Il giornalismo sociale è sotto pressione.

della Redattrice del sito

Seconda conferenza: il giornalismo sociale è sotto pressione.
Il giornalismo sociale 2007
Che cos’è il giornalismo sociale? Il che modo è stato influenzato da internet?
Partendo dalla storia del giornalismo sociale in Italia, il libro raccoglie le più importanti esperienze che hanno visto protagonisti in questi ultimi 30 anni l’associazionismo, il volontariato e i settori più sensibili del modo dell’informazione.
Mauro Sarti giornalista e docente di comunicazione giornalistica all’università degli studi di Bologna.
Geraldo Bombonato Presidente dell’ordine dei giornalisti dell’ Emila Romagna.
Stefano Trasatti Direttore di Redattore Sociale.

Ho partecipato alla conferenza sul giornalismo sociale che si è tenuta a Perugia durante il festival internazionale del giornalismo. Quello che sto per scrivere è un mio resoconto basato su un audiocassetta della conferenza stessa.
Come prima tematica si è parlato di come dovrebbe essere il giornalismo in generale, ed il giornalismo sociale: “tutto il giornalismo dev’essere investigativo e sociale. Il giornalista dovrebbe essere colui o colei che fa sempre una domanda in più per ricercare la verità, usando la propria curiosità e tentando di individuare le fonti delle informazioni.
I giovani –ha continuato a spiegare  il giornalista che ha parlato per primo dal palco del Teatro Pavone, un piccolo teatro di provincia, affrescato e curato nei minimi particolari-  che intraprendono questa professione devono rispettare le regole del giornalismo con la consapevolezza che bisogna  sempre aggiornarsi e tenendo presente che le regole dell’albo non bastano perché sono state fatte prima che internet diventasse il mezzo più usato e accessibile quasi a tutti, superando l’uso dei media “tradizionali“.
Nella conferenza sono emersi tanti concetti importanti che trovo giusto mettere su carta e proporli anche a chi non ha avuto il privilegio di poter partecipare al festival.
I giornalisti: Geraldo Bombonato Presidente dell’ordine dei giornalisti dell’ Emila Romagna e Mauro Sarti giornalista e docente di comunicazione giornalistica all’università degli studi di Bologna, erano concordi nel dire che Il giornalismo sociale è importante ma spesso viene ignorato dai grandi giornali di carta stampata perché c’è ancora l’idea sbagliata che le buone notizie non fanno “notizia“. -Ed ancora- la doga, il carcere, la disabilità, l’immigrazione, vengono trattati solo quando accade un fatto di cronaca nera; e talvolta questi temi vengono trattati sulla base di quella che è una scelta politica. Ad esempio in Italia siamo abituati a trattare il tema dell’immigrazione solo quando rappresenta un ostacolo, un problema per la sicurezza dei cittadini e mai pensiamo che l’extracomunitario può rappresentare un realtà multietnica e quindi scambi e arricchimenti per il paese. Uscire da questi luoghi comuni è il compito del giornalista-.
La parola ora passa a Stefano Trasatti Direttore di Redattore Sociale; il quale comincia il suo intervento spiegando chi è e cosa fa un redattore sociale: -per essere un redattore sociale non servono competenze specifiche, sicuramente serve quella formazione che serve ai giornalisti in generale, ma credo che si debba affidarsi di più anche alla sensibilità personale. Vi sono ,però, quattro regole fondamentali per essere un buon giornalista sociale:
1. non far prevalere il cinismo della cronaca sui diritti fondamentali di uomini e donne.
2.  non far prevalere il punto di vista dell’elite
3. non far prevalere le regole dell’odience sul dovere di fornire anche un servizio educativo
4. non far prevalere la pigrizia sulla curiosità
Lo stato di salute del giornalismo in Italia – aggiunge Trasatti-   siamo certi che è piuttosto malandato.
Durante la conferenza si parla del libro di Mauro Sarti e si racconta che ha riportato tra le sue pagine la frase di Capocinski (io ho scritto il nome come l’ho sentito dire, ma non sono sicura si scriva così) il quale dice che il giornalismo deve avere uno scopo, il cinico non è adatto a questo mestiere.
In questo libro si mette in luce che in Italia ,oltre alle grandi testate giornalistiche, ci sono molti modi per esprimere le proprie idee e ci sono molte persone con la voglia di raccontarle. Viene citato ancora Capocinski il quale parla di giornalismo intenzionale che deve tentare di affrontare i problemi, buttarsi dentro alle storie. –Io non penso- continua Trasatti- che si possa essere giornalisti, sociali e non, senza buttarsi dentro le storie.-
Ci sono molte persone che hanno voglia di parlare di temi come l’immigrazione,la disabilità,dipendenze,droghe e psichiatria. Vi sono sempre più giornalisti interessati a questi argomenti; di ciò se ne stanno accorgendo anche i più grandi giornali del nostro paese: la Repubblica, la Stampa, il Messaggero… I giornalisti tendono ad intrecciare le tematiche sociali ad argomenti come cronaca e politica, poiché, essendo le prime tematiche toccanti attirano l’attenzione dei politici e del pubblico collegando ad esempio guerra e psichiatria, politica e disabilità etc…
In molti casi, purtroppo, i politici usano i disagi della società come strumento di propaganda elettorale e sono spalleggiati da giornalisti pronti a strumentalizzare la notizia per mettere in cattiva luce il partito avversario. Anch’io nel mio piccolo riscontro questo atteggiamento negativo della politica italiana.
Dopo questa breve parentesi politica si continua a parlare di altre caratteristiche che un buon giornalista sociale dovrebbe avere: – è giusto che il giornalista sia informato sulle malattie, sulle dipendenze, sulle medicine.. ma è anche vero che non si deve creare un settore a parte, una figura specializzata solo su questi argomenti-.
Per spiegare meglio questo concetto mi viene in mente il film “la giusta distanza“ dove il giornalista anziano spiega al giovane agli albori  della sua carriera che per scrivere occorre partecipare al problema ,ma nello stesso tempo esserne distaccati. La condizione migliore per fare questo mestiere è quella di trovarsi e mantenere la giusta distanza.
Trasatti spiega che il redattore sociale è una vera e propria agenzia di stampa da cui attingono le notizie moltissimi siti web e alcuni dei più grandi giornali nazionali. Nel 1994 nasce il seminario per giornalisti dal titolo “redattore sociale“, da questo corso di aggiornamento che tutti gli anni accoglie migliaia di giovani giornalisti, avrà vita l’agenzia di stampa ,omonima al seminario sopracitato, che ancora oggi fa capo alla comunità di Capodarco.
Parlare di giornalismo ormai è difficile anche tra esperti del settore poiché negli ultimi anni si è verificato un calo di prestigio e di considerazione per questa professione e si spera che il giornalismo sociale sia un mezzo per rompere questo silenzio assordante.
Da sette anni l’agenzia di stampa “redattore sociale“ svolge in pieno la sua attività, prende le notizie dal mondo e le passa ai siti web e alla carta stampata. La linea editoriale che i responsabili hanno deciso di dare è quella di mettere la società al primo posto.
Un cambiamento significativo del lavoro di questa particolare agenzia è avvenuto nell’ottobre scorso quando si è unita a un notiziario di un’importante agenzia su web: l’agenzia “dire“. Questo ha consentito loro di non andare solo sui giornali e sui siti a loro affiliati, ma di andare ormai dappertutto, quasi tutti i grandi quotidiani infatti sono collegati anche a questa agenzia. Questo ha portato un enorme ripresa di notizie dalla nostra redazione. – Dice Trasatti – ad esempio, il Corriere della sera ha pubblicato due lunghi articoli con notizie prese da noi; il primo parlava delle fattorie sociali, il secondo trattava l’argomento delle banche del tempo che sono una nuova forma di volontariato, entrambi sono argomenti sfiziosi su cui il Corriere della sera ha fatto bene a fare due speciali che vanno a gratificare il lavoro dell’agenzia.
Trasatti riassume in quattro punti quali sono le peculiarità dell’agenzia “redattore sociale“ :
1. Il redattore sociale non è un “marziano“ ! Non si tratta di uno scienziato delle problematiche sociale, ma semplicemente di chi fa parte di un gruppo di giornalisti che occupandosi di fatti di cronaca,  tiene in considerazione il punto di vista dei più deboli.
2. il giornalista è un mestiere sociale che va esercitato 24 ore su 24, quindi il reporter deve essere sempre attento a captare una possibile notizia. Purtroppo molti giornalisti usano il proprio intelletto solo nelle ore di lavoro in ufficio.
3.  il redattore sociale è colui che accetta di farsi coinvolgere. C’è un modo di coinvolgersi salvaguardando la propria professionalità, prendendo esempio da molti giornalisti che sono riusciti nell’intento, primo tra tutti Capocinski.
4. il giornalista sociale non è quello che si nasconde dietro gli alibi della professione (non fa notizia, devo rispettare il volere della politica o della società in questo momento, questa notizia è minore di quest’altra ect.) E’ invece colui che si mette in discussione, accettando critiche e consigli.
 

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La prima conferenza…

della Redattrice de sito.

La prima conferenza alla quale ho assistito s’intitolava “Citizen Journalism – i media siamo noi“
Ospiti: Jan Schaffer, fondatrice e direttrice di J-lab, Etham Zuckerman coofondatore e direttore del sito Global Voices Mario de biase direttore dell’inserto settimanale  Nova24 del Sole 24 ore, Mario Adinolfi giornalista Europa e La7 specializzato nel blog (moderatore)

Questa conferenza si interrogava su fatto che oggi grazie ad internet ed in particolare ai blog moltissimi cittadini possono essere autori di una notizia, inoltre un messaggio può essere comunicato al grande pubblico. (Non come fino a 10 anni fa che un piccola notizia si poteva divulgare solo ad una piccola comunità).
Oggi basta solo avere un semplice argomento e voglia di mettersi in discussione; per aprire un dibattito on-line al quale possono partecipare un infinità di persone. Ci sono anche siti e blog dove  si possono discutere anche foto o filmati quinti la comunicazione oggi non è solo quella dei giornali ufficiali e dei testi scritti.
Ormai in Italia i navigatori dei blog sono circa 20 milioni, e si calcolano circa 2 milioni di blog attivi. Un blog spesso parte dall’idea di una persona sola ma poi l’importante è creare una comunità che partecipa ai contenuti, testi e commenti del medesimo.
Etham Zuckerman invece si occupa di un grande sito americano il “Global Voices“. Qual è lo scopo di questo sito: prendere delle notizie da tutti i paesi del mondo, tradurle in inglese e mettere sul web; cioè rilanciarle e metterle alla portata del mondo stesso. Come viene fatto tutto ciò: in molte nazioni c’è un inviato che raccoglie la notizia, e la manda in America dove viene tradotta e divulgata.
La parte più difficile, spiega Zuckermen è la tradizione perché devo avere un teem in grado di tradurre anche le lingue minori, ad esempio lo Zuaili in Kenia.
Mario de Biase parla del settimanale Nova che è su carta e sul sito wed. Ad esso hanno scelto di affiliarsi tanti blog italiani, quindi Nova dà e prende spunti dai cittadini. Il problema di oggi secondo Biasi è capire che cos’è una notizia; una notizia -continua il giornalista- è quell’ informazione che serve a molti! Ed è importante avere un metodo “trasparente“ su come si fa informazione. Con il termine trasparenza il giornalista intende: un metodo col quale si fa informazione controllabile e con una linea editoriale dichiarata!
Per dimenarci tra blog e siti, dibattiti e notizie – aggiunge Biase- bisogna tenere sempre allenato il nostro spirito critico, con la consapevolezza che una notizia non è assolutamente vera se sta su un giornale o telegiornale perché anch’essi spesso sbagliano. Anzi chi usa internet come mezzo di informazione è più abituato a mettere in conto taluni errori e può risalire alla fonte della notizia, cose che chi usa i midia più tradizionali non può fare.
Jan Schaffer gestisce un giornale on-line nel suo piccolo paese formando una comunità virtuale dove si sta attenti ad evitare i pettegolezzi e si cerca di andare incontro alle esigenze di tutti. Di quest’ ultima esperienza non so dire di più perché non potevo registrare la traduzione che avveniva mediante auricolare, come le moderne guide nei musei.
Alla fine ho chiesto ho chiesto a Mario de Biase: “in questa conferenza avete parlato delle notizie e del fatto che il giornalismo con internet può essere accessibile a molti. D’altra parte io so che per essere iscritti all’albo ci sono delle regole molto rigide e che non sono state aggiornate coll’avvento di internet. Qual è il punto di incontro di queste due affermazioni? Io già scrivo per due siti, come posso fare per affermarmi?“
Mi è stato detto che in effetti l’albo è rimasto molto indietro e che c’è più futuro per un giornalista che fa questo mestiere per una piccola azienda anziché per una persona che aspira ad entrare nell’ albo e fare i giornalista tradizionale. Quindi le strade tradizionali per accedere a questa professione dovrebbero essere lasciate da parte per usare nuovi canali e promuovere un tipo di giornalismo nuovo, più vicino alla gente.“
Mi sarebbe piaciuto fare una domanda a Etham Zuckerman: “per il loro lavoro non c’è il rischio che la notizia tradotta e messa sul loro sito, sia diversa (a causa dei passaggi che deve fare ed  alla traduzione in inglese); ma mi è venuta in mente troppo tardi per potergliela fare. Peccato!

Un fatto
A questa  conferenza ero seduta accanto alla Dottoressa Donatella Papa, Direttrice del giornale on-line www.comincilitalia.net ; la quale al momento delle domande fece un intervento, forse un po’ troppo lungo su suo giornale on-line spiegando che è un quotidiano scritto da alcuni cittadini ed a servizio dei cittadini.
Io durante la mia domanda ho specificato che scrivo sul suo giornale, ed ho anche un mio sito internet che si chiama www.piccologenio.it  Dopo questa mia premessa ho invitanto tutti i giornalisti della conferenza, ma in particolare il redattore del sito www.globalvoicesonline.org, ad interessarsi a questi due siti italiani poiché sono fatti dalla gente, da giornalisti non professionisti; quindi analoghi ai contenuti della conferenza stessa.
Quando mi sono alzata per andar via, due ragazzi si sono avvicinati a noi dicendo alla Papi che erano disgustati da suo intervento e dal fatto che Lei aveva strumentalizzato una ragazza disabile per “pubblicizzare“ il suo sito! La dottoressa Papi, con eleganza e sangue freddo ha risposto che si sbagliavano, ma che erano liberi di interpretare l’accaduto come meglio credevano. I due ragazzi sono andati via subito dopo senza darmi in tempo di spiegare che io e la Papi assolutamente non ci eravamo messi d’accordo prima, e che non dovevano pensare che una persona con una disabilità motoria non sia in grado di ragionare con la propria testa. Anzi a volte la persona “diversamente abile“ può avere maggior cultura, amore e sensibilità di un suo coetaneo normodotato.
Ho voluto raccontare questo “episodio“ perché spero di leggere tra i commenti cosa ne pensa la gente, i ragazzi come me e come quei due… mi piacerebbe anche leggere un commento dei due ragazzi della conferenza, ma forse questa è un’utopia!?
 

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Festival internazionale del giornalismo

la redattrice del sito 

Introduzione:
A Perugia, dal 9 al 14 aprile 2008 si è tenuto il Festival internazionale del giornalismo.  Sono stati cinque giorni di confronti, interviste, presentazioni di libri, proiezioni di documentari. Oltre 100 relatori e più di 40 eventi tutti ad ingresso libero.
Si parlerà di libertà di stampa e diritti umani, del futuro dei giornali, della questione mediorientale, del citizen journalism, di giornalismo ambientale, economico, investigativo e di guerra, del rapporto fra media e potere, di energia, geopolitica e media, di satira e informazione e di enogastronomia. E poi mostre, workshop, interviste, presentazioni di libri…
Io c’ero, sono andata lì per un paio di giorni, ho assistito a delle conferenze molto interessanti che ho deciso di mettere nero su bianco perché sarebbe stato un vero peccato lasciar andare le parole.
Appena arrivata a Perugia, in previsione delle conferenze,  acquistai un registratore con le cassette piccoline: proprio il modello classica da giornalista! Mentre lo stavo pagando  pensai: “sono soldi spesi bene! Sarà il mio inseparabile compagno in queste giornate, e chissà in quali e quante conferenze, una volta tornata a Roma, lo potrò usare!?“
Il pomeriggio del giorno stesso andai alla prima conferenza.

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Dove sta la disabilità? II parte

Seconda parte – L’AMORE

Nella prima parte, relativa a questo tema, abbiamo parlato dell’innamoramento, questa seconda parte è dedicata all’AMORE.
Così come abbiamo fatto nella prima parte, parleremo del tema in oggetto, considerandolo nella sua dimensione “normale“, perchè ci sembra riduttivo se non irriverente ridurlo nelle sue caratteristiche per un uso addomesticato. Partiamo, comunque, da una citazione estratta da un articolo già presentato: “Probabilmente concedere una maggior autonomia sessuale alle persone disabili spaventa noi più di quanto sia un problema per loro.“

Che cos’è l’amore e perché il termine stesso è in uso quasi come sinonimo dell’innamoramento? L’amore deve avere una sua collocazione e giustificazione nel suo etimo. Intanto facciamo una prima distinzione per le varie forme di amore, da quello filiale, amicale, genitioriale, ecc. Noi parliamo dell’amore erotico nella coppia, e lo distinguiamo dall’attivazione sessuale che ne è una giusta e logica conseguenza. Nella prima parte abbiamo detto che l’innamoramento è un fenomeno psico-fisico scatenato dall’intervento di un gruppo di ormoni , la FEA, che si esaurisce in un lasso di tempo contenuto, in seguito al quale, ci può essere una trasformazione dell’innamoramento in amore. L’amore, già nel suo etimo contiene gli elementi che lo contraddistinguono dall’innamoramento, che ricorda e rimanda ad una sorta di infiammazione e di incandescenza  che , proprio in queste forti propulsioni , ha la sua caducità; mentre …
L’AMORE rappresenta una forma molto potente di negazione della morte; nel suo etimo la a è la particella greca della negazione;  e more contiene la radice mors di morte. Quindi l’amore è la negazione della morte. “L’amore è l’unica cosa che non può morire“ recita un verso di una canzone di Adriano Cementano.
L’amore erotico (romantico – passionale) si estrinseca attraverso il fenomeno “proiettivo“, assimilato dalle figure genitoriali: il padre ha come oggetto d’amore la figura femminile, per cui è funzionale al maschio per identificazione e per la femmina che si identifica come oggetto d’amore; per la madre il processo identificatico è inverso.
Alcuni autori definiscono l’amore come una costellazione di affetti, attrazioni, desideri e bisogni. Mentre le prime tre dimensioni di questa definizione dell’amore sono comprensibili e accettabili, quella dei bisogni rende l’amore più freddo e speculativo. Ma, Robert J. Sterberg, tra gli esponenti più autorevoli di questo tema, nella sua teoria della triangolazione dell’amore lo intende come il risultato di tre componenti che si possono collocare ai vertici di un triangolo e che sono: l’intimità, la passione e la decisione/impegno. Anche qui la terza componente ha un sapore estraneo, oltre che freddo e da calcolo aritmetico. Come dire, con le parole di Francois-René Chateaubriand: <<Il cuore sente, la testa confronta>>. Ed è proprio su questo confronto, tutto di testa e di considerazioni sociali ed economiche, che gli amori degli andicappati sono costretti, da un regime educativo pregiudizievole, a sublimare e proiettare fuori dalla cerchia delle persone concrete i loro bisogni affettivi. Per una decisione già dichiarata, non approfondisco questo tema, già ampiamente trattato in altre occasioni.

Dott. Tassiello

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Odissea nello spazio 2008

Ulteriori approfondimenti a quest articolo li trovate nelle pagine:
http://www.piccologenio.it/?p=181
http://www.piccologenio.it/?p=182
http://www.piccologenio.it/?p=183

di Joe Mingione
Tra mito e realtà. Questa settimana ho scelto un articolo sulla condizione femminile delle donne disabili. Dagli anni sessanta si è fatto molto e, non sempre bene, per migliorare la condizione delle donne all’interno del contesto sociale italiano ed europeo (oltre che mondiale, con le dovute divergenze temporali da Paese a paese). Ma oggi come avviene l’inclusione delle donne all’interno del contesto sociale di riferimento? Ci sono ancora, nel nostro Paese, donne di serie A e serie B? Come è migliorata la partecipazione di voi donne, di tutte le donne, all’interno sia del contesto femminile, sia del quadro rappresentativo delle problematiche femminili? A voi ulteriori interrogativi, commenti e riflessioni con i quali spero di poter arricchire questo articolo, che in altri tempi, i maschilisti o i finti cavalieri cortesi non avrebbero esitato a definire “Rosa“ (o ancor peggio del “gentil sesso“, come se gli uomini fossero il brutal sesso!).
“L’articolo incriminato, da cui nasce codesta pagina“..
Ad oggi, i progressi compiuti dalle donne nei decenni precedenti in tema di diritti e pari opportunità non sembrano includere le donne con disabilità. Questa è in sintesi la riflessione maturata nel corso del convegno internazionale organizzato a Roma da Integra, Federazione italiana superamento handicap (Fish) e Disabled people international (Dpi).
Le donne disabili sono tuttora vittime di una marginalizzazione sociale per colpa della quale subiscono diverse discriminazioni: “Trascurate dal movimento femminista e ancora marginali nell’associazionismo dei disabili, le donne con disabilità denunciano discriminazioni nell’istruzione, nel lavoro e nella vita affettiva. E sono un target facile di violenze sessuali, soprattutto se con disabilità psichiche“ (fonte www.superabile.it). Per sottolineare la gravità e la molteplicità delle discriminazioni alle quali sono sottoposte queste donne, Emilia Napolitano (Dpi), parla a tal proposito di “discriminazione multipla“. Una discriminazione che nella scuola colpisce la quasi totalità delle donne disabili, in quanto solo l’1% di esse a livello mondiale, sa leggere e scrivere, contro il 3% degli uomini. Ma i dati non migliorano se si prendono in considerazione altri settori importanti come il lavoro e gli affetti: nel primo caso, secondo una ricerca pubblicata dal Coe nel 2003, soltanto il 25% delle donne disabili lavorava contro il 35% degli uomini, mentre per ciò che concerne gli affetti il dato è ancor più sconcertante poiché le donne disabili, oltre a giungere più tardi, rispetto alle altre donne e ai maschi disabili al matrimonio, vedono negarsi il diritto alla maternità che viene loro largamente sconsigliata dai medici e dai familiari.
Un quadro piuttosto negativo, avvalorato anche dall’articolo 6 della Convenzione Onu dei diritti dei disabili, che parla al riguardo dell’esistenza di una duplice discriminazione verso le ragazze e le donne con disabilità. A distanza di un anno dalla sua approvazione, la Convenzione è stata ratificata solo da 13 Paesi, tra i quali non figura ancora l’Italia. Affinché il testo possa entrare finalmente in vigore è necessario che si arrivi alla firma della Convenzione da parte di almeno 20 Paesi.

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la mia Supernonna

scansione0001.jpgEcco come mi immagino possa essere la mia Supernonna tra dieci anni!
Lei adesso ha 81 anni e chi la conosce non ci crede, rimane stupito e dice “ non è possibile. Complimenti le davo massimo 65 anni!“
Io le dico che si mantiene “Sprint“ perché sta sempre con me che la prendo in giro, la faccio ridere ed insieme usciamo spesso per andare al cinema, in pizzeria o a volte mi accompagna all’università.
Ovviamente a nonna ho fatto vedere la foto qui sopra dicendole “ora ti faccio vedere come sarai tra dieci anni“ lei sorridendo e mi ha risposto “dubito che sarò così“. In effetti ha spesso mal di schiena, quindi non credo che riuscirà mai ad alzare la gamba così tanto; ma ha simpatia, voglia di vivere e di vivere bene, penso che ha già superato e continuerà a superare la nonnetta della foto.

Un consiglio, se anche voi avete una nonna che è un turbine di energia, fatela “vivere”, ridere e divertire con voi ma attenti a non farla arrabbiare…!

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Amore e sessualità nelle persone con handicap fisico e/o cognitivo I parte

Ho tratto questo articolo dai sito www.diversamenteabili.it L’ho voluto mettere nel mio sito perché lo ritengo interessante per genitori, insegnanti e tutti coloro che si relazionano con Persone con handicap fisico e/o cognitivo.  Potette mettere i vosrti commenti, domande… a piedipagina.

Introduzione: Le complesse problematiche che caratterizzano la sessualità delle persone handicappate mettono in evidenza alcune drammatiche contraddizioni del nostro atteggiamento educativo.
La prima contraddizione riguarda proprio le sue finalità. Come abbiamo già sottolineato, uno dei presupposti teorici e metodologici irrinunciabili dei programmi educativi per l’handicap si fonda sul concetto di massima autonomia possibile.
Tale concetto, che riconosce la necessità di restituire al disabile i più ampi spazi possibili di autodeterminazione, è tuttavia applicato con estrema difficoltà all’ambito sessuologico.
Quando infatti, all’interno di un progetto educativo diventa necessario affrontare il tema della sessualità, si tende solitamente a sostituire il principio della massima autonomia possibile con quello della minima autonomia indispensabile.
È come se qualcosa di non dichiarato ci confondesse all’ultimo momento. Probabilmente concedere una maggior autonomia sessuale alle persone disabili spaventa noi più di quanto sia un problema per loro.
La seconda contraddizione sul piano metodologico riguarda la tendenza a privilegiare interventi a carattere repressivo, finalizzati al contenimento delle spinte sessuali, rispetto ad interventi più propriamente educativi orientati, invece, all’acquisizione di adeguate modalità di vivere ed agire la sessualità.
Nella nostra esperienza, la maggior parte delle richieste di consulenza per problematiche connesse alla sessualità di persone con handicap sono, infatti, motivate dalla necessità di reprimere e contenere comportamenti disfunzionali, piuttosto che dal desiderio di aprire per queste persone nuove prospettive sessuali ed affettive.
Questo modo di procedere è chiaramente antitetico rispetto a quanto di norma avviene per gli altri ambiti di funzionamento della persona con handicap, per i quali la logica educativa prevede prima di tutto l’insegnamento di abilità e competenze che consentano l’accesso a più ampi spazi di autonomia e, solo in seconda istanza, qualora se ne presenti la necessità, il contenimento di comportamenti problematici che potrebbero limitare l’autonomia della persona stessa.
Esiste poi una terza, grave, contraddizione che riguarda la scelta del terreno sul quale lavorare.
La vita sessuale ed affettiva delle persone con handicap psichico è regolata da centri del SNC normalmente non compromessi dalla lesione cerebrale responsabile del deficit cognitivo. Nonostante l’handicap ponga a volte dei grossi limiti ad una sua adeguata espressione, il terreno dal quale nasce la sessualità è un terreno abitualmente «sano».
Ed è proprio qui che si genera il paradosso. Il buon senso ci suggerisce di coltivare per primi i terreni più fertili e poi, se resta il tempo, di dedicarci anche a quelli improduttivi. Eppure, nel caso dell’handicap tendiamo ad occuparci soprattutto della terra che da pochi frutti, trascurando quella più ricca di promesse.
A volte produciamo curricula di apprendimento sofisticatissimi, pur sapendo che, dati certi limiti biologici, i risultati saranno molto poveri, e ci dimentichiamo invece che esiste la sessualità, una
terra fertile e viva.
Addirittura, il recupero della dimensione affettiva e sessuale ha consentito, in molti casi, di ottenere risultati impensabili anche all’interno di curricoli per i quali erano già stati spesi anni di paziente ed improduttivo lavoro (Veglia, 1999c).
Se si trattasse della nostra vita, difficilmente sceglieremmo di imparare con fatica ad allacciare le scarpe o ad usare con perizia la forchetta, piuttosto che imparare ad utilizzare il nostro corpo per conoscerci e per scambiarci desiderio, piacere, amore. Ma dal momento che siamo noi a decidere per gli altri troviamo molto più rassicurante fare mille altre cose, piuttosto che provare a confrontarci con il mondo pericoloso della loro sessualità.
Si tratta di una crudeltà che le persone handicappate di sicuro non meritano. Non esistono, infatti, ragioni valide per giustificare questo tipo di atteggiamento, se non quelle che fanno capo alla nostra personale difficoltà e paura di affrontare l’argomento in termini educativi.
Una possibile ragione di questa difficoltà è collegata ai significati che, spesso in maniera inconsapevole, attribuiamo al rapporto tra handicap e sessualità. Tali significati riflettono, almeno in parte, la nostra personale idea di sessualità, ma anche le forme convenzionali attraverso le quali la nostra cultura definisce tale rapporto.
Eppure, nel 1993, l’Assemblea Generale dell’ONU ha pubblicato un documento nel quale veniva riconosciuto a tutti i portatori di handicap, sia fisico che mentale, il diritto di fare esperienza della propria sessualità, di vivere all’interno di una relazione, di avere dei figli, di essere genitori, di essere sostenuti nell’educazione della prole da tutti i servizi che la società prevede per i normodotati ed anche, non ultimo, il diritto a ricevere un’educazione sessuale.
L’ONU, nel suo documento, auspica inoltre che tutti gli Stati membri si rendano promotori del superamento degli stereotipi culturali che ostacolano il riconoscimento di questi diritti alle persone con handicap.
Benché i dettami contenuti nell’articolo 3 della nostra Costituzione siano in linea con questo principio, in Italia non sono ancora stati emanati provvedimenti legislativi che tutelino i diritti di cui sopra, né tanto meno è stata sollecitata la nascita di movimenti di opinione che sostengano la posizione espressa dall’ONU. L’organizzazione dei nostri servizi ne è la prova.

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Amore e sessualità nelle persone con handicap fisico e/o cognitivo II parte (aggiornato il 6-5-08)

QUI SI VUOLE APPROFONDIRE IL DISCORSO DELLA SESSUALITA’ DELL’HANDICAPPATO PSICHICO. Anche questa pagina è tratta dal sito:  www.diversamenteabili.it  . Se avete dell domande è a disposizione la dottoressa Porri (responzabile della rubrica “La psicologa risponde”). Le domande le dovreste mettere tra i commenti; così che anche le risposte verrano pubblicate. La Dottoressa ed siamo contrarie allo scambio di e-mail private tra Lei e Voi.

Parte più specifica:
Se Freud qualificava la propria identità unicamente come «ebraica», l’handicappato non può riferirla che alla sua appartenenza al vasto e sconosciuto pianeta dell’handicap, dove il territorio della sessualità è scotomizzato e pertanto invisibile ai normali.
In realtà, l’identità sessuale della persona handicappata ha spesso non soltanto la base biologica «difettosa», ma vengono anche a mancare dei pilastri che possono permettere la costruzione dell’edificio di cui sopra.
Manca soprattutto «l’abilità del costruttore», mancando infatti la capacità di autonomia l’handicappato è costretto a costruire la sua «capanna» contando unicamente sull’aiuto degli Altri.Gli stessi che hanno promulgato le Leggi del Pianeta sul quale viviamo. Nella maggior parte dei casi, quindi, i pilastri non si strutturano affatto. La seduttività femminile, cioè la coscienza delle proprie capacità di attrarre una persona dell’altro sesso allo scopo di instaurare una relazione amorosa (non una relazione soltanto sessuale), fragile già in moltissime persone «normali», raramente aiuta la ragazza handicappata, quando non la mette addirittura a rischio d’essere violentata o usata da uomini senza scrupoli. «Se non sono abbastanza bella non sarò mai scelta e nemmeno guardata da un uomo» recita l’Ideale dell’Io interno di ogni adolescente.
L’handicap psichico è spesso accompagnato da un corpo che non rientra nei canoni della bellezza e la ragazza handicappata non può contare sul cinto magico di Venere per sedurre ed attrarre a sé l’uomo dei suoi sogni.
La maternità viene impedita dalla famiglia e dalla società tutta. Come affidare un bimbo ad una madre che non è in grado di prendersene cura e di costituire per lui una base sicura? Il ruolo sociale lavorativo è ugualmente negato anche se esiste una legge che prevede l’inserimento degli handicappati in uffici e fabbriche.
Il maschio, a sua volta, anche se non ha bisogno di essere scelto sulla base dell’avvenenza fisica, in quanto la cultura ha sempre basato la seduttività maschile sull’intelligenza e sul ruolo sociale, ha problemi proprio in questo campo.
Resta la possibilità di attuare rapporti sessuali completi cosa indubbiamente più facile per il maschio che per la femmina. La prostituzione, che risolve problemi di ogni tipo a pagamento è al servizio anche di questa fascia di persone.
Impedito all’uomo un ruolo sociale e lavorativo autonomo, un rapporto sessuale completo e soddisfacente con la compagna dei propri sogni, resa impossibile la paternità, impedita alla donna la seduttività, la maternità nonché il ruolo di moglie o quello sociale lavorativo, da che cosa l’handicappato psichico può ricevere il segnale di piacere, per lui, come per ogni essere umano, sentinella di vita?
Si è sopra accennato che, quando i bisogni psicologici primari non vengono soddisfatti, quando una persona handicappata non ha la possibilità di avere rapporti affettivi, teneri, non può raggiungere né una identità sessuale certa, né una totale autonomia e vengono di conseguenza a mancare l’autostima e l’autorealizzazione, si strutturano comportamenti difensivi.
Il primo, l’aggressività, rivolta verso i familiari ed in seguito verso i compagni e gli insegnanti, rappresenta non solo la difesa primaria, comune a tutto il genere umano, ma la ribellione ad una condizione difficile e, paradossalmente, la comunicazione sul proprio bisogno di relazione affettiva.
Il secondo, l’esibizionismo, rappresenta una comunicazione sul bisogno di identità sessuale, rivolta agli adulti che se ne prendono cura: ho bisogno che voi vediate i miei genitali per avere la conferma della mia identità sessuale.
L’esibizionismo dell’handicappato psichico, sia esso maschio che femmina, è inoltre ed in parte una regressione. I primati mostrano i genitali non solo come richiesta sessuale, ma come richiesta di amicizia.
Tutti gli adulti, di fronte ad entrambi questi comportamenti si spaventano sia perché viviamo in una società dove l’aggressività del singolo è inibita e considerata un comportamento fortemente negativo (non quella collettiva che si esprime con la guerra!), sia perché tutto quanto riguarda la sfera genitale è considerato sporco e vergognoso, salvo che per le pubblicità!
La nostra cultura, inoltre, è rupofobica oltre che sessuofobica e fobica rispetto ai cattivi odori. Basta pensare all’enorme quantità di deodoranti che vengono consumati, al bisogno coatto di lavarsi che hanno alcune persone, al disagio che viene provato di fronte alla masturbazione del bambino piccolo o dell’handicappato.
Noi viviamo in una società in cui si parla moltissimo, sui settimanali, sui quotidiani, al cinema, alla TV di sessualità: il nudo femminile, e, ultimamente anche maschile, «promuovono» la vendita dei prodotti commerciali più disparati.
Tuttavia i bambini vengono toccati, accarezzati, tenuti in grembo solo fino a tre, quattro anni. Man mano che il bimbo cresce viene coccolato o preso in braccio sempre meno.
Gli adulti che si incontrano, se sono donne baciano l’aria, se sono uomini si danno una pacca sulla spalla. Per alcuni anche lo stringersi la mano può costituire un problema.
La cosiddetta liberalizzazione sessuale ha aperto la porta ai rapporti sessuali prematrimoniali, ma mette di fronte soprattutto i cattolici alla liceità o meno della contraccezione. La contraccezione diventa indispensabile ove si voglia permettere agli handicappati psichici di avere rapporti tra di loro.
Questo se non si vuole o non si può giungere a una decisione più drastica e conflittuale quale è la sterilizzazione di tutti gli handicappati, maschi e femmine o all’aborto.

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Amore e sessualità nelle persone con handicap fisico e/o cognitivo III parte

Le conclusioni di www.diversameteabili.it
La sessualità dell’handicappato rappresenta, dunque, un problema complesso che mette in crisi famiglia, educatori e scuola in quanto costringe a prendere decisioni che mettono in crisi e spesso portano a reprimere ogni tipo di comportamento sessuale, soprattutto nelle donne.
La base di partenza potrebbe essere una riflessione sulla propria sessualità, sul significato che diamo al piacere, sui valori che intendiamo rispettare, sulla nostra capacità di accettazione del diverso. Dobbiamo nel contempo valutare le privazioni cui sono sottoposti gli handicappati. La loro identità sessuale, lo si è detto, non poggia né su pilastri biologici, né su pilastri sociali. Il piacere sessuale è legato alla sola masturbazione che di conseguenza diventa spesso coatta e pubblica. Soltanto se comprendiamo il significato che il piacere ha nella vita umana possiamo sperare di poter dare agli handicappati una vita meno difficile. Il piacere può venire da contatti umani più accettabili, dal gioco, da un cibo particolarmente curato, da un educazione alla musica, allo sport, ad un tipo di lavoro gratificante, alla maggiore autonomia possibile. Dovremmo cercare di dare a ciascun essere umano la possibilità di legare il piacere alle relazioni umane e al proprio lavoro. Questo comporta, se voi volete, non solo tutto un altro modo di pensare all’inserimento lavorativo degli handicappati, ma anche un altro modo di accettare quando non addirittura favorire l’autoerotismo, quando non sia possibile auspicare l’instaurarsi di relazioni sessuali tra di loro. Tuttavia questa «liberalità» solleva una serie di conflitti interni, limitare la sessualità degli handicappati psichici ad un rapporto sessuale non procreativo è una decisione che desta una serie di angosce. Però noi non abbiamo rimedi: l’handicap è un problema senza soluzioni ottimali; è un problema che mette in gioco la nostra onnipotenza. Noi, soprattutto con l’aiuto di medici e psicologi, vorremmo riuscire a trovare una «terapia» valida per ogni male, essere capaci di guarire ogni malattia, di porre rimedio ad ogni difetto. Spesso invece possiamo soltanto scegliere tra due mali o accettare di non poter proporre alcun rimedio, di non poter guarire. Su questa linea sottile che divide il normale dall’handicappato non vi è una soluzione ottimale, né tanto meno una soluzione che vada bene per tutti. Ogni caso è un caso a sé, ogni caso ci richiede di individuare la strada da percorrere, ogni caso rappresenta una sfida che dobbiamo raccogliere.
 
 

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