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RaccontAbili al Festival Fuori Posto 2020

Interessantissima puntata sull’autismo e su come narrare la “diversità”. Con Emilia Martinelli, direttrice artistica del Festival Fuori Posto, MariaIrene Sarti, neuropsichiatra,  Paolo Restuccia, autore radiofonico e scrittore e Giuseppe Cacace, Asfilmfestival.

Il Maestro Paolo Restuccia parla della sua allieva Zoe Rondini e delle sue varie imprese.

Seguiteci dal minuto 45. 42 al minuto 53

Chi desidera acquistare la copia dei RaccontAbili lo può fare scrivendo a live@erickson.it, andando sul sito Erickson Live ,o contattando direttamente l’autrice Zoe Rondini.

“Nata Viva” è disponibile ai seguenti link:  Socetà Editrice Dande AlghieriLaFeltrinelli,  Amazon e Ibs. L’e-book è disponibile qui

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Presentazione del saggio RaccontAbili

RaccontAbili: i primi passi

Presentazione di “Nata viva”, romanzo e cortometraggio

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Intervista a Zoe Rondini per Italia Olistica

Ringrazio i curatori del portale Italiaolistica.it che con questa intervista mi hanno dato modo di narrare di come, con la scrittura e altre forme di comunicazione sono riuscita a realizzarmi ed essere di supporto a tante persone, che direttamente o indirettamente, vivono una condizione di disabilità. Tra i vari argomenti trattati, racconto  i convegni, il progetto nelle scuole, le lezioni universitarie, i progetti futuri, il mio interesse per le discipline olistiche e di come possano supportare il mondo della disabilità.

Come preferisci essere chiamata, Marzia o Zoe?

Grazie per questa intervista. Preferisco essere chiamata con lo pseudonimo: Zoe Rondini poiché mi ricorda il mio ruolo e molti miei traguardi, come spiegherò più avanti. 

Innanzitutto chi sei, ti va di presentarti? Di cosa ti occupi?

Sono una persona con disabilità motoria a causa di un’asfissia neonatale di cinque minuti. Cammino, parlo e mi muovo con qualche difficoltà, ma grazie alla scrittura e a varie forme di comunicazione cerco di aiutare gli altri e ho trovato il mio “posto nel mondo”.  

Mi occupo principalmente di diffondere la conoscenza del mondo della disabilità e della promozione dei diritti delle persone con disabilità. Per raggiungere tale scopo non c’è solo la scrittura, infatti ho la fortuna di parlare nelle scuole con un progetto di prevenzione al bullismo. Ogni anno poi, tengo una lezione al master dell’Università LUMSA, per sensibilizzare i futuri fisioterapisti, logopedisti e psicologi, sull’impatto che la riabilitazione può avere sulla psiche del bambino e sul nucleo famigliare. 

Non mancano poi, vari interventi a convegni ed interviste anche radiofoniche, per parlare della valenza terapeutica della narrazione del sé e di molte questioni legate alla disabilità nell’adulto.    

Sei autrice del romanzo autobiografico “Nata viva”, come nasce e di cosa parla il tuo libro?

“Nata Viva” nasce come un diario: a tredici anni ho cominciato a scrivere per elaborare un lutto famigliare improvviso ed inaspettato. Da grande ho ripreso il racconto della mia vita poiché mi sono resa conto che c’era anche altro che meritava di essere narrato. Il romanzo parla delle mie esperienze dalla nascita agli anni dell’università. Il periodo della scuola è stato pieno di doveri e di ostacoli da superare. Ci sono poi i racconti legati a mia madre e i miei nonni che mi hanno sempre aiutata a migliorarmi. Nella narrazione non mancano i viaggi, i sogni adolescenziali, il tempo libero e molto altro.

Grazie a Matteo Frasca, mio amico e consulente letterario, abbiamo corretto il diario e siamo riusciti a vederlo pubblicato.

Nata viva - Intervista a Marzia/Zoe Rondini

“Nata viva” è diventato anche un cortometraggio: puoi parlarci dell’esperienza?

“Nata viva” nasce come un romanzo di formazione, appunto perché si concentra sulla mia infanzia e adolescenza. Dopo la prima edizione, andando avanti negli anni, ho sentito l’esigenza di raccontare gli elementi più importanti della mia quotidianità: l’autonomia, la patente di guida, la scrittura, gli amici, il rapporto speciale con mia sorella, l’amore. Grazie alla regista Lucia Pappalardo abbiamo scritto la sceneggiatura e abbiamo realizzato il cortometraggio che nel 2016 è stato il primo classificato nella categoria “Corti della realtà” nell’ambito del Premio L’Anello debole al Festival di Capodarco.

Che cos’è Piccolo Genio, quali argomenti tratta? Come lo gestisci e quale è la mission del tuo sito?

Piccologenio.it è un portale di disabilità e scrittura. È attivo dal 2006; anch’esso nasce dalla mia vocazione per la scrittura e la comunicazione. Dopo i vent’anni ho sentito l’esigenza di far leggere i miei primi articoli e racconti al di fuori della famiglia, gli amici, i professori universitari. 

Andando avanti con le mie attività il sito si è molto ampliato, infatti lo aggiorno spesso con articoli che riguardano “Nata Viva” e il mondo della disabilità. 

Ogni volta che tengo una lezione alla Lumsa, partecipo ad un convegno, mi intervistano… pubblico lì il materiale. Penso che facendo ciò posso raggiungere e cercare di supportare molte persone con disabilità e le loro famiglie. In questo senso sono anche importanti i tanti messaggi che ricevo sui social nei quali le persone con disabilità o i genitori, mi chiedono dei consigli su argomenti che tratto in Piccologenio e in “Nata Viva” o mi forniscono feedback positivi dopo aver letto i miei scritti!

A chi ti rivolgi?

I miei progetti di scrittura si rivolgono a chi, direttamente o indirettamente ha a che fare con una situazione di disabilità: insegnanti, studenti, terapisti famigliari, presidi, psicologi, medici.     

Progetti per il futuro? Ancora altri libri?

Vorrei innanzitutto avere altre occasioni di confronto con gli altri perché ogni lezione, convegno e progetto di scrittura a quattro mani è per me un’importante opportunità per conoscere e ascoltare l’altro (in questo periodo grazie al web non sto rinunciando completamente a tali occasioni…)

Sto aspettando, più di ogni altra cosa, che esca il mio secondo libro! Ormai ci siamo: dovrebbe essere pubblicato a dicembre 2020!

Si tratta di un insieme di interviste a persone con disabilità e persone che conoscono bene il mondo della disabilità. L’intento è quello di offrire il punto di vista dei diretti interessati, uscendo dall’ottica di interpellarli solo nei casi migliori o peggiori delle loro/nostre vite. 

Le interviste sono la parte più importante dell’opera e sono suddivise nei seguenti argomenti: famiglia e società, routine, lavoro, arte, amore e sessualità. Non mancano poi gli interventi degli esperti: professori universitari, psicologi, psicosessuologi, registi e attori. Grazie alle risposte di trenta persone, il saggio cerca di parlare di argomenti della vita di ognuno, ma dal punto di vista di chi ha una forma di disabilità. Scopo del libro è poi, suggerire proposte e soluzioni ai problemi principali legati alle disabilità.  Anche in questo nuovo progetto mi auspico di ricevere ed emozionarmi con le narrazioni che, tale lettura, aprirà e suggerirà. 

In Piccologenio parli anche di disabilità e discipline olistiche. A tuo avviso il mondo olistico come può aiutare il mondo della disabilità?

Il mondo olistico ci insegna a prenderci cura non solo del corpo,  ma anche della mente e dell’anima di ogni individuo. La persona deve essere percepita nella sua globalità e in relazione al contesto dove si è formata e nel quale vive. Questo è l’aspetto fondamentale di tale approccio: se un soggetto presenta un deficit, le varie discipline olistiche possono aiutarlo a rilassarsi, portare l’attenzione dove serve di più, valorizzare le sue capacità residue, la mente e la sfera emotiva.

Inoltre molte persone con disabilità incontrano difficoltà a vivere esperienze sentimentali, sessuali o semplicemente a ricevere un abbraccio, una carezza che non sia quella materna. Spesso manca anche una giusta educazione affettivo sessuale; ecco che, a mio avviso un operatore olistico e tantrico può agire su questa parte, valorizzare la persona e aiutarlo a scoprire le emozioni e in certi casi la sessualità. 

Molte persone con disabilità e le loro famiglie vengono a conoscenza degli operatori tantrici e della visione olistica grazie a Piccologenio e ai miei post su Facebook. 

È per colmare queste lagune che sto approfondendo la conoscenza del mondo olistico e della sessualità sacra nell’ottica della filosofia tantrica. 

Anche un intervento medico e riabilitativo sotto l’ottica olistica sarebbe più accettato, tutto ciò a mio avviso va comunicato perché non fa parte della storia occidentale.

Vuoi aggiungere qualcosa? Un messaggio a i tuoi lettori o a chi ancora non ti conosce…

Mi piace salutarvi con la frase conclusiva del mio romanzo:

“Eppure la vita riserva inaspettate sorprese alle persone che nonostante tutto… nascono vive!”

Il romanzo cartaceo e Ebook è disponibile sui seguenti siti:

Società Editrice Dante Alighieri, Amazon, ibs  LaFeltrinelli.  L’e-book è disponibile qui

Il cortometraggio è disponibile su YouTube

Pagina Facebook: visita la pagina

Pagina Instagram: visita la pagina

Intervista pubblicata su Italia Olistica il 20 novembre 2020

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Intervista  radiofonica a Radio3 “Tutta la città ne parla”, parlo al diciottesimo minuto

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Le persone con disabilità, la comunicazione nel web ed il devotismo

Negli ultimi anni l’avvento dei social-network, il diffondersi dei siti di incontri, hanno modificato la comunicazione e il nostro modo di approcciarsi. Spesso, usando questi mezzi, si cerca di fare nuovi incontri e non solo nel virtuale. A tal proposito si stima che nel vasto panorama delle chat più utilizzate, i siti di incontri rappresentino un mercato in crescente aumento. In Italia 2,8 milioni di utenti utilizzano i siti per single; ciò vuol dire che circa un italiano su due sotto i 40 anni possiede una virtual life  e che nella maggior parte dei casi questa è completamente differente dalla vita reale.

Numerose persone  con disabilità utilizzano i siti d’incontri, i forum tematici o i tanti gruppi Facebook dedicati alla ricerca dell’anima gemella. C’è da tener presente che in molti casi, per una persona con  disabilità la conoscenza attraverso la parola scritta è più lenta e quindi più adatta a chi ha qualche difficoltà. Così facendo, in alcuni casi, è anche possibile “svelare” la propria disabilità poco alla volta.  A tal proposito mi sembrano interessanti alcune testimonianze trovate in rete. Michelle, giovane ragazza di  Liverpool, dichiara: «Ho eliminato la mia sedia a rotelle da tutte le foto che posto su Tinder. Quando sono in un bar o in un pub con gli amici, nessun ragazzo mi si avvicina. Ho la sensazione che guardandomi vedano solo la carrozzina e non la persona che ci siede sopra. Sulla chat, invece, posso parlare con loro per qualche giorno prima di rivelare la mia vera identità. Normalmente aspettavo almeno una settimana prima di confessare la disabilità, ma dopo che un uomo mi ha pesantemente accusata di mentire, ho cambiato idea. Ho deciso di confessare subito il mio handicap, con il rischio di farmi il deserto intorno».

Il problema non si pone sole per le donne con disabilità. Andy, 43 anni di Manchester, decide di mostrare la sedia a rotelle sul suo profilo. Spesso è lui stesso a mandare un messaggio agli utenti che ne consultano il profilo senza però scrivergli. Solitamente nel fare il primo passo l’uomo scrive: «Ti chiedo di essere sincera, non mi contatti perché sono su una carrozzina vero?». Una domanda rimasta sinora senza risposta.

Secondo un sondaggio, solo il 5% degli inglesi ha accettato un appuntamento con un disabile conosciuto su una app o in un sito di incontri. Gli altri hanno dichiarato apertamente di evitarli. Chissà cosa spinge quel 5%, se realmente la disabilità non li spaventa oppure se sono attratti da una situazione diversa… Resta il fatto che il 5% è un numero molto piccolo.

Quando si parla di chat, amore e disabilità è bene anche analizzare il fenomeno dei devotee; ci sono infatti persone che sperano d’incontrare un devotee. Ma di che cosa si tratta? Il “devotismo” è la traduzione culturale della categoria diagnostica definita come acrotomofilia, che John Money, psicologo e sessuologo, esplorò scientificamente negli Anni Ottanta, parlando della capacità di provare interesse o eccitazione sessuale solo al cospetto di persone che hanno deformazioni o amputazioni agli arti oppure, come nell’abasophilia, per gli ausili quali le carrozzine, i gessi, le protesi ecc. Quindi il devotee non ha interesse  per la persona in quanto tale, si eccita solo in presenza della sedia a rotelle, delle stampelle, di un arto mancante… Se la stessa persona si presentasse senza protesi l’attrazione del devotee svanirebbe.

Spesso i devotisti hanno una vita povera di relazioni interpersonali.  Detto ciò, non va poi sottovalutato  il fatto che il DSM-V-TR,  Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, identifica questa pratica come una parafilia simile a una forma di feticismo sessuale. I casi sono in aumento e il web è il posto giusto per cercare “una preda”.

Le reazioni più comuni della persona con disabilità di fronte a questa realtà sono:

  • la persona con disabilità non sa cos’è un devotee;
  • la persona con disabilità cerca in rete un devotee che la faccia sentire apprezzata;
  • la persona con disabilità è contraria a tali atteggiamenti e li considera come “devianza psicopatologica”.

In rete, poi, la ricerca è duplice: il devotee, infatti, cerca la persona con problematiche fisiche e viceversa. Ritengo che tra adulti consenzienti ognuno sia libero di fare le proprie scelte e rispetto i differenti punti di vista, anche se personalmente mi trovo concorde con la rivista «State of Mind», che nell’articolo La parafilia “Devotee” e l’attrazione sessuale per i disabili illustra il comportamento del devotee come patologico, argomentandone le motivazioni. Cito qualche passaggio di quell’articolo: «Nei devoti, spesso è compromessa l’area sociale, lavorativa e l’intimità emotiva e sessuale nei confronti del loro partner. Questo tipo di parafilia si avvicina al feticismo, come pulsione sessuale diretta verso un oggetto inanimato. Come nel feticista, l’oggetto è indispensabile e imprescindibile per l’eccitamento e l’attività sessuale. I devoti tendono ad evitare la relazione intima col partner, e rendono erotico non uno stivale ma gli ausili di cui il disabile si serve o l’arto menomato. […] L’attrazione sessuale può risiedere nel moncherino vero e proprio, nelle protesi, oppure nell’immaginario di quanto esiste sotto di essa. Taluni si eccitano nel cogliere le difficoltà di deambulazione dovuta alla mancanza di uno o di entrambi gli arti inferiori; altri nel riscontrare durante lo svolgimento di normali azioni, la malagevolezza tipica di chi è privo di una o ambedue le braccia. Altri ancora focalizzano l’interesse esclusivamente sulla “parte mancante” del portatore di handicap e nel tentativo d’immaginare le sue sembianze. […] Nel devotismo, le persone chiedono di poter toccare le gambe, di guardare mentre la persona mangia, chiedono di poter pettinare i capelli o poterla accompagnare in bagno, trattano la persona come un oggetto».

Non vorrei che l’aumentare del parlare sui principali mass media, di disabilità e le tante tematiche correlate, spingesse persone con poca sensibilità o con problemi comportamentali ad usare l’interazione del web per cercare di soddisfare le proprie curiosità e i propri istinti.

Talvolta capita che le persone non sappiano fino a che punto e in quali modi possano fare domande sulla disabilità. Spesso pongono quesiti senza far capire alla persona con  disabilità se è morbosa curiosità o poco tatto nel richiedere delle spiegazioni. In presenza di atteggiamenti fastidiosi, è bene saper rispondere e bloccare, per evitare un inutile crescendo di frasi poco piacevoli.

Sulle tematiche argomentate finora, penso che la famiglia e il contesto sociale incidano notevolmente sull’autostima delle persone; se l’autostima è discreta, io persona con disabilità, non andrò a cercare chi mi tratta come un oggetto. Altresì la scarsa autostima e l’insoddisfazione di una persona “normodotata” la possono spingere ad avere desideri sessuali “fuori dalla norma”.

Vanno anche analizzate le motivazioni che portano ad usare i sempre più numerosi siti d’incontri. I bisogni che spingono le persone a usufruire di tali spazzi virtuali sono diverse per gli uomini e per donne. I primi  nella maggior parte dei casi, l’utilizzo della chat può essere la causa di una difficoltà di approccio sessuale. L’uomo spesso ha paura di un rifiuto sentimentale e sessuale, quindi nelle chat riesce a superare questo ostacolo. Altresì la donna cerca l’amore, una persona capace di ascoltarla e rassicurarla.

Nella molteplicità di profili è sempre più raro che si mettano in evidenza i sentimenti positivi e i pregi. Tutto sembra dover essere veloce ciò può significare che l’attesa, l’amore, il romanticismo vengano spesso dimenticati.  L’amore al tempo delle chat è sempre più fugace.. I siti d’incontri promettono di aiutarci a trovare l’anima gemella,  talvolta ci riescono, ma nella maggior parte dei casi si tratta di un fuoco di paglia: avventure più che occasionali, che si consumano nel giro di una notte o poco più. In passato era più semplice trovare in chat chi era pronto ad una relazione o un’amicizia che andavano oltre il virtuale.

Articolo uscito su Superando

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Zoe a Radio Freccia Azzurra

 

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Intervista di Zoe Rondini ad “O Anche no” Rai Due

Il 24 maggio 2020, ho avuto il piacere di essere intervistata nel programma “O Anche no” condotto da Paola Severini Melograni e con I Ladri di Carrozzelle.

È andato in onda su Rai2 ed è disponibile su RaiPlay a questo link

Con l’intervista sono state trasmesse anche parti del cortometraggio Nata viva della regista Lucia Pappalardo e prodotto da l’Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani.

Buona visione.

 

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La didattica a distanza per gli alunni con bisogni speciali di fronte alla sfida del Covid-19

 

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La didattica a distanza per gli alunni con bisogni speciali di fronte alla sfida del Covid-19

In questo complicato momento storico nulla sembra essere certo: non si sa quando la pandemia avrà fine e si tornerà alla vita normale. Le scuole quest’anno non riapriranno, ma il diritto e dovere allo studio non può essere sospeso. Come sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza gli Stati riconoscono al fanciullo il diritto all’educazione in base all’eguaglianza delle possibilità. A tale scopo i Paesi aderenti si impegnano a garantire la gratuità e l’obbligatorietà dell’insegnamento primario; l’accesso all’insegnamento superiore con ogni mezzo appropriato, in funzione delle capacità di ognuno; la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola.

Partire dall’inclusione scolastica per non lasciare indietro nessuno: le iniziative in atto

Per far fronte all’emergenza in corso, il Ministero dell’Istruzione promuove la Didattica a distanzaalla quale è dedicata una specifica sezione a supporto delle scuole. Nell’ambito di questa iniziativa è disponibile un canale tematico per L’inclusione via web, dedicato agli alunni con bisogni speciali. Uno strumento pensato per affiancare e supportare il lavoro dei dirigenti scolastici, del personale e degli insegnanti nei percorsi didattici a distanza per gli alunni con disabilità. Tra gli strumenti messi a disposizione dida-LABS piattaforma, fornita  gratuitamente per due mesi dal centro studi Eickson, che offre un ambiente online a supporto di attività didattiche della scuola Primaria da svolgere a distanza. All’interno della piattaforma sono disponibili circa 400 attività multimediali interattive create dagli esperti di Erickson per rafforzare e potenziare le capacità dell’alunno, attraverso esercizi e giochi motivanti, negli ambiti della letto-scrittura e della matematica. Inoltre, il Ministero ha attivato il Centro Territoriale di Supporto per offrire consulenza e informazioni sulla didattica a distanza per alunni e studenti con bisogni educativi speciali. Anche alcune emittenti radiofoniche danno il loro contributo nella didattica speciale, tra queste Radio Magica, che offre storie in lingua dei segni e Slash Radio Web, la radio dell’Unione Italiana dei ciechi e degli ipovedenti.

Questa emergenza ci ha colti, inevitabilmente, alla sprovvista. Il livello di digitalizzazione del Paese, ahimè, non è sempre, e in tutti i luoghi, all’altezza delle sfide poste dalla necessità di implementare, dall’oggi al domani, lo smart working, ma soprattutto la didattica online. Per ridimensionare questi ostacoli il Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione ha promosso l’iniziativa solidarietà digitale nell’ambito della quale sono consultabili i servizi e le soluzioni innovative per le diverse esigenze digitali. Per quanto riguarda l’apprendimento via web, ad esempio, Telefono Azzurro risponde all’emergenza con una serie di Sfide didattiche create per aiutare i docenti a coinvolgere gli studenti in attività formative e di apprendimento autentico; Smart Tales mette a disposizione un abbonamento gratuito di tre mesi ad una libreria di libri interattivi e animati creati da educatori che insegnano le materie STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) rivolti a bambini dai 3 ai 6 anni e, tramite una collaborazione Cisco e IBM, viene reso disponibile gratuitamente per le scuole di ogni ordine e grado l’accesso a Cisco Webex: la piattaforma che consente di tenere lezioni da remoto, far interagire studenti e docenti, collaborare e condividere documenti e dati.

Numerose e interessanti iniziative creative si stanno sviluppando ovunque per colmare questa distanza tra docenti e alunni. Tra queste merita una menzione l’iniziativa #radioscuolaincasa promossa su tutto il territorio, tra gli altri, dall’Associazione Matura Infanzia e rivolta ai bambini della scuola dell’infanzia (nido e asili, i grandi dimenticati della didattica a distanza…) e della scuola primaria e secondaria inferiore. Il progetto, nelle parole dei promotori: “mira a raccogliere i contributi di tutti, insegnanti, bambini, adolescenti e genitori formando una sorta di “radiocomunità”, tramite una connessione a misura di bisogni, idee, spazi vuoti e pieni e possibili abbracci tra chi è in casa e chi è lontano”.

In questo straordinario periodo storico la scuola è chiamata ad adottare, seppur con molte difficoltà, un nuovo tipo di didattica. I docenti scolastici e universitari si stanno impegnando a mantenere viva l’offerta formativa utilizzando quello che hanno a disposizione e spesso anche facendo ricorso alla propria inventiva.

Forse ad accusare maggiormente questa situazione sono proprio i bambini, che sentono la mancanza dei loro amici e del gruppo classe. Nell’ambito delle diverse disabilità, probabilmente l’assenza fisica dei docenti, dei compagni di classe e dell’insegnante di sostegno pesa maggiormente sugli studenti con disabilità cognitive. Per questi bambini e ragazzi il contatto visivo ed emozionale è fondamentale e i mezzi tecnologici non possono sostituirlo. Lo sforzo maggiore è quindi richiesto ai docenti di sostegno che, nonostante le difficoltà e le distanze, cercano di rimanere vicini empaticamente ai loro alunni creando un ponte tra la scuola e la famiglia. Altro compito rimane quello di trasferire una didattica personalizzata e calibrata sulle esigenze formative.

Andiamo avanti con uno sguardo al passato

Dall’abolizione delle classi speciali nel 1977 a oggi, fortunatamente, si è compiuto un lento percorso per andare incontro alle esigenze degli alunni con bisogni speciali. Se fino a cinquant’anni, infatti, ai bambini e ragazzi con disabilità non era riconosciuto il diritto allo studio e, nei casi più fortunati, vi erano le classi speciali, in questi giorni la scuola, travolta dall’emergenza, pensa a tutti, cercando di tener in considerazione le esigenze individuali. Forse oggi siamo un po’ più empatici perché il momento di difficoltà riguarda tutti, nessuno è escluso. Porre l’attenzione sull’inclusione e le diverse esigenze didattiche significa non escludere nessun allievo, rispettare il principio di pari opportunità e incentivare la partecipazione attiva di ciascuno.

La narrazione di sé e il contesto scolastico

Dal 2012 ad oggi, grazie al progetto pedagogico “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”, che porto avanti nelle scuole di Roma e provincia, ho conosciuto docenti e presidi entusiasti del loro lavoro e attenti ad ogni singolo alunno.

Il progetto pedagogico mira a promuovere la condivisione degli stati d’animo, i sogni, le paure e le speranze degli alunni coinvolti. Grazie al progetto si crea un canale preferenziale che mette in comunicazione docenti e studenti. È entusiasmante favorire tale dialogo e ascoltare le narrazioni di ogni ragazzo e ragazza. Rilevo con soddisfazione che, nell’ambito del piccolo campione di scuole da me incontrate, non sono emerse rilevati criticità per quanto riguarda la vita scolastica.

Le persone con disabilità in Italia: i dati

Secondo una ricerca dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane si parla di circa 4 milioni e 360 mila persone disabili in Italia. Si tratta del 25,5% della popolazione (quella delle persone disabili è anche la più grande minoranza sociale al mondo). Prevalgono le donne (54,7%) e le persone anziane (61,1%). All’interno di questo gruppo generico che comprende tutte le disabilità, il 23,4% riferisce di avere limitazioni definite “gravi”, cioè il massimo grado di difficoltà nelle attività essenziali della vita quotidiana, e in questo caso parliamo di circa 3 milioni di persone.

Speranze e timori per le persone con disabilità

La scuola è socializzazione, è il primo luogo di incontro dopo la famiglia, ma è anche un’importante opportunità di emancipazione dal proprio contesto sociale e famigliare di partenza. Deve essere all’altezza di questo ruolo, educativa e formativa. È necessario incentivare varie forme di didattica, come l’uso del computer, i programmi personalizzati, le attività formative svolte in piccoli gruppi, per favorire l’inclusione degli alunni con diverse disabilità. Spero che lo sviluppo di un nuovo modo di fare scuola, dettato dalla contingenza attuale, rappresenti l’occasione per sperimentare l’importanza dell’inclusione e non vorrei che, finito questo periodo, la didattica a distanza diventi un pretesto per lasciare a casa gli alunni con disabilità. In questo periodo di sospensione scolastica, di chiusura dei centri diurni, di scarsa assistenza domiciliare emergono la forza, ma anche l’esasperazione, di tante madri che si sentono lasciate sole a gestire i figli con disabilità complesse. È fondamentale che tutta la società non abbandoni chi necessita di maggior aiuto. Una “buona Scuola” è la base di una società più giusta, che non lascia indietro nessuno. Spero coglieremo l’opportunità di questo tragico momento per creare una società nuova e più attenta ai bisogni di tutti.

Sono Zoe Rondini, autrice del romanzo autobiografico “Nata viva” dal quale è stato tratto l’omonimo cortometraggio ed anche autrice, pedagogista e blogger.
Grazie a Nata Viva, al portale Piccologenio, alle lezioni presso l’Università Lumsa di Roma, a gli interventi nelle scuole, mi impegno nella diffusione della conoscenza del mondo della disabilità e nella promozione dei diritti dei disabili.
Tutte le mie attività hanno in comune la voglia di essere utile agli altri e il desiderio di partecipare ad un cambiamento culturale che tenga conto delle diversità, delle peculiarità e dei diritti di ogni individuo. Il messaggio delle mie narrazioni è che anche con un handicap si può condurre una vita normale, piena di sfide e di soddisfazioni.

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Quarantena: la buona occasione per sviluppare empatia verso le persone con disabilità

 

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Quarantena: la buona occasione per sviluppare empatia verso le persone con disabilità

«Adesso è indispensabile che si rafforzi immediatamente l’assistenza domiciliare alle famiglie con disabilità. Poi, quando finalmente ne usciremo, sarebbe auspicabile che tutti fossero diventati migliori, con una maggiore immedesimazione nei confronti delle categorie più deboli, rivedendo con occhi diversi le esigenze e i diritti delle persone con disabilità e in generale di chi ha costantemente la necessità di essere aiutato, curato e sostenuto»

La tragica pandemia che ha colpito gran parte del mondo e l’Italia, sta facendo emergere anche la resilienza e l’inventiva di una moltitudine di persone che rimangono a casa. Il Coronavirus non sta facendo distinzioni.
È tragico apprendere il numero di decessi giornalieri. Spero che gli sforzi sovraumani di tanti medici dia presto un risultato positivo. I ricercatori italiani sono famosi in tutto il mondo, adesso più che mai abbiamo bisogno del loro impegno per arrestare l’infinito numero di contagi e decessi, ci vuole lo sforzo di tutta la comunità per aiutarli e sostenerli.
Forse questo potrebbe essere il momento più adatto per comprendere meglio la condizione di molti cittadini con disabilità e sfatare luoghi comuni ed errate convinzioni. Ogni persona (normodotata e disabile) sta vivendo questo periodo in modo più o meno coinvolgente.
Viverlo da casa è già una fortuna rispetto a chi combatte nelle sale della terapia intensiva che sembrano non bastare mai.
Nell’ambito della disabilità le situazioni sono differenti: c’è chi necessita di aiuto e cure infermieristiche h24, ed è tragico apprendere che queste cure scarseggino ora più che mai, e chi ha problemi più lievi. Anche in presenza di un handicap motorio non grave, spesso ci si ritrova costretti a casa perché varie condizioni lo impongono, e allora si deve trovare la forza e la creatività da soli per riempire le lunghe giornate, mentre gli altri continuano a correre e non hanno tempo per chi è più lento. Adesso tutti o quasi sono chiamati a rallentare, fermarsi, riflettere, attivare il proprio mondo interiore, può essere l’occasione giusta per immedesimarsi e comprendere molteplici situazioni.
Sui social-network e i mass media si cerca di infondere coraggio reciprocamente anche se è ogni giorno più dura, si cerca di intrattenere e intrattenersi, mettendo in campo la propria creatività.

Adesso che forse solo la tecnologia ci tiene in contatto è il momento giusto per riflettere su l’uso consapevole della rete. Ora più che mai ci sentiamo vicini grazie ad internet.  Molti seguono lezioni scolastiche ed universitarie a distanza, ci intratteniamo con con musei visitabili online, con musica, radio, teatro, corsi di ogni tipo.
Molti accusano questa reclusione dovuta al divieto di uscire. Come già accennato, ma è bene sottolinearlo, numerose persone con disabilità vivono la maggior parte del loro tempo costrette a casa senza il pensiero, l’empatia e l’aiuto che si sta muovendo in questo particolare periodo a vari livelli. Ultimamente mi stanno contattando tanti amici e conoscenti per chiedermi come sto vivendo questa quarantena, o per cercare un po’ di compagnia e conforto. Colgo l’occasione per ringraziare ulteriormente chi si è preoccupato e resto vicina a chi si sente solo.
I social-network e il web sono la mia estensione. Grazie all’uso del computer ho scritto il romanzo “Nata Viva” e ho aperto il portale Piccologenio.it, che è una finestra dedicata al mondo della disabilità attraverso la quale riesco ad aiutare insegnanti, disabili e le loro famiglie che mi contattano per chiedermi un consiglio su problematiche che spaziano dalla riabilitazione alla scuola, dai rapporti familiari agli ausili informatici, all’editoria. Ho però preso atto del fatto che le domande più frequenti, e talvolta insistenti, riguardano il tabù e il desiderio più pressante per molti, ovvero come vivere l’amore,  l’erotismo e l’autoerotismo in una condizione di disabilità.
Non sarà di certo la quarantena a spegnere questi desideri, anzi potrebbe capitare che l’isolamento forzato li esasperi ulteriormente. In questo particolare periodo, io e tanti altri stiamo vivendo relazioni fatte di lettere, messaggi, telefonate e video chiamate. Per il bene di tutti è giusto attenersi ai decreti, anche se questi ci fanno stare a distanza o isolati. Adesso è il momento di inventare nuovi modi per stare in contatto, intensificare la cultura, lo studio a distanza e gli aiuti per le categorie deboli. Tutto ciò si sta facendo, ma sono convinta che si possa fare maggiormente, per questo periodo ed in parte per il futuro.

Tornando al tema dell’amore ai tempi del Coronavirus, mi ha molto colpito la foto di Fabrizia e Giovanni, due giovani fidanzati divisi dalla zona arancione che si incontrano al check point lungo la strada che da Ospedaletto Lodigiano porta a Casalpusterlengo. I loro “appuntamenti” rispettano il metro di distanza, sotto gli occhi vigili dei carabinieri. I due giovano aspettano il momento nel quale si abbracceranno nuovamente. Prendiamo esempio da chi, in vari modi, si sta impegnando per fare la sua parte anche se ciò comporta dei piccoli o grandi sacrifici.

Quanto a me e, a molte altre persone con disabilità, è molto probabile che nelle nostre vite abbiamo avuto più occasioni, paragonate ai “normodotati”, di passare lunghi periodi a casa per problemi di salute o, forse ancor peggio, per fattori esterni che ci hanno impedito di uscire, come la presenza di barriere architettoniche o l’assenza di un’assistenza sulla quale poter contare.

Rispetto al periodo che stiamo vivendo ci sono notevoli differenze. In primo luogo, il fatto che l’isolamento riguardi tutti, senza distinzioni, (o quasi, purtroppo ci sono ancora gli anarchici e gli spavaldi runner improvvisati) sembra rendere tale condizione più sopportabile. Sarebbe auspicabile che le restrizioni e questo “esperimento sociale” ci rendano migliori, per avere  una maggiore immedesimazione della società dei confronti delle categorie più deboli e che, una volta riconquistata la libertà di uscire, ognuno inviti per una passeggiata o una cena fuori anche il proprio amico con disabilità. D’altro canto, in presenza di un handicap più grave e complesso, è indispensabile che immediatamente si rafforzi l’assistenza domiciliare per non far sentire sole e abbandonate le famiglie.
Questa è la mia prima quarantena “creativa e solidale”: a casa siamo in tre, mi diletto tra creatività culinaria, social-network, videochiamate, ginnastica in balcone e l’immancabile scrittura. Spero che impareremo da questo periodo portandoci dietro le cose positive che ci stanno unendo tutti.

Quando finalmente ne usciremo  spero che saremo migliori, allora sì che ci abbracceremo tutti e mi auspico che rivedremo con occhi diversi le esigenze e i diritti di chi va costantemente aiutato, curato e sostenuto.

Video messaggio #RestateACasa:

Nota biografica:

Sono Zoe Rondini, autrice del romanzo autobiografico “Nata viva” dal quale è stato tratto l’omonimo cortometraggio ed anche autrice, pedagogista e blogger.
Grazie a Nata Viva, al portale Piccologenio, alle lezioni presso l’Università Lumsa di Roma, a gli interventi nelle scuole, mi impegno nella diffusione della conoscenza del mondo della disabilità e nella promozione dei diritti dei disabili.
Tutte le mie attività hanno in comune la voglia di essere utile agli altri e il desiderio di partecipare ad un cambiamento culturale che tenga conto delle diversità, delle peculiarità e dei diritti di ogni individuo. Il messaggio delle mie narrazioni è che anche con un handicap si può condurre una vita normale, piena di sfide e di soddisfazioni.

Articolo pubblicato anche su Superando, Ubiminor e DisabiliDoc

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Zoe a Radio Freccia Azzurra

Intervista ad Antonio Giuseppe Malafarina

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RaccontAbili: i primi passi

RaccontAbili, oltre ad un saggio, vuole essere un progetto di narrazione.

Ogni lettore lettrice, è invitato a inviarmi le impressioni (in forma scritta, foto o video), per raccontarmi così un po’ di lui o di lei.

Vi sono molto riconoscente per l’entusiasmo e il desiderio che mi state trasmettendo.

Sono felice di poter pubblicare di seguito le foto più significative legate a “RaccontAbili” e “Nata viva”; nonché i messaggi e videomessaggi di alcuni RaccontAbili che stanno nel saggio, ma anche di chi si è aggiunto e di chi si aggiungerà.

Non mancano le mail affettuose del mio professore di pedagogia e la mia professoressa di psicologia della Sapienza, due grandi RaccontAbili che si sono fatti coinvolgere in tanti miei progetti. Aspetto altri contributi e  spero che si apriranno presto  altre presentazioni online, progetti e reading virtuali…  con chi mi conosce ma soprattutto con e per nuovi amici!

““Cara MARZIA ho letto con interesse il tuo libro. Hai affrontato un argomento difficile da trattare con intelligenza. Hai messo in evidenza difficoltà che spesso i “normali” sottovalutano e lo hai fatto con delicatezza e determinazione. BRAVA. Nonno Adriano lo avrebbe apprezzato molto. Un abbraccio S. M.” Un amico di famiglia
Roma 11 aprile 2021

“Cara Zoe,

oggi ho ricevuto copia del tuo libro, ho cominciato a leggere. Davvero bello e stimolante, il confronto tra esperienze e vite diverse, con sentimenti valori, e punti di vista simili tra loro.
Felice di aver contribuito anch’io in qualche modo.
Grazie di cuore per il tuo impegno e il tuo entusiasmo sempre contagioso. Un abbraccio, spero di rivederti presto e avanti tutta, sempre e comunque.
Con sincero affetto e profonda stima”. Uno dei  giornalisti intervistato nel saggio.
12 dicembre 2020

“Ciao dolcissima Marzia/Zoe,
ho finito di leggere il tuo libro. Davvero pregevole, utile, interessante. Sono direttamente o se vuoi indirettamente interessato. Tanti particolari sono pertanto stati per me fonte di riflessioni e anche di idee. Sei forte, coraggiosa, intrepida. Bravissima. Non fermarti mai. Fai uscire fuori tutto quello che hai dentro, con trasparenza, con spontaneità.
Sei e sarai un punto di riferimento per molti. (…)Ti confesso che mi sono emozionato e commosso. Complimenti davvero! Augurissimi per un gioioso e luminoso Natale e …ad majora.” Una persona citata in un articolo del saggio.
22 dicembre 2020

“Ho finito il tuo ultimo libro. Lo consiglio a tutti perchè la mia amica rovescia il punto di vista e fa parlare finalmente i disabili delle loro problematiche ma non solo. Parlano anche le loro famiglie, gli amici e gli addetti ai lavori. Ti conosco da un po’ di anni ormai e potrei sembrare di parte se dicessi che è un libro bellissimo, ben raccontato e che prova a sconfiggere tanti tabù che ancora esistono sul mondo della disabilità (una su tutte la sessualità a cui tu dedichi una parte corposa). Acquistate il libro “RaccontAbili” perchè con la lettura e la riflessione spero si possano abbattere queste barriere. Ti voglio bene ma questo già lo sai, hai tanta forza d’animo nel lottare anche per i miei diritti, io non lo faccio non perchè non mi interessi lottare per questi, ma perchè non sono portato per indole caratteriale. Seguo però con grande piacere chi lo fa e lo sostengo volentieri. Grazie di cuore a te ma anche a Daria Castrini, Enrico Arata, Matteo Frasca e agli altri Raccontabili”.
Fulvio
Roma, 7 febbraio 2020

“Cara Zoe,

“RaccontAbili” è un libro molto utile, che ha la bellezza delle cose vere, la bontà delle cose giuste… Ritrovarmi nelle sue pagine con quella tua intervista di tanto tempo fa,  ed accanto ad Adriano Bompiani, mi  ha fatto ricordare tutto il tempo del nostro lavoro alla Sapienza, le tue visite nel mio studio, le lunghe conversazioni con te e i tuoi nonni  il “nostro”  Matteo Frasca… Il futuro che progettavi allora e  che adesso ce lo troviamo davanti  al passato, alla ricerca di un altro obiettivo da raggiungere… Aspetto la tua prossima opera  Zoe.

Un caro abbraccio,                               N. S. de C.”

“Cara Marzia,

il Suo libro è arrivato a casa mia già da qualche  giorno.
E’ una edizione molto bella, è gradevole persino  solo sfogliarlo.
Ho cominciato a leggerlo.
In linea di massima mi sembra risponda anche ad una esigenza  generalmente affiorante e certo maggiormente riconosciuta oggi, come il conoscere maggiormente l’esperienza dell’altro (alla Vygotskij, per il quale noi diventiamo noi stessi attraverso l’Altro come Lei certo ricorderà).
Denota anche  la Sua crescita nella scrittura, destinata a divenire esponenziale. Continuerò la lettura e Le riscriverò quello che avrò pensato alla fine della mia consultazione/meditazione.
Nel frattempo auguro a Lei e ai suoi cari Buone feste con tutte le limitazioni pandemiche cui saremo soggetti.

Un abbraccio
Roma 9 dicembre 2020
S.V.”

Un lettore commenta così il saggio polifonico: “E’ importante nella vita porsi grandi obiettivi e sicuramente questo libro se ne pone uno difficilissimo: Raccontare il mondo dei disabili dall’interno. Utilizzando l’intervista riesci a tratteggiare un mondo con la sua enorme varietà di colori, dai colori pastello a quelli accesi, fino ad arrivare ai toni scuri. Ottimo lavoro! Adesso aspetto un Raccontabili 2 la vendetta, per continuare il viaggio tra i colori.
Roma, 15 dicembre 2020”

Una lettrice mi ha scritto:
“Ciao Zoe,
sto leggendo il tuo libro e trovo tanti punti interessanti. Ho curiosato anche sulla tua pagina piccolo genio e vedo che hai fatto e fai tante cose. complimenti.
Credo molto nella divulgazione di conoscenze e esperienze che aiutano tutti a riflettere. Sarebbe importante entrare di più nelle scuole con i nostri racconti, negli ospedali ecc. (…)
Intanto un abbraccio”
Roma 20 gennaio 2021

Di seguito i video di Paolo Restuccia autore radiofonico, scrittore e insegnante di scrittura creativa, Gingiacomo tedeschi, autore e la dottoressa Eleonora Motta, psicoterapeuta e psicosessuologa.

Nel capitolo “Amore, sessualità e disabilità” c’è una sua interessante ed appassionata intervista della Dott.ssa Motta.

Chi desidera acquistare la copia cartacea del libro lo può fare scrivendo a live@erickson.it, andando sul sito Erickson Live ,o contattando direttamente l’autrice Zoe Rondini.

“Nata Viva” è disponibile ai seguenti link:  Socetà Editrice DandeAlghieriLaFeltrinelli,  Amazon e Ibs. L’e-book è disponibile qui

Leggi anche:

Presentazione del saggio RaccontAbili

Presentazione di “Nata viva”, romanzo e cortometraggio

Chi è Zoe Rondini

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Intervista ad Antonio Giuseppe Malafarina

Pubblico con molto piacere il racconto di vita di Antonio Giuseppe Malafarina, giornalista della redazione InVisibili del Corriere.it, autore e poeta.

Si tratta di un’ intervista appassionata che porta con sé  tante riflessioni sui diritti, l’accessibilità, il lavoro, il mondo universitario, il Dopo di Noi, la famiglia, l’amore, il diritto alla salute e molto altro. I passaggi più appassionanti  riguardano la scrittura e l’amore. Ringrazio  Antonio Giuseppe per il suo racconto prezioso ed intenso.

Quest’intervista è stata pubblicata anche su Superando, importante testata con la quale Antonio ed io collaboriamo. 

Ciao Antonio e grazie per la disponibilità a questa intervista. Leggendo la tua storia emerge subito un punto di svolta, un momento a partire dal quale tante cose sono cambiate e hai dovuto imparare a convivere con una disabilità. Come hai vissuto questo passaggio? Quanto tempo ci è voluto per prendere confidenza con la tua nuova vita?

Il punto di svolta è stato il 13 settembre dell’88, ma non è stato un punto di svolta come si potrebbe immaginare.

Era l’ultimo giorno di ferie in Calabria, l’esame della patente di guida superato tranquillamente e un ultimo tuffo con gli amici. In verità venuto maluccio ed ecco che immediatamente mi ritrovo tetraplegico e senza respirare.

Per fortuna c’è un medico che mi aiuta, il classico colpo di fortuna da film.

Mi portano vigile in ospedale e non sanno cosa fare. Dicono che non arrivo a sera. Non bravi a fare previsioni.

I miei fanno di tutto per portarmi a Milano, dove abitiamo, mi risveglio dai sedativi nel cuore della notte di quel giorno giorno nell’allora centro fra i più avanzati per il trattamento acuto delle lesioni spinali in Lombardia, l’ospedale di Legnano.

I miei hanno fatto grandissimi sacrifici per salvarmi la vita. Situazione critica per una quindicina di giorni e poi si stabilizza. Paralizzato in un letto di ospedale, senza per nulla chiaro il mio futuro, prendo atto della condizione e rivendico il mio ruolo sociale.

La mia vita continua, qualcosa farò.

Dunque, non c’è stato, nella mia storia, il dramma dell’impatto con la disabilità. Ne ho preso coscienza e sono andato avanti. L’ho subito considerato come un fatto acquisito ormai ineludibile. Per questo, dal punto di vista caratteriale, non posso parlare di una cesura fra prima e dopo il tuffo.

Anzi, c’è una continuità: io ero lo stesso benché in un’altra condizione.

Dopo 15 mesi di rianimazione, di cui tre in Francia per l’applicazione di un pacemaker diaframmatico per respirare da solo, sono tornato a casa. All’epoca ero una delle poche persone non autosufficienti e con compromissione del respiro a casa in Italia.

Per questo c’è stato bisogno di due genitori straordinari, di grandi amici, di disponibilità sanitaria e di forza di carattere. Non solo mia. Vogliamo metterci anche un po’, un bel po’, di fede in Dio? Aggiungiamola.

Appassionato di meccanica, a seguito dell’incidente, hai esplorato nuove e diverse opportunità, senza precluderti nulla, come racconti tu. Poi l’approdo alla scrittura e alla comunicazione, delle quali riesci a sfruttare tutto il potenziale a servizio di una maggiore conoscenza e consapevolezza sul mondo della disabilità. In che modo, a tuo avviso, è cambiata negli anni la percezione della disabilità e la narrazione di questa?

I giovani danno per scontato che il mondo della disabilità sia fatto come lo trovano ora, cioè che si debba lottare per il rispetto dei diritti.

Bisogna ricordare che trent’anni fa e passa, però, non c’erano nemmeno i diritti. Non si trattava di chiederne il rispetto, si trattava proprio di chiedere che venissero sanciti.

Il divario da allora è enorme.

Le cose continuano a non funzionare bene, ma funzionano meno male di prima. Faccio un esempio. Oggi ti discriminano a scuola, una volta praticamente no. Non tanto perché la gente era migliore, bensì perché a scuola nemmeno ci arrivavi, tante erano le difficoltà da superare. Oggi abbiamo lo sport paralimpico, con campioni che il mondo ci invidia. Fanno persino pubblicità a prodotti che nulla hanno a che fare con la disabilità. Fino ad alcuni anni fa certi marchi disdegnavano essere accostati alla disabilità.

Se le persone con disabilità oggi arrivano sui media vuol dire che qualcosa è cambiato. Vuol dire che, almeno ufficialmente, c’è maggiore livellamento tra persone disabili e non. Poi resta il fatto che la mentalità non si cambia in un giorno, quindi resta ancora molta discriminazione. I media ne parlano, alcune volte ci ricamano. C’è un problema di linguaggio, nei media. Bene che si parli di disabilità e non solo in chiave negativa, ma bisogna trovare il registro giusto. Le persone disabili devono essere trattate obiettivamente. Non siamo solo eroi o sventurati perché siamo disabili. I media devono imparare a usare i toni e il linguaggio giusto. Perché la disabilità, come la politica, lo sport, l’economia e ogni argomento specifico, ha il suo linguaggio.

Ci vuoi raccontare il tuo rapporto con la scrittura? Da dove nasce questa esigenza e vocazione? Come vi siete incontrati?

Per me scrivere è confrontarsi con se stessi ad alta voce. Ogni volta che butti giù una parola e la concateni con le altre per esprimere il tuo pensiero compi un processo che ti mette in relazione profonda con il tuo essere. In questo processo hai l’opportunità di mettere a confronto i tuoi pensieri. E i tuoi pensieri con quelli degli altri.

La mia esigenza espressiva, pertanto, nasce dal desiderio di rapportarmi con me stesso. E di farlo in maniera tanto tangibile da averne una traccia scritta.

Che, poi, quando scrivi e hai le cose davanti ci ragioni meglio.

Non so bene da dove nasca questa esigenza, ma ti posso dire che quando ero in Francia, nel 1989, mi diedero la possibilità di scrivere con un computer. Io, paralizzato, potevo usare un computer per scrivere: non mi sembrava vero. Chiesi di poter scrivere quello che volevo e mi lasciarono fare. Un’ora a settimana, mi pare, nel laboratorio di ergoterapia.

In Italia quasi  non c’erano i computer e lì, in un ospedale, io potevo usarne uno per scrivere.

In tre mesi ho scritto una lettera e un paio di racconti. Con un sistema primitivo, per cui sul monitor scorrevano le lettere dell’alfabeto e io dovevo pigiare un pulsante con la testa quando desideravo battere la lettera che mi interessava. Sembra, ed è, un processo impegnativo. Ma quando sei motivato la fatica si mette da parte.

Ho letto che hai una brillante carriera, ma hai trovato degli ostacoli nel mondo universitario per via della tua disabilità. A tuo avviso, cosa è mancato e cosa si potrebbe migliorare nell’università per andare incontro alle esigenze degli studenti con disabilità?

All’epoca, parliamo della metà degli anni ‘90, in Statale a Milano c’era già un servizio di volontariato che aiutava le persone con disabilità a muoversi in università, a prendere appunti e a sbrigare un mucchio di pratiche. Ragazzi bravissimi.

Non ce l’ho fatta perché non avevo gli strumenti.

Studiare bene voleva dire consultare molti libri, più di quelli richiesti, e non c’erano libri digitali. Dovevo arrangiarmi con uno strumento meccanico che girava malamente le pagine e non gradiva tutti i libri. Oggi la tecnologia aiuta molto le persone con disabilità. Di più può essere fatto nell’ambito del rapporto personale fra università e allievo. Bisogna rendere l’apparato dell’istruzione sempre più flessibile, capace di rispondere alle esigenze del singolo. Se c’è bisogno di interrogare fuori orario lo si faccia. Se una prova scritta richiede che sia adattata in un certo modo lo sia. Inoltre: temo ci siano aule dove le persone con disabilità non possono entrare per questioni di barriere e l’abbattimento si scontra con il valore artistico dell’aula, che non può essere toccata poiché bene di interesse culturale. Ecco, facciamo in modo che le persone con disabilità non debbano mai rinunciare a frequentare luoghi prestigiosi per via delle barriere. Rispetto per le barriere, ci sono luoghi che probabilmente non saranno mai accessibili, ma se quel luogo non è accessibile se ne trovi un altro di pari dignità da mettere a disposizione accessibilmente. Se non esiste si conferisca prestigio a un ambiente accessibile.

Attraverso la tua attività e le tue parole promuovi l’importanza del vivere dignitosamente. A tal proposito, mi viene in mente l’appello di molti genitori al fine di realizzare un programma concreto per il “Dopo di Noi” e migliorarne la legge. La paura più ricorrente è che i figli, raggiunta l’età adulta, finiscano in istituti mal gestiti. Perché, in molti casi, è così complicato avere una prospettiva di vita soddisfacente? Cosa si potrebbe cambiare per migliorare la qualità della vita di molte famiglie nel “Durante Noi” e nel “Dopo di Noi”?

Sulla carta la situazione è semplice: guardi alle esigenze di una persona con disabilità, vedi quello che fa la famiglia e, affetti a parte, crei un apparato che sostituisca la famiglia. Costoso, certo, ma questa è la soluzione. Pare giusto che le famiglie, pur con tutto l’amore che ci mettono, debbano fare qualcosa che spetterebbe allo Stato fare? Perché le famiglie sono obbligate a prendersi cura della persona? Lo Stato se ne approfitta.

Detto questo, non mi piacciono le politiche sul dopo di noi che sono state adottate perché, quando i miei non ci saranno più, ma anche ora che sono anziani, io avrò enormi difficoltà. Non ho la certezza che potrò continuare a vivere nella mia casa, adeguatamente assistito, pur provvedendo io stesso alle spese per la casa, l’alimentazione, l’abbigliamento e via dicendo.

Abbiamo risolto la questione del dopo di noi? No. Abbiamo creato un sistema che favorisce certe pratiche, come la coabitazione, ma non è questa la risposta giusta alla domanda. Mi duole che ci siano tante famiglie che fanno una fatica terribile a mettere da parte qualche spicciolo per quando i loro figli rimarranno soli e questi spiccioli siano considerati ricchezza.

Se metti qualche cosa da parte lo Stato ti considera ricco, non vede che quel patrimonio serve a rispondere all’esigenza di sopravvivenza cui lo Stato stesso non risponderà quando la persona resterà da sola. Così ti beffa due volte: una perché al momento del bisogno non ti dà quello che ti serve e due perché mentre ci sono i tuoi considera ricchezza il tuo patrimonio, e te lo tassa o ti toglie servizi. Le politiche sul dopo di noi, per esempio, non potevano detassare i patrimoni delle famiglie di persone con disabilità gravissima? Non si poteva fare in modo che il patrimonio non venisse considerato ricchezza ma cumulo per sussistenza? Mi sembra elementare. Non è stato fatto.

Prima che diventassi giornalista, nel 2007 è uscito il tuo libo: “Intervista col disabile”, scritto con la giornalista Minnie Luongo, edizioni Franco Angeli e ti sei dedicato alla poesia con il testo “Poesia” edito da Rayuela edizioni. Qual’è la forma di scrittura che più prediligi e perché?

Il mio primo amore è la prosa. Sono approdato alla poesia per caso: un concorso in una parrocchia vicino casa, non ricordo neppure perché, mi aveva interessato.

Passo molto tempo a scrivere in prosa come giornalista e scrivo versi di quando in quando. Non mi ritengo un poeta e di me dico che non scrivo poesie, faccio solo versacci. Trovo che fra scrittura in versi e scrittura in stile giornalistico vi sia molto in comune: entrambi i metodi richiedono sintesi e compiutezza di parole. Quindi salto dalla prosa alla poesia con discreta disinvoltura.

Quali ritieni che siano le qualità del tuo carattere, le competenze e le persone che ti hanno maggiormente aiutato nel percorso di crescita personale e professionale? Vuoi dare un consiglio a chi ti vede come un modello da seguire?

So di essere una persona coerente e questo, alle volte, diventa un difetto. Non sono zelante, però mi piace che le persone siano rispondenti nel loro agire a quello che dicono. Quando non lo fanno mi indignano o deludono. Nell’essere coerenti bisogna tenere conto che si possa anche essere incoerenti qualche volta, perché la coerenza concepisce di poter cambiare punto di vista.

Ad ogni modo la coerenza diventa un’arma a doppio taglio perché le persone coerenti qualche volta non vengono ben viste. Detto questo, sono stato aiutato da moltissimi e sono a tutti riconoscente. Cerco di aiutare perché credo nella potenza del fare rete. Credo nella comunità. Non penso di essere un modello da seguire, anche se ti ringrazio per averlo pensato. Essere un modello vuol dire assumersi delle responsabilità. Io me ne assumo comunque. Perché per stare al mondo devi assumerti delle responsabilità.

Da adolescente mi sono assunto quella di essere me stesso. Facile a dirsi, perché se uno ha dentro un sé malvagio non è bello che sia semplicemente se stesso. Quindi mi sono impegnato e mi impegno per essere un me stesso migliore. Cerco di trarre il massimo dei buoni valori della società per acquisirli e a mia volta diffonderli. Pertanto dico alle persone di non cercare di essere altri da sé, bensì di migliorare il proprio sé affinché sia il più utile possibile al benessere di tutti.

Hai dichiarato che credi nella collettività, nella capacità delle persone, nella bellezza e in Dio. Hai scelto cose non da poco! Vorresti raccontare come questi elementi si declinano nella tua vita?

Si declinano con il mio essere. Cerco una bellezza interiore che si nutre di quella intorno e, certamente, non è solo estetica. Non mi nutro della mia bellezza, bensì di quella che trovo negli altri e che non si ferma all’apparenza.

La collettività ha il suo aspetto affascinante nell’essere sistema dove si opera solidalmente per andare avanti tutti insieme, almeno nell’ideale. Le persone mi conquistano quando fanno qualcosa di bello, e basta poco, alle volte basta un’occhiata.

Dio è un’entità che mi ha catturato molti anni fa e che vivo con senso critico, benché in una certa parte insondabile, altrimenti non sarebbe fede. Riassumendo, perciò, credo nell’universo, che è capace di meravigliarmi. Credo nella meraviglia.

Oggi si fa più attenzione al politically correct. Quali sono i termini che ritieni più opportuni legati al giornalismo sociale? A tuo avviso qual è il rapporto tra la terminologia e la realtà quotidiana?

Il linguaggio sbagliato è figlio di ignoranza e l’ignoranza indica un malessere. Nell’ignoranza si può essere vittime degli altri e dall’ignoranza si può uscire.

Dico che il linguaggio è figlio dell’ignoranza perché il linguaggio sbagliato proviene o dalla non conoscenza dei codici o dalla volontà di sopprimere qualcuno. I totalitarismi usano linguaggi sbagliati, cioè giusti ai loro occhi ma inappropriati verso la dignità umana, e qui sta l’ignoranza dell’oppressore, nell’ignorare con la sua sopraffazione i diritti altrui, ecco perché ritengo ignorante chi deliberatamente usa il linguaggio sbagliato.

L’ignoranza va combattuta, superata, che sia veniale o intenzionale. Secondo me oggi assistiamo a un imbruttimento della terminologia. Usiamo un limitato numero di parole, per colorire i discorsi ricorriamo alle parolacce e appena possiamo demandiamo a concetti precompilati, come i disegnini. L’impoverimento sembra figlio di un generale depauperamento di pensiero, senz’altro di una pigrizia che non giova. Il rischio è che l’impoverimento del linguaggio impoverisca il pensiero, perché se eviti lo sforzo di esprimerti in una certa maniera finisce che poi ti esprimi per luoghi comuni. Quanto ai termini del sociale vorrei parlare di termini della disabilità, che più mi competono. Ma il discorso è lungo perché il lessico della disabilità è fatto di poche ma decisive regole che vanno esaurite in apposita sede. Dico solo che dobbiamo capire che la disabilità sta nel rapporto fra persona con la sua condizione di salute e ambiente circostante e che questo non lo dico io ma l’Organizzazione mondiale della sanità attraverso l’Icf, ovvero la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute.

La redazione degli InVisibili del Corriere.it, dall’esterno appare un progetto davvero vincente, in grado di integrare professionisti con disabilità e non, restituendo alla società spunti di riflessione arricchiti dai diversi vissuti di ciascun giornalista. Come siete arrivati alla realizzazione di questo progetto? C’è qualcosa nel vostro team chi si potrebbe replicare in altre realtà?  

Tutto è nato molti anni fa, grazie all’intuizione di Alessandro Cannavò e Simone Fanti sostenuti dal Corriere della sera, per cui lavoravano. Senza l’apporto e la fiducia del giornale, il blog non sarebbe esistito.

Subito arrivarono Franco Bomprezzi, il più grande giornalista sulla disabilità del nostro Paese, e Claudio Arrigoni, straordinaria firma dello sport non solo paralimpico. Si voleva dare spazio alle questioni della disabilità in maniera autorevole ma non autoreferenziale. È nata una redazione dedicata alla disabilità decisa ad affrontare il tema in maniera professionale, senza fronzoli e pietismi.

Noi pensiamo che il nostro team debba essere assolutamente replicato, soprattutto nel campo della disabilità. Ci vogliono preparazione sui temi della disabilità, attenzione al linguaggio, rispetto per le persone e capacità di fare squadra.

In un tuo recente articolo ti sei occupato della sottotitolazione dei video pornografici su una nota piattaforma web, a seguito del ricorso di un utente negli Stati Uniti che, a causa della sua sordità, lamentava di non poter fruire al 100% dei contenuti offerti. Ho trovato interessante la tua riflessione sull’accessibilità del sito anche per le persone disabili e da qui deriva la mia curiosità di conoscere la tua opinione in merito alla sessualità delle persone con disabilità e alla figura dell’assistente sessuale. Sappiamo che questa figura in Italia non ha ancora un riconoscimento professionale, credi che sarebbe un supporto utile per i diretti interessati e per loro famiglie?

Partiamo da una considerazione: le persone con disabilità sono sessuate. Hanno, quindi, una loro naturale sessualità, benché nell’ideale delle persone ne abbiano al pari degli angeli.

Se non si considera un aspetto di una persona ci si priva della possibilità di percepirla pienamente.

È noto che la mentalità da superare è quella che considera la persona in carrozzina la sua disabilità, cioè che di una persona con disabilità si veda solo la disabilità. In quest’ottica bisogna oltrepassare la mentalità della non partecipazione affettiva e sessuale della persona disabile alla società.

Bisogna comprendere che la persona disabile è e resta una persona. In quanto persona, pertanto, non solo ha pari dignità ma ha medesime caratteristiche umane, proprio perché umana. Tali caratteristiche possono essere condizionate dalla disabilità, ma ne sono preesistenti. Potremmo dire esistenti a priori.

Venendo al dunque è ingiusto negare la sessualità delle persone disabili, proprio perché insita nell’essere umano.

Bisogna naturalmente considerare che ogni persona è a sé, quindi ognuno vive e manifesta la propria sessualità a modo suo. E ci sono disabilità che compromettono il pieno esercizio della sessualità. Ma è il concetto di sessualità che deve essere riconsiderato, abbracciando quello dell’affettività. In soldoni, se ognuno ha una sua sessualità bisogna fare in modo che questa venga considerata e che non diventi un ulteriore ostacolo per la persona.

Non esiste un diritto all’amore, ma esiste un diritto alla salute e un buon rapporto con il proprio corpo dal punto di vista sessuale ricade nel diritto alla salute. Ciò detto, la società impari che anche le persone con disabilità hanno una sessualità e un’affettività. Tenga presente che un buon rapporto di questo tipo si gioca attorno a quella che io chiamo complicità, una caratteristica che non può non mancare anche fra persone non disabili.

Creata complicità fra persone, la sessualità e l’affettività si manifestano anche solo attraverso lo sfioramento di due dita.

Sull’assistente sessuale dico che innanzitutto bisogna formare la società affinché si creino i presupposti per non negare a priori relazioni con persone disabili. Quindi aggiungo che è necessario che la sanità si occupi anche della sfera sessuale, come peraltro ha iniziato a fare da alcuni anni.

L’assistente sessuale può fornire risposta in alcuni casi purché si tratti di un professionista con competenze multidisciplinari in grado di aiutare la persona a considerare la propria sessualità nella propria interezza. Interezza che si compone di fisico e psiche. Di pulsioni ed emozioni.

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Donne contro le “discriminazioni multiple”, un dibattito urgente

Il 22 maggio 2019, presso la Sala Conferenze Palazzo Theodoli Bianchelli, in piazza Colonna a Roma, si è tenuta la conferenza: “Donne con disabilità. La doppia discriminazione”.
A discutere delle discriminazioni multiple sono state le deputate del Partito Democratico Lisa Noja e Maria Elena Boschi insieme ad esponenti del mondo dell’associazionismo, della ricerca e dell’università molto attivi nel combattere le varie barriere e discriminazioni che una persona con disabilità può incontrare.
Dichiara la Noja: “quello di oggi è un tema di cui si discute ancora troppo poco nel nostro paese, nonostante migliaia di donne e ragazze con disabilità, vivano varie forme di discriminazione in ogni aspetto della loro vita. Nel mondo del lavoro si registra un tasso di inoccupazione delle donne con disabilità del 45% contro il 35% degli uomini. Anche nell’accesso al diritto alla salute si riscontra una discriminazione: i tassi di tumore al seno sono infatti molto più elevati tra le donne con disabilità a causa della mancanza di apparecchiature di screening e diagnosi adeguate. Infine, nella vita intima, dove le donne con disabilità hanno una probabilità di subire violenza da 2 a 5 volte superiore rispetto alle altre donne”.
Di fronte ad un fenomeno che colpisce le donne di varie culture nel nostro paese e non solo, non si possono rimandare i dibattiti e le prese in carico.
“La cosa più urgente- spiega ancora l’Onorevole Noja- è portare in Parlamento il dibattito su questo tema. Credo che su questo si possa trovare una trasversalità- aggiunge- e ciò sia fondamentale perché sarebbe un messaggio a tutte le ragazzine e le donne con disabilità che si sentono spesso negate anche nello stesso diritto alla loro femminilità: troppo spesso le donne con disabilità sono sminuite, come se non fossero attraenti. Molte volte ciò le fa essere più vulnerabili. Anche la non indipendenza economica, la poca istruzione, le difficoltà a muoversi e quindi a scappare, le rendono soggetti più a rischio”.
Nel corso dell’evento si è parlato anche di discriminazione “non diretta” ma che colpisce la persona con disabilità penalizzando chi se ne prende cura. Le donne che accudiscono un famigliare disabile corrono il rischio di essere discriminate: al lavoro spesso non vengono sostenute e in molti casi rimangono sole, poiché i componenti maschili del nucleo familiare si allontanano.
I dati ci mostrano l’entità delle discriminazioni multiple. Secondo un questionario online proposto dalla Fish-Federazione italiana per il Superamento dell’Handicap e Differenza Donna, è emerso che 153 delle 476 donne con disabilità tra i 16 e gli 81 anni del campione ha subito violenza, per una percentuale pari al 32%. “Se poi si considerano le risposte affermative che le donne hanno dato alle singole e specifiche forme di violenza (fisica, psicologica, molestie sessuali, isolamento, appropriazione di denaro, ndr) – precisa Silvia Cutrera, vicepresidente di Fish – hanno risposto in maniera affermativa 314 donne, il 66%, cioè il doppio”.
Ad arricchire il confronto è intervenuta Rosalba Taddeini, psicologa dell’associazione Differenza Donna che nel suo intervento ha riportato la storia di una donna ipovedente vittima dall’età di 8 anni degli abusi paterni, da cui sono nati tre figli, poi allontanati. La donna ha vissuto per anni segregata dalla famiglia. “Questo è il caso di una discriminazione che non è doppia, ma multipla, dove la donna ha scontato il suo essere persona con disabilità, nata al Sud, in un contesto familiare con grosse difficoltà socio-economiche. Per aiutare queste vittime nasce l’Osservatorio sulla violenza contro le donne con disabilità, che è uno strumento di monitoraggio, rilevazione e ricerca sul fenomeno, a partire dai dati su quelle accolte e ospitate da centri antiviolenza e case rifugio dell’associazione (98 dalla metà del 2014 ad oggi).”L’unico modo per aiutare queste donne, vittime di abusi, è quello di offrire loro dei luoghi sicuri, lontani dai loro aguzzini, dove viene dato loro un rifugio e vengono ascoltate e sostenute.
A livello europeo le donne che subiscono violenza e sono anche disabili sono cinque volte più numerose delle donne che non hanno nessun fattore di vulnerabilità aggiuntivo. Sul tema si riscontra maggiore attenzione rispetto all’Italia: lo scorso 29 novembre infatti il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione sulla situazione delle donne con disabilità, ma molto si può ancora fare per garantire più uguaglianza. In tal senso la politica, le associazioni, la cultura e la ricerca universitaria sono i maggior promotori di un importante cambiamento sociale e culturale.
A conclusione dell’incontro le deputate promotrici dell’evento hanno annunciato che sarà presentata in tempi brevi, molto probabilmente prima dell’estate, una mozione promossa sulla doppia discriminazione subita dalle donne con disabilità, al fine di orientare la discussione parlamentare su questa tematica ed impegnare il Governo ad intervenire.

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La Cantastorie Zoe, spettacolo tratto dal romanzo “Nata Viva”

 

Dal romanzo Nata viva è stato tratto lo spettacolo teatrale La Cantastorie Zoe. Scritto ed interpretato da Marzia Castiglione (in arte Zoe Rondini)  e Matteo Frasca, regia di Tiziana Scrocca.

Sinossi

Tutti i dottori si affrettano a rianimarmi, ma rimango 5 minuti senza respirare. Si tratta solo di 5 minuti, ma sono i primi minuti della mia vita“. Inizia così lo spettacolo: Zoe ci racconta la sua nascita, una nascita diversa, perchè lei non piange come tutti i bambini, lei non respira nemmeno. Appena nata resta 5 minuti in apnea, e quei 5 minuti senza fiato sono un tempo infinito, dilatato, in sospensione tra la vita e la morte ma con la possibilità di scegliere se vivere o no, e noi attraversiamo con lei quei primi 5 minuti, in cui scorre tutta la vita che vivrà… Una vita che sceglie di vivere! “La Cantastorie Zoe“ è tratto dal libro “Nata viva“, é la storia vera di Marzia, una ragazza disabile che con forza, coraggio e vitalità ci racconta la sua vita. Una vita fatta di lotte, conquiste, frustrazioni, gioie e sogni… Come tutti forse… Ma con una disabilità che tutti i giorni ti mette difronte ai tuoi limiti. Eppure Marzia, in arte Zoe, con ostinazione e con fantasia racconta come si sceglie di nascere vivi, di come, per nascere veramente, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo ancora.

Un grazie speciale alla professionalità ed alla sensibilità di Maurizio Panicucci che ha realizzato l’intervista per Rete Valdera.

Lo spettacolo è stato trasmesso da Radio Onda Rossa, lo potete ascoltare al link: La Cantastorie Zoe 

Foto di Daria Castrini, fatte al Teatro Era di Pontedera il 10 febbraio 2019, nell’ambito del contest “Attori Di-versi”. Le repliche precedenti sono andate in scena a Roma nel 2012 presso i teatri Abarico e Arvalia.

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