La Cantastorie Zoe, spettacolo tratto dal romanzo “Nata Viva”

 

Dal romanzo Nata viva è stato tratto lo spettacolo teatrale La Cantastorie Zoe. Scritto ed interpretato da Marzia Castiglione (in arte Zoe Rondini)  e Matteo Frasca, regia di Tiziana Scrocca.

Sinossi

Tutti i dottori si affrettano a rianimarmi, ma rimango 5 minuti senza respirare. Si tratta solo di 5 minuti, ma sono i primi minuti della mia vita“. Inizia così lo spettacolo: Zoe ci racconta la sua nascita, una nascita diversa, perchè lei non piange come tutti i bambini, lei non respira nemmeno. Appena nata resta 5 minuti in apnea, e quei 5 minuti senza fiato sono un tempo infinito, dilatato, in sospensione tra la vita e la morte ma con la possibilità di scegliere se vivere o no, e noi attraversiamo con lei quei primi 5 minuti, in cui scorre tutta la vita che vivrà… Una vita che sceglie di vivere! “La Cantastorie Zoe“ è tratto dal libro “Nata viva“, é la storia vera di Marzia, una ragazza disabile che con forza, coraggio e vitalità ci racconta la sua vita. Una vita fatta di lotte, conquiste, frustrazioni, gioie e sogni… Come tutti forse… Ma con una disabilità che tutti i giorni ti mette difronte ai tuoi limiti. Eppure Marzia, in arte Zoe, con ostinazione e con fantasia racconta come si sceglie di nascere vivi, di come, per nascere veramente, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo ancora.

Un grazie speciale alla professionalità ed alla sensibilità di Maurizio Panicucci che ha realizzato l’intervista per Rete Valdera.

Lo spettacolo è stato trasmesso da Radio Onda Rossa, lo potete ascoltare al link: La Cantastorie Zoe 

Foto di Daria Castrini, fatte al Teatro Era di Pontedera il 10 febbraio 2019, nell’ambito del contest “Attori Di-versi”. Le repliche precedenti sono andate in scena a Roma nel 2012 presso i teatri Abarico e Arvalia.

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Convegno Erickson “Sono adulto! Disabilità diritto alla scelta e progetto di vita”

Zoe al convegno Erickson "Sono adulto. Disabilità diritto alla scelta e progetto di vita"

L’8 marzo 2019 sono stata relatrice al convegno promosso dal Centro Studi Erickson “Sono adulto! Disabilità diritto alla scelta e progetto di vita” a Rimini.

Di seguito i materiali del mio intervento, incentrato sull’importanza della narrazione di sè e sulla valenza terapeutica della scrittura.

 

Intervento 8marzo2019

SLIDE_Convegno Sono-adulto

Treiler del cortometraggio Nata Viva:

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Guarda il mini-film:

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La percezione della disabilità tra racconto, psicologia e pedagogia

Quando ero piccola mi hanno insegnato a cadere in avanti anzichè all’indietro, ad aggrapparmi ai miei pantaloni e camminare da sola.
Ma cadevo lo stesso e dovevo rialzarmi ad ogni costo. Così mi insegnavano in tanti, non avevo vie di scampo.
Crescendo, ho imparato a camminare da sola, ma l’equilibrio precario e le tante cadute sono rimaste.
Non è un problema di ginocchia sbucciate… quelle passano. La sensazione profonda di poter cadere, sbagliare, non farmi capire, non essere all’altezza, non spiegarmi, capire tardi quello che per me è veramente importante… è un’altra cosa.

il senso di colpa, verso le decisioni capite e prese all’ultimo momento… la rabbia prima di tutto verso me stessa e verso gli altri per la non capacità di agire, rimediare, essere assenti, vagi ed incompleti… è tanta. Inadeguatezza sì la mia e quella sensazione dei ragazzi delle medie coinvolti nel progetto di narrazione che sto portando avanti; ecco quella sensazione che ci accomuna e per la quale si è creata empatia con tutte le classi incontrate fin ora.

Alcuni adulti, a differenza dei ragazzi,  si crocchiolano nel sentirsi inadeguati: non mi va, non mi interessa, ho di meglio da fare, siamo gelosi, c’è stato e c’è chi pensa a te, sei grande, voglio pensare a me stesso/a non ce la faccio ect ma quando si tratta di “facciata” beh quella tentano di salvarla.
Ecco tanti motivi per voltarti le spalle, per sempre o per alcune situazioni. Poi non è raro che, sono io a chiudermi, a non voler più sapere, anche riparlarne mi crea fastidio.
A volte alcune persone, ci sono è veroma a me sembrano flash e poi barcollo, ondeggio, barcollo ancora.
Loro soffrono, si lamentano…  se gli altri possono farlo, la sottoscritta (che infondo non ha respirato per 5 minuti) non è tenuta a lamentarsi.
Ma continuo a credere nella scrittura e nella pedagogia, così scrivo ed incontro persone nuove, belle, un po’ pazze perché mi fanno ballare, recitare, scrivere, parlare ai convegni ed alle presentazioni, essere autrice, giornalista, lavoratrice, alunna, sorella e nipote.
È folle portare in scena lo spettacolo La Cantastorie Zoe che ha fatto piangere tutti: sconosciuti e sconosciuti, parenti e familiari, ma lo rifaremo grazie a compagni di viaggio “vecchi” e nuovi.
Ci sono persone che stimo e stimerò sempre, perché mi hanno sia aiutata a fare da sola, che insieme a loro, così abbiamo sperimentano, condividono, hanno pianto sì, ma anche riso, viaggiato, recitato, scritto, gustato, visto, insegnato, amato e tanto altro.

Ho insisto anche sbagliando anche prendendomi molte porte in faccia… ma questo spesso viene dimenticato oppure le porte in faccia le hanno prese sempre di più gli altri tanto che, a volte o per sempre non hanno più nulla da condividere.

Quando ero piccola dettavo a gli altri, non volevo studiare e iscrivermi all’università, meno male che poi hanno insistito ed ho insistito, fino a raggiungere la laurea triennale e specialistica.
Io scrivo, recito, incontro le scuole, questo è quello che ho imparato a fare, mi dispiace che per tutto ciò, involontariamente, facciano male agli altri.
Per fortuna non sono l’unica a credere, con alti e bassi… a quello che mi riesce più o meno bene, con gli aiuti certo ma che male c’è a chiedere aiuto?
C’è chi mi ha insegnato a usare il pc piuttosto che dettare, chi le tecniche di scrittura creativa e giornalistica, chi mi porta nelle scuole per parlare ai ragazzi, chi ha danzato con me, chi ha recitato.
C’è anche chi mi guarda e mi dice “cavolo se mio figlio potesse farlo”; io lo faccio ma gli altri soffrono. Non voglio insegnare niente a nessuno. Ci sono mamme di bambini e ragazzi disabili che mi chiedono consigli, aiuto, io cerco di daglieli: se posso condividere la mia esperienza e confortare un pochino sono contenta.

Ricordo che una volta ho regalato il mio romanzo ad un papà di due ragazzi con handicap cognitivo e lui (che viveva una situazione complessa) mi ha detto: “ti ringrazio perchè dalle tue pagine capirò meglio i miei figli”.
Cerco di fare da sola, ma sbaglio, lascio in dietro qualcosa. Cado, in qualche modo mi rialzo.
È vero i rimproveri comunque arrivano ed è sbagliato andarseli a cercare.
C’è chi mi apprezza e c’è chi lo fa con alti e bassi chi “non ne può più del mio libro ed evita i convegni che trattano la disabilità”, ma per fortuna non posso generalizzare.
C’è anche chi non mi parla ma mi invita, per salvare la faccia, ad un’occasione importante, e chi semplicemente non mi parlerà più.
Non sono d’accordo con l’idea a volte diffusa in psicologia per la quale “la nascita di un figlio con qualsiasi ritardo o problema è un trauma che ferma il tempo, generalmente i genitori vedono i figli come la continuazione di loro stessi, qualcuno con cui identificarsi, la presenza di un handicap impedisce questo processo”. Non è detto che non ci si possa identificare in una persona con difficoltà cognitive, motorie o di vario tipo, solo che ciò comporta tempo ed uno sforzo in più nel superare i propri limiti, le proprie barriere per poi superarli insieme ai figli e con chi sceglie di rimanerli a fianco: molti figli disabili sono l’orgoglio dei genitori e viceversa, anzi sono proprio loro a far fare nuove esperienze e far intraprendere nuove sfide ai genitori.
Ripenso al tanto studiato Anton Semenovyč Makarenko, pedagogista sovietico, egli parlava delle persone moralmente handicappate, cosa c’è di più attuale se in tante situazioni non mi sento ne accettata ne pronta a fare tutto da sola?
E per chi non c’è o c’è a tratti non vale la stessa definizione?
Concludo con la visione di famiglia del celebre pedagogista: per Makarenko i genitori sono chiamati ad educare, devono acquisire la mentalità del collettivo, per costruire un uomo nuovo. Questa è un’ idea centrale e costante nell’opera il Poema pedagogico, dove il pedagogo utilizza il collettivo come metodologia educativa dove ognuno ha un suo posto. I genitori – continua- devono sia essere figure di sostegno che di aiuto e devono saper utilizzare al meglio le proprie risorse personali da applicare nell’ educazione e nell’aiuto.

Forse  dovrei ascoltare maggiormente la celebre citazione di dante difronte agli ignavi: non ti curar di lor, ma guarda e passa.

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Zoe a Radio Freccia Azzurra

Di seguito i file audio e le foto dell’intervista al programma radiofonico “Chi c’è in classe” andato in onda su “Radio Freccia Azzurra“; la web-radio gestita dai bambini di una quinta elementare della scuola Perlasca di Roma. E’ un progetto educativo promosso dall’Associazione Matura Infanzia e dal Circolo Gianni Rodari. 

intervista Mp3

Link all’ intervista

 

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