Il corpo dell’amore, quattro racconti coraggiosi contro i pregiudizi

L’amore e la sessualità delle persone con disabilità portano spesso con sè dei molteplici tabù, un carico di timori e curiosità dei diretti interessati, ma anche di chi si trova coinvolto.
Per fortuna negli ultimi anni se ne parla di più: si cerca di andare verso un lento ma progressivo cambiamento culturale. In quest’ottica ho molto apprezzando “Il corpo dell’amore”, un programma coraggioso, completo e complesso, che è andato in onda su Rai 3,  la regia è stata di Pietro Balla e Monica Repetto, prodotto da Deriva Film, con la voce narrante di Enrica Bonaccorti.
In ogni puntata de “Il corpo dell’amore” si racconta una vita, la ricerca dell’amore, dell’affettività e la voglia di scoprire la sessualità.

È un viaggio per l’Italia, ma è anche un viaggio dentro la disabilità, entrando nelle vite di famigliari, amici ed assistenti. Sono state scelte quattro storie emblematiche che aiutano a capire la disabilità anche a chi non la vive.

Le narrazioni sono quelle di una madre con figlio con la sindrome di Williams, quella di un’attivista omosessuale disabile, c’è la storia di una giovane donna su sedia a rotelle dalla nascita, ed infine il racconto di un’aspirante assistente sessuale.
I piccoli film sono emozionanti, forti ed autentici.

Capitolo I Patrizia. L’ombra della madre

Il primo episodio ha fatto entrare lo spettatore nel mondo di Patrizia, madre di un ragazzo con sindrome di Williams che vorrebbe fare un’esperienza sessuale con una donna. Per questo la madre si rivolge anche ad una prostituta; la disponibilità di quest’ultima far fare un’esperienza al ragazzo è narrata in un’ottica positiva e di aiuto. La puntata non ci svela come andrà a finire; ma apre anche delle finestre sul tema della prostituzione che non viene affrontato nella sua complessità e del desiderio di amare del figlio della protagonista.

Capitolo II Giuseppe: Todos Santos

Il secondo film dal titolo: “Giuseppe: Todos Santos” affronta un tema ancora più complesso, quello di una persona disabile ed omosessuale. Giuseppe Varchetta  è un giovane attivista omosessuale e disabile che vive a Bologna, ma è originario di Napoli dove torna per partecipare al Gay Pride. La puntata ci mostra perfettamente come accettarsi per Giuseppe, non sia stato facile, anche perché a non accettare i disabili per di più omosessuali, molto spesso sono gli altri.

Capitolo III Valentina. La settimana enigmistica

Il viaggio del programma continua facendoci entrare nella vita di Valentina Tomirotti. La trentaseienne, personaggio pubblico su web, nota per via del suo modo estroverso di affrontare la vita, ha dichiarato in più occasioni di avere una sessualità disinibita, per questo è un esempio positivo.
La displasia diastrofica -è questo il nome del problema della ragazza, causata proprio dalla mancanza di una proteina- è una malattia che rende gli arti più piccoli del normale. Nonostante ciò lavora, progetta di vivere da sola, ha molti amici e non le sono mancate le esperienze sessuali.
La puntata  racconta la vita della blogger quando “transita” l’attore Carlo. I due mettono in atto una sfida coraggiosa: raccontare l’incontro tra corpi diversi, per rivelare la consuetudine di un’intensità che non deve conoscere barriere per nessuno.
L’elemento potente della protagonista è il suo carattere forte e spigliato che trasmette tutto il suo essere adulta anche se dichiara di vivere sempre con l’ombra di qualcuno. Lei racconta di essere sia una figlia modello, che una ragazza come tutte che vive le sue storie tra “mille casini”.

I genitori e gli amici le fanno capire che è meglio lasciar perdere Carlo, ma la bella principessa eternamente seduta, andrà fino in fondo e vivrà tutta la dolcezza che c’è nel fare l’amore perché a volte si scopre di essere simili tra diversi.
Il messaggio della puntata è chiaro: l’importante delle persone non è tanto il corpo, bensì cosa pensano e le loro affinità; per citare le parole della giovane blogger: “ci sono le stesse voglie con diversi punti di vista: il mio da seduta, come pochi, il suo da in piedi come molti.”

Dopo l’intensità  con Carlo la vita di Valentina riprende tra la scuola guida e gli amici, il piccolo film ci porta, ancora una volta di fronte ad una ragazza che analizza le situazioni in tutte le loro sfumature e quindi decide con maggior consapevolezza e coraggio.

Capitolo IV Anna la prima prova

La quarta ed ultima puntata affronta l’attuale tema dell’assistente sessuale.

È la storia di Anna, 45 anni, massaggiatrice olistica abituata alla spiritualità del massaggio  e a donare con questa pratica benessere psicofisico. Ho trovato interessante che è stata scelta proprio una massaggiatrice olistica: è stata una mia intuizione quando nel 2006  ho scritto, il mio primo articolo sui benefici dei massaggi tantrici dal titolo: Il piacere magico del massaggio tantrico.

La puntata racconta le vite e l’incontro tra Anna e Matteo, l’uomo ha una paralisi parziale dei muscoli di braccia e gambe, alla soglia dei 40 anni sogna il matrimonio pur non avendo avuto una relazione con una donna.

Anna è stata scelta dai promotori del comitato lovegiver come prima tirocinante dopo il corso per diventare assistente all’emotività, all’affettività ed alla sessualità delle persone disabili. In questo esperimento è supportata dal professor Fabrizio Quattrini, vice presidente della lovegiver psicologo, psicoterapeuta e sessuologo.

Matteo è determinato nella ricerca dell’indipendenza e nello sperimentare una sessualità che non sia solo autoerotica, per questo partecipa al tirocinio di Anna.

Il film spiega bene la relazione tra Anna e Matteo, tra tentativi ed errori. L’assistente mette in luce le aspettative di Matteo che dice “noi abbiamo diritto come gli altri”. Anna rende esplicito il fatto che l’operatrice OEAS non può avere un rapporto completo e che è li per aiutarlo a scoprire il proprio corpo e i propri desideri; così a poco a poco, Matteo vivrà l’autoerotismo e il contatto con il corpo di Anna senza paura.

Matteo si sentirà finalmente uomo, libero da quel malessere che con gli altri non è riuscito a superare.

Tutte le storie fanno riflettere sui bisogni delle persone con disabilità quando diventano adulte. Si parla tanto del Dopo di noi, ma mancano le leggi o andrebbero aggiornate. Essere un adulto consapevole implica anche una crescita affettiva, amorosa e sessuale.

“Vorrei che la politica non si divida su questo tema perché non ci sono colori politici che tengano. C’è solo il colore dell’amore. Le persone con disabilità non sono un mondo a parte ma fanno parte del mondo. Il principio, a livello giuridico, di vivere la propria sessualità deve valere per tutti, anche per i disabili. Nel nostro paese c’è ancora un problema culturale da superare. La politica deve cercare di abbattere le barriere perché i tabù non portano da nessuna parte”. Ha dichiarato il Sottosegretario Zoccano. Intanto, però, ad abbattere il tabù è stato il piccolo schermo.

Speriamo che il viaggio del programma non si fermi ad un’unica stagione dato anche il successo che ha avuto. Il coraggio degli autori nell’entrare con delicatezza nelle storie e nell’intimità delle persone è stato apprezzato e premiato da molti, mi auguro che i programmi, i dibattiti aprano nuove strade come si è già fatto in molti paesi. E’ una prospettiva auspicabile e condivisa da molti.

Mi piacerebbe partecipare a programmi, film e progetti sull’amore, la sessualità e l’affettività delle persone con disabilità. In caso scrivetemi in privato sulla pagina Zoe Rondini, grazie.

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Il senso del pudore e l’essere genitore all’epoca dei social

Il modo di dire “dove non c’è pudore non c’è vergogna” significa che in assenza del primo non può certo esistere la seconda. Sono due aspetti di un individuo diversi tra loro, ma che spesso si tende a considerare come coincidenti. Tuttavia, la loro affinità è individuabile nell’etimologia del sostantivo “pudore”, dal latino pudororis, der. di pudere, che significa “sentir vergogna”. A mio avviso, il senso del pudore non impone una condizione di profondo disagio che invece è parte imprescindibile di un sentimento di vergogna.

Cos’è il senso del pudore oggi? Qual è il confine fra pudore e ipocrisia? Pudore significa rispetto dell’altro e di se stessi? Spesso, nel caso dei disabili, un falso senso del pudore porta a imporre dei tabù, altre volte invece il disabile è costretto a rendere manifesto e a condividere il racconto della propria intimità.

Cosa fare in questi casi? Troppo spesso il disabile è indotto a descrivere tutti gli aspetti della sua quotidianità a persone, talvolta sempre le stesse, che lo assistono e che vengono erroneamente scambiate per amiche. Pertanto, risulta difficile far comprendere che certe cose devono rimanere riservate e che continuano ad esistere anche quando non condivise su Facebook. Tuttavia, un genitore dovrebbe sì far riflettere il proprio figlio sui rischi che comporta un’eccessiva espansività, ma al tempo stesso dovrebbe educarlo a un’affettività consapevole e a non nascondersi dietro a un falso senso del pudore. È spiacevole constatare che molte volte sono proprio i genitori a imporre i tabù lì dove non dovrebbero esserci. Spesso, questo dipende da una scarsa formazione culturale, dall’eccessivo moralismo della religione, ma anche da uno spropositato senso di protezione provocato dalla paura che porta alla necessità di esercitare un controllo soffocante. Ci sono genitori che non permettono ai figli di uscire di casa perché sono spaventati all’idea che questi possano emanciparsi, infatti significherebbe per loro rimanere soli, non sentirsi più utili e indispensabili. Ma al tempo stesso alcune madri hanno un atteggiamento totalmente permissivo nei confronti del figlio con disabilità, poiché spesso sono prive di energia, di vitalità, soffrono per una condizione di solitudine e si fanno carico di un eccessivo senso di colpa. Tutti meccanismi comuni a tante famiglie, ma che difronte alla disabilità si esasperano.

Anni fa, su Facebook mi è capitato di essere contattata dalla madre di un ragazzo disabile angosciata dal fatto che ogni volta che lavava il figlio ne conseguiva un’eccitazione sessuale. Mi dispiaceva il suo profondo dolore, sembrava intenzionata ad aiutarlo. All’epoca già sapevo di alcune madri che masturbavano il figlio per risolvere una situazione similare, quindi decisi di aiutare la mia interlocutrice con la speranza di evitarle questa dolorosa soluzione. Le avrei certamente suggerito di affidarsi a dei professionisti, cosa che per me resta la soluzione più adatta in questi casi, se per lei non fosse stata troppo onerosa, quindi mi sono limitata a consigliarle di consultare dapprima un forum per disabili che tratta questi argomenti e in un secondo momento di iscriversi a una chat a tema per un confronto più diretto. Dopo pochi giorni mi ha ricontattata lamentandosi che in ambedue i siti si era imbattuta in persone che le chiedevano ingenti somme di danaro, ma che le sue condizioni economiche le impedivano di accettare. Era molto amareggiata perché non riusciva a soddisfare i desideri crescenti del figlio. L’unica persona disposta ad avere un rapporto sessuale con il ragazzo senza chiedere danaro in cambio era un transessuale. La signora mi chiedeva insistentemente cosa avrei fatto al suo posto, non si accontentava dell’unica cosa che mi venisse da consigliarle: “Ne parli con suo figlio!”

Alla fine ho dovuto cancellare il suo contatto dalle amicizie di Facebook e bloccarlo, poiché era arrivata addirittura a inviarmi le foto al mare del transessuale. Ero spaventata all’idea che mi proponesse di avere un rapporto sessuale con il figlio, che neanche conoscevo.

“Voglio farlo sfogare” diceva insistentemente.

Dov’è in questi casi il senso del pudore? È giusto che una madre si spinga così oltre? La sessualità, più che uno sfogo selvaggio, non dovrebbe essere un aspetto della vita più ampio, bello e complesso? Comprendo bene la sofferenza di quella donna per la situazione del figlio, ma in questo caso una maggior riservatezza avrebbe meglio guidato il suo atteggiamento completamente privo di inibizioni, che mi ha spaventata e allontanata.

I social ci autorizzano a perdere il senso della misura, la privacy sembra essere una dimensione sconosciuta, ormai obsoleta. Siamo sempre più convinti che un momento importante della propria vita se non condiviso sui social perda di valore, ma è d’avvero così? Mi torna alla mente il breve post di un signore disabile di una certa età che dichiarava di aver fatto l’amore per la prima volta. Ecco che un’esperienza così intima viene resa pubblica, banalizzata, e in tutta onestà si perde davvero il senso del pudore. Cose così dovrebbero rimanere nel mondo reale, non vendute a quello dei rapporti virtuali, dovrebbero essere condivise con la propria donna o con il proprio uomo, e magari con qualche amico intimo.

Sui social si possono condividere le emozioni per la scoperta, il desiderio e l’ansia di un’aspettativa… senza dover scrivere i dettagli di un momento di fondamentale importanza. A volte si cade nell’errore di voler postare per forza qualcosa e non si pensa a come valorizzare il contenuto, se davvero il messaggio è importante o se sia meglio non pubblicarlo o condividerlo con una forma diversa.

Anche alla luce di un radicale cambiamento comunicativo e del racconto del sé urgenti e alla portata di tutti, ritengo che il ruolo educativo dei genitori richiede grandi abilità e dedizione, ma soprattutto una giusta via di mezzo tra un’educazione troppo rigida e una troppo permissiva. Attraverso le mie parole e le mie esperienze, lontano dal pronunciare giudizi, vorrei offrire degli spunti di riflessione.

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L’educazione sentimentale per sviluppare autoconsapevolezza ed empatia

Il tema dell’educazione e dell’educazione sentimentale riguarda tutti, come soggetti passivi prima ed attivi poi. Anche le persone disabili sono attivi capaci di assorbire e trasmettere diversi modelli educativi.

L’enciclopedia Treccani definisce così il concetto di educazione:Il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli ambiti culturali di un gruppo più o meno ampio della società. L’opera educativa è svolta da tutti gli stimoli significativi che raggiungono l’individuo, ma, in modo deliberato e organizzato, da istituti sociali naturali (famiglia, clan, tribù, nazione ecc.), e da istituti appositamente creati (scuole, collegi, centri educativi ecc.)”.

Gli anni della formazione e dell’educazione di un individuo coincidono con il periodo delle cure famigliari, della scuola, del rapporto tra pari, fino a che questo non diventa un adulto  formato, preparato a prendere le sue scelte, farsi una famiglia, avere un proprio ruolo nella società e nel mondo del lavoro, pronto ad esercitare il libero arbitrio.

Spesso per le persone con disabilità, i normali passaggi della formazione e dell’autonomia sono più faticosi fino a risultare, in alcuni casi, inaccessibili. Ciò può essere dato da diversi fattori: in famiglia a volte è forte il senso di protezione o di negazione della disabilità e di tutto ciò che comporta. Fin dall’infanzia, la persona con disabilità si ritrova un maggior onere di compiti e scadenze: non ha tempo per giocare e socializzare. Per molti poi, finita la scuola dell’obbligo è difficile se non impossibile inserirsi in un contesto universitario o lavorativo: si resta soli, isolati.

Alla luce di queste realtà e mancanze, va ricordato

che ci sono famigliari e persone con disabilità che lottano per la conquista di diritti, autonomia e un’assistenza adeguata, ma ci sono anche casi dove subentra la rassegnazione ad una vita povera di stimoli. Spesso la famiglia cambia, i genitori si stancano del loro ruolo, prendono strade diverse o semplicemente si arrendono. Per una persona che deve continuare a far i conti con la propria disabilità, può essere più difficile accettare questi cambiamenti.

La parte emotiva nello sviluppo del bambino

Tornando all’educazione e ad un “normale” sviluppo dell’individuo va tenuta presente  l’importanza della sfera emotiva. Scoprire e prendere coscienza delle proprie emozioni vuol dire essere maggiormente empatici. Guardare alla realtà attraverso diversi punti di vista critici e curiosi, aiuta a diventare più predisposti al confronto e allo scambio con l’altro.

Decenni di pedagogia e di psicologia dell’età evolutiva hanno messo in luce l’importanza di ricevere fin da bambini una corretta educazione ai sentimenti. Essere amati, ma avere al contempo chi ti trasmette il senso del limite è un passaggio necessario per gestire meglio emozioni negative di domani.

Tutto ciò risulta più complicato, o addirittura inaccessibile, se avviene la negazione dell’individualità della persona disabile nella sua interezza e complessità.

Sentimenti contrastanti e presenti in molte persone con disabilità

A volte si desidera fortemente diventare adulti per fare le proprie scelte, uscire dalla famiglia, ma non si è pronti o si vuole essere aiutati e nello stesso tempo si chiede di aver meno intromissioni poiché non si è più bambini. Se ci pensiamo, questi sentimenti sono tipici e normali nell’adolescenza, la cosa è più complessa nelle persone disabili perché tale dinamiche durano più allungo.

Cosa fare in questi casi? A volte c’è la voglia e la capacità di emergere, si trova il confronto con gli altri grazie allo sport, le associazioni, i progetti di tirocinio-lavoro; ambiti positivi dove il disabile è chiamato a mettersi in gioco, crescere e confrontarsi con l’altro. Spesso però questi contesti rappresentano ottime opportunità sul piano delle amicizie o professionali, ma non sono sufficienti per sviluppare un’educazione sentimentale.

Negli ultimi anni si è parlato spesso dell’importanza dell’educazione ai sentimenti, proponendo di inserire l’argomento nell’orario scolastico. Si fanno battaglie per riconoscere la figura dell’assistente sessuale e per l’approvazione del disegno di legge che la dovrebbe regolamentare e che è stata presentata al Senato il 9 aprile 2014; ma per ora tanto è lasciato alle singole famiglie. A volte quest’ultime sono aperte all’identità anche sessuale del figlio con disabilità; ma in altri casi permangono i retaggi culturali del passato, i tabù ed è ancora diffusa la cultura del silenzio e della negazione. Spesso i genitori non riescono a vedere il sesso staccato dai sentimenti, non riescono a parlarne, a “preparare” i figli ma la società cambia a mio avviso, come spiegherò meglio più avanti, occorre un’ apertura mentale e un’educazione per evitare tanti problemi.

Come porsi per cercare di superare le barriere che permangono:

Per aiutare le famiglie servirebbero interventi a scuola, nei molti istituti, centri diurni e case-famiglia, ma spesso chi li gestisce è contrario ad affrontare queste tematiche. A volte la negazione del diritto all’amore e alla sessualità crea scompensi nella persona, che viene ancora vista come diversa, problematica e non capace di raggiungere una sua maturità ed autonomia. Più si nega una cosa e più questa viene desiderata ed esasperata. Più si fa finta che una persona non abbia potenzialità e caratteristiche diverse e più si vanno ad alimentare sentimenti quali la rabbia verso se stessi, gli altri ed il senso di frustrazione.
L’amore, l’erotismo, la passione implicano l’aspetto ludico, la scoperta, il rispetto dell’altro, l’innamoramento, il confrontarsi con il rifiuto. Il senso di protezione non dovrebbe giustificare la negazione.
A mio avviso servirebbe più preparazione di tutti per educare e non emarginare. Anche al giorno d’oggi la negazione alla privacy, al diritto di amare e di essere adulto avviene di frequente, questi meccanismi si esasperano quando si è davanti alla disabilità. Essere disabili spesso implica delle maggiori difficoltà, ma non si può parlare di inclusione, di diritti nascondendo tutta la parte “emotiva”. A volte tali negazioni spingono il disabile a cercare informazioni in rete con il rischio che si prendano per buone notizie parziali o “hard” che poco si confanno al sentimento e all’espressione di esso. Spesso il disabile non sa a chi rivolgersi.
L’amore per molti disabili è una strada in salita, è una scoperta che bisogna fare anche se gli altri intorno a te non ti supportano. Il desiderio di rischiare e scoprire l’approccio relazionale, la gioia del primo incontro, l’ansia dell’attese possono essere una potente spinta a provare ed a buttarsi. Per chi riceve una corretta informazione, scevra da inutili tabù, vive queste fasi con coscienza e naturalezza; altro discorso per chi cresce in un contesto di negazione, o dell’uomo “dominatore”. Perchè non parlare di più con i figli, alunni, adolescenti, disabili e non? Non è vero che non si trovano spunti o aiuti per parlare di tali argomenti, il discorso può essere facilitato da un film, spesso al cinema o in tv si raccontano storie di persone con disabilità, ma se ne parla anche sui giornali. Vengono organizzati anche molti convegni su queste tematiche.

I rischi ancora spesso negati e taciuti

Per molte persone usare le chat è più semplice che socializzare o approcciarsi nella vita reale, quindi è bene informare e educare piuttosto che imporre dei divieti che possono essere infranti. Nelle chat si “trova” un po’ di tutto, se si usano è bene essere accorti per poter bloccare degli utenti e non raccontare troppo di sè.

Educare aiuterebbe tra l’altro a prevenire, documentare e contrastare gli episodi, ancora poco noti e taciuti, di discriminazioni, molestie, violenze che le donne con disabilità subiscono, ma anche le note e frequenti molestie verso le donne. Il sito Disabili.com fornisce i dati  delle vittime con disabilità: “per quanto riguarda i dati, fa ancora fede il rapporto Istat di giugno 2015 in cui si erano raccolti i dati relativi alla violenza di genere sulle donne italiane: ben 6 milioni 788 mila donne sono state vittime nel corso della loro vita di almeno un episodio di violenza. La cosa più allarmante è che, delle donne con disabilità, ha subito violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha limitazioni gravi. Si stima che il rischio di subire stupri o tentati stupri sia doppio per le donne disabili (10% contro il 4,7% delle donne non disabili).”

L’omertà delle famiglie espone le ragazze con disabilità a rischi maggiori rispetto  ai ragazzi  come riportato ancora su Disabili.com: “Spesso le ragazze disabili – in particolare con disabilità intellettive – non vengono educate al tema della sessualità, si preferisce non parlarne… Può infatti capitare che venga dato più spazio e risposta alle pulsioni dei ragazzi disabili maschi, ignorando o sopprimendo quelle femminili. Ne consegue che da adulta la ragazza disabile possa avere difficoltà a riconoscere se quell’affetto morboso o quelle richieste sessuali insistenti di cui è oggetto non siano in realtà qualcosa di ben più grave. La donna, specialmente con disabilità, hanno bisogno di essere supportata e ascoltata nonché  di essere capita e creduta”.

Importante è educare le persone sull’amore e la sessualità,  per saper sviluppare la consapevolezza dei propri bisogni ed il rispetto di quelli altrui. Questo significa prevenire gravi problematiche sociali, combattere inutili tabù, stereotipi e contrastare la cultura del silenzio e della negazione che dovrebbero essere solo un lontano ricordo.

Dopo tutto, l’educazione andrebbe sostenuta per i disabili ma anche per i normodotati. Essere “normali” non implica essere preparati all’amore, all’accettazione dell’altro, alla sofferenza. In alcuni casi, dopo molte sofferenze, non ci si mette più in gioco e si precludono molte esperienze. Ci sono anche molte persone che cercano il divertimento senza porsi troppi problemi sui sentimenti e l’empatia: ancora permangono retaggi culturali del passato, o forse su certi aspetti, invece di progredire regrediamo? Molte chat per normodati non sono ben bilanciate, le donne ricevono centinaia di messaggi che neanche leggono, ma poi non leggendoli si perdono d’avvero l’occasione della vita? Molti uomini stanno in chat per ammazzare il tempo o perchè sono incuriositi dai “tre giorni di prova gratuita” finita la prova finisce la novità… Il “malfunzionamento” di questi sistemi  sono ben spiegati il numerosi siti, ne riporto un esempio: Nirvam Recensione e Alternative a Nirvam.it!

Tornando all’importante ruolo delle famiglie, alla luce della mia personale esperienza e di quella narrata da molti disabili, mi sento di affermare che: aiutare un figlio con disabilità a diventare un adulto capace di riconoscere il suo posto nel mondo e una vita soddisfacente, richiede un impegno maggiore e costante, ma è uno sforzo necessario. Una persona “fondamentale” spesse volte rimane un faro, un modello da seguire in un rapporto autentico e speciale di reciproca presenza, sostegno ed affetto. Tale guida è importante anche per sviluppare una vita affettiva e relazionale matura e sena.

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Lezione per il master della Lumsa 15.07.2018

Scaletta degli argomenti da trattare:

INTRODUZIONE

Presentazione – parli dei tuoi studi e del tuo percorso formativo e lavorativo. In particolare ti soffermi sul progetto “Disabilità e narrazione di sé”.

Zoe oggi, l’esperienza nelle scuole e nelle università grazie a Nata viva e l’esperienza del giornalismo a Piuculture, da prima il diario e Piccologenio.

La scrittura dal mio punto di vista è terapia, è una compagnia, questo mi è sembrato importante comunicarlo alle scuole incontrate.

L’esperienza nelle scuole: è stato e continua ad essere per me importante incontrare gli studenti dalla quinta elementare alle università, per raccontare una testimonianza e condividere traguardi, problemi, metodologie, narrazioni e passioni.”

Quello che ho notato interfacciandomi con studenti di diverse fasce di età è che i ragazzini in età pre-adolescenziale sono quelli più curiosi e stimolati, sono più ricettivi dei bambini delle elementari, ma più spontanei e privi di sovrastrutture rispetto ai ragazzi più grandi. Questo li porta a fare più domande, vi racconto alcuni esempi:

Esempi:

La Ragazzina delle medie che alla mia domanda “quali sono i vostri sogni e progetti per il futuro” mi rispose “voglio morire per rivedere mio zio morto da poco!”

Sempre alle medie, una ragazzina un po’ imbarazzata mi ha chiesto se mi fossi mai innamorata. Con semplicità le ho risposto di sì e che ho vissuto alcune storie d’amore.

Al termine di un primo giro di letture, un ragazzino delle medie alza la mano con l’espressione di uno a cui non torna qualcosa e mi chiede “nel tuo libro, nel capitolo sulla nascita, parli sempre di tua madre e di tua nonna, ma tuo papà dov’era?” Non vi dico come gli ho risposto… aspettiamo di leggere qualche estratto da “Nata viva” e vediamo che idea vi fate!

ENTRIAMO NEL VIVO DI NATA VIVA

LA NASCITA –LETTURA DA PAG.19 A 23

LA SCUOLA-INTRODUZIONE – la scuola è stata per me una corsa ad ostacoli fin dall’inizio. Nella mia esperienza la scuola si è dimostrata un’istituzione incapace di interagire e rapportarsi con la diversità. Sono sempre stata l’UNICA ALUNNA DISABILE. Le piccole esigenze pratiche che presentavo – come la necessità di utilizzare la macchina da scrivere o la ricerca di un braccio per camminare – sono sempre state esasperate e ingigantite dal personale scolastico che ragionava solo in base alla responsabilità, senza riflettere sulle conseguenze che questo poteva avere sulla mia integrazione scolastica.

A cercare di intermediare tra la scuola e la famiglia e rendermi la vita scolastica un po’ più lieve c’era Luigi, il vostro prof!

LETTURA – “SE ALLE MEDIE SCAPPA LA PIPI’… SONO GUAI”

Domande – Oggi come si interviene a scuola di fronte alle esigenze di un alunno con disabilità? La situazione è veramente cambiata o ci sono solo più figure professionali? Il rapporto tra pari come viene facilitato o ostacolato?

LA FISIOTERAPIA –INTRODUZIONE – la fisioterapia per me ha rappresentato una terapia insopportabile voluta dagli adulti (…)

Per fortuna non erano tutti uguali: Luigi mi ha aiutato tanto a scuola, mi ha insegnato ad usare il pc senza traumatizzarmi, anzi… il suo lavoro è stato la dimostrazione che un approccio terapeutico che tenga conto della psiche del bambino era già possibile negli anni ‘80 ’90.

Domande:

Ed oggi come si interviene? A cosa si da valore?

LETTURA – “AGGRAPPATI AI PANTALONI”

LA FAMIGLIA –INTRODUZIONE – La nascita di una persona con disabilità altera gli equilibri di una famiglia. Pone diverse sfide e offre possibilità a chi le sa cogliere.

Le reazioni all’interno dello stesso nucleo possono essere molteplici e io posso dire di averle sperimentate un po’ tutte. C’è chi scappa, chi si sente trascurato dalle attenzioni che, inevitabilmente, una persona con disabilità richiede, chi raccoglie la sfida e per questo viene travolto da impensabili soddisfazioni, gioie, battaglie e delusioni.

La mia famiglia, pur con tutte le difficoltà del caso, si è stretta intorno a me annullando la mia diversità e sostenendo sempre la mia autonomia. Uscendo fuori e rapportandomi con il mondo reale ho trovato ostacoli e barriere, gli “altri” mi hanno sbattuto in faccia la mia diversità (…)

Questo ha comportato, nell’età adulta, notevoli difficoltà nel creare relazioni al di fuori della famiglia che fossero slegate dalla logica dell’aiuto.

Gli esempi (e le letture da scegliere) sono tanti: con i nonni, con Fiore, mamma, papà, Ricky, ve ne

propongo alcuni:

Letture:

“Dov’è meglio dormire?”  – che descrive il rapporto con mia nonna

“Auguri e figlie femmine” – la nascita di mia sorella

“Nuotare in piscina, nuotare tra l’invidia” – l’invidia in famiglia

“Il Motorino” – l’autonomia e l’adolescenza

 Domanda: A qualcuno è capitato di entrare in contatto con famiglie di bambini con disabilità? Quali dinamiche avete riscontrato? Quali le richieste di aiuto e sostegno più frequenti sia da parte dei bambini che da parte dei famigliari?

 

FINE PARTE DEDICATA AL LIBRO NATA VIVA.  ZOE ADULTA:

DISABILITA’ E SESSUALITA’ -Il rapporto con l’altro sesso. Una grande conquista voluta e desiderata; il mio “io” ha preso il sopravvento, ho fatto quello che ho fatto da sola. L’amore e  la sessualità per una persona disabile sono una conquista oltre che passioni, emozioni, condivisione! Si parla tanto di queste tematiche, ma persistono molti tabù, non tutte le famiglie sono pronte e aperte. Non tutti i normodotati accettano una partner disabile. E’ ancora molto la diffusa la concezione del disabile “eterno bambino”. Cosa fare? Come farsi accettare?

 

L’ASSSISTENTE SESSUALE – Figura diffusa in Europa e meno in Italia… si tratta di una figura professionale – le cui competenze di inseriscono tra la psicologia e la fisioterapia – che aiuta la persona disabile ad entrare in contatto la propria sessualità e a esprimerla. Questa figura interviene anche a sostegno della famiglia.

 

Domande: Cosa pensate della figura dell’assistente sessuale? Secondo voi cos’è che ne ritarda il riconoscimento in Italia?

Raccontare la mia esperienza e fare un collegamento al corto (…)

L’AUTONOMIA – raccontare della patente, della burocrazia, dell’inadeguatezza delle strutture frequentate da persone più fragili come anziani e disabili (ore di fila, caldo, assenza di gentilezza e di empatia)…

Raccontare la mia esperienza e fare un collegamento al corto (…)

PROIEZIONE CORTOMETRAGGIO PER RIPRENDERE GLI ULTIMI DUE TEMI: SESSUALITA’ E AUTONOMIA: LA ZOE ADULTA.

E PREMIAZIONE (MINUTO 10:23)

La serata di premiazione con Pif

Una sintesi della serata di ieri al Capodarco L'Altro Festival: la presentazione di un documentario sui 50 anni della Comunità di Capodarco; una lunga intervista al autore, regista e conduttore de “Le Iene” Pierfrancesco Dilibero in arte PIF e la premiazione dei migliori corti e web-doc sul sociale. Presenta il direttore artistico della manifestazione, Andrea Pellizzari

Gepostet von L'Anello Debole am Sonntag, 26. Juni 2016

 

SPUNTI DI RIFLESSIONE

 

ACCETTAZIONE, NON ACCETTAZIONE E SENSI DI COLPA, tre aspetti che colpiscono il disabile, la famiglia e la società, a vari livelli. Per mia esperienza posso dire che le soddisfazioni lavorative, l’amore e la sessualità, il libro e il corto aiutano, ma le “insidie” di sentirsi inadeguata, non accettata e con sensi di colpa, sono sempre in agguato.

-Il senso di colpa principale deriva dal “non essere normale” ovvero come gli altri vorrebbero che fossi, in primis la famiglia.

 

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“Come c’è un’arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è pure un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile.” L’osservazione di Primo Levi, mi sembra molto pertinente con l’esperienza, anzi le esperienze, che vi sto per documentare.

Il 7 novembre 2017, Lucia Pappalardo, regista del mini film Nata viva ed io, siamo state relatrici al convegno: Adolescenza, tra affettività e sessualità, oltre ogni pregiudizio, promosso dalla Commissione Pari Opportunità della Regione Marche, presso la Sala Consigliare del Comune di Ancona. Questa opportunità è stata resa possibile grazie alla volontà e la tenacia della Presidente della Commissione della Pari Opportunità della Regione Marche, Meri Marziali, che ha promosso l’iniziativa e ha voluto fortemente la nostra presenza nonostante i danni ed i problemi causati dal terremoto.

La mattinata, ha visto coinvolte esponenti dell’Unione Italiana dei Ciechi di Ancona e le dottoresse del consultorio.

Ad ascoltare con partecipazione erano i ragazzi di medie e licei di vari istituti del capoluogo marchigiano.

La dottoressa Giorgia Giacani, la collega Katia Caravello psicologhe e psicosessuologhe e la ginecologa Valeria Bezzeccheri, hanno spiegato ai ragazzi, con semplicità e senza falsi pudori, l’importanza dei metodi anticoncezionali e la prevenzione delle malattie veneree. Le relatrici hanno altresì invitato i ragazzi a fare domande senza avere timori e vergogna su argomenti quali l’amore, i sentimenti e la sessualità. È stato anche messo in luce l’aspetto ludico del rapporto sessuale, ricordandone la bellezza e l’importanza per tutti. Le relatrici hanno poi spiegato ai ragazzi cos’è un orgasmo, descrivendolo come un momento fondamentale dell’atto sessuale.

La Giacani ha aperto il suo intervento condividendo con i ragazzi una riflessione sulla paura nel rapporto con l’altro, ricordando che “il momento giusto è quando ti passa la vergogna”. La giovane psicosessuologa ha poi sottolineato che “la sessualità fa parte di noi, dalle nostre origini, e quindi ci appartiene; ma appartiene anche all’Altro, perché il sesso è relazione. Il sesso per gli adolescenti è anche scoperta. E la scoperta implica curiosità e paura.

Forti e coinvolgenti le testimonianze delle relatrici non vedenti e ipovedenti che hanno raccontato il loro vissuto con un handicap visivo e la loro realizzazione grazie agli studi universitari, al lavoro, ai fidanzati e mariti. Hanno narrato le loro esperienze sentimentali, la fase adolescenziale, le limitazioni e le differenze con i coetanei. Katia Caravello ha condiviso con i ragazzi una parte del suo vissuto: “nel non vedere non si ha accesso ad una serie di informazioni sul contesto, sulle mode del momento, su un ragazzo che ti guarda in modo interessato… è importante che gli amici, i genitori, la scuola non neghino tali informazioni e in quest’ottica è fondamentale il lavoro che l’Unione Italiana dei Ciechi svolge per sensibilizzare famigliari, ragazzi e docenti.”

Nella seconda parte del convegno è stato proiettato il cortometraggio Nata viva, il proseguimento dell’omonimo romanzo autobiografico.

Lucia, regista del mini film, ha raccontato la nostra volontà di mettere in scena alcuni brani del libro quali la fisioterapia, ma anche narrare i problemi e le conquiste della Zoe adulta, ad esempio la vicenda della patente, l’autonomia, il rapporto con l’altro sesso e l’amore.

Al termine della proiezione, gli alunni mi hanno fatto complimenti e molte domande. Con la semplicità che caratterizza gli adolescenti, hanno voluto sapere se soffro per le barriere create dagli altri. La mia risposta è stata sincera: “oggi no, perché ho degli amici e conoscenti che mi apprezzano. Alla vostra età ho sofferto per l’emarginazione ed i pregiudizi dei compagni di classe, cosa che si sarebbe potuta evitare con semplici domande sul mio handicap e su come poter fare insieme a me cose divertenti e da adolescenti: uscire in gruppo, prendere l’autobus, andare in discoteca o a mangiare un gelato.”

Mi è stato poi chiesto se ho sofferto quando non mi volevano rinnovare la patente, ho risposto: “sì, ma ho lottato: ho guidato per più di dieci anni senza problemi e non potevo accettare un’ingiusta negazione”.

Un’altra domanda interessante ed inaspettata è stata: “perché non ti rechi nelle varie scuole per raccontare la tua storia?”, ho spiegato che sto girando istituti ed università di Roma, la mia città e la sua provincia, ma a ripensarci perché escludere un’esperienza simile ad Ancona?

Infine gli alunni si sono anche complimentati e una ragazza mi ha abbracciata con sincerità in quanto ai loro occhi ho superato l’adolescenza, età critica per loro e per la maggior parte degli individui. Con qualche ostacolo in più, ma sono comunque riuscita ad ottenere diversi risultati importanti.

Oggi nel mio girare scuole e ambienti istituzionali trovo molta attenzione per le persone con delle caratteristiche diverse dalla normalità ed anche per l’infanzia e gli adolescenti.

Spero che l’oggetto del convegno, e quindi la lotta ai vari pregiudizi, siano portati ancora avanti nelle scuole, nelle famiglie e nelle sedi istituzionali, con altre importanti iniziative anche in futuro. La volontà di continuare su questa scia è presente e tangibile. In quest’ottica è importante continuare a creare momenti di confronto e scambio, a vari livelli, tra istituzioni e persone che hanno una differenza o uno svantaggio. Si parla ancora troppo poco, e solo in sporadici contesti, delle numerose e differenti disabilità, ma anche di amore, sessualità e pregiudizi, quasi siano temi da non approfondire o capire, tutto ciò alimenta tabù ed incomprensioni.

Ripensando alle tante informazioni della conferenza, al silenzio dei ragazzi nell’ascoltare le relatrici e alla loro voglia di capire e sapere, mi torna in mente un’affermazione di Winston Churchill: “il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare; il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi ed ascoltare.”

Del convegno si è parlato anche al telegiornale regionale delle Marche:

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Zoe Rondini è Nata Viva

Fonte: Link all’articolo su Il Blog di Rosario Frasca

Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale agli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio. (Zoe Rondini – Nata Viva)

Il libro

Dopo aver letto Nata Viva di Zoe Rondini, ho chiuso il libro con una domanda che mi roteava nella testa anche nelle situazioni più improbabili: cosa ha voluto dire Zoe raccontandosi? Ero convinto che, se riuscivo a rispondere a questa domanda, forse avrei trovato il bandolo della matassa: il tema di fondo dell’opera. Ero altrettanto convinto che rispondere non sarebbe stato facile, perché la mia conoscenza di Zoe si fermava ad alcuni eventi pianificati e a pochi, occasionali e amichevoli incontri con lei, con la famiglia e il suo entourage; ciò non sarebbe stato sufficiente per conoscere la vera Zoe e non mi avrebbe consentito di rispondere all’intrigante domanda: “Cosa ha voluto dire Zoe scrivendo questa sua opera prima?

La prova e la rappresentazione teatrale de La cantastorie Zoe

La domanda mi ha accompagnato per un po’ di tempo fino a quando un giorno qualcuno mi disse che con Zoe stavano lavorando su una presentazione teatrale di Nata Viva e che avrebbero avuto piacere di fare l’anteprima o la prova generale a casa nostra, con la presenza dei famigliari e di qualche amico. Mia moglie ed io, forse per motivi diversi, abbiamo accolto con entusiasmo la richiesta. L’evento è stato pianificato e organizzato con infantile trepidazione, (come fosse la vigilia di Natale), e si è svolto come previsto in un clima di serena empatia.

(1) La cantastorie Zoe al Rifugio del Menestrello

Dopo questa presentazione casalinga, la mia conoscenza di Zoe era aumentata e ho iniziato ad abbozzare qualche approfondimento e riflessione su quanto raccontato nel romanzo di formazione dal titolo così pregno di significati, (ex utero vivus editus). Gli approfondimenti e le riflessioni però, non andavano più in là di una rilettura fredda e distaccata di quanto raccontato e rappresentato nell’anteprima teatrale; non riuscivo a convincermi né a calarmi nelle situazioni raccontate; tutto mi rimaneva estraneo… fino al giorno in cui ho assistito allo spettacolo La cantastorie Zoe in un teatrino del quartiere San Lorenzo a Roma.

Dopo aver assistito a questa rappresentazione pubblica, in un caldo e accogliente teatrino di Roma (Abarico), la mia conoscenza di Zoe aumentò ulteriormente; l’osservazione di una platea a me estranea ovvero non domestica e familiare come quella dell’anteprima casalinga, aveva aggiunto spunti di riflessione ulteriori sulla vita e le avventure di Zoe la cantastorie

Zoe e gli altri

Seppur aumentata, la conoscenza di Zoe non era ancora sufficiente a inquadrare la sua opera nel panorama letterario. Tanti sono gli autori: nuovi e vecchi, classici ed emergenti, occasionali e sporadici. Giornalisti che scrivono libri, scrittori che scrivono articoli; scienziati che giocano a fare i filosofi, filosofi che scherzano a fare gli scienziati; chi scrive di qua, chi legge di là; chi fa da sponda a quel partito; chi invece la fa ai preti; chi fa il politico, chi il religioso. Chi scrive sul web, chi sui lenzuoli, chi sulla sabbia, chi sugli alberi, sui muri, sui marciapiedi; un panorama caotico pieno d’arte e d’artisti, di lettere e letterati, ecc. Un caos letterario in cui è difficile, se non impossibile inquadrare una nuova voce, pura e sincera come quella di Zoe con il suo romanzo di esordio; un’opera che, nella sua cerchia di amici esperti, più di qualcuno concorda nel definirlo romanzo formazione.

Tutto e tutti trovano il loro spazio, il loro angolino esistenziale in cui riconoscersi e specchiarsi – come Vitangelo Moscarda di Uno nessuno e centomila di Pirandello – per trovarsi diversi da quella figura estranea riflessa nello specchio, con il naso pendente da una parte. Sì, con questo romanzo Zoe Rondini si è vista riflessa sullo specchio, ha guardato la sua immagine e si è trovata all’improvviso diversa da se stessa e da tutti gli altri.

Gli altri, già gli altri; quelli che sono tutti contro me che sono sola; quelli che camminano e non gattonano; quelli che corrono e giocano tra loro e mi lasciano sola a guardarli; quelli che fingono vicinanza e amicizia ma al momento del bisogno si eclissano nel confuso via vai di una stazione, di un supermercato, di una discoteca, di una città. Gli altri, quelli che Dio dice di amare ma che non fanno nulla per farsi amare. Gli altri, quelli che mi escludono, mi emarginano, mi eclissano, mi dimenticano; quelli che mi considerano un peso sociale; quelli che fanno finta che non ci sono. Gli altri, quelli che qualcuno ha definito ipocriti.

Il Gruppo di lettura

La conoscenza di Zoe aumenta ancora in una successiva occasione, un network sociale: il forum di Letteratour e il gruppo di lettura che ha condiviso per qualche tempo osservazioni e riflessioni sulla lettura di Nata Viva. In tale occasione abbiamo potuto scandagliare i diversi ambiti di riflessione che la lettura attenta del romanzo stimolava; e abbiamo avuto modo anche di fruire di una dichiarazione autografa di Zoe sulla sua vocazione letteraria. Discussione Gruppo di lettura di Letteratour.

Nella discussione, sono venuti fuori argomenti che nella lettura solitaria non riuscivo a focalizzare; è venuta fuori la diversità, la letterarietà, l’essere e il non essere, l’essere e l’apparire, la rabbia, il risentimento, l’invidia, l’amore, la famiglia (e i suoi personaggi in cerca d’autore), la verità, la libertà, l’amore. Una rilettura e una discussione che mi ha consentito di conoscere Zoe molto più a fondo di come l’avrei potuta conoscere nella vita reale.

Zoe, il testo e la verità

Un altro incremento della conoscenza di Zoe l’ho potuto acquisire con l’approccio girardiano che consente al lettore una ricerca della verità che fa leva sul desiderio mimetico. In questa prospettiva mimetica ho usufruito di una lettura sussidiaria che mi ha aiutato nell’analizzare gli aspetti veritativi del romanzo; un approfondimento filosofico sul realismo ermeneutico di Renè Girard: La verità nel testo di Marco Porta. René, il testo e la verità

La nuova edizione

Ma le sorprese non sono finite: poco dopo aver chiuso la discussione del gruppo di lettura, la casa editrice Dante Alighieri ha curato una nuova edizione del romanzo Nata Viva, arricchita da una preziosa prefazione e di un nuovo racconto sulla figura del nonno. Una seconda edizione con integrazioni importanti che consentono un miglioramento editoriale all’opera prima di Zoe e la collocano in un panorama letterario più definito.

In onore di questa importante seconda edizione della Società Editrice Dante Alighieri, mi sono premurato di rileggere qualche passo della Divina Commedia e ho trovato una terzina che compendia pienamente il mio pensiero su Nata Viva:

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
(Paradiso, Canto XXXIII, 7-9)

L’amor che move il sole e l’altre stelle

L’amore appunto è il fondamentale alimento che completa la conoscenza umana; il filo mancante che mi ha fatto trovare il bandolo della matassa per la conoscenza di Zoe e della sua famiglia. L’amore che dà senso e significato a questo romanzo di formazione, rapsodico quanto basta a farne uno strumento educativo sulle diversità umane; un significato esistenziale in senso letterario e pedagogico, così come Zoe stessa invita a considerare nelle pagine di Nata Viva. Lo stesso amore del verso con cui Dante Alighieri chiude la sua Commedia: L’amor che muove il sole e le altre stelle.

Con quest’ultimo verso paradisiaco auguro la buona lettura a chi ha voglia di conoscere come Zoe Rondini è Nata Viva nonostante tutto.

Il film-corto Nata Viva

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La perla finale è il film corto di Lucia Pappalardo; un film che ci mostra una Zoe Rondini piena di voglia di vivere, immersa e protetta dall’abbraccio affettuoso di una famiglia sempre presente. Nata Viva di Zoe Rondini – Film di Lucia Pappalardo

NATA VIVA è la storia di Zoe Rondini una ragazza che per i primi 5 minuti della sua vita non ha respirato. Zoe ha scritto un libro che racconta la sua vita, allegra e faticosa (Società editrice Dante Alighieri). Lucia Pappalardo l’ha trasformato in un breve film grazie al supporto dell’Associazione Nazionale Filmaker r Videomaker Italiani. Fotografia ENrico Farro e Valerio Nicolosi, Suono Marco Antonelli, Trucco Ilaria Mantini e Ilaria Puppio. E poi grazie a Marco Scali, Lorenzo Pierno, Delfy Santoro, Alessandra Fantini, Intro Spezione Abbraccialberi, Daniele Napolitano. E soprattutto grazie a Guido Damev.

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“Un profilo per due”: l’amore e la terza età ai tempi delle chat

Una brillante commedia basata sugli equivoci che si sposa con il romanticismo francese e gli inganni del web.

Pierre, vedovo e in pensione, non esce di casa da due anni. Per una persona dal carattere solitario le giornate passano tranquille: pensa e ripensa all’amata moglie, parla con lei in continuazione, trascura il suo aspetto e la sua casa e preferisce restarsene tutto il giorno in solitudine.

Questa routine viene scombussolata quando scopre il mondo virtuale grazie ad Alex, un giovane assunto da sua figlia per insegnargli ad usare il computer.

Pierre rimane colpito dalle potenzialità del mezzo tecnologico che ha a disposizione, dall’infinità di cose che si possono imparare ma, soprattutto, dalla possibilità di conoscere nuovi amici.

Allora perché fermarsi ad un uso “basilare” di Skype e fare solo qualche ricerca?

Ecco allora che, su un sito d’incontri, riesce a sedurre la giovane e bella Flora63 con la quale instaura un’intensa e romantica relazione virtuale. I due decidono di incontrarsi ed è qui che Pierre prega Alex di presentarsi all’appuntamento con Flora al suo posto, non prima di averlo ben istruito su come parlare, cosa dire e fin dove arrivare.

Queste prospettive d’improvviso portano entusiasmo ed una seconda giovinezza nella vita dell’anziano signore.

La cosa va avanti anche perché il giovane ha poco da perdere in quanto è coinvolto in una storia d’amore senza futuro, ecco che improvvisamente si ritroverà in una relazione in cui deve fingersi un altro, ovvero Pierre, e dal primo incontro con Flora inizia la finzione nella vita reale: lui e Pierre sono la stessa persona.

Flora e Alex, entrambi poco più che trentenni, s’innamorano ma solo lui sa che non è chi dice di essere. La ragazza è attratta dalla storia di Alex, un suo coetaneo che ha perso la moglie, si chiama Pierre ed è colto e dai modi eleganti.

È una commedia che parla del nostro tempo, le chat sono raccontate come un’opportunità per scambiare idee e fare incontri che, come afferma Flora, può capitare quello giusto dopo alcuni che si rivelano sbagliati.

Pierre viene scoperto dai sui famigliari, che prima del suo cambiamento, avevano poco a che fare con l’anziano, e in parte depresso, padre e nonno, lasciandoli sbigottiti. Le dinamiche e le avventure dei personaggi sono realistiche, narrate con la consueta ironia francese che fa a tratti ridere e a tratti riflettere.

La narrazione profonda e ironica di temi così attuali in Un profilo per due permette allo spettatore di immedesimarsi nella trama facendo scaturire la curiosità di sapere come il tutto andrà a finire, con un po’ di quella suspense che ammalia la pellicola sin da subito.

Il registra tratta in maniera cruda e al tempo stesso delicata il tema della solitudine degli anziani, di cui molto spesso non ci si accorge. Risulta curioso come alcuni degli aspetti più difficili della terza età emergano proprio grazie al mezzo  più impersonale e distante per antonomasia.

Interessante ed abbastanza fedele alla realtà è la narrazione della rete, delle chat e delle diverse generazioni: la storia d’amore si basa sull’intesa e le buone maniere, i tempi non si consumano alla velocità di un like ed è un invito a darsi una seconda possibilità pensando che non sia mai troppo tardi.

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“Nata viva, ma con 5 minuti di ritardo” la vita dopo un’asfissia neonatale

Lezione per il master di neuropsicologia dell’età evolutiva, Università Lumsa di Roma

Scaletta degli argomenti da trattare:

INTRODUZIONE

presentazione, parlare degli studi e del percorso formativo e lavorativo. In particolare soffermarsi sul progetto “Disabilità e narrazione di sé”.

Zoe oggi, l’esperienza nelle scuole e nelle università grazie a “Nata viva” e l’esperienza del giornalismo a Piuculture, da prima il diario e Piccologenio. La scrittura dal mio punto di vista è terapia, è una compagnia, questo mi è sembrato importante comunicarlo alle scuole incontrate.

l’esperienza nelle scuole: è stato e continua ad essere per me importante incontrare gli studenti dalla quinta elementare alle università, per raccontare una testimonianza e condividere traguardi, problemi, metodologie, narrazioni e passioni. Raccontare vari esempi di bambini, ragazzi e professori incontrati con il progetto “disabilità e narrazione di sé”.

ENTRIAMO NEL VIVO DI NATA VIVA

LA NASCITA -essendo la giornata delle paralisi infantili parlerei/leggerei della mia nascita: DA PAG.19 A 23

LA SCUOLA-la scuola: introduzione mia; letture spiegare che tutta la scuola è stata segnata da problemi degli adulti… da piccola il rapporto tra pari funzionava. Il sostegno di Valerio (LUIGI).

Oggi come si interviene davanti un problema? La situazione è veramente cambiata o ci sono solo più figure professionali? Il rapporto tra pari come viene facilitato o ostacolato? Lettura PAG 173-175

LA FISIOTERAPIA -Lettura “aggrappati ai pantaloni”, parlare della fisioterapia, i terapisti ed il loro ricordo (una terapia insopportabile voluta dagli adulti). Per fortuna non erano tutti uguali: Luigi mi ha aiutato tanto a scuola, mi ha insegnato ad usare il pc senza traumatizzarmi, anzi… allora un approccio terapeutico che tenga conto della psiche del bambino era già possibile negli anni ‘80 ‘90? Ed oggi come si interviene? A cosa si da valore??? Lettura PAG- 63 E 64

LA FAMIGLIAcome cambiano le dinamiche tra genitori e figli? E tra soggetto disabile e gli altri componenti della famiglia? Gli esempi (e le letture da scegliere) sono tanti: con i nonni, con Fiore, mamma, papà, Ricky ect  quale il ruolo dell’analisi? Difficoltà di Zoe adolescente ed adulta nel creare relazioni al di fuori della famiglia… e al di fuori della logica dell’aiuto… ciò ha radici profonde, ma si può intervenire? Letture:

–      (la nonna): Dov’è meglio dormire? (pag.41-42);

–      (fiore) Auguri e figlie femmine (pag. 101-105);

–      Nuotare in piscina, nuotare tra l’invidia (121).

DISABILITA’ E SESSUALITA’ –Il rapporto con l’altro sesso. Una grande conquista voluta e desiderata; il mio “io” ha preso il sopravvento, ho fatto quello che ho fatto da sola. L’amore e  la sessualità per una persona disabile sono una conquista oltre che passioni, emozioni, condivisione! Si parla tanto di queste tematiche, ma persistono molti tabù, non tutte le famiglie sono pronte e aperte. Non tutti i normodotati accettano una partner disabile. E’ ancora molto la diffusa la concezione del disabile “eterno bambino”. Cosa fare? Come farsi accettare? Cosa pensate della figura dell’assistente sessuale? A mio avviso la strada è ancora lunga anche se qualcosa ho attenuto. Raccontare la mia esperienza e fare un collegamento al corto.

– L’AUTONOMIA – raccontare della patente, della burocrazia, dell’inadeguatezza delle strutture frequentate da persone più fragili come anziani e disabili (ore di fila, caldo, assenza di gentilezza e di empatia).

PROIEZIONE CORTOMETRAGGIO PER RIPRENDERE GLI ULTIMI DUE TEMI: SESSUALITA’ E AUTONOMIA: LA ZOE ADULTA.

CHIUDE L’INTRODUZIONE.

***

SPUNTI DI RIFLESSIONE

-ACCETTAZIONE, NON ACCETTAZIONE E SENSI DI COLPA, tre aspetti che colpiscono il disabile, la famiglia e la società, a vari livelli. Per mia esperienza posso dire che le soddisfazioni lavorative, l’amore e la sessualità, il libro e il corto aiutano, ma le “insidie” di sentirsi inadeguata, non accettata e con sensi di colpa, sono sempre in agguato.

Domanda: Come incide secondo voi la nascita di un bambino disabile sull’equilibrio familiare?

Quali potrebbero essere le conseguenze dell’accettazione e della non accettazione?

Ad esempio da un lato si assiste a persone che rinunciano a loro stesse per dedicarsi al membro disabile della famiglia, altre si chiudono e si allontanano, per paura di non essere all’altezza delle sue “pretese”.

Quali altre dinamiche vi vengono in mente?

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Premio Anello debole, vince forza di Zoe

Guarda il corto “Nata viva”:

Vi presento il cortometraggio di Nata Viva

 

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L’assistente sessuale come mediatore culturale

  Nulla al mondo è  normale. Tutto ciò che esiste è un frammento del grande enigma. Anche tu lo sei: noi siamo l’enigma che nessuno risolve.

Jostein Gaarder

Ritorno ad affrontare il delicato tema dell’assistenza sessuale in Italia. Chi ha già letto i miei vari articoli su amore, sessualità e disabilità, potrebbe chiedersi come mai insisto ancora su questa tematica, se per caso non ne sia magari ossessionata. La spiegazione è semplice.

 A mio avviso ogni individuo ha diritto a ricercare i tanti significati dell’ amore attraverso un’ educazione sentimentale appropriata. In rapporto alla disabilità questo non avviene mai seriamente. Molto spesso la scoperta della propria identità, delle proprie capacità di relazione, nonché della capacità di amare, di prendersi cura di sé e degli altri  avviene anche attraverso l’ opportunità di godere, di provare piacere, di raggiungere pienamente un orgasmo, combattendo in questo modo la frustrazione, la depressione e la sfiducia in se stessi e negli altri. Per tutti e per tutte è così, a livelli diversi. E in questa moltitudine, siamo compresi anche noi… disabili.

Documentandomi attraverso vari fonti, conoscendo persone, ascoltando le loro storie, mi sono convinta che se anche qui  in Italia si accettasse la figura dell’ assistente sessuale, si accetterebbe anche il “tramite“, il mediatore culturale giusto  tra sessualità, educazione sentimentale e disabilità. Ora è pur vero che molte delle persone che ho incontrato e che mi hanno raccontato le loro esperienze in tal senso, non hanno voluto e non vogliono – anche legittimamente – esporsi e testimoniare pubblicamente questo vissuto con le relative scoperte e prese di coscienza. In attesa che si sentino “liberi“ di poterlo fare e che quindi la scuola e la famiglia, gli Istituti per disabili, le Case-famiglia e chissà un giorno le parrocchie, facilitino tale cambiamento e possibilità di racconto, mi prendo io la briga, l’ onore e l’ onere di parlarne  come posso, sotto diverse prospettive. 

 Cominciamo a riflettere su un dato importante: da più di un anno è chiuso in un cassetto di una scrivania del Senato il disegno di legge 1442 che mira ad inserire in Italia questa figura.

Prendo spunto da quanto affermato da Maximiliano Ulivieri, per passare poi a considerazioni riguardanti l’amore e la sessualità dei cittadini italiani disabili, ma ovviamente di conseguenza si deve parlare anche di politica, di leggi, di cittadinanza e diritti, di Vaticano, di denaro e prostituzione.

 «Il problema principale in Italia è la burocrazia, la legge. Nel nostro Paese – racconta Ulivieri (persona con disabilità che ha  iniziato una battaglia per ottenere l’assistenza sessuale non per lui – che è sposato – ma per molti disabili che bramano questo diritto), questa figura non è riconosciuta perché viene accostata alla prostituzione – anche se è tutt’altro – che in Italia è illegale». Anch’ io, insieme ad Ulivieri, saremmo favorevoli alla legalizzazione della prostituzione, «in modo da permettere anche agli assistenti sessuali per disabili, di operare nella legalità ».

«Sarebbe un primo passo – dichiara– ma noi ci continueremo a battere per il riconoscimento specifico di questa figura».

Oltre a un problema innegabile per il quale in Italia tutta la burocrazia è lenta e macchinosa, il Belpaese, spesso, deve fare i conti anche con una serie di resistenze culturali, probabilmente strettamente connesse alla religione.

«In Italia non si parla neanche della sessualità dei normodotati», ragiona Ulivieri.

Come Ulivieri anch’io non voglio il riconoscimento di questo diritto a fini personali. Dopo diverse storie sentimentali ed alla luce di un forte legame con un uomo, che, non ostante tutto… ci stiamo avvicinando a festeggiare dieci anni di un’intensa e passionale amicizia… non credo che mi rivolgerei ad un assistente sessuale. Il ruolo di questa figura è “terapeutico“, ha una serie di divieti… Quindi, a mio avviso, è molto utile per le tante persone che hanno un handicap cognitivo, o per i disabili motori che hanno un handicap talmente accentuato che non li permette di essere ricambiato nell’amore e nel desiderio.

Conoscevo un uomo quarantenne che desiderava una storia seria. Lui aveva un lieve handicap motorio LIEVE, lavorava, aveva degli amici, sognava un matrimonio e dei figli. Lui non sapeva distinguere  tra amore e pornografia… Non sapeva il significato di “erotismo“… non capiva le esigenze della sua donna, non sapeva badare a se stesso… non era in grado di andare da solo in farmacia… Ecco forse in quel caso una terapista del sesso poteva essere utile per aiutare il ragazzo con l’ABC dell’amore, erotismo, su come doveva relazionarsi con la donna, che, almeno a parole… diceva di amare e voleva rendere felice. Quella coppia è scoppiata lasciando più cicatrici di quanto si possa immaginare, c’è stata tanta amarezza, rabbia, solitudine, delusione. Ma chissà come sarebbero andate le cose se lui avesse seguito pochi e semplici consigli medici, e se fosse stato “educato“ sentimentalmente e sessualmente da una “terapista sessuale professionista“?! Chi può dirlo…!

Tornando a ragionamenti più generali sull’assistenza sessuale per disabili e la situazione italiana, in primo luogo non mi sembra giusto bloccare una cosa così importante come l’assistenza sessuale per disabili. Ci nascondiamo dietro la scusa che ciò va fatto per non incoraggiare la prostituzione? Quanta ipocrisia dietro a facili e rapide conclusioni e “soluzioni“.

Altra scusa già troppe volte sentita: non si regolamenta l’assistenza sessuale perché da noi c’è lo Stato Vaticano.

È vero che la Chiesa è rigida sulla sessualità non finalizzata alla procreazione, ma diciamola tutta, fino a poco tempo fa, i preti pedofili erano impuniti, venivano solo “spostati“ da una parrocchia ad un’altra; adesso sembra che Papa Francesco abbia idee diverse sui preti pedofili; si sta aprendo all’ omosessualità e alle questioni sul matrimonio e sul divorzio. Chissà se arriverà anche a noi disabili, che, giusto per ricordarlo, in Italia siamo circa 2 milioni 824 mila, di cui 960 mila uomini e 1 milione 864 mila donne.

Chissà quanti di questi votano? Me lo domando giusto per lanciare una provocazione.

Dopo questi  finti alibi,  vorrei tornare ad una realtà, quella dello sfruttamento della prostituzione che si consuma ogni giorno su tante strade e tanti quartieri delle nostre belle città. E le leggi? Che dicono le leggi delle donne in strada che, ricordiamolo, le più sono sfruttate. Certamente non pagano le tasse e non si sottopongono a controlli medici periodici. Loro sono tante, ogni giorno ed ogni notte in strada. Sorprendentemente sotto gli occhi di tutti. Ma non è legale. E perché la situazione non cambia? Dov’è chi se ne dovrebbe occupare?

E allora ammettiamolo: se sei un disabile ricco ti arrangi tra prostitute e operatori tantra, ma se sei povero? Se hai un handicap intellettivo e le prostitute si rifiutano di stare con te? Come al solito a farne le spese sono i disabili: un uomo normodotato può andare con una escort senza tante leggi e legalità! Per chi è disabile “stranamente“ è tutto più complicato; anche il sesso. E per tutto ciò ci vogliono le leggi?

Mi è rimasta impressa una mamma di un ragazzo disabile che, durante un convegno su amore, sessualità e disabilità, ha testimoniato che lei e tante altre mamme di ragazzi e ragazze con handicap cognitivo e/o motorio, erano pronte a organizzarsi per portare i figli all’estero, per consentire loro l’assistenza sessuale piuttosto che aspettare l’iter di un disegno di legge qui da noi. Penso che questa madre abbia lanciato una forte provocazione. Ma c’è chi “l’impresa“ l’ha compiuta e testimoniata come nel caso del film The special need (2014), di Carlo Zoratti.

A proposito di come vanno le cose all’estero riguardo la sessualità dei diversamente abili, trovo incisiva una breve testimonianza di Charlotte Rose.

Attraverso la giornalista Cecilia Marotta, veniamo a sapere che Charlotte Rose «in Inghilterra, offre piacere a chi soffre, senza pietà né falsi pudori. È una sex worker specializzata in clienti diversamente abili. Negli anni Charlotte ha imparato le tecniche per un orgasmo personalizzato; ogni disabile ha le proprie esigenze e deve essere stimolato in maniera diversa, come ogni individuo. L’obiettivo è aiutarlo a riconnettersi con la propria energia sessuale, per affrontare la malattia con maggiore vitalità.

Charlotte è fermamente convinta che il sesso sia un’esigenza primordiale da non sottovalutare. Per questo si iscrive al registro della TLC Trust, l’associazione inglese che si adopera per i diritti dei disabili e si preoccupa di metterli in connessione con un portfolio di escort disposte a partecipare a programmi di riabilitazione sessuale.

Charlotte è inoltre membro attivo del parlamento inglese e, tra le sue proposte, c’è quella di riconoscere ufficialmente la professione di assistente sessuale per portatori di handicap, che dovrebbe essere integrata nei servizi offerti dal National Health Service.

In Olanda, Germania, Belgio, Paesi Scandinavi e Svizzera, l’assistente sessuale è già una realtà».

Tornando alla situazione italiana, ritengo giusto non tralasciare un discorso anche politico: mi sembra che alcuni  parlamentari siano attualmente impegnati a raccogliere voti nel modo a loro più semplice e congeniale, occupandosi dei diritti dei cittadini omosessuali e L.G.T.B.

I diversamente abili in fondo sono una minoranza un po’ vecchia, consolidata nel tempo e nello spazio, non conviene occuparsene, non porterebbero abbastanza voti. E poi “poverini“ hanno tanti problemi… “ma perché anche loro pensano al sesso?“

Poi anche il discorso prettamente legato al denaro andrebbe affrontato di più e meglio (non lo sento fare nei convegni dedicati ad amore sessualità e disabilità e, a riguardo, non lo trovo spesso negli articoli dedicati alla tematica); è una realtà ed è bene parlarne: mentre l’assistenza sessuale è gratuita in tanti Paesi, da noi molti disabili sono pronti a “giocarsi“ la pensione d’invalidità per un po’ di sesso o un massaggio tantra. C’è chi è in astinenza ed è destinato a rimanerci e chi dopo anni ed anni di astinenza scopre la sessualità ed è pronto a spendere qualsiasi cifra per un po’ di piacere, una, due, dieci, quindici volte al mese. La figura dell’assistente sessuale prevede una giusta preparazione psicologica che mira ad evitare il pericolo che per il disabile il sesso diventi una mania o una dipendenza.

Ritengo che per uno Stato “civile“ non sia mai troppo tardi varare nuove leggi o modificare quelle esistenti. Un Paese cattolico come l’Irlanda si è aperto alle unioni di persone dello stesso sesso.

E da noi, in Italia,  quale grado di cittadinanza ci viene concesso?

Perché non è mai possibile aspettarsi che siano presi in considerazione tutti i nostri bisogni?

Per approfondire altre tematiche legate a diritti e disabilità, vi rimando ai seguenti link:

http://www.piccologenio.it/2015/07/12/auto-nomia-una-luce-tra-le-tenebre-delle-patenti-speciali/ (Auto – nomia: una luce tra le tenebre delle patenti speciali)

http://www.piccologenio.it/2014/07/10/la-mia-esperienza-di-tirocinio-lavoro/ (La mia esperienza di tirocinio/lavoro)

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Noi siamo Francesco

È un film delicato e bellissimo: “Noi siamo Francesco“. Francesco è un bel  ragazzo, fisico atletico, brillante studente universitario, ma senza braccia dalla nascita. Riesce a fare quasi tutto. Ha 22 anni. Vive con la madre Grazia che nella vita fa la mamma a tempo pieno, ha un migliore amico Stefano.  Belli i ruoli e i rapporti di tutti i personaggi nei confronti del protagonista, molto intense e positive anche quelle della tata e della ragazza di Stefano. Tutte queste figure  si approcciano a lui con sincerità e affetto.

Ad oltre 20 anni non aver mai baciato una ragazza sta diventando un problema per Francesco.

Con l’aiuto dell’inseparabile amico Stefano, Francesco troverà comunque la strada per vivere serenamente la sua prima volta, con l’intraprendenza che appartiene alla sua età e superando gli ostacoli, le paure e le insicurezze causate dalla sua menomazione.

Degli aspetti della vita del protagonista  hanno catturato particolarmente la mia attenzione: bello essere indipendente, avere rapporti “sani“ e autentici con le persone, non farsi influenzare dagli altri che dipendono da lui e che tra l’altro sono pagate… Di certo Francesco aveva le idee chiare,  interessante    la parte del film in cui lui se la prende con  madre  per avergli organizzato un incontro di sesso a pagamento, rapporto che si è consumato in fretta  modo squallido, tutto il contrario del rapporto amoroso finale, con Sofia, compagna d’università.

Autentico il rapporto tra la madre e quest’unico figlio maschio, sua appendice, parte di lei, parte non normale perché senza braccia. Lo psicologo della madre le chiede: “suo figlio ha un handicap, perché fargli  pesare il fatto che lei non ha più una vita sessuale?“ La domanda del dottore rende veritiere certe assurde dinamiche…

Ritengo sia un lieve e toccante documentario. Il narrarsi garbatamente e con discrezione lascia il segno. Anche l’incanto dell’ambientazione in Puglia e le bellissime musiche aggiungono poesia e bellezza alla storia.

Interessante la dichiarazione della regista Guendalina Zampagni che ammette di aver costruito un’unica storia partendo dalle interviste a persone disabili su temi quali l’amore, la sessualità e l’amicizia.

Ho visto diversi film che trattano “amore, sessualità e disabilità“ i protagonisti erano tutti maschi, sarebbe interessante veder narrata la questione con la sensibilità e le difficolta di un ruolo femminile.

Questo film mi ha fatto riflettere anche sulla figura dell’assistente sessuale: forse il suo ruolo limitato di terapista del sesso non assolverà tutti i bisogni fisici e sentimentali dei suo assistiti.

È difficile crearsi una propria indipendenza se si ha un’handicap, riconoscersi come adulti e farsi trattare e rispettare come tali  dagli altri e dalla società. La disabilità non è fonte di rispetto, comporta una limitazione dell’autonomia, dipendenza, difficoltà nella gestione di sé e della propria vita e così via… di certo non aiuta e non facilita la presa di coscienza del proprio io, delle capacità, del costruire rapporti sani, non legati al denaro (cosa esplicita molto bene in questo film) o ai tanti momenti del bisogno. Positiva è anche la figura della tata, lavora con Francesco e la madre ad ore, ha un ruolo ben definito, non si sostituisce alla vera mamma, di conseguenza può permettersi di viziare il ragazzo senza essere invidiata e additata, neanche il ragazzo rischiava stupidi atteggiamenti per il rapporto con la tata, la madre, gli amici l’Altro.

Ammirabile il desiderio di Francesco di finire l’università per vivere con il migliore amico. Chissà come può essere il seguito della storia… Francesco è reduce da una delusione d’amore come me… e ammette “un altro rifiuto non riuscirei a sopportarlo“, ma con il migliore amico e la ragazza di quest’ultimo è riuscito ad andare avanti. In fondo la vita di Francesco era quella di uno studente brillante, ma normale, non segnata dall’urgenza di risolvere problemi ed impellenze quotidiane, dover fare o dimostrare chissà cosa…  diversamente la stima degli altri, l’autostima, l’indipendenza, la libertà, la mobilità… sarebbero finite chissà dove.

Belli gli anni d’università quando avevo un ruolo, la patente e pensavo che la laurea servisse a trovare un posto di lavoro, c’era anche chi mi aiutava, forse troppo… a mantenere rapporti con diverse persone. Comunque con gli aiuti, guidavo, studiavo, sapevo come passare le giornate, avevo un mio ruolo di persona che vive da sola, esce, studia, ho avuto delle storie sentimentali, ero più capace di infischiarmene di chi si svegliava con la luna storta ed anche di chi non approvava le mie scelte amorose e sessuali…!

Pochi giorni fa un fatto mi ha colpita: un mio caro amico ha portato in un viaggio di lavoro suo figlio che è un po’ discolo: sarebbe bello poter avere ancora qualcuno che ti  istradi nel mondo del lavoro anche a costo di farti capire, col suo esempio, cosa vuol dire guadagnarsi il pane, avere degli incarichi sia  familiari, sia lavorativi da assolvere… avere scadenze, rendere conto ai capi  perché altrimenti c’è chi è più bravo di te e ti può sostituire. Sarebbe bello contare su una persona che ti  introduca nel complicato mondo del lavoro, anche mettendoti davanti alla fatica e l’impegno che ora sono del padre e poi un giorno saranno del figlio in chissà quale ambito… magari molto diverso da quello del suo modello di riferimento, il papà appunto…!

Conosco molti illustri Professori in medicina (ginecologi, dermatologi, dietologi…) che hanno aperto la strada a figli e nipoti. Ritengo che non ci sia nulla di male e che poi sia tutto dovuto al talento dei più giovani del proseguire e farsi strada!

Mi sento un elefante dentro un negozio di cristalli!

 

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