E se foste disabili?

 

“Provate a immaginarvi Disabili. Come cambierebbe la vostra vita? Riuscite a immaginarvi Disabili? Avreste voglia di raccontarvi? Tempo fa proposi alla mia rete LinkedIn di rispondere a una semplice domanda: «Come immaginereste la vostra vita lavorativa se diventaste Disabili non autosufficienti?». Il quesito l’ho poi reso più conciso ed è venuto fuori un bel punto di domanda: «Se diventassi Disabile anche io?», ovviamente siete voi che vi dovete rispondere in quanto io – come molti nostri lettori – sono già Disabile”.

Queste le parole di un giornalista che mi hanno aperto tutta una serie di riflessioni sulla mia situazione e i legami con il mondo dei normodotati che da sempre mi circonda.

La domanda era posta ai così detti normali e forse c’è stato stupore leggendo su Facebook la mia reazione. Tante volte ho sentito e sento come un rimprovero il fatto che io non mi sforzo di capire gli altri, e devo ammettere che per me gli altri oggi come oggi, si dividono in chi mi capisce al volo: senza bisogno di parlare, queste persone forse mi capiscono più di quanto mi capisco io stessa, poi c’è chi mi capisce con poche parole, chi mi capisce a volte, e chi proprio non vuole capire.

La mia vita è caratterizzata da un handicap motorio cominciato quando avevo la testa in questo strano mondo ed il corpo ancora al calduccio dentro il ventre di mia madre. Quindi ho avuto un trauma, mi è stato giustamente spiegato che questo fa la differenza tra me ed una persona che si è formata diversa fin dalle sue origini nel grembo materno. A quanto pare essere disabile a causa di un trauma (durante la nascita o in un qualsiasi momento della vita), fa una grande differenza. 

Tornando ad interrogarmi sul quesito del giornalista “provate a immaginarvi disabili. Come cambierebbe la vostra vita?“ Io da disabile penso che per alcune persone sarebbe una catastrofe. Più che la vita gli cambierebbe innanzi tutto il carattere… che già non è dei migliori senza l’aggravante di un handicap certificato e palese. Conosco persone così detti normodotati che si fanno problemi immensi per un non nulla… Allora se handicap è il termine inglese per indicare un problema queste persone hanno un handicap/problema. Forse è proprio per questo che si dice handicap cognitivo e non handicap mentale, o giustamente si specifica persona con disabilità fisica e/o cognitiva.

Tornando a me, alla mia disabilità e a quanto questa interferisca, o a me sembra che interferisca, tra me e gli altri; spesso gli altri preferiscono evitarti, non vederti perché sono o forse mi fanno sentire… colpevole di avere qualche esigenza in più perché sono disabile. Sono colpevole di essere disabile. Sembra come se al momento del parto qualcuno mi avesse chiesto:

-Senti un po’ ma tu come vuoi essere?

-Eih dici a me?

-Si!

-Ammazza cominciamo con le domande difficili!

– Aoh non ti lamentare: ne dovrai prendere tante altre di decisioni difficili… Beh allora? Si può sape’?

– Beh io vorrei essere diversa, muovermi in modo anarchico, con un bel handicap motorio… che dici di questa idea?

– Contenta te! Non ti faccio respirare per 5 minuti e sei a posto per tutta la vita!

-Ma perché mi trovo qui?

-Ahahah il destino a volte si diverte, ma non ti preoccupare capirai tante cose crescendo!

Mi sa che non è andata proprio così…!

Sono nata, crescita e tanta gente è fuggita da me, dal mio handicap e soprattutto ha preso le distanze, in vario modo, dalla mia famiglia. La serie qui sarebbe bella lunga… recenti, meno recenti, uomini soprattutto, ma a anche donne… persone importanti e meno importanti (a seconda del grado di parentela, affettività, conoscenti, insegnanti, persone che per fortuna appartengono al passato. Un passato che spero si riproponga il meno possibile…) Io li divido in ordine di importanza e cronologico, ma questa sono io…! Forse altri fanno ancora di tutta l’erba un fascio, e questo è un handicap/problema, qualcosa che toglie la serenità con se stessi, con me, con gli altri.

A volte io stessa devo capirmi, capire la realtà e prendere delle decisioni. In prima battuta sbaglio perché tendo a fare una scelta piuttosto che un’altra per compiacere l’altro poi con fatica emerge la mia decisione, e con il passare del tempo questa prende forma, per me e per chi non si sforza di capirmi.

L’altra mattina ho fatto un incubo: ero rifiutata da un uomo, ciò ha rovinato un momento importate e magico… proprio perché lui pensava “ah ma  è disabile” (il sogno era più lungo ma posso anche non dilungarmi.) Le cose brutte si ricordano di più, i brutti sogni rimangono impressi per giorni e giorni. Comunque faccio finta di niente “per far star bene gli altri”, per non litigare, e funziona! Si funziona ma solo per poco tempo…! Anche se dentro hai una rabbia che spacceresti il mondo, non si vede, e funziona fino ad un certo punto! Poi arriva un pretesto banale e esplodi come una bomba ad orologeria, o implodi da sola a casa come un palazzo che viene giù all’ improvviso.

Ma poi i traumi ce li hanno sempre di più gli altri, c’è chi dice: “Mi sono rotto di tutta la famiglia, mollo tutto e tutti perché non accetto la disabilità di Zoe.“ Oppure “Zoe vieni così chi ti accompagna mi da una mano… tanto tu non puoi!” Si però poi gli altri capiscono questo meccanismo e non va bene.

Poi capita che non posso guidare e ti aiutano a patto che lo sappiano tre, quattro giorni prima, se vuoi fare dei giri di punto in bianco rinunciaci! Oppure lo schiribbizzo di fare una commissione all’improvviso fattelo venire giorni prima in modo programmato, o se no cavatela da sola e pagati il taxi. Se non trovi il taxi ed hai un impegno… arrivi in ritardo!

Cito le parole di una persona da me molto stimata che ha provato a darmi delle risposte al mio post su Face-book: “qualsiasi disabilità è sì immaginabile, ma non la si può sperimentare; perchè la realtà e la vita ha senso solo se è vera; e la vita, qualsiasi essa sia, è bella e non la si può barattare con nessuna condizione di (dis)abilità. Zoe Rondini questo lo sa; e sulla sua “esperienza” ha scritto un libro fantastico “Nata Viva” che consiglio di leggere a tutti, abili e disabili, normodotati e superdotati, piccoli e grandi, maschi e femmine. Una lettura che farà ricredere chi è convinto che la (dis)abilità è… barattabile o, comunque, una condizione esistenziale di cui sbarazzarsi.”

È bello che tante persone da me stimate, tante scolaresche, alcuni professori universitari abbiano capito tanto di me con la lettura di quel libro, il rapporto con nonno, mia sorella, gli amici… è migliorato grazie al romanzo e questo è più bello dei tanti progetti portati avanti con successo e soddisfazioni.

Delle altre persone che dire? Nel poema pedagogico di Anton Semenovyc Makarenko, uno dei fondatori della pedagogia sovietica, nato a fine 800, parla dei ragazzi moralmente handicappati, niente di più attuale e convincente a mio avviso, fa riflettere che nell’800 era una cosa riconosciuta ed assodata, oggi non si può dire altrettanto.

In conclusione non auguro a nessuno di essere disabile, ne alla gente in gamba: perché lo dovrebbero essere/diventare? Ne alla gente che forse lo è… ne alla gente che ha già un carattere particolare perché augurarli l’aggravante? Poi ci sono quelli che probabilmente hanno paura di esserlo veramente o diventarlo ma già lo sono e non lo dico io, ma Makarenko. Infine non lo auguro ai bambini che nasceranno perché la disabilità è uno svantaggio, spesso è indelebile a volte ma solo per periodi di tempo rapidi e ben determinati è una risorsa.

 Leggi anche:

Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi

Nata viva e l’attuale condizione dei disabili nel nostro paese

“Fai bei sogni” e “Nata viva”, la verità per vivere con i nonostante

Rassegna stampa delle due opere “Nata viva” di Zoe Rondini

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Nata viva e l’attuale condizione dei disabili nel nostro paese

Ringrazio la giornalista Dianora Tinti che con la sua intervista mi ha dato modo di esprimermi su temi a me cari come il mio romanzo di formazione, il cortometraggio, la famiglia ma anche la condizione dei disabili nel nostro paese.

Buona lettura.

 

Zoe Rondini è uno pseudonimo. Perché questa scelta?

Ho scelto di cambiare tutti i nomi del libro, anche il mio, per essere più libera di raccontare tutta la verità dal mio punto di vista su vicende anche “scomode”, che mi hanno fatta soffrire e riguardano, la famiglia, i parenti, gli insegnanti, i medici, i fisioterapisti ect!

Sicuramente tu non incarni l’immagine della ragazza disabile. Il tuo è un aspetto costruito, il risultato di molto impegno o semplicemente il tuo modo di porti?

Mi  ritengo una ragazza disabile come tante… comunque grazie a tanta fisioterapia e logopedia sono migliorata ed è migliorato il mio modo di pormi. Se esco curo trucco e capelli… ma tutto con naturalezza, per questo non ho un immagine molto “costruita”: è semplicemente un modo di pormi.

 Tu vivi da sola in una bella casa, guidi l’auto, hai un Blog, una laurea di cinque anni e scrivi.  Secondo te i pregiudizi sui disabili sono veramente soltanto gli altri ad averli oppure a volte sono loro stessi a crearseli?

A mio avviso in Italia i pregiudizi legati ai disabili e vari aspetti della vita sono ancora tanti, qui c’è l’assistenzialismo, “poverino il disabile non può amare, lavorare, uscire da solo e come gli altri, divertirsi, avere storie sentimentali… ma perché anche loro “pretendono“ queste cose?” è chiaro che così le persone si sentono discriminate e ghettizzate… si sentono vittime di un sistema che non li aiuta e li valorizza abbastanza (basti pensare che per un posto di lavoro valgono più i tirocini dei vari titoli di studio) questo genera rabbia, frustrazione, senso di inadeguatezza. Con la nostra società attuale  per l’autocommiserazione ed il vittimismo c’è molto spazio, il passo è breve  anche se non dovuto e giustificato…

Per il mio prossimo libro ho intervistato molti disabili e persone normodotate che conoscono bene il mondo della disabilità; è stato interessante e positivo vedere come i disabili affrontano i loro limiti e le sfide della loro condizione, come desiderano una loro “normalità“ ed emancipazione. Le donne più degli uomini, questi ultimi, non tutti s’intende… ma molti sono più propensi a rimanere eterni bambini. Gli piacciono le coccole della mamma e ricercano lo stesso trattamento nella loro donna (e questo in parte mi ha fatto perdere la fiducia in una vita di coppia piena ed appagante per me…). È stato difficile ma entusiasmante aiutare i disabili a parlare di sé, della loro situazione, di come cambierebbero le cose, dei loro sogni ed aspettative.

Pensi che la condizione dei disabili negli ultimi anni sia migliorata in Italia?

Ci sono molte leggi, anche troppe, ma secondo me siamo ancora lontani da un sistema in grado di garantire una vita “dignitosa” ed autonoma alle persone disabili. Questa conquista riguarda purtroppo poche persone, ed è dovuta il più delle volte ad uno sforzo personale a al sostegno della famiglia. Le realtà dei disabili che vivono in case-famiglia e istituti è ancora significativa: si stima che queste strutture abbiano circa 300.000 “ospiti“ .In queste strutture spesso non si fanno abbastanza percorsi individualizzati, non si promuove abbastanza l’autonomia e spesso si tende a far vivere insieme persone con handicap cognitivo con chi ha solo un handicap motorio. Sono dei parcheggi, dove si fanno vari laboratori manuali, si mangia, si dorme, si prega… Certo meglio che vivere abbandonati a se stessi… ma nella vita di chi non ha un deficit cognitivo ci può e ci deve essere di più.

Una valida alternativa sarebbe promuovere l’autonomia e la coabitazione delle persone con disabilità. Ma pochi attuano percorsi di questo tipo… conosco solo l’Associazione Oltre lo Sguardo Onlus che si batte per questo! Lo stato preferisce aprire altre strutture e fa lavorare le cooperative…!

Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale agli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio… Inizia così Nata viva il tuo romanzo d’esordio in gran parte autobiografico, fra l’altro simpatico ed ironico. Cosa o chi ti ha spinto a scriverlo?

Ho cominciato a scrivere i miei ricordi a 13 anni, a causa di un lutto famigliare improvviso, inaspettato e doloroso. Fin dall’inizio volevo narrarmi agli altri, volevo scrivere un’autobiografia non un diario giornaliero. Ho interrotto la scrittura due volte, per correggere e ampliare anni dopo con l’aiuto di esperti. Come dici tu lo stile è volutamente ironico ed autoironico, rapsodico, alterno capitoli seri a tematiche più leggere. Questo lo rendono un libro avvincente, da leggere tutto di un fiato per scoprire presto l’epilogo delle vicende di Zoe.

Dopo varie stesure e correzioni, finalmente l’ho concluso e fatto pubblicare. Il sogno si è avverato: il libro ora è per i lettori!

Qual è il target di persone al quale si rivolge Nata viva?

Dopo aver riscosso successo tra gli adulti, i genitori di persone disabili, professori ed appassionati di romanzi autobiografici… l’ho presentato alle scuole medie e superiori, lo rifarò perché con i ragazzi ho riscosso molto successo: tocco tematiche dell’infanzia, l’adolescenza, cose a loro affini…

Comunque è bello avere un target eterogeneo ed ascoltare buoni riscontri nelle varie presentazioni, nelle scuole, all’università  (ho tenuto degli incontri nella facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione, alla Sapienza di Roma). Non nego che fa anche piacere avere parecchi riscontri di persone che mi scrivono su F.B. o via mail dicendo che hanno letto il libro o lo vogliono leggere per capire meglio un figlio, un parente disabile o perché loro stessi vivono una condizione di disabilità e cercano degli esempi, degli spunti, delle soluzioni.

Ed in particolare, cosa possono ricavare da queste pagine i lettori con disabilità?

Tanti mi hanno scritto che anche loro hanno combattuto le mie stesse battaglie, hanno o volevano la mia tenacia. Anche mamme di bimbi disabili si stanno interessando al libro, per capire meglio come affrontare la crescita dei figli senza far mancare loro i sostegni necessari.

Quali sono i ricordi principali legati alla tua infanzia e adolescenza?

Racconto i ricordi belli e divertenti legati a Rickie, il secondo marito di mia madre, scomparso prematuramente ad agosto 1994, i tanti insegnamenti dei miei nonni ( allegato in appendice alla seconda edizione il lettore troverà il racconto “L’ultimo acquarello“ che approfondisce la figura di mio nonno  Adriano) il rapporto un po’ conflittuale con mia madre, anche se poi era lei che giocava con me e mi raccontava barzellette e storie dei pirati prima di darmi la buona notte. I bei viaggi, le vacanze e i conflitti con i fisioterapisti ed il personale scolastico… insomma c’è tanto nella mia vita e nel mio romanzo!

Come è cambiato nel tempo il rapporto con il tuo corpo e la tua femminilità?

Anche se ho una disabilità, per fortuna non ho avuto i soliti complessi che hanno le ragazze. In generale mi piaccio, a volte un po’ di più a volte un po’ meno, ma è normale. Mi piaceva molto essere apprezzata da mio uomo… purtroppo adesso sono single: dopo l’ultima storia finita più male di quanto ho dato a vedere… ho smesso di cercare!

In una recentissima intervista rilasciata al Venerdì di Repubblica hai parlato anche delle donne importanti della tua vita, soprattutto mamma e nonna. Cosa hanno significato per te?

È vero, mi hanno trasmesso tanto, abbiamo condiviso tante battaglie, viaggi, vacanze, ore di attesa da innumerevoli medici. È stato un successo l’articolo di Repubblica, la mia famiglia, il mio migliore amico, gli amici sono fieri di me e credo e spero anche i miei nonni e Ricky da lassù. Un’altra donna importante della mia vita è mia sorella, quando ho scritto il libro i 9 anni di differenza si sentivano molto, per lei leggere il libro è stato un modo per capirmi di più, adesso che siamo entrambe adulte condividiamo interessi, viaggi, cinema, musei, amicizie in comune… e perché no buon cibo. Mi sono pentita di aver parlato poco di lei… ma nel secondo libro ha ampio spazio con un’ intervista, nei ringraziamenti ed ho dato il giusto risalto ad altre sorelle e fratelli di persone con disabilità.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Scriverai ancora?

Ora vorrei pubblicizzare il romanzo Nata viva, edito dalla Società Editrice Dante Alighieri e l’omonimo cortometraggio della regista Lucia Pappalardo realizzato grazie al supporto dell’Associazione Nazionale Filmaker Videomaker Italiani.

Sto anche ultimando, appunto il secondo libro, un saggio su disabilità e temi di tutti i giorni: famiglia, lavoro, scuola ed università, amore e sessualità, arte, hobby ect. Anche quest’ultimo progetto è condiviso con Matteo Frasca, amico e consulente letterario con il quale ho terminato di scrivere Nata viva e l’abbiamo portato nelle scuole.

Ma di questo secondo libro preferisco aggiungere altri dettagli più avanti!

Dove possiamo trovare te e il tuo libro (link, blog etc) ?

Il libro è in vendita sul sito della Società Editrice Dante Alighieri

ed il cortometraggio si trova su You-tube 

 

 

Vuoi lasciare una frase, una citazione, un pensiero, una riflessione per i lettori di Letteratura e dintorni?

L’incipit l’hai citato giustamente tu. Per non ripetermi mi piace anche l’ultima frase: Eppure la vita riserva inaspettate sorprese alle persone che nonostante tutto… nascono vive!

 

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L’assistente sessuale come mediatore culturale

  Nulla al mondo è  normale. Tutto ciò che esiste è un frammento del grande enigma. Anche tu lo sei: noi siamo l’enigma che nessuno risolve.

Jostein Gaarder

Ritorno ad affrontare il delicato tema dell’assistenza sessuale in Italia. Chi ha già letto i miei vari articoli su amore, sessualità e disabilità, potrebbe chiedersi come mai insisto ancora su questa tematica, se per caso non ne sia magari ossessionata. La spiegazione è semplice.

 A mio avviso ogni individuo ha diritto a ricercare i tanti significati dell’ amore attraverso un’ educazione sentimentale appropriata. In rapporto alla disabilità questo non avviene mai seriamente. Molto spesso la scoperta della propria identità, delle proprie capacità di relazione, nonché della capacità di amare, di prendersi cura di sé e degli altri  avviene anche attraverso l’ opportunità di godere, di provare piacere, di raggiungere pienamente un orgasmo, combattendo in questo modo la frustrazione, la depressione e la sfiducia in se stessi e negli altri. Per tutti e per tutte è così, a livelli diversi. E in questa moltitudine, siamo compresi anche noi… disabili.

Documentandomi attraverso vari fonti, conoscendo persone, ascoltando le loro storie, mi sono convinta che se anche qui  in Italia si accettasse la figura dell’ assistente sessuale, si accetterebbe anche il “tramite“, il mediatore culturale giusto  tra sessualità, educazione sentimentale e disabilità. Ora è pur vero che molte delle persone che ho incontrato e che mi hanno raccontato le loro esperienze in tal senso, non hanno voluto e non vogliono – anche legittimamente – esporsi e testimoniare pubblicamente questo vissuto con le relative scoperte e prese di coscienza. In attesa che si sentino “liberi“ di poterlo fare e che quindi la scuola e la famiglia, gli Istituti per disabili, le Case-famiglia e chissà un giorno le parrocchie, facilitino tale cambiamento e possibilità di racconto, mi prendo io la briga, l’ onore e l’ onere di parlarne  come posso, sotto diverse prospettive. 

 Cominciamo a riflettere su un dato importante: da più di un anno è chiuso in un cassetto di una scrivania del Senato il disegno di legge 1442 che mira ad inserire in Italia questa figura.

Prendo spunto da quanto affermato da Maximiliano Ulivieri, per passare poi a considerazioni riguardanti l’amore e la sessualità dei cittadini italiani disabili, ma ovviamente di conseguenza si deve parlare anche di politica, di leggi, di cittadinanza e diritti, di Vaticano, di denaro e prostituzione.

 «Il problema principale in Italia è la burocrazia, la legge. Nel nostro Paese – racconta Ulivieri (persona con disabilità che ha  iniziato una battaglia per ottenere l’assistenza sessuale non per lui – che è sposato – ma per molti disabili che bramano questo diritto), questa figura non è riconosciuta perché viene accostata alla prostituzione – anche se è tutt’altro – che in Italia è illegale». Anch’ io, insieme ad Ulivieri, saremmo favorevoli alla legalizzazione della prostituzione, «in modo da permettere anche agli assistenti sessuali per disabili, di operare nella legalità ».

«Sarebbe un primo passo – dichiara– ma noi ci continueremo a battere per il riconoscimento specifico di questa figura».

Oltre a un problema innegabile per il quale in Italia tutta la burocrazia è lenta e macchinosa, il Belpaese, spesso, deve fare i conti anche con una serie di resistenze culturali, probabilmente strettamente connesse alla religione.

«In Italia non si parla neanche della sessualità dei normodotati», ragiona Ulivieri.

Come Ulivieri anch’io non voglio il riconoscimento di questo diritto a fini personali. Dopo diverse storie sentimentali ed alla luce di un forte legame con un uomo, che, non ostante tutto… ci stiamo avvicinando a festeggiare dieci anni di un’intensa e passionale amicizia… non credo che mi rivolgerei ad un assistente sessuale. Il ruolo di questa figura è “terapeutico“, ha una serie di divieti… Quindi, a mio avviso, è molto utile per le tante persone che hanno un handicap cognitivo, o per i disabili motori che hanno un handicap talmente accentuato che non li permette di essere ricambiato nell’amore e nel desiderio.

Conoscevo un uomo quarantenne che desiderava una storia seria. Lui aveva un lieve handicap motorio LIEVE, lavorava, aveva degli amici, sognava un matrimonio e dei figli. Lui non sapeva distinguere  tra amore e pornografia… Non sapeva il significato di “erotismo“… non capiva le esigenze della sua donna, non sapeva badare a se stesso… non era in grado di andare da solo in farmacia… Ecco forse in quel caso una terapista del sesso poteva essere utile per aiutare il ragazzo con l’ABC dell’amore, erotismo, su come doveva relazionarsi con la donna, che, almeno a parole… diceva di amare e voleva rendere felice. Quella coppia è scoppiata lasciando più cicatrici di quanto si possa immaginare, c’è stata tanta amarezza, rabbia, solitudine, delusione. Ma chissà come sarebbero andate le cose se lui avesse seguito pochi e semplici consigli medici, e se fosse stato “educato“ sentimentalmente e sessualmente da una “terapista sessuale professionista“?! Chi può dirlo…!

Tornando a ragionamenti più generali sull’assistenza sessuale per disabili e la situazione italiana, in primo luogo non mi sembra giusto bloccare una cosa così importante come l’assistenza sessuale per disabili. Ci nascondiamo dietro la scusa che ciò va fatto per non incoraggiare la prostituzione? Quanta ipocrisia dietro a facili e rapide conclusioni e “soluzioni“.

Altra scusa già troppe volte sentita: non si regolamenta l’assistenza sessuale perché da noi c’è lo Stato Vaticano.

È vero che la Chiesa è rigida sulla sessualità non finalizzata alla procreazione, ma diciamola tutta, fino a poco tempo fa, i preti pedofili erano impuniti, venivano solo “spostati“ da una parrocchia ad un’altra; adesso sembra che Papa Francesco abbia idee diverse sui preti pedofili; si sta aprendo all’ omosessualità e alle questioni sul matrimonio e sul divorzio. Chissà se arriverà anche a noi disabili, che, giusto per ricordarlo, in Italia siamo circa 2 milioni 824 mila, di cui 960 mila uomini e 1 milione 864 mila donne.

Chissà quanti di questi votano? Me lo domando giusto per lanciare una provocazione.

Dopo questi  finti alibi,  vorrei tornare ad una realtà, quella dello sfruttamento della prostituzione che si consuma ogni giorno su tante strade e tanti quartieri delle nostre belle città. E le leggi? Che dicono le leggi delle donne in strada che, ricordiamolo, le più sono sfruttate. Certamente non pagano le tasse e non si sottopongono a controlli medici periodici. Loro sono tante, ogni giorno ed ogni notte in strada. Sorprendentemente sotto gli occhi di tutti. Ma non è legale. E perché la situazione non cambia? Dov’è chi se ne dovrebbe occupare?

E allora ammettiamolo: se sei un disabile ricco ti arrangi tra prostitute e operatori tantra, ma se sei povero? Se hai un handicap intellettivo e le prostitute si rifiutano di stare con te? Come al solito a farne le spese sono i disabili: un uomo normodotato può andare con una escort senza tante leggi e legalità! Per chi è disabile “stranamente“ è tutto più complicato; anche il sesso. E per tutto ciò ci vogliono le leggi?

Mi è rimasta impressa una mamma di un ragazzo disabile che, durante un convegno su amore, sessualità e disabilità, ha testimoniato che lei e tante altre mamme di ragazzi e ragazze con handicap cognitivo e/o motorio, erano pronte a organizzarsi per portare i figli all’estero, per consentire loro l’assistenza sessuale piuttosto che aspettare l’iter di un disegno di legge qui da noi. Penso che questa madre abbia lanciato una forte provocazione. Ma c’è chi “l’impresa“ l’ha compiuta e testimoniata come nel caso del film The special need (2014), di Carlo Zoratti.

A proposito di come vanno le cose all’estero riguardo la sessualità dei diversamente abili, trovo incisiva una breve testimonianza di Charlotte Rose.

Attraverso la giornalista Cecilia Marotta, veniamo a sapere che Charlotte Rose «in Inghilterra, offre piacere a chi soffre, senza pietà né falsi pudori. È una sex worker specializzata in clienti diversamente abili. Negli anni Charlotte ha imparato le tecniche per un orgasmo personalizzato; ogni disabile ha le proprie esigenze e deve essere stimolato in maniera diversa, come ogni individuo. L’obiettivo è aiutarlo a riconnettersi con la propria energia sessuale, per affrontare la malattia con maggiore vitalità.

Charlotte è fermamente convinta che il sesso sia un’esigenza primordiale da non sottovalutare. Per questo si iscrive al registro della TLC Trust, l’associazione inglese che si adopera per i diritti dei disabili e si preoccupa di metterli in connessione con un portfolio di escort disposte a partecipare a programmi di riabilitazione sessuale.

Charlotte è inoltre membro attivo del parlamento inglese e, tra le sue proposte, c’è quella di riconoscere ufficialmente la professione di assistente sessuale per portatori di handicap, che dovrebbe essere integrata nei servizi offerti dal National Health Service.

In Olanda, Germania, Belgio, Paesi Scandinavi e Svizzera, l’assistente sessuale è già una realtà».

Tornando alla situazione italiana, ritengo giusto non tralasciare un discorso anche politico: mi sembra che alcuni  parlamentari siano attualmente impegnati a raccogliere voti nel modo a loro più semplice e congeniale, occupandosi dei diritti dei cittadini omosessuali e L.G.T.B.

I diversamente abili in fondo sono una minoranza un po’ vecchia, consolidata nel tempo e nello spazio, non conviene occuparsene, non porterebbero abbastanza voti. E poi “poverini“ hanno tanti problemi… “ma perché anche loro pensano al sesso?“

Poi anche il discorso prettamente legato al denaro andrebbe affrontato di più e meglio (non lo sento fare nei convegni dedicati ad amore sessualità e disabilità e, a riguardo, non lo trovo spesso negli articoli dedicati alla tematica); è una realtà ed è bene parlarne: mentre l’assistenza sessuale è gratuita in tanti Paesi, da noi molti disabili sono pronti a “giocarsi“ la pensione d’invalidità per un po’ di sesso o un massaggio tantra. C’è chi è in astinenza ed è destinato a rimanerci e chi dopo anni ed anni di astinenza scopre la sessualità ed è pronto a spendere qualsiasi cifra per un po’ di piacere, una, due, dieci, quindici volte al mese. La figura dell’assistente sessuale prevede una giusta preparazione psicologica che mira ad evitare il pericolo che per il disabile il sesso diventi una mania o una dipendenza.

Ritengo che per uno Stato “civile“ non sia mai troppo tardi varare nuove leggi o modificare quelle esistenti. Un Paese cattolico come l’Irlanda si è aperto alle unioni di persone dello stesso sesso.

E da noi, in Italia,  quale grado di cittadinanza ci viene concesso?

Perché non è mai possibile aspettarsi che siano presi in considerazione tutti i nostri bisogni?

Per approfondire altre tematiche legate a diritti e disabilità, vi rimando ai seguenti link:

http://www.piccologenio.it/2015/07/12/auto-nomia-una-luce-tra-le-tenebre-delle-patenti-speciali/ (Auto – nomia: una luce tra le tenebre delle patenti speciali)

http://www.piccologenio.it/2014/07/10/la-mia-esperienza-di-tirocinio-lavoro/ (La mia esperienza di tirocinio/lavoro)

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Noi siamo Francesco

È un film delicato e bellissimo: “Noi siamo Francesco“. Francesco è un bel  ragazzo, fisico atletico, brillante studente universitario, ma senza braccia dalla nascita. Riesce a fare quasi tutto. Ha 22 anni. Vive con la madre Grazia che nella vita fa la mamma a tempo pieno, ha un migliore amico Stefano.  Belli i ruoli e i rapporti di tutti i personaggi nei confronti del protagonista, molto intense e positive anche quelle della tata e della ragazza di Stefano. Tutte queste figure  si approcciano a lui con sincerità e affetto.

Ad oltre 20 anni non aver mai baciato una ragazza sta diventando un problema per Francesco.

Con l’aiuto dell’inseparabile amico Stefano, Francesco troverà comunque la strada per vivere serenamente la sua prima volta, con l’intraprendenza che appartiene alla sua età e superando gli ostacoli, le paure e le insicurezze causate dalla sua menomazione.

Degli aspetti della vita del protagonista  hanno catturato particolarmente la mia attenzione: bello essere indipendente, avere rapporti “sani“ e autentici con le persone, non farsi influenzare dagli altri che dipendono da lui e che tra l’altro sono pagate… Di certo Francesco aveva le idee chiare,  interessante    la parte del film in cui lui se la prende con  madre  per avergli organizzato un incontro di sesso a pagamento, rapporto che si è consumato in fretta  modo squallido, tutto il contrario del rapporto amoroso finale, con Sofia, compagna d’università.

Autentico il rapporto tra la madre e quest’unico figlio maschio, sua appendice, parte di lei, parte non normale perché senza braccia. Lo psicologo della madre le chiede: “suo figlio ha un handicap, perché fargli  pesare il fatto che lei non ha più una vita sessuale?“ La domanda del dottore rende veritiere certe assurde dinamiche…

Ritengo sia un lieve e toccante documentario. Il narrarsi garbatamente e con discrezione lascia il segno. Anche l’incanto dell’ambientazione in Puglia e le bellissime musiche aggiungono poesia e bellezza alla storia.

Interessante la dichiarazione della regista Guendalina Zampagni che ammette di aver costruito un’unica storia partendo dalle interviste a persone disabili su temi quali l’amore, la sessualità e l’amicizia.

Ho visto diversi film che trattano “amore, sessualità e disabilità“ i protagonisti erano tutti maschi, sarebbe interessante veder narrata la questione con la sensibilità e le difficolta di un ruolo femminile.

Questo film mi ha fatto riflettere anche sulla figura dell’assistente sessuale: forse il suo ruolo limitato di terapista del sesso non assolverà tutti i bisogni fisici e sentimentali dei suo assistiti.

È difficile crearsi una propria indipendenza se si ha un’handicap, riconoscersi come adulti e farsi trattare e rispettare come tali  dagli altri e dalla società. La disabilità non è fonte di rispetto, comporta una limitazione dell’autonomia, dipendenza, difficoltà nella gestione di sé e della propria vita e così via… di certo non aiuta e non facilita la presa di coscienza del proprio io, delle capacità, del costruire rapporti sani, non legati al denaro (cosa esplicita molto bene in questo film) o ai tanti momenti del bisogno. Positiva è anche la figura della tata, lavora con Francesco e la madre ad ore, ha un ruolo ben definito, non si sostituisce alla vera mamma, di conseguenza può permettersi di viziare il ragazzo senza essere invidiata e additata, neanche il ragazzo rischiava stupidi atteggiamenti per il rapporto con la tata, la madre, gli amici l’Altro.

Ammirabile il desiderio di Francesco di finire l’università per vivere con il migliore amico. Chissà come può essere il seguito della storia… Francesco è reduce da una delusione d’amore come me… e ammette “un altro rifiuto non riuscirei a sopportarlo“, ma con il migliore amico e la ragazza di quest’ultimo è riuscito ad andare avanti. In fondo la vita di Francesco era quella di uno studente brillante, ma normale, non segnata dall’urgenza di risolvere problemi ed impellenze quotidiane, dover fare o dimostrare chissà cosa…  diversamente la stima degli altri, l’autostima, l’indipendenza, la libertà, la mobilità… sarebbero finite chissà dove.

Belli gli anni d’università quando avevo un ruolo, la patente e pensavo che la laurea servisse a trovare un posto di lavoro, c’era anche chi mi aiutava, forse troppo… a mantenere rapporti con diverse persone. Comunque con gli aiuti, guidavo, studiavo, sapevo come passare le giornate, avevo un mio ruolo di persona che vive da sola, esce, studia, ho avuto delle storie sentimentali, ero più capace di infischiarmene di chi si svegliava con la luna storta ed anche di chi non approvava le mie scelte amorose e sessuali…!

Pochi giorni fa un fatto mi ha colpita: un mio caro amico ha portato in un viaggio di lavoro suo figlio che è un po’ discolo: sarebbe bello poter avere ancora qualcuno che ti  istradi nel mondo del lavoro anche a costo di farti capire, col suo esempio, cosa vuol dire guadagnarsi il pane, avere degli incarichi sia  familiari, sia lavorativi da assolvere… avere scadenze, rendere conto ai capi  perché altrimenti c’è chi è più bravo di te e ti può sostituire. Sarebbe bello contare su una persona che ti  introduca nel complicato mondo del lavoro, anche mettendoti davanti alla fatica e l’impegno che ora sono del padre e poi un giorno saranno del figlio in chissà quale ambito… magari molto diverso da quello del suo modello di riferimento, il papà appunto…!

Conosco molti illustri Professori in medicina (ginecologi, dermatologi, dietologi…) che hanno aperto la strada a figli e nipoti. Ritengo che non ci sia nulla di male e che poi sia tutto dovuto al talento dei più giovani del proseguire e farsi strada!

Mi sento un elefante dentro un negozio di cristalli!

 

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