Risultati della ricerca

25 results found.

L’adolescenza: tra criticità, potenzialità e soluzioni

L’adolescenza è un periodo della vita caratterizzato da forti e rapidissimi cambiamenti a livello fisico, ormonale e  psicologico. Gli adolescenti  mettono in discussione la propria identità  per poterla definire e cercano in tutti i modi di maturare l’idea che hanno di sé stessi. Si tratta di un processo non lineare che può prevedere grandi balzi in avanti, ma anche repentini   passi indietro. Spesso i comportamenti di questa fase della vita oscillano tra l’infantile e il troppo spavaldo.

Non è raro che i ragazzi si sentano fragili, ma al tempo stesso si ribellino alle regole. Quasi tutti poi, cercano l’omologazione nel gruppo dei pari.

Quello che gli adulti di riferimento devono tenere a mente è che, nella maggior parte dei casi, in tutto questo non c’è nulla di patologico o preoccupante. In questa fase delicata l’adolescente va sostenuto e istradato per quanto possibile; tenendo conto che, spesso si impara degli errori.

La visione dei genitori

L’adolescenza è un periodo che richiede una grande capacità di adattamento anche per i genitori, che vengono messi spesso a dura prova. Si tratta di una fase molto delicata, sia per i ragazzi che per gli adulti, ed è facile in tanti momenti cedere al pessimismo  quando ci si ritrova davanti un figlio così diverso dal bambino a cui eravamo abituati, da non riuscire più a riconoscerlo.

La visione dei ragazzi e i segnali di allarme per i genitori

Molto spesso, i figli percepiscono una mancanza  d’ ascolto e supporto verso le loro richieste e necessità. Non riconoscono o non vedono riconosciute le proprie potenzialità.

Tutto questo è normale se non viene esasperato nel tempo. Quali sono i segnali, i campanelli d’allarme ai quali un genitore dovrebbe prestare attenzione per poter intervenire il più presto possibile? Innanzitutto un forte segnale può provenire dal luogo in cui il ragazzo passa la maggior parte del suo tempo, cioè la scuola. Il rendimento scolastico è un indicatore da tenere sempre in considerazione. Un calo repentino dei voti di un ragazzo adolescente può essere sintomo di un disagio che si ripercuote sull’attenzione, sulla capacità di studiare e sulla motivazione e che porta, quindi, ad un abbassamento della media scolastica.

Un altro campanello d’allarme dovrebbe scattare quando un figlio adolescente manifesta insoddisfazione, noia continua come se non riuscisse a trovare alcuno stimolo nelle cose che ha sempre fatto o in nuove attività. Il disinteresse nei giovani talvolta è normale e fisiologico, ma c’è il rischio che l’indolenza si trasformi in apatia giovanile, causata da un contesto poco stimolante, dalla bassa autostima e dall’assenza di gratificazione. Ci si può trovare di fronte a un ragazzo che fatica a trovare un senso ed uno scopo, che passa le giornate  senza concludere nulla. A differenza di quello che si crede comunemente, la preoccupazione dovrebbe scattare anche quando l’adolescente dimostra difficoltà a emanciparsi dalla famiglia  e ad assumersi le proprie responsabilità.

Altro importante segnale da considerare sono le relazioni sociali del ragazzo: se tende ad isolarsi,  a chiudersi in casa o si allontana e non sembra avere rapporti con i propri coetanei, è possibile che stia vivendo un forte disagio.

Infine anche l’aspetto fisico del figlio può dare motivo di riflessione: la trascuratezza può essere un segnale forte di scarsa autostima e mancata accettazione oltre che di assenza di stimoli.

Prevenzione dei problemi in adolescenza

Naturalmente esiste anche una fase di prevenzione dei problemi e dei disturbi adolescenziali più comuni. Il primo luogo in cui effettuare degli interventi volti a prevenire il disagio giovanile è, senza dubbio la scuola.

È quindi opportuno che vi siano degli incontri nei quali esperti psicologi e pedagogisti, possano entrare in relazione con i ragazzi. I preadolescenti e gli adolescenti devono trovare uno spazio dove poter parlare delle loro paure, delle proprie passioni ed aspirazioni. È anche utile che gli esperti e gli adulti di riferimento facciano capire al ragazzo che le emozioni che egli vive, lo accomunano a molti altri suo coetanei.

La narrazione del sé come supporto psicopedagogico

Dal 2012 al 2020, (prima del Covid-19) facevo molti incontri nelle scuole grazie al progetto: “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”, si tratta di un progetto educativo contro ogni forma di bullismo che cerca anche di prevenire le varie tipologie di discriminazione.

Gli incontri con le classi si articolano in tre momenti. In primo luogo narro agli alunni alcuni episodi della mia vita estrapolati dal romanzo di formazione ed autobiografico “Nata Viva“. I brani che faccio leggere ai ragazzi per renderli più protagonisti; hanno a che fare con la nascita, la scuola, la famiglia, l’adolescenza, il tempo libero e il rapporto tra pari. È emozionante vedere la loro concentrazione e la loro empatia.

Nella parte successiva c’è un momento di confronto nel corso del quale i ragazzi, stimolati e incalzati da me, narrano i loro vissuti in relazione alla scuola, il rapporto tra pari e con gli adulti, le loro paure e speranze e mi possono porre tante domande. La parte più entusiasmante è senza dubbio ascoltare le domande dei ragazzi, i loro vissuti della scuola e della famiglia e rispondere alle loro curiosità.

Riporto alcuni quesiti  che mi sono rimasti impressi ed ai quali ho risposto senza celare nulla:

“Zoe ti sei mai innamorata?

Cosa provavi quando le tue compagne di classe e le insegnanti non ti volevano aiutare?

Se non avessi avuto quel “cortocircuito” al momento della nascita saresti stata comunque una scrittrice o pensi che avresti fatto un lavoro diverso?

Nel brano dove racconti della tua nascita parli di tua madre e di tua nonna, ma tuo padre c’era e se era presente cosa faceva?

Nei panni dei tuoi famigliari cosa avresti fatto con una bambina disabile?

Come hai fatto a raccontare la tua nascita? Ma tu te la ricordi?!”

Sono felice di poter affermare che le situazioni di sofferenza legati alla famiglia e alla scuola sono state poche rispetto ai tanti bambini e ragazzi incontrati. Hanno tutti molte aspettative per il futuro, vogliono laurearsi e intraprendere carriere di un certo livello.

Mi piacerebbe tornare quanto prima nelle scuole e magari riproporre il progetto insieme ad una persona con disabilità sensoriale, per sensibilizzare i ragazzi su vari tipi di diversità e far capire che siamo tutti diversi e un po’ speciali, ognuno a suo modo.

Leggi anche:

Famiglie e sensi di colpa: non tutto è imputabile alla disabilità…

La narrazione di sé per potenziare l’autoconsapevolezza

Zoe a Radio Freccia Azzurra

Continua a Leggere

La Comunicazione Aumentativa Alternativa, uno strumento di dialogo, apprendimento ed integrazione

La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (detta anche CAA) è un insieme di conoscenze, strategie e tecnologie che hanno lo scopo di migliorare ed incrementare le capacità comunicative di coloro che hanno difficoltà, temporanee o permanenti, nell’utilizzo del linguaggio orale e scritto. L’uso dei gesti, simboli, immagini e ausili tecnologici, consentono alla persona con difficoltà, di sperimentare un modo di comunicare comprensibile a tutti, così da non dipendere costantemente dai famigliari, altrimenti chiamati a tradurre bisogni e pensieri.

L’insieme di strategie della Comunicazione Aumentativa Alternativa hanno anche l’obiettivo di potenziare il linguaggio verbale.

Questo tipo di comunicazione viene definita Aumentativa in quanto non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni). Viene definita Alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche diverse dal linguaggio parlato.

Tale approccio ha come obiettivo la creazione di opportunità di reale comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; pertanto dev’essere flessibile e su misura della persona stessa.

La nascita  della CAA

I primi semi per il futuro della CAA sono stati gettati negli anni ‘50.  Michael Williams, persona con complessi bisogni comunicativi, racconta che nei suoi primi anni comunicava con suoni comprensibili solo ai suoi genitori.

In seguito, per farsi comprendere anche da persone esterne all’ambiente familiare, tracciava dei gesti nell’aria come per scrivere parole. Fino a quando un collega stanco di vederlo gesticolare nell’aria, gli portò una tabella alfabetica, tabella che diede inizio per lui ad una nuova vita.

Tra gli anni ‘50 e ‘70 il progresso delle cure mediche e riabilitative portò ad un aumento di casi di bambini sopravvissuti a nascite premature e di adulti sopravvissuti a ictus, traumi, malattie. Per molti di loro residuavano come postumi, situazioni di grave disabilità motoria e impossibilità a comunicare attraverso il linguaggio orale. Pochi riabilitatori, andando contro corrente, iniziarono a suggerire modi aumentativi per favorire la comunicazione e iniziarono a diffondere i risultati di queste esperienze.

Tra il 1960 e il 1970 si iniziò a non nascondere più la disabilità. John Kennedy e altri personaggi famosi iniziarono a rendere noto che avevano parenti con deficit comunicativi, ciò portò ad una prima iniziale accettazione della disabilità e, quindi, di modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. Le comunità di sordi anticiparono questo processo di legittimazione di un linguaggio alternativo, esigendo il diritto di essere educati utilizzando il linguaggio dei segni.

All’ospedale universitario di Jowa City dal 1964 al 1974 venne condotto un primo programma di C.A.A. rivolto a bambini con Paralisi Cerebrale Infantile. Nel frattempo si sviluppava anche l’idea che la tecnologia potesse aggirare la disabilità comunicativa e venivano usate per la comunicazione macchine da scrivere adattate.

Negli anni ’80, la C.A.A. si diffonde maggiormente in seguito alla nascita dell’Associazione Internazionale di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (ISAAC, associazione composta da professionisti, utenti e familiari).

Gli sviluppi e i destinatari

Dopo le paralisi celebrali infantili, la C.A.A. venne usata anche per persone con ritardo mentale grave e ad altre tipologie di disabilità con disturbi della comunicazione associati, ed ai gravi disturbi di comprensione del linguaggio. Nella CAA non esistono soluzioni universali adatte ad ogni soggetto. Al contrario, per ogni persona è necessario creare un intervento ad hoc: ogni strumento va scelto in base alle caratteristiche del paziente e al momento particolare della sua vita in cui viene richiesto, e quindi lo stesso va migliorato, adattato o aggiustato secondo necessità, oltre ad essere personalizzato per la persona stessa.

Con la C.A.A. il bambino viene stimolato a progredire nella sua evoluzione linguistica, poiché sarà in grado di costruire una frase anche se non riesce ad esprimerla verbalmente. Non ci sono prerequisiti minimi necessari nel bambino, non c’è un livello cognitivo minimo, o di gravità, o di età al di sotto del quale è sconsigliato iniziare.

I molteplici vantaggi della Comunicazione Aumentativa Alternativa

  •  La C.A.A. ha l’obiettivo di mettere ogni persona con bisogni comunicativi complessi nelle condizioni di poter effettuare delle scelte, esprimere un rifiuto, un consenso, raccontare, esprimere i propri stati d’animo. Comunicare significa anche influenzare il proprio ambiente e diventare protagonista della propria vita.
  •  La C.A.A. non si fonda sull’esercizio, ma su esperienze di reali comunicazioni offerte alla persona con bisogni comunicativi complessi.
  •  La C.A.A. può essere uno strumento efficace per memorizzare un testo. Associando delle immagini ai vari concetti, si facilita l’apprendimento.

Da tenere presente

  •  E’ importante, per una buona riuscita del progetto di C.A.A., la partecipazione alle sedute dei partner comunicativi e di frequenti momenti di confronto con gli operatori di riferimento.
  •  I sistemi di C.A.A. sono efficaci se, oltre a essere accompagnati da un training rivolto alla persona con bisogni comunicativi complessi, sono condivisi e supportati dalla maggioranza delle persone che fanno parte dei contesti maggiormente frequentati, al fine di evitare una “separazione” tra i vari ambienti di vita.

Le tabelle di comunicazione

Tra gli strumenti più conosciuti della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, ci sono le tabelle di comunicazione. Con questo strumento la persona indica (adoperando le modalità che la compromissione rende possibili) i simboli contenuti nella tabella.

Le tabelle di comunicazione vengono costruite valutando un insieme di aspetti simultaneamente, come ad esempio: la selezione del vocabolario e gli aspetti fisici e sensoriali della persona con bisogni comunicativi complessi.

I diversi messaggi contenuti nella tabella possono essere rappresentati in modi diversi: oggetti concreti, miniature di oggetti, simboli grafici (fotografie, disegni), lettere o parole.

Quando si può iniziare

In Italia la C.A.A. viene impiegata prevalentemente in età evolutiva, mentre nei paesi di più lunga tradizione viene adottata anche con adulti ed anziani.

Con i bambini disabili, l’inizio precoce di interventi di C.A.A. può contribuire a prevenire un ulteriore impoverimento comunicativo, simbolico, cognitivo e la comparsa di disturbi del comportamento, altrimenti molto diffusi proprio come strategia di richiesta di attenzioni. Per questo è consigliabile un primo approccio con la C.A.A. in età prescolare e scolare.

La CAA in classe, un metodo per l’inclusione scolastica

La Comunicazione Aumentativa Alternativa è quindi un approccio molto utile non solo per le persone con problemi a esprimersi e comunicare nei canali classici (scritto e orale), ma anche per il mondo della scuola e per l’educazione in generale. In questo senso, come spiega Giorgia Terry Sbernini, educatrice esperta in CAA e nei processi d’apprendimento, “negli ultimi anni si è visto che il metodo simbolico è uno strumento inclusivo per tutto il gruppo classe, non solo per le persone con disabilità. Infatti, la simbologia della CAA è un sistema molto più immediato di quello verbale, per questo utilizzarla in classe permette a tutti di tenere lo stesso passo.”

In termini pratici, l’approccio della CAA consente di includere nel contesto classe il minore con disabilità, ma anche l’alunno con difficoltà di apprendimento e memorizzazione, lo studente straniero che deve imparare la lingua e, in generale, chi va un po’ più piano. Ultimamente la Comunicazione Alternativa Aumentativa viene inoltre utilizzata anche per il deficit di attenzione (ADHD). “La CAA – spiega ancora Giorgia Bernini – permette infatti un tempo di attenzione più ampio. Grazie all’utilizzo della simbologia, il bambino riesce a mantenere di più la concentrazione”.

Gli strumenti utilizzati dalla CAA, il sistema di scrittura in simboli o immagini, ma anche le tabelle di comunicazione, i libri personalizzati ed i programmi informatici, possono favorire una didattica più inclusiva per tutto il gruppo classe.

Le potenzialità della Comunicazione Aumentativa Alternativa nella didattica, sono in parte ancora da esplorare e la scuola italiana ha senz’altro tantissimo da guadagnarci, in termini di innovazione, efficacia e inclusività. Sarebbe quindi auspicabile una maggior formazione dei docenti, superando un approccio che ne limita l’intervento solamente ad alcuni ambiti specifici.

Leggi anche:

La narrazione di sé per potenziare l’autoconsapevolezza

Zoe a Radio Freccia Azzurra

Zoe Rondini: “il mio blog per aiutare i disabili”

Continua a Leggere

Intervista a Zoe Rondini per Tv Odeon

 

I miei libri sono un buon inizio per parlare di tanti progetti che sono “Vivi” e Esistono grazie alla mia esigenza di narrarmi e narrare. “Perchè la vita riserva inaspettate soprese alle persone che, nonostante tutto… Nascono vive“.

 

 

 

 

 

 

Tutte le informazioni sul romanzo Nata Viva le trovate qui

Se siete interessati al saggio RaccontAbili cliccate qui

Leggi anche:

Spiegare bene la disabilità a bimbi e bimbe: un’occasione pedagogica per tutti

Zoe a Radio Freccia Azzurra

La narrazione di sé per potenziare l’autoconsapevolezza

Continua a Leggere

Le persone con disabilità, la comunicazione nel web ed il devotismo

Negli ultimi anni l’avvento dei social-network, il diffondersi dei siti di incontri, hanno modificato la comunicazione e il nostro modo di approcciarsi. Spesso, usando questi mezzi, si cerca di fare nuovi incontri e non solo nel virtuale. A tal proposito si stima che nel vasto panorama delle chat più utilizzate, i siti di incontri rappresentino un mercato in crescente aumento. In Italia 2,8 milioni di utenti utilizzano i siti per single; ciò vuol dire che circa un italiano su due sotto i 40 anni possiede una virtual life  e che nella maggior parte dei casi questa è completamente differente dalla vita reale.

Numerose persone  con disabilità utilizzano i siti d’incontri, i forum tematici o i tanti gruppi Facebook dedicati alla ricerca dell’anima gemella. C’è da tener presente che in molti casi, per una persona con  disabilità la conoscenza attraverso la parola scritta è più lenta e quindi più adatta a chi ha qualche difficoltà. Così facendo, in alcuni casi, è anche possibile “svelare” la propria disabilità poco alla volta.  A tal proposito mi sembrano interessanti alcune testimonianze trovate in rete. Michelle, giovane ragazza di  Liverpool, dichiara: «Ho eliminato la mia sedia a rotelle da tutte le foto che posto su Tinder. Quando sono in un bar o in un pub con gli amici, nessun ragazzo mi si avvicina. Ho la sensazione che guardandomi vedano solo la carrozzina e non la persona che ci siede sopra. Sulla chat, invece, posso parlare con loro per qualche giorno prima di rivelare la mia vera identità. Normalmente aspettavo almeno una settimana prima di confessare la disabilità, ma dopo che un uomo mi ha pesantemente accusata di mentire, ho cambiato idea. Ho deciso di confessare subito il mio handicap, con il rischio di farmi il deserto intorno».

Il problema non si pone sole per le donne con disabilità. Andy, 43 anni di Manchester, decide di mostrare la sedia a rotelle sul suo profilo. Spesso è lui stesso a mandare un messaggio agli utenti che ne consultano il profilo senza però scrivergli. Solitamente nel fare il primo passo l’uomo scrive: «Ti chiedo di essere sincera, non mi contatti perché sono su una carrozzina vero?». Una domanda rimasta sinora senza risposta.

Secondo un sondaggio, solo il 5% degli inglesi ha accettato un appuntamento con un disabile conosciuto su una app o in un sito di incontri. Gli altri hanno dichiarato apertamente di evitarli. Chissà cosa spinge quel 5%, se realmente la disabilità non li spaventa oppure se sono attratti da una situazione diversa… Resta il fatto che il 5% è un numero molto piccolo.

Quando si parla di chat, amore e disabilità è bene anche analizzare il fenomeno dei devotee; ci sono infatti persone che sperano d’incontrare un devotee. Ma di che cosa si tratta? Il “devotismo” è la traduzione culturale della categoria diagnostica definita come acrotomofilia, che John Money, psicologo e sessuologo, esplorò scientificamente negli Anni Ottanta, parlando della capacità di provare interesse o eccitazione sessuale solo al cospetto di persone che hanno deformazioni o amputazioni agli arti oppure, come nell’abasophilia, per gli ausili quali le carrozzine, i gessi, le protesi ecc. Quindi il devotee non ha interesse  per la persona in quanto tale, si eccita solo in presenza della sedia a rotelle, delle stampelle, di un arto mancante… Se la stessa persona si presentasse senza protesi l’attrazione del devotee svanirebbe.

Spesso i devotisti hanno una vita povera di relazioni interpersonali.  Detto ciò, non va poi sottovalutato  il fatto che il DSM-V-TR,  Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, identifica questa pratica come una parafilia simile a una forma di feticismo sessuale. I casi sono in aumento e il web è il posto giusto per cercare “una preda”.

Le reazioni più comuni della persona con disabilità di fronte a questa realtà sono:

  • la persona con disabilità non sa cos’è un devotee;
  • la persona con disabilità cerca in rete un devotee che la faccia sentire apprezzata;
  • la persona con disabilità è contraria a tali atteggiamenti e li considera come “devianza psicopatologica”.

In rete, poi, la ricerca è duplice: il devotee, infatti, cerca la persona con problematiche fisiche e viceversa. Ritengo che tra adulti consenzienti ognuno sia libero di fare le proprie scelte e rispetto i differenti punti di vista, anche se personalmente mi trovo concorde con la rivista «State of Mind», che nell’articolo La parafilia “Devotee” e l’attrazione sessuale per i disabili illustra il comportamento del devotee come patologico, argomentandone le motivazioni. Cito qualche passaggio di quell’articolo: «Nei devoti, spesso è compromessa l’area sociale, lavorativa e l’intimità emotiva e sessuale nei confronti del loro partner. Questo tipo di parafilia si avvicina al feticismo, come pulsione sessuale diretta verso un oggetto inanimato. Come nel feticista, l’oggetto è indispensabile e imprescindibile per l’eccitamento e l’attività sessuale. I devoti tendono ad evitare la relazione intima col partner, e rendono erotico non uno stivale ma gli ausili di cui il disabile si serve o l’arto menomato. […] L’attrazione sessuale può risiedere nel moncherino vero e proprio, nelle protesi, oppure nell’immaginario di quanto esiste sotto di essa. Taluni si eccitano nel cogliere le difficoltà di deambulazione dovuta alla mancanza di uno o di entrambi gli arti inferiori; altri nel riscontrare durante lo svolgimento di normali azioni, la malagevolezza tipica di chi è privo di una o ambedue le braccia. Altri ancora focalizzano l’interesse esclusivamente sulla “parte mancante” del portatore di handicap e nel tentativo d’immaginare le sue sembianze. […] Nel devotismo, le persone chiedono di poter toccare le gambe, di guardare mentre la persona mangia, chiedono di poter pettinare i capelli o poterla accompagnare in bagno, trattano la persona come un oggetto».

Non vorrei che l’aumentare del parlare sui principali mass media, di disabilità e le tante tematiche correlate, spingesse persone con poca sensibilità o con problemi comportamentali ad usare l’interazione del web per cercare di soddisfare le proprie curiosità e i propri istinti.

Talvolta capita che le persone non sappiano fino a che punto e in quali modi possano fare domande sulla disabilità. Spesso pongono quesiti senza far capire alla persona con  disabilità se è morbosa curiosità o poco tatto nel richiedere delle spiegazioni. In presenza di atteggiamenti fastidiosi, è bene saper rispondere e bloccare, per evitare un inutile crescendo di frasi poco piacevoli.

Sulle tematiche argomentate finora, penso che la famiglia e il contesto sociale incidano notevolmente sull’autostima delle persone; se l’autostima è discreta, io persona con disabilità, non andrò a cercare chi mi tratta come un oggetto. Altresì la scarsa autostima e l’insoddisfazione di una persona “normodotata” la possono spingere ad avere desideri sessuali “fuori dalla norma”.

Vanno anche analizzate le motivazioni che portano ad usare i sempre più numerosi siti d’incontri. I bisogni che spingono le persone a usufruire di tali spazzi virtuali sono diverse per gli uomini e per donne. I primi  nella maggior parte dei casi, l’utilizzo della chat può essere la causa di una difficoltà di approccio sessuale. L’uomo spesso ha paura di un rifiuto sentimentale e sessuale, quindi nelle chat riesce a superare questo ostacolo. Altresì la donna cerca l’amore, una persona capace di ascoltarla e rassicurarla.

Nella molteplicità di profili è sempre più raro che si mettano in evidenza i sentimenti positivi e i pregi. Tutto sembra dover essere veloce ciò può significare che l’attesa, l’amore, il romanticismo vengano spesso dimenticati.  L’amore al tempo delle chat è sempre più fugace.. I siti d’incontri promettono di aiutarci a trovare l’anima gemella,  talvolta ci riescono, ma nella maggior parte dei casi si tratta di un fuoco di paglia: avventure più che occasionali, che si consumano nel giro di una notte o poco più. In passato era più semplice trovare in chat chi era pronto ad una relazione o un’amicizia che andavano oltre il virtuale.

Articolo uscito su Superando

Leggi anche:

Storia di un devotee: tra il proprio “demone” ed il rispetto

Quarantena: la buona occasione per sviluppare empatia verso le persone con disabilità

Lezione al master in neuropsicologia dell’età evolutiva presso l’Università Lumsa

Zoe a Radio Freccia Azzurra

 

Continua a Leggere

Quarantena: la buona occasione per sviluppare empatia verso le persone con disabilità

«Adesso è indispensabile che si rafforzi immediatamente l’assistenza domiciliare alle famiglie con disabilità. Poi, quando finalmente ne usciremo, sarebbe auspicabile che tutti fossero diventati migliori, con una maggiore immedesimazione nei confronti delle categorie più deboli, rivedendo con occhi diversi le esigenze e i diritti delle persone con disabilità e in generale di chi ha costantemente la necessità di essere aiutato, curato e sostenuto»

La tragica pandemia che ha colpito gran parte del mondo e l’Italia, sta facendo emergere anche la resilienza e l’inventiva di una moltitudine di persone che rimangono a casa. Il Coronavirus non sta facendo distinzioni.
È tragico apprendere il numero di decessi giornalieri. Spero che gli sforzi sovraumani di tanti medici dia presto un risultato positivo. I ricercatori italiani sono famosi in tutto il mondo, adesso più che mai abbiamo bisogno del loro impegno per arrestare l’infinito numero di contagi e decessi, ci vuole lo sforzo di tutta la comunità per aiutarli e sostenerli.
Forse questo potrebbe essere il momento più adatto per comprendere meglio la condizione di molti cittadini con disabilità e sfatare luoghi comuni ed errate convinzioni. Ogni persona (normodotata e disabile) sta vivendo questo periodo in modo più o meno coinvolgente.
Viverlo da casa è già una fortuna rispetto a chi combatte nelle sale della terapia intensiva che sembrano non bastare mai.
Nell’ambito della disabilità le situazioni sono differenti: c’è chi necessita di aiuto e cure infermieristiche h24, ed è tragico apprendere che queste cure scarseggino ora più che mai, e chi ha problemi più lievi. Anche in presenza di un handicap motorio non grave, spesso ci si ritrova costretti a casa perché varie condizioni lo impongono, e allora si deve trovare la forza e la creatività da soli per riempire le lunghe giornate, mentre gli altri continuano a correre e non hanno tempo per chi è più lento. Adesso tutti o quasi sono chiamati a rallentare, fermarsi, riflettere, attivare il proprio mondo interiore, può essere l’occasione giusta per immedesimarsi e comprendere molteplici situazioni.
Sui social-network e i mass media si cerca di infondere coraggio reciprocamente anche se è ogni giorno più dura, si cerca di intrattenere e intrattenersi, mettendo in campo la propria creatività.

Adesso che forse solo la tecnologia ci tiene in contatto è il momento giusto per riflettere su l’uso consapevole della rete. Ora più che mai ci sentiamo vicini grazie ad internet.  Molti seguono lezioni scolastiche ed universitarie a distanza, ci intratteniamo con con musei visitabili online, con musica, radio, teatro, corsi di ogni tipo.
Molti accusano questa reclusione dovuta al divieto di uscire. Come già accennato, ma è bene sottolinearlo, numerose persone con disabilità vivono la maggior parte del loro tempo costrette a casa senza il pensiero, l’empatia e l’aiuto che si sta muovendo in questo particolare periodo a vari livelli. Ultimamente mi stanno contattando tanti amici e conoscenti per chiedermi come sto vivendo questa quarantena, o per cercare un po’ di compagnia e conforto. Colgo l’occasione per ringraziare ulteriormente chi si è preoccupato e resto vicina a chi si sente solo.
I social-network e il web sono la mia estensione. Grazie all’uso del computer ho scritto il romanzo “Nata Viva” e ho aperto il portale Piccologenio.it, che è una finestra dedicata al mondo della disabilità attraverso la quale riesco ad aiutare insegnanti, disabili e le loro famiglie che mi contattano per chiedermi un consiglio su problematiche che spaziano dalla riabilitazione alla scuola, dai rapporti familiari agli ausili informatici, all’editoria. Ho però preso atto del fatto che le domande più frequenti, e talvolta insistenti, riguardano il tabù e il desiderio più pressante per molti, ovvero come vivere l’amore,  l’erotismo e l’autoerotismo in una condizione di disabilità.
Non sarà di certo la quarantena a spegnere questi desideri, anzi potrebbe capitare che l’isolamento forzato li esasperi ulteriormente. In questo particolare periodo, io e tanti altri stiamo vivendo relazioni fatte di lettere, messaggi, telefonate e video chiamate. Per il bene di tutti è giusto attenersi ai decreti, anche se questi ci fanno stare a distanza o isolati. Adesso è il momento di inventare nuovi modi per stare in contatto, intensificare la cultura, lo studio a distanza e gli aiuti per le categorie deboli. Tutto ciò si sta facendo, ma sono convinta che si possa fare maggiormente, per questo periodo ed in parte per il futuro.

Tornando al tema dell’amore ai tempi del Coronavirus, mi ha molto colpito la foto di Fabrizia e Giovanni, due giovani fidanzati divisi dalla zona arancione che si incontrano al check point lungo la strada che da Ospedaletto Lodigiano porta a Casalpusterlengo. I loro “appuntamenti” rispettano il metro di distanza, sotto gli occhi vigili dei carabinieri. I due giovano aspettano il momento nel quale si abbracceranno nuovamente. Prendiamo esempio da chi, in vari modi, si sta impegnando per fare la sua parte anche se ciò comporta dei piccoli o grandi sacrifici.

Quanto a me e, a molte altre persone con disabilità, è molto probabile che nelle nostre vite abbiamo avuto più occasioni, paragonate ai “normodotati”, di passare lunghi periodi a casa per problemi di salute o, forse ancor peggio, per fattori esterni che ci hanno impedito di uscire, come la presenza di barriere architettoniche o l’assenza di un’assistenza sulla quale poter contare.

Rispetto al periodo che stiamo vivendo ci sono notevoli differenze. In primo luogo, il fatto che l’isolamento riguardi tutti, senza distinzioni, (o quasi, purtroppo ci sono ancora gli anarchici e gli spavaldi runner improvvisati) sembra rendere tale condizione più sopportabile. Sarebbe auspicabile che le restrizioni e questo “esperimento sociale” ci rendano migliori, per avere  una maggiore immedesimazione della società dei confronti delle categorie più deboli e che, una volta riconquistata la libertà di uscire, ognuno inviti per una passeggiata o una cena fuori anche il proprio amico con disabilità. D’altro canto, in presenza di un handicap più grave e complesso, è indispensabile che immediatamente si rafforzi l’assistenza domiciliare per non far sentire sole e abbandonate le famiglie.
Questa è la mia prima quarantena “creativa e solidale”: a casa siamo in tre, mi diletto tra creatività culinaria, social-network, videochiamate, ginnastica in balcone e l’immancabile scrittura. Spero che impareremo da questo periodo portandoci dietro le cose positive che ci stanno unendo tutti.

Quando finalmente ne usciremo  spero che saremo migliori, allora sì che ci abbracceremo tutti e mi auspico che rivedremo con occhi diversi le esigenze e i diritti di chi va costantemente aiutato, curato e sostenuto.

Video messaggio #RestateACasa:

Nota biografica:

Sono Zoe Rondini, autrice del romanzo autobiografico “Nata viva” dal quale è stato tratto l’omonimo cortometraggio ed anche autrice, pedagogista e blogger.
Grazie a Nata Viva, al portale Piccologenio, alle lezioni presso l’Università Lumsa di Roma, a gli interventi nelle scuole, mi impegno nella diffusione della conoscenza del mondo della disabilità e nella promozione dei diritti dei disabili.
Tutte le mie attività hanno in comune la voglia di essere utile agli altri e il desiderio di partecipare ad un cambiamento culturale che tenga conto delle diversità, delle peculiarità e dei diritti di ogni individuo. Il messaggio delle mie narrazioni è che anche con un handicap si può condurre una vita normale, piena di sfide e di soddisfazioni.

Articolo pubblicato anche su Superando, Ubiminor e DisabiliDoc

Leggi anche:

Lezione al master in neuropsicologia dell’età evolutiva presso l’Università Lumsa

Zoe a Radio Freccia Azzurra

Intervista ad Antonio Giuseppe Malafarina

Continua a Leggere

Donne contro le “discriminazioni multiple”, un dibattito urgente

Il 22 maggio 2019, presso la Sala Conferenze Palazzo Theodoli Bianchelli, in piazza Colonna a Roma, si è tenuta la conferenza: “Donne con disabilità. La doppia discriminazione”.
A discutere delle discriminazioni multiple sono state le deputate del Partito Democratico Lisa Noja e Maria Elena Boschi insieme ad esponenti del mondo dell’associazionismo, della ricerca e dell’università molto attivi nel combattere le varie barriere e discriminazioni che una persona con disabilità può incontrare.
Dichiara la Noja: “quello di oggi è un tema di cui si discute ancora troppo poco nel nostro paese, nonostante migliaia di donne e ragazze con disabilità, vivano varie forme di discriminazione in ogni aspetto della loro vita. Nel mondo del lavoro si registra un tasso di inoccupazione delle donne con disabilità del 45% contro il 35% degli uomini. Anche nell’accesso al diritto alla salute si riscontra una discriminazione: i tassi di tumore al seno sono infatti molto più elevati tra le donne con disabilità a causa della mancanza di apparecchiature di screening e diagnosi adeguate. Infine, nella vita intima, dove le donne con disabilità hanno una probabilità di subire violenza da 2 a 5 volte superiore rispetto alle altre donne”.
Di fronte ad un fenomeno che colpisce le donne di varie culture nel nostro paese e non solo, non si possono rimandare i dibattiti e le prese in carico.
“La cosa più urgente- spiega ancora l’Onorevole Noja- è portare in Parlamento il dibattito su questo tema. Credo che su questo si possa trovare una trasversalità- aggiunge- e ciò sia fondamentale perché sarebbe un messaggio a tutte le ragazzine e le donne con disabilità che si sentono spesso negate anche nello stesso diritto alla loro femminilità: troppo spesso le donne con disabilità sono sminuite, come se non fossero attraenti. Molte volte ciò le fa essere più vulnerabili. Anche la non indipendenza economica, la poca istruzione, le difficoltà a muoversi e quindi a scappare, le rendono soggetti più a rischio”.
Nel corso dell’evento si è parlato anche di discriminazione “non diretta” ma che colpisce la persona con disabilità penalizzando chi se ne prende cura. Le donne che accudiscono un famigliare disabile corrono il rischio di essere discriminate: al lavoro spesso non vengono sostenute e in molti casi rimangono sole, poiché i componenti maschili del nucleo familiare si allontanano.
I dati ci mostrano l’entità delle discriminazioni multiple. Secondo un questionario online proposto dalla Fish-Federazione italiana per il Superamento dell’Handicap e Differenza Donna, è emerso che 153 delle 476 donne con disabilità tra i 16 e gli 81 anni del campione ha subito violenza, per una percentuale pari al 32%. “Se poi si considerano le risposte affermative che le donne hanno dato alle singole e specifiche forme di violenza (fisica, psicologica, molestie sessuali, isolamento, appropriazione di denaro, ndr) – precisa Silvia Cutrera, vicepresidente di Fish – hanno risposto in maniera affermativa 314 donne, il 66%, cioè il doppio”.
Ad arricchire il confronto è intervenuta Rosalba Taddeini, psicologa dell’associazione Differenza Donna che nel suo intervento ha riportato la storia di una donna ipovedente vittima dall’età di 8 anni degli abusi paterni, da cui sono nati tre figli, poi allontanati. La donna ha vissuto per anni segregata dalla famiglia. “Questo è il caso di una discriminazione che non è doppia, ma multipla, dove la donna ha scontato il suo essere persona con disabilità, nata al Sud, in un contesto familiare con grosse difficoltà socio-economiche. Per aiutare queste vittime nasce l’Osservatorio sulla violenza contro le donne con disabilità, che è uno strumento di monitoraggio, rilevazione e ricerca sul fenomeno, a partire dai dati su quelle accolte e ospitate da centri antiviolenza e case rifugio dell’associazione (98 dalla metà del 2014 ad oggi).”L’unico modo per aiutare queste donne, vittime di abusi, è quello di offrire loro dei luoghi sicuri, lontani dai loro aguzzini, dove viene dato loro un rifugio e vengono ascoltate e sostenute.
A livello europeo le donne che subiscono violenza e sono anche disabili sono cinque volte più numerose delle donne che non hanno nessun fattore di vulnerabilità aggiuntivo. Sul tema si riscontra maggiore attenzione rispetto all’Italia: lo scorso 29 novembre infatti il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione sulla situazione delle donne con disabilità, ma molto si può ancora fare per garantire più uguaglianza. In tal senso la politica, le associazioni, la cultura e la ricerca universitaria sono i maggior promotori di un importante cambiamento sociale e culturale.
A conclusione dell’incontro le deputate promotrici dell’evento hanno annunciato che sarà presentata in tempi brevi, molto probabilmente prima dell’estate, una mozione promossa sulla doppia discriminazione subita dalle donne con disabilità, al fine di orientare la discussione parlamentare su questa tematica ed impegnare il Governo ad intervenire.

Leggi anche:

Convegno Erickson “Sono adulto! Disabilità diritto alla scelta e progetto di vita”

Nata viva torna tra i banchi: il racconto del progetto “Disabilità e narrazione di sé”

“Nata viva, ma con 5 minuti di ritardo” la vita dopo un’asfissia neonatale

Ascolta anche:

Zoe a Radio Freccia Azzurra

 

Continua a Leggere

Zoe a “Codice – La vita è digitale”, su Rai Uno

Il 26 luglio 2018, ho partecipato al programma “Codice – La vita è digitale“, condotto da Barbara Carfagna, andato in onda su Rai Uno alle 23.30.

Un grazie particolare a Lucia Pappalardo e al team Rai.

Dal minuto 54 in poi c’è il nostro servizio!

CODICE – LA VITA E' DIGITALE 27/07/2018

Ringrazio per il gentile prestito RaiPlay: "https://www.raiplay.it/video/2018/07/Codice-La-vita-e-digitale-Superuomini-o-postumani-9dddbdec-b750-449b-addd-3e3d08285bad.html" Da UFFICIO STAMPA RAIRai1: CODICE – LA VITA E' DIGITALESei puntate il giovedì in seconda serata dal 26 luglio, conduce Barbara Carfagna26/07/2018 – 23:30Internet è una rivoluzione che non ha uguali nella storia dell’umanità. Il digitale sta modificando l’uomo e la società in modo imprevisto. Sicurezza, salute, economia: proprio di questo si parlerà nella seconda edizione del programma di Rai1 "Codice", condotto da Barbara Carfagna in onda ogni giovedì dal 26 luglio alle 23.30. Insieme ad accademici, ricercatori, scienziati, startupper, visionari, storici, frati, hacker, nerd, e geek mostreranno quali sono i cambiamenti già in atto nella nostra vita, e quelli a cui stiamo per assistere. Nella nuova Era che abbiamo l’opportunità di vivere dobbiamo fare i conti con cambiamenti straordinari, che investono le nostre esistenze: sono già disponibili tecniche che permettono di “hackerare” il nostro DNA, e nuovi sistemi diagnostici permettono di individuare le malattie ancor prima che si manifestino. Ma non solo: molti scienziati e “futuristi” assicurano che entro pochi anni si raggiungerà il cosiddetto “punto di singolarità”, cioè il momento in cui l’intelligenza artificiale sarà pari, o paragonabile, a quella degli umani. Quale sarà il destino dell’uomo? #Codice si potrà rivedere su Raiplay.it, e sul canale Rai Youtube sarà inoltre possibile approfondire i contenuti online e le interviste fatte agli esperti internazionali direttamente in inglese.

Gepostet von World's Line am Freitag, 27. Juli 2018

 

Guarda anche:

Nata viva su Cubik TV

Leggi anche: 

Nata viva sul Venerdì di Repubblica 

Zoe a Radio Freccia Azzurra

Lezione per il master della Lumsa

Continua a Leggere

Un bagno di libertà: l’accoglienza è uguale per tutti?

Da più di dieci anni passo volentieri un periodo delle vacanze estive in un paese della Toscana da una mia parente, Ali.

Da sempre ritengo questa regione un esempio di ospitalità e accoglienza per tutti, anche per me. Nel paese dove mi reco mi conoscono un po’ tutti. I miei amici; si sono accorti dell’accoglienza e dell’ospitalità nei miei confronti di tutto il paese.

Nelle giornate più calde le ho trascorse sempre  in piscina, passavo le giornate tra decine di vasche e collegarmi ad internet con il mio portatile. Mi piace starci da sola, parlare con i turisti, i dipendenti, i proprietari. Amo nuotare, è il mio sport ideale: in assenza di peso mi muovo in modo fluido, inoltre ho fatto tanti corsi per imparare e perfezionare i diversi stili. Piccole cose che mi fanno sentire autonoma e accettata. Fino qui nulla di strano direte voi: un bell’esempio d’integrazione.

Purtroppo tutto di un tratto sono cambiate le cose: un giorno come tanti ero a tavola al bar della piscina, c’era un cameriere nuovo, chiedo il solito piatto di pomodori, ma intuisco che il nuovo personale non è abituato alla mia presenza, mi servono lentamente. Mentre mangio senza chiedere aiuto, al tavolo accanto a me, uno dei titolari, che ha un’età avanzata dice come se io non capissi: “non può stare abbandonata qui tutto il giorno”. Attonita e un po’ timida ho fatto finta di nulla.

Quando una persona è venuta a riprendermi, un altro titolare più giovane ha detto: “non la potete lasciare da noi sola tutto il giorno, lo dica a chi la ospita”. Infuriata ho provato a difendermi ma pioveva, c’era rumore attorno, lui non mi ascoltava… sono salita in macchina per tonare a casa di chi è quasi una nonna per me.

Chi era incaricata di riferire lo ha fatto.

La sera, molto arrabbiata ed incredula, ho convenuto con Ali che il giorno dopo sarei andata a parlare con il titolare, lei mi ha accompagnata, ma ho spiegato io le mie ragioni all’uomo che invece non era stato diretto con me:

Sono sempre stata in piscina da sola, lei mi conosce da anni, era gentile come i vecchi baristi, mi custodiva il computer, ora che succede?” Dissi.

Sono cambiate le regole, non puoi stare qui da sola. Se cadi i turisti si impressionano”.

Se cado mi rialzo da sola, come faccio dall’età di cinque anni –ho spiegato – non sono cambiate le regole ma il suo personale, il bagnino non mi vuole dare un braccio dalla piscina al bar e il barista si scoccia a tagliare, in caso, due pomodori”.

“Non paghi il lettino ma non puoi stare qui da sola, questo è quanto”.

“Preferisco pagare come tutti ed essere trattata come gli altri anni”.

“Non si può! Devi essere accompagnata da qualcuno.” Disse lui stizzito senza fornire spiegazioni alcune, prima di tornare velocemente al bar.

Io e altre persone abbiamo cercato il “regolamento cambiato” citato dal proprietario ma  non vi è traccia… immagino una regola scritta: “in questa struttura accettiamo persone con disabilità, ma solo se con accompagnatore.” Ottima pubblicità per attirare più clientela, che negli anni si è già drasticamente ridotta!

L’unica cosa da fare a quel punto era o rimanere a casa nel piccolo paese, o andare in piscina con Ali, che ha ottantaquattro anni.

Evviva l’integrazione e pari diritti per tutti. Sono maggiorenne, ho la patente di guida, per mia fortuna scrivo, racconto, ho una laurea di cinque anni, eppure in tanti dalla scuola in poi mi hanno creato ulteriori ostacoli. Come sarebbe andata la vicenda se al mio posto ci fosse stata una persona non perfettamente in grado di capire, di difendersi o di chiedere aiuto? Forse è proprio questo che ha sempre messo gli altri in difficoltà nel rapportarsi con me, il fatto che riesco a argomentare, pensare e scrivere.

Un tempo i disabili vivevano a casa e frequentavano classi speciali, ma oggi l’integrazione e il riconoscere le capacità, i limiti (i miei non li ho mai negati o nascosti…), le peculiarità, i talenti e la diversità di ognuno è un fatto reale e per tutti o bisogna sperare di avere un po’ di fortuna?

E pensare che  la Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità si esprime chiaramente  in merito alle discriminazioni illustrandole con  queste parole: “Discriminazione sulla base della disabilità indica qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Essa include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole. La Convenzione riporta anche il concetto di accomodamento ragionevole spiegandolo: “L’Accomodamento ragionevole è il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa”. Bei principi che non sempre sono conosciuti e rispettati.  Mi viene in mente una frase di Emanuela Breda che mi sembra adatta al caso: “Ogni essere umano è unico: rispettarne la diversità equivale a difendere la propria e l’altrui libertà.”

L’intento di questo articolo non è quello di “denunciare”, ma tentare di tutelare la libertà e l’autonomia di molti, cercando, nel mio piccolo, di contribuire al diffondersi di una cultura che tenga conto delle specifiche diversità degli individui, non trattandole come problematiche bensì inglobandole nella quotidianità.

Spero che quello che è successo a me non capiti ad altri e che l’accoglienza, la quiete, le tante eccellenze di tutta la Toscana rimangano tali per tutti, senza inutili distinzioni.

Leggi anche:

Nata viva torna tra i banchi: il racconto del progetto “Disabilità e narrazione di sé”

L’occasione favorevole per lavorare con orgoglio

Zoe a Radio Freccia Azzurra

Nata viva sul Venerdì di Repubblica 

Continua a Leggere

Sessualità, adolescenza e disabilità. Un convegno oltre ogni pregiudizio

“Come c’è un’arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è pure un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile.” L’osservazione di Primo Levi, mi sembra molto pertinente con l’esperienza, anzi le esperienze, che vi sto per documentare.

Il 7 novembre 2017, Lucia Pappalardo, regista del mini film Nata viva ed io, siamo state relatrici al convegno: Adolescenza, tra affettività e sessualità, oltre ogni pregiudizio, promosso dalla Commissione Pari Opportunità della Regione Marche, presso la Sala Consigliare del Comune di Ancona. Questa opportunità è stata resa possibile grazie alla volontà e la tenacia della Presidente della Commissione della Pari Opportunità della Regione Marche, Meri Marziali, che ha promosso l’iniziativa e ha voluto fortemente la nostra presenza nonostante i danni ed i problemi causati dal terremoto.

La mattinata, ha visto coinvolte esponenti dell’Unione Italiana dei Ciechi di Ancona e le dottoresse del consultorio.

Ad ascoltare con partecipazione erano i ragazzi di medie e licei di vari istituti del capoluogo marchigiano.

La dottoressa Giorgia Giacani, la collega Katia Caravello psicologhe e psicosessuologhe e la ginecologa Valeria Bezzeccheri, hanno spiegato ai ragazzi, con semplicità e senza falsi pudori, l’importanza dei metodi anticoncezionali e la prevenzione delle malattie veneree. Le relatrici hanno altresì invitato i ragazzi a fare domande senza avere timori e vergogna su argomenti quali l’amore, i sentimenti e la sessualità. È stato anche messo in luce l’aspetto ludico del rapporto sessuale, ricordandone la bellezza e l’importanza per tutti. Le relatrici hanno poi spiegato ai ragazzi cos’è un orgasmo, descrivendolo come un momento fondamentale dell’atto sessuale.

La Giacani ha aperto il suo intervento condividendo con i ragazzi una riflessione sulla paura nel rapporto con l’altro, ricordando che “il momento giusto è quando ti passa la vergogna”. La giovane psicosessuologa ha poi sottolineato che “la sessualità fa parte di noi, dalle nostre origini, e quindi ci appartiene; ma appartiene anche all’Altro, perché il sesso è relazione. Il sesso per gli adolescenti è anche scoperta. E la scoperta implica curiosità e paura.

Forti e coinvolgenti le testimonianze delle relatrici non vedenti e ipovedenti che hanno raccontato il loro vissuto con un handicap visivo e la loro realizzazione grazie agli studi universitari, al lavoro, ai fidanzati e mariti. Hanno narrato le loro esperienze sentimentali, la fase adolescenziale, le limitazioni e le differenze con i coetanei. Katia Caravello ha condiviso con i ragazzi una parte del suo vissuto: “nel non vedere non si ha accesso ad una serie di informazioni sul contesto, sulle mode del momento, su un ragazzo che ti guarda in modo interessato… è importante che gli amici, i genitori, la scuola non neghino tali informazioni e in quest’ottica è fondamentale il lavoro che l’Unione Italiana dei Ciechi svolge per sensibilizzare famigliari, ragazzi e docenti.”

Nella seconda parte del convegno è stato proiettato il cortometraggio Nata viva, il proseguimento dell’omonimo romanzo autobiografico.

Lucia, regista del mini film, ha raccontato la nostra volontà di mettere in scena alcuni brani del libro quali la fisioterapia, ma anche narrare i problemi e le conquiste della Zoe adulta, ad esempio la vicenda della patente, l’autonomia, il rapporto con l’altro sesso e l’amore.

Al termine della proiezione, gli alunni mi hanno fatto complimenti e molte domande. Con la semplicità che caratterizza gli adolescenti, hanno voluto sapere se soffro per le barriere create dagli altri. La mia risposta è stata sincera: “oggi no, perché ho degli amici e conoscenti che mi apprezzano. Alla vostra età ho sofferto per l’emarginazione ed i pregiudizi dei compagni di classe, cosa che si sarebbe potuta evitare con semplici domande sul mio handicap e su come poter fare insieme a me cose divertenti e da adolescenti: uscire in gruppo, prendere l’autobus, andare in discoteca o a mangiare un gelato.”

Mi è stato poi chiesto se ho sofferto quando non mi volevano rinnovare la patente, ho risposto: “sì, ma ho lottato: ho guidato per più di dieci anni senza problemi e non potevo accettare un’ingiusta negazione”.

Un’altra domanda interessante ed inaspettata è stata: “perché non ti rechi nelle varie scuole per raccontare la tua storia?”, ho spiegato che sto girando istituti ed università di Roma, la mia città e la sua provincia, ma a ripensarci perché escludere un’esperienza simile ad Ancona?

Infine gli alunni si sono anche complimentati e una ragazza mi ha abbracciata con sincerità in quanto ai loro occhi ho superato l’adolescenza, età critica per loro e per la maggior parte degli individui. Con qualche ostacolo in più, ma sono comunque riuscita ad ottenere diversi risultati importanti.

Oggi nel mio girare scuole e ambienti istituzionali trovo molta attenzione per le persone con delle caratteristiche diverse dalla normalità ed anche per l’infanzia e gli adolescenti.

Spero che l’oggetto del convegno, e quindi la lotta ai vari pregiudizi, siano portati ancora avanti nelle scuole, nelle famiglie e nelle sedi istituzionali, con altre importanti iniziative anche in futuro. La volontà di continuare su questa scia è presente e tangibile. In quest’ottica è importante continuare a creare momenti di confronto e scambio, a vari livelli, tra istituzioni e persone che hanno una differenza o uno svantaggio. Si parla ancora troppo poco, e solo in sporadici contesti, delle numerose e differenti disabilità, ma anche di amore, sessualità e pregiudizi, quasi siano temi da non approfondire o capire, tutto ciò alimenta tabù ed incomprensioni.

Ripensando alle tante informazioni della conferenza, al silenzio dei ragazzi nell’ascoltare le relatrici e alla loro voglia di capire e sapere, mi torna in mente un’affermazione di Winston Churchill: “il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare; il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi ed ascoltare.”

Del convegno si è parlato anche al telegiornale regionale delle Marche:

Questo video di Facebook non è visibile fino all'accettazione dei cookie di "funzionalità aggiuntive". Se vuoi vederlo cambia il tuo consenso e poi ricarica la pagina.

 

Leggi anche:

“Nata viva, ma con 5 minuti di ritardo” la vita dopo un’asfissia neonatale

Zoe a Radio Freccia Azzurra

Nata viva torna tra i banchi: il racconto del progetto “Disabilità e narrazione di sé

Amore e sessualità, un’occasione per un cambiamento sociale e culturale

Premio Anello debole, vince forza di Zoe

Consapevolezza della diversità come maturità conquistata

Ascolta:

Zoe Rondini su Slash Radio a parlare di Nata viva

Continua a Leggere

Zoe Rondini è Nata Viva

Fonte: Link all’articolo su Il Blog di Rosario Frasca

Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale agli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio. (Zoe Rondini – Nata Viva)

Il libro

Dopo aver letto Nata Viva di Zoe Rondini, ho chiuso il libro con una domanda che mi roteava nella testa anche nelle situazioni più improbabili: cosa ha voluto dire Zoe raccontandosi? Ero convinto che, se riuscivo a rispondere a questa domanda, forse avrei trovato il bandolo della matassa: il tema di fondo dell’opera. Ero altrettanto convinto che rispondere non sarebbe stato facile, perché la mia conoscenza di Zoe si fermava ad alcuni eventi pianificati e a pochi, occasionali e amichevoli incontri con lei, con la famiglia e il suo entourage; ciò non sarebbe stato sufficiente per conoscere la vera Zoe e non mi avrebbe consentito di rispondere all’intrigante domanda: “Cosa ha voluto dire Zoe scrivendo questa sua opera prima?

La prova e la rappresentazione teatrale de La cantastorie Zoe

La domanda mi ha accompagnato per un po’ di tempo fino a quando un giorno qualcuno mi disse che con Zoe stavano lavorando su una presentazione teatrale di Nata Viva e che avrebbero avuto piacere di fare l’anteprima o la prova generale a casa nostra, con la presenza dei famigliari e di qualche amico. Mia moglie ed io, forse per motivi diversi, abbiamo accolto con entusiasmo la richiesta. L’evento è stato pianificato e organizzato con infantile trepidazione, (come fosse la vigilia di Natale), e si è svolto come previsto in un clima di serena empatia.

(1) La cantastorie Zoe al Rifugio del Menestrello

Dopo questa presentazione casalinga, la mia conoscenza di Zoe era aumentata e ho iniziato ad abbozzare qualche approfondimento e riflessione su quanto raccontato nel romanzo di formazione dal titolo così pregno di significati, (ex utero vivus editus). Gli approfondimenti e le riflessioni però, non andavano più in là di una rilettura fredda e distaccata di quanto raccontato e rappresentato nell’anteprima teatrale; non riuscivo a convincermi né a calarmi nelle situazioni raccontate; tutto mi rimaneva estraneo… fino al giorno in cui ho assistito allo spettacolo La cantastorie Zoe in un teatrino del quartiere San Lorenzo a Roma.

Dopo aver assistito a questa rappresentazione pubblica, in un caldo e accogliente teatrino di Roma (Abarico), la mia conoscenza di Zoe aumentò ulteriormente; l’osservazione di una platea a me estranea ovvero non domestica e familiare come quella dell’anteprima casalinga, aveva aggiunto spunti di riflessione ulteriori sulla vita e le avventure di Zoe la cantastorie

Zoe e gli altri

Seppur aumentata, la conoscenza di Zoe non era ancora sufficiente a inquadrare la sua opera nel panorama letterario. Tanti sono gli autori: nuovi e vecchi, classici ed emergenti, occasionali e sporadici. Giornalisti che scrivono libri, scrittori che scrivono articoli; scienziati che giocano a fare i filosofi, filosofi che scherzano a fare gli scienziati; chi scrive di qua, chi legge di là; chi fa da sponda a quel partito; chi invece la fa ai preti; chi fa il politico, chi il religioso. Chi scrive sul web, chi sui lenzuoli, chi sulla sabbia, chi sugli alberi, sui muri, sui marciapiedi; un panorama caotico pieno d’arte e d’artisti, di lettere e letterati, ecc. Un caos letterario in cui è difficile, se non impossibile inquadrare una nuova voce, pura e sincera come quella di Zoe con il suo romanzo di esordio; un’opera che, nella sua cerchia di amici esperti, più di qualcuno concorda nel definirlo romanzo formazione.

Tutto e tutti trovano il loro spazio, il loro angolino esistenziale in cui riconoscersi e specchiarsi – come Vitangelo Moscarda di Uno nessuno e centomila di Pirandello – per trovarsi diversi da quella figura estranea riflessa nello specchio, con il naso pendente da una parte. Sì, con questo romanzo Zoe Rondini si è vista riflessa sullo specchio, ha guardato la sua immagine e si è trovata all’improvviso diversa da se stessa e da tutti gli altri.

Gli altri, già gli altri; quelli che sono tutti contro me che sono sola; quelli che camminano e non gattonano; quelli che corrono e giocano tra loro e mi lasciano sola a guardarli; quelli che fingono vicinanza e amicizia ma al momento del bisogno si eclissano nel confuso via vai di una stazione, di un supermercato, di una discoteca, di una città. Gli altri, quelli che Dio dice di amare ma che non fanno nulla per farsi amare. Gli altri, quelli che mi escludono, mi emarginano, mi eclissano, mi dimenticano; quelli che mi considerano un peso sociale; quelli che fanno finta che non ci sono. Gli altri, quelli che qualcuno ha definito ipocriti.

Il Gruppo di lettura

La conoscenza di Zoe aumenta ancora in una successiva occasione, un network sociale: il forum di Letteratour e il gruppo di lettura che ha condiviso per qualche tempo osservazioni e riflessioni sulla lettura di Nata Viva. In tale occasione abbiamo potuto scandagliare i diversi ambiti di riflessione che la lettura attenta del romanzo stimolava; e abbiamo avuto modo anche di fruire di una dichiarazione autografa di Zoe sulla sua vocazione letteraria. Discussione Gruppo di lettura di Letteratour.

Nella discussione, sono venuti fuori argomenti che nella lettura solitaria non riuscivo a focalizzare; è venuta fuori la diversità, la letterarietà, l’essere e il non essere, l’essere e l’apparire, la rabbia, il risentimento, l’invidia, l’amore, la famiglia (e i suoi personaggi in cerca d’autore), la verità, la libertà, l’amore. Una rilettura e una discussione che mi ha consentito di conoscere Zoe molto più a fondo di come l’avrei potuta conoscere nella vita reale.

Zoe, il testo e la verità

Un altro incremento della conoscenza di Zoe l’ho potuto acquisire con l’approccio girardiano che consente al lettore una ricerca della verità che fa leva sul desiderio mimetico. In questa prospettiva mimetica ho usufruito di una lettura sussidiaria che mi ha aiutato nell’analizzare gli aspetti veritativi del romanzo; un approfondimento filosofico sul realismo ermeneutico di Renè Girard: La verità nel testo di Marco Porta. René, il testo e la verità

La nuova edizione

Ma le sorprese non sono finite: poco dopo aver chiuso la discussione del gruppo di lettura, la casa editrice Dante Alighieri ha curato una nuova edizione del romanzo Nata Viva, arricchita da una preziosa prefazione e di un nuovo racconto sulla figura del nonno. Una seconda edizione con integrazioni importanti che consentono un miglioramento editoriale all’opera prima di Zoe e la collocano in un panorama letterario più definito.

In onore di questa importante seconda edizione della Società Editrice Dante Alighieri, mi sono premurato di rileggere qualche passo della Divina Commedia e ho trovato una terzina che compendia pienamente il mio pensiero su Nata Viva:

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
(Paradiso, Canto XXXIII, 7-9)

L’amor che move il sole e l’altre stelle

L’amore appunto è il fondamentale alimento che completa la conoscenza umana; il filo mancante che mi ha fatto trovare il bandolo della matassa per la conoscenza di Zoe e della sua famiglia. L’amore che dà senso e significato a questo romanzo di formazione, rapsodico quanto basta a farne uno strumento educativo sulle diversità umane; un significato esistenziale in senso letterario e pedagogico, così come Zoe stessa invita a considerare nelle pagine di Nata Viva. Lo stesso amore del verso con cui Dante Alighieri chiude la sua Commedia: L’amor che muove il sole e le altre stelle.

Con quest’ultimo verso paradisiaco auguro la buona lettura a chi ha voglia di conoscere come Zoe Rondini è Nata Viva nonostante tutto.

Il film-corto Nata Viva

Questo video di YouTube non è visibile fino all'accettazione dei cookie di "funzionalità aggiuntive". Se vuoi vederlo cambia il tuo consenso e poi ricarica la pagina.

La perla finale è il film corto di Lucia Pappalardo; un film che ci mostra una Zoe Rondini piena di voglia di vivere, immersa e protetta dall’abbraccio affettuoso di una famiglia sempre presente. Nata Viva di Zoe Rondini – Film di Lucia Pappalardo

NATA VIVA è la storia di Zoe Rondini una ragazza che per i primi 5 minuti della sua vita non ha respirato. Zoe ha scritto un libro che racconta la sua vita, allegra e faticosa (Società editrice Dante Alighieri). Lucia Pappalardo l’ha trasformato in un breve film grazie al supporto dell’Associazione Nazionale Filmaker r Videomaker Italiani. Fotografia ENrico Farro e Valerio Nicolosi, Suono Marco Antonelli, Trucco Ilaria Mantini e Ilaria Puppio. E poi grazie a Marco Scali, Lorenzo Pierno, Delfy Santoro, Alessandra Fantini, Intro Spezione Abbraccialberi, Daniele Napolitano. E soprattutto grazie a Guido Damev.

Leggi anche:

Nata viva torna tra i banchi: il racconto del progetto “Disabilità e narrazione di sé”

“Nata viva, ma con 5 minuti di ritardo” la vita dopo un’asfissia neonatale

Ascolta anche:

Zoe a Radio Freccia Azzurra

Lo spettacolo la Cantastorie Zoe, tatto dal romanzo Nata viva, alla radio

Zoe Rondini su Slash Radio a parlare di Nata viva

Continua a Leggere