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Tutto chiede salvezza: il labile confine tra normalità e malattia mentale

La serie Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, vincitore del premio Strega Giovani nel 2020, riesce ad affrontare la questione delle malattie mentali in modo leggero e profondo al tempo stesso senza sconti e senza ipocrisie. Un racconto da guardare tutto d’un fiato.

La serie invita a riflettere su chi siano i veri “matti”. I matti stanno là fuori, afferma il protagonista, durante il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio).

“Tutto chiede salvezza” è la storia di Daniele, un ragazzo come tanti, carico delle aspettative di una famiglia semplice ma determinata a far diventare qualcuno proprio lui, il più piccolo, perché solo lui dei tre figli aveva dimostrato di potercela fare, di avere un grande potenziale. Una dote pesante per Daniele che, schiacciato tra le aspettative e il timore di non farcela, ha sempre fatto i conti con paure più o meno manifeste, con fughe da scuola per correre in braccio alla mamma. Un macigno che, qualche anno dopo, in bilico tra alcol e droghe, una notte esplode in un episodio di violenza contro i genitori. Ecco il motivo del T.S.O. Dopo una crisi psicotica si risveglia nella camerata di un reparto psichiatrico, insieme a cinque particolari compagni di stanza con cui, all’inizio, pensa di non avere niente in comune.

Il rapporto con il personale sanitario e le telefonate alla famiglia, poco dopo il ricovero, sono molto conflittuali. Inoltre il ragazzo, si sente pressato dai medici, che gli vogliono frugare nel cervello per capire cos’abbia che non va, ed è accudito da infermieri che, inizialmente sono cinici e disinteressati. Sette giorni, tanto dura la sua permanenza nel reparto, sembrano lunghissimi e quella che all’inizio gli appare una condanna piano piano si trasforma in una delle esperienze più intense e formative della sua vita.

I sette episodi, sono un invito a riflettere sul disagio conclamato e su quello sopito e su molti aspetti dell’esistenza umana. A tal proposito mi sembrano significative le parole del regista e sceneggiatore Francesco Bruni: “Dal dolore si può uscire, e uscire migliori. Anche nel momento più buio può fare capolino la speranza, si può ridere pochi istanti dopo aver pianto e piangere poco dopo aver riso.” Nella prima puntata una frase mi è rimasta particolarmente impressa perché ritengo che sintetizzi la condizione e la fragilità umana: Semo come piume: basta uno sputo di vento per portarci via”. La serie ci fa riflettere su molti concetti importanti e comuni all’esistenza di ogni persona, ad esempio il fatto che è il dolore che, nel bene o nel male, accende gli anfratti più nascosti di ogni essere umano. O che alla fine l’amore spinge molte persone alla ricerca di quella speranza perduta.

Nello spazio atipico dell’ospedale ed in un tempo che sembra sospeso, isolato dal mondo Daniele si trova ad affrontare i suoi demoni interiori, intraprendendo un viaggio inaspettato che si rivelerà quanto mai essenziale per scoprire le sue vere emozioni e la sua personalità.

All’inizio la serie sembra il racconto di un ragazzo viziato che pensa solo alle ragazze, le serate in discoteca ed alla cocaina, ma poi, il protagonista sarà il primo ad aiutare e confortare i compagni di stanza che, sembrano essere in situazioni più gravi della sua.

Nell’ospedale psichiatrico c’è anche spazio per una complicata storia d’amore con Nina, un’influencer che ha tentato il suicidio e che, a detta dei medici, sta molto peggio del protagonista.

“Tutto Chiede Salvezza”, è un invito a riflettere sull’importanza dell’amicizia, della famiglia, del perdono e dell’aiuto reciproco: valori non scontati.  Tutto ciò spesso è difficoltoso da mantenere, donare ed ottenere.

Attorno a Daniele si raccontano  le storie dei cinque compagni di stanza: Mario, maestro “a riposo”, ricoverato per aver aggredito moglie e figlia qualche decennio prima; “Madonnina”, di cui nessuno conosce il vero nome e che passa le giornate invocando, appunto, la Vergine Maria; Giorgio, un Hulk dal cuore buono, segnato dalla perdita della madre; Alessandro, affetto da una patologia neurologica che lo ha reso un vegetale; Gianluca, omosessuale e, per questo, costretto al trattamento da una famiglia bigotta e incapace di accettare la diversità. E poi gli infermieri, i medici, i familiari e tanto amore, più o meno sano: una grande nave dei pazzi in cui il confine tra normalità e follia diventa davvero labile. Di tutto, una sola certezza: tutti chiedono salvezza, chi sta fuori e chi sta dentro. Chi si prende cura e chi è curato. Chi resta a casa e chi ne sente la nostalgia. Chi cerca rifugio e chi ne rifugge. L’unica via di scampo sembrano essere i legami, gli affetti. Che, se ben vissuti, salvano.

Una bella miniserie, tutta italiana, che mette al centro la tematica delicata, ma anche drammaturgicamente sempre affascinante, delle malattie mentali che è stata raccontata dosando sapientemente leggerezza e patos, così che ogni spettatore si possa ritrovare nei vari personaggi.

La storia rappresenta anche una difficile sfida contro se stessi e contro il mondo: ritrovarsi e capire che i vuoti personali si assomigliano un po’ tutti, le sofferenze sono tante e molteplici e che nella diversità si può trovare una rara bellezza. Una meravigliosa e ritrovata leggerezza. Che, guarda caso, fa rima con salvezza.

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