresentanza  e ampiamente criticata. Occupandomi, ogni volta che posso, di narrazione e disabilità, cercando di fare coincidere il racconto con il bisogno di raccontare e raccontarsi da parte di chi vive un disagio profondo quotidianamente, speravo tanto che il sabato di Italy in a day potesse essere un sabato da ricordare… per tutta l’Italia. Anche per noi.

 

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