CARA SCUOLA, TI RICORDI DI ME ? Esperienze e delusioni di una scolara disabile

Quando sono nata, mamma aveva 27 anni ed erano le tre di pomeriggio del sedici settembre del 1981. Avevo sedici anni quando mamma, nonna e nonno mi hanno spiegato come sono andate realmente le cose quel giorno: quando mamma è entrata in sala parto stava andando tutto bene, era cominciato un normalissimo parto spontaneo. Intorno a “noi” c’erano tanti medici bravissimi fra cui zio e nonno, entrambi ginecologi. Stavo giusto uscendo quando qualcosa, non si è mai saputo cosa, è andato storto: il battito del mio cuore tutt’a un tratto era sparito! Sono rimasta per cinque minuti senza respirare, di conseguenza non è arrivato abbastanza ossigeno al cervello e questo mi ha provocato la morte di alcune cellule del sistema nervoso centrale: quelle che controllano i movimenti. E come se tutto questo non bastasse, il medico che mi ha intubata ha “sbagliato” e mi deve aver “sfondato un polmone”.
Il primo mese di vita l’ho passato in ospedale. Chi ben comincia è a metà dell’opera!!! Mamma e nonna mi sono sempre state vicine. Mamma, una volta uscita dall’ospedale veniva da me tutti i giorni a portarmi il latte. Ho delle foto dolcissime di quei giorni con mamma che mi tiene in braccio.
Anche nonna stava sempre lì con me, mi guardava attraverso il vetro.
Fin dai primi giorni di vita ho fatto tantissima fisioterapia e col passare del tempo ho recuperato molto bene. I medici che mi visitavano nei primi anni di vita, dicevano che non avrei mai camminato, invece adesso mi muovo da sola! Evviva l’onnipotenza della scienza medica!!!!!!
Quando avevo due anni e mezzo mamma e papà per qualche litigio che non si poteva risolvere in nessun altro modo decisero di separarsi e così fu!
Secondo me è stato meglio così perché, da quel che mi hanno raccontato, negli ultimi tempi litigavano di continuo. Tanta gente dice che i genitori devono rimanere uniti per il bene dei figli, ma io non sono d’accorto: penso che i figli soffrano meno ad aver i genitori separati che non quando i genitori vivono sotto lo stesso tetto e non fanno altro che litigare.

Quando papà si è trasferito nella sua nuova casa mi mancavano le favole che mi raccontava per farmi addormentare; le mie preferite erano “Occo ed Entola” come io pronunciavo “Pinocchio e Cenerentola”.

Per me la scuola non è stata affatto semplice. Ne ho un ricordo terribile fin dall’asilo: mentre gli altri bambini giocavano, io sedevo nel mio banco e mi esercitavo a scrivere per imparare a controllare i movimenti.
Ricordo come un incubo tutte quelle ore trascorse a cercare di riempire pagine e pagine di quaderno.
Un altro brutto ricordo di quegli anni, ancora oggi chiarissimo nella mia memoria, sono le ore del mattino che io passavo con la maestre di sostegno tentando di camminare: con quanta invidia guardavo i miei compagni giocare! Un giorno durante uno di questi disperati tentativi sono caduta e mi sono tagliata il mento. Lo ricordo ancora abbastanza chiaramente. La suora e Daniela, la mia maestra di sostegno, mi hanno messo subito l’acqua fredda e mi hanno portata in segreteria; da lì hanno chiamato mamma e quando è arrivata mi ha portata subito in ospedale. Appena ho capito che mi dovevano mettere i punti ho avuto tantissima paura, ma fortunatamente, mi hanno fatto l’anestesia totale e, quando mi sono svegliata, mi avevano messo ben cinque punti!!!!!
L’ultimo anno d’asilo la mia maestra di sostegno mi aveva messo il terrore dell’elementari: mi aveva detto che si studiava molto di più e che la suora era molto più esigente! Ero semplicemente terrorizzata: già gli anni dell’asilo erano stati anche troppo difficili, e non volevo certo finire dalla padella alla brace!
Speravo con tutte le mie forze che l’elementari arrivassero il più tardi possibile! Di tutto questo ne parlavo col mio “migliore amico”: Titti; all’epoca avevo cinque anni e mio ero creata una compagnia immaginaria: “Titti” era un curioso animaletto con zampe di cane e corpo di coniglio, agile come uno scoiattolo, tutto bianco, ma la sua caratteristica fondamentale era quella di essere invisibile per tutti, tranne che per me. E’ significativo che io che mi muovevo con una certa difficoltà, gli avevo attribuito una capacità irrefrenabile di correre, arrampicarsi e saltare dovunque – sottolineo che non era affatto un gioco.
Titti per me è stato un compagno reale, una proiezione di qualcosa che sentivo dentro di me, era il mio confidente, non mi giudicava mai e la pensava sempre come me.
Quando andavo a scuola, o a fare una visita medica, lui mi restava vicino. I miei frequenti momenti di tristezza erano bilanciati dalla sua inalterabile allegria e vitalità.
E’ stata una lunga amicizia la nostra, penso che sia durata sette anni; poi crescendo ho trovato altri modi e altre forme per le mie fantasie
Forse da piccola nei miei pensieri volevo essere un’altra e forse questo potrebbe spiegare molte cose.
Il mio cartone animato infatti si chiamava “Milly un giorno dopo l’altro” ed era la storia di una bambina che viveva in campagna in un grande casale con la nonna: lei era “libera”; poteva fare quello che voleva, non aveva la bambinaia, poteva uscire dal casale, girare da sola e fare tante altre piccole cose che io non potevo fare ma le desideravo molto.
Quando le elementari sono arrivate tutte le mie paure hanno avuto conferma. Ancora oggi non ho certo un bel ricordo dei miei anni di asilo e delle elementari ho, se possibile, un ricordo ancora peggiore: la suora era brava, ma molto esigente!! Io andavo male, facevo una gran fatica a leggere e memorizzare!!! Mi facevano scrivere a mano e per me era veramente un’impresa!
In quegli anni andavo malissimo a scuola: mi ricordo che quei cinque anni mi sembravano un’eternità. Il tempo non mi passava mai; ancora oggi se ci ripenso mi sembra che le elementari siano durate un’infinità di tempo!!!! Mamma sapeva che la mia situazione scolastica era disastrosa: andavo male in tutte le materie soprattutto in matematica ma non ne faceva un dramma… tutto questo mi rendeva già infelice e tesa.
Avevo imparato ad usare la macchina da scrivere all’età di otto anni ma la suora non voleva che la usassi e si ostinava a farmi scrivere a mano
Alle medie la situazione migliorò sotto certi aspetti: ero più seguita, avevo sempre la professoressa di sostegno ed a casa ero molto aiutata.
Dopo varie lotte sostenute della mia famiglia con la preside ho avuto il permesso di usare la macchina da scrivere.
Intanto all’età di dieci anni mamma e nonna mi regalarono un computer e con l’aiuto di Luigi Marotta ( un logopedista molto in gamba che mi segue tuttora) imparai ad usarlo. Lo potei usare in classe solo in terza media: la legge prevedeva che le persone con problemi motori potessero usare la macchina da scrivere ma non diceva niente riguardo ai computer così ci vollero due anni di battaglie per portelo usare a scuola!!!!
Eppure anche le medie non sono “scivolate via” senza lasciare qualche “simpatico” ricordino (ovviamente dico “simpatico” ora che ho diciotto anni e ho terminato i sinonimi di “orribile”).
In seconda media, infatti, mi è successo un fatto che tuttora mi sembra inverosimile: un giorno a settimana dovevo mangiare un panino a scuola e rimanere un’ora in più. All’ora di pranzo io dovevo andare in bagno. Prima di allora non avrei mai immaginato che una semplice pipì potesse comportare un problema di dimensioni mastodontiche!
Né la professoressa di sostegno né la bidella volevano “prendersi” la responsabilità di accompagnarmi in bagno perché, a quanto pare, se fossi caduta, per loro sarebbero stati guai seri! All’inizio veniva mia mamma all’una e mezza, mi portava un panino e mi accompagnava al bagno. Dovevo andare a quello dei maschi perché quello delle femmine era al piano disopra. Per me non era un problema fare un piano di scale: se qualcuno mi avesse dato una mano ci sarei riuscita benissimo ma, a quanto pare, per la preside non era così semplice perché me lo aveva proibito!!
Inutile dire che a ricreazione tutti potevano uscire tranne la sottoscritta che doveva rimanere seduta al proprio banco perché nessuno voleva prendersi la responsabilità di farmi fare quattro passi fino al cortile!!! Quest’arduo compito non competeva a nessuno: non era compito né della professoresse, né nella bidella, né dell’ insegnante di sostegno. Le uniche che sarebbero state felici di passeggiare con me erano le mie compagne di classe, ma gli fu severamente proibito!!!
Logicamente tutta questa situazione cominciò ben presto a pesarmi. Non capivo né il come né il perché di questi problemi insormontabili; era tutto paradossalmente assurdo: da una parte la mia famiglia che combatteva per cose che fino a quel momento mi erano sembrate ovvie, tutti gli alunni di questo mondo hanno il diritto di rimediare ai loro bisogni fisici e non capivo perché io fossi esclusa dal club, dall’altra presidi e professori iscritti al girone dei torturatori infernali.
Se fare pipì o sgranchirmi le gambe era severamente proibito partecipare alle gite scolastiche era qualcosa di diabolico, talmente grave da meritare nell’al di là e nell’al di qua condanne indicibili. Per una classe formata da tredici ragazzi dovevano esserci due professoresse a cui si aggiungeva la mia professoressa di sostegno; è ovvio che non era ancora sufficiente: la scuola voleva che andassi accompagnata! Quel periodo è stato un incubo! Avevo una professoressa di sostegno (e paradossalmente ero io a far da so-stegno a lei per come era limitata) e una preside che non ne voleva sapere delle mie richieste di andare in bagno, anche accompagnata. Mia madre a cui avevo riferito tutto, una mattina chiese alla bidella se gentilmente mi poteva accompagnare lei; lei il primo giorno lo fece, poi, disse, che non se la sentiva di prendersi questa responsabilità, poiché c’è la professoressa di sostegno – e così si ricominciava.
La mattina, in classe, ero abbastanza integrata; la maggior parte delle mie amiche mi conosceva dalle elementari e quindi “la mia figura…” non li metteva a disagio; perché mi chiedevo, allora, fuori della scuola per loro ” ero quasi inesistente”?! Io mi sentivo uguale a loro: avevo gli stessi interessi, la stessa voglia di divertirmi, di non studiare e di far danni!

Ancora non ho capito l’utilità della ” mia accompagnatrice” visto che non avevo bisogno di cose particolari!!! Ma tutto sommato.. la vita è troppo breve per perdere tempo e fatica con questi grandi misteri!!!!
Tutte queste esperienze negative hanno lasciato in me un segno indelebile: ancora oggi, a distanza di dieci anni, mi capita spesso di ripensare ai primi anni della mia scuola e ci soffro, ma è anche vero che tutto questo mi ha dato una “formazione interiore” che poche persone possiedono, e nessuno potrà mai levarmela.

Vita dell’infanzia – Maggio-Giugno 2000

Scritto dalla redattrice

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LETTERA A …

Quanto segue è una lettera che ho scritto dieci mesi dopo il mio esame di maturità. Stavo male: ero ancora arrabbiata, avevo delle cose da dire a due persone, quindi l’ho scritta per una mia esigenza. Non ho mai ricevuto una risposta, ma non mi importa scrivere mi ha aiutato a superare delle esperienze ed a essere pronta a farne di nuove. In questo spazio trovate la lettera così come l’ho scritta nel 2002, con l’unica differenza che metterò delle sigle al posto dei nomi propri.

Care X e Y,
E’ passato un anno dalla mia licenza liceale ed ancora ripenso con dolore e tristezza ai cinque anni trascorsi al Istituto Z ed in modo particolare all’ultimo. Per raggiungere il grande traguardo della maturità ho dovuto faticare più degli altri ragazzi. L’anno scorso ero determinata a studiare come non lo ero mai stata in vita mia, ne ho pagato un prezzo molto alto: mi sono privata di cose per me altrettanto importanti come la fisioterapia, la logopedia, lo scrivere, uscire con le mie amiche, il corso di teatro del quale ho fatto lo spettacolo a giugno ma ho dovuto rinunciare agli incontri durante l’anno. La mia giornata era scandita solo da ore di studio delle diverse materie, per questo ho fatto degli sforzi troppo grossi per le mie possibilità, compromettendo anche la mia salute fisica. L’esame è andato bene: ho preso ottanta su cento. Durante l’esame orale il prof. d’italiano (che era un membro esterno), invece di lasciarmi ripetere la tesina mi ha fatto tante domante su tutto il programma, quindi mi sento di poter dire che quello che ho ottenuto me lo sono meritata. A tutte le persone che complimentandosi con me, mi chiedevano se ero soddisfatta del come era andato il mio esame; rispondevo con le lacrime agli occhi ed una rabbia che mi cresceva dentro mai provata prima, che non ero affatto contenta, anzi che mi sentivo sconfitta. Tutti dicono che la scuola deve servire per educare i ragazzi e prepararli ad affrontare la vita che viene dopo la scuola. Invece io al Istituto Z ho “imparato” aver paura di affrontare le difficoltà. In tutta la mia vita poche persone sono riuscite a farmi sentire “diversa” come c’ è riuscita lei professoressa X, non mi riferisco solo al suo comportamento in occasione della gita di Burri (anche se quello secondo me, è stato il fatto più eclatante e scorretto), ma ai numerosi tentativi di nascondere il suo disagio nei miei confronti. Io sono cresciuta circondata da persone che hanno sempre creduto veramente che, nonostante il mio handicap fisico, io sia una ragazza esattamente uguale alle persone normodotate. Lei era l’unica a ripetermi ossessivamente che io sono uguale alle persone che non hanno un handicap fisico. Ho sempre pensato che il suo ossessivo bisogno di ripetermi verbalmente questo concetto derivava dal fatto che non mi abbia mai accettato come una persona “normale” mi ha sempre visto come un persona diversa e il “diverso” si sa, fa paura. E lei y; io l’avevo messa al corrente di quello che stava succedendo tra me e la vice y, ma lei non ha saputo prendere una posizione fra noi due Ogni volta che venivo a raccontarle quello che stava accadendo lei mi tranquillizzava dicendo che avrebbe parlato con la X poi di fatto non faceva nulla, per questo mi sono sentita presa in giro. Mi chiedo come è possibile che in una scuola privata religiosa accadano certe cose. Mi sembra assurdo che nel vostro istituto si dia una grandissima importanza a cose formali come la divisa, le messe, le due feste della scuola e poi se c’è un’alunna con qualche difficoltà in più, invece di aiutarla secondo i principi religiosi dei quali l’istituto si vanta molto, non fate altro che accentuare le sue difficoltà. Dallo scorso giugno ad oggi, grazie all’aiuto e al sostegno della mia famiglia e delle persone che mi stanno vicino, sono riuscita in parte a superare i traumi da voi creati ed ho fatto molte cose: ho seguito un corso di scrittura della rinomata scuola Omero, durante il quale ho scritto un racconto che è stato lodato dall’insegnante stesso, ho fatto un corso d’inglese della British ed uno di informatica che terminerò tra due settimane prendendo il patentino europeo, ho “ritrovato” i miei amici ed ho conosciuto molti ragazzi simpatici che mi accettano per quella che sono. A distanza di un anno, nel ripensare a tutto il periodo del liceo, in particolare l’ultimo anno, provo ancora tanta amarezza. Penso che tutte queste prove mi hanno formata ed ho voluto scrivervi questa lettera perché non mi piace tenermi dentro questi “rospi” e così spero di andare avanti serenamente attivamente e con coraggio.

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MEMORIE DI UNA GITA SCOLASTICA

Quanto segue è il racconto o forse una relazione di una cosa che mi è successa nel 1999. l’ho scritta subito dopo l’ accaduto. Non ne ho fatto ne un articolo ne una lettera: l’ho scritta per me, per non dimenticare, e per farla leggere a parenti e amici. Prima di metterla su questo sito ho levato i nomi, ed ho sostituito le ripetizioni con i puntini.

Ho diciannove anni. (…….) riesco a fare tante cose da sola, ma a quanto pare non posso partecipare alle gite scolastiche a meno che non venga mia madre o una persona da lei delegata. (…) Era così anche alle medie, ma più passa il tempo più la richiesta della scuola mi sembra sempre assurda. L’anno scorso mia madre e mia nonna sono andate a parlare di questo problema con la vicepreside, che è anche la mia professoressa d’inglese e, prima di allora, si era sempre dimostrata aperta e disponibile nei miei confronti. In un primo momento sembrava che la situazione si fosse appianata ma poi abbiamo visto che i problemi continuavano ad esserci, anzi la situazione andava di male in peggio: col passare del tempo la vice preside assumeva un comportamento sempre più freddo ed antipatico nei confronti miei e della mia famiglia. Si è arrivati al punto che quando i professori organizzavano una gita sembrava quasi che la organizzavano per tutta la classe tranne che per la sottoscritta, tanto questo non era un problema loro ma solo mio, della mia famiglia e di chi mi doveva accompagnare. (…) Una mattina, ci dissero che le professoresse di due classi stavano programmando una gita scolastica di un’intera giornata in Umbria. Appena l’ ho saputo ho chiesto alla prof X come mi dovevo organizzare; se dovevo essere accompagnata volevo saperlo con un po’ d’anticipo… lei mi ha risposto: “sarebbe meglio venisse qualcuno con te almeno la gita ce la goderemmo di più tutti quanti.” Come risposta era un po’ troppo acida per fargliela passare liscia. Se prima io e la mia famiglia eravamo abbastanza determinate a farmi partecipare alle gite da sola, perché infondo è anche un mio diritto, adesso eravamo irremovibili. Quando sono tornata a casa, ho raccontato a mia madre e a nonna quello che era successo, lei era dalla parte mia, ma allo stesso tempo mi lasciava carta bianca: quando ero piccola ci pensavano loro a questi problemi, invece ora ero pronta e desideravo affrontare certa gente da sola. La gita era fissata per un venerdì, il lunedì precedente io stavo tranquillamente seduta a mio banco, stavo mettendo a posto i libri. La professoressa X e una collega entrano in classe e la prof x ha cominciato a parlare; in un primo momento non gli ho dato molta importanza fin quando non ha fatto il mio nome; precisamente ha detto che avremmo usato quell’ora per parlare di problemi che si erano creati tra me e la classe. Io mi sentivo veramente spaesata: a me non risultava di aver mai avuto particolari problemi con nessuno in classe. Comunque la discussione andò avanti, le mie compagne, incitate dalla prof. X mi dicevano che non se la sentivano di “prendersi la responsabilità morale” di aiutarmi; tutto questo “gravoso aiuto” consiste nel darmi il braccio quando c’è da camminare. Per “difendermi” tentavo di spiegagli che fuori dalla scuola ho una vita “normale”: vado in giro da sola, ho tante amiche in parrocchia ed con loro ho sempre fatto tantissime cose, ho partecipato a feste, gite e pernotti senza aver problemi e quindi proprio non riuscivo a capire come mai loro mi stavano creando tutte quelle difficoltà. Il pomeriggio ero arrabbiatissima. Dopo tanti ragionamenti e lunghi discorsi con mamma; ho deciso che il giorno dopo, all’ora di inglese avrei chiesto alla professoressa se mi dava un po’ di tempo per parlare con lei e con la classe di quello che era successo; non me l’ha permesso, mi fatto parlare con lei a quattr’occhi e per pochi minuti. Il giorno prima lei mi aveva messo in difficoltà davanti a tutta la classe, poi non mi ha neanche dato la possibilità di dire “la mia”. Comunque le ho detto che avevo intenzione di partecipare alla gita come tutte le mie amiche e che mi sarei organizzata per essere autosufficiente. Lei si “arrese” ed io finalmente stavo per partecipare alla gita senza l’accompagnatore. Nei giorni precedenti alla gita ho contattato il museo, mi sono informata se c’erano barriere architettoniche. Anche se mi hanno detto che non ce ne erano, ho richiesto l’assistenza: se avessi avuto bisogno di un aiuto preferivo rivolgermi alla persona addetta, piuttosto che a qualcuno di scuola mia.(…) Il venerdì sono arrivata sul luogo dell’appuntamento attrezzatissima ed in perfetto orario; mi ero portata la mia sedia a rotelle (la uso solo quando viaggio o quando devo fare lunghe camminate) non volevo usarla per stare seduta, bensì volevo camminare spingendola perché in questo modo ho un po’ più d’equilibrio e non devo dare il braccio a nessuno. Appena sono arrivata la professoressa Y mi ha detto che per qualsiasi cosa avessi avuto bisogno potevo rivolgermi a lei; l’ho ringraziata e le ho spiegato che mi ero organizzata per essere il più possibile autosufficiente. Ero felice che in quella gita ci accompagnassero due professori diversi dalle prof del “dibattito“ in classe. Ancora oggi mi domando perché la professoressa X aveva creato quella strana situazione se poi non toccava a lei venire alla gita. Per tutta la giornata le mie compagne di classe hanno fatto finta che io non ci fossi ed io ho fatto lo stesso con loro perché ero “troppo impegnata” a socializzare con le ragazze e i ragazzi delle altre classi. Al mio arrivo al museo ho trovato “l’assistenza” che avevo richiesto. La signorina ha girato la mostra con noi. Io camminavo spingendo la sedia a rotelle proprio come avevo deciso di fare. Durante la visita, mentre guardavo le varie opere d’arte di Burri, che non erano poi tanto entusiasmanti, chiacchieravo e mi divertivo a fare amicizia con gli altri ragazzi delle altre classi. Dopo questa visita siamo andati a vedere Città di Castello, il pullman ci ha lasciato vicini al centro. Io ed il professore abbiamo pensato che era meglio lasciare la mia sedia in pullman: per arrivare nel paese dovevamo prendere una scala mobile e quindi la sedia sarebbe stata solo d’impiccio. Dopo poco ci siamo incamminati verso il paese; io camminavo da sola, il professore era avanti, si girava spesso per controllare se ce la facevo, ed io gli facevo cenno che andava tutto bene. Mentre stavamo camminando una ragazza, che non era di classe mia, si avvicina a me e mi offre il braccio io ho accettato e siamo andate insieme fino al paese antico, poi da lì ci siamo divise io sono andato con una classe e i due professori al ristorante. (…) Subito dopo pranzo siamo ripartiti per Roma. Dopo questa gita sono cambiate molte cose a scuola: quando camminavo per i corridoi salutavo e scambiavo due parole con tantissime persone. Purtroppo però ci sono stati anche molti risvolti negativi: la mattina seguente stavo aspettando l’ascensore per andare in classe quando è arrivata la professoressa X con in mano la solita pila di libri, anche lei voleva prendere l’ascensore così siamo entrate in tre in ascensore, io, lei e una ragazza che si era fatta male a un piede. La prof X, in ascensore mi ha dato in mano tutta la sua montagna di libri. Non ho capito questo gesto, prima di allora non me l’aveva mai fatto perché sapeva benissimo che questo mi avrebbe messa ancor più in difficoltà. In quei giorni mi sono resa conto che lei non aveva la minima idea di come si doveva comportare con me e che la mia presenza a scuola la metteva molto in imbarazzo. la situazione all’ interno della classe era diventata insostenibile: le mie amiche seguitavano ad ignorarmi, nessuna di loro mi diede più il braccio per camminare. (…)Un giorno sono caduta le mie amiche stavano pochi metri più avanti, mi hanno visto benissimo, ma hanno continuato ad andare dritte, nessuna di loro si è fermata a darmi una mano, l’unica che l’ho ha fatto è stata la professoressa d’italiano che stava dietro di me, ci stava raggiungendo per venire al bar con noi. La preside era perfettamente al corrente della situazione perché in quel periodo io, per mia iniziativa, andavo da lei quasi tutti i giorni ad informarla di quello che stava accadendo all’interno della classe e con la professoressa X. ho più volte chiesto alla preside di fare qualcosa per aiutarmi, ma ci volle quasi un mese prima che la preside si decidesse a parlare con la famosa professoressa. Intanto io continuavo ad andare a scuola; per la verità in quel periodo non ho fatto nemmeno un giorno d’assenza perché non volevo dargliela vinta. Un giorno le mie amiche mi hanno chiesto se a ricreazione potevo rimanere in classe perché loro mi volevano parlare, ho accettato; siamo rimaste in classe senza neanche un professore. Loro mi hanno chiesto perché in quel periodo ero fredda nei loro confronti, (bisogna riconoscere che hanno avuto un bel coraggio a farmi una domanda del genere!) io gli ho risposto che veramente ero io che volevo sapere come mai dal giorno della gita si stavano mi ignoravano completamente; loro mi hanno risposto che era “colpa mia” che me l’ero cercata perché avevo combattuto tanto per partecipare alle gite da sola e quindi ora dovevo arrangiarmi. Hanno continuato la discussione dicendo che erano arrabbiate con mia madre e mia nonna perché non le avevano mai ringraziate per l’ aiuto che mi avevano dato negli ultimi cinque anni, e ancora: “secondo noi le tue amiche della parrocchia sono gentili con te per puro spirito di volontariato“. Io cercavo di difendermi, ma quando mi hanno detto quelle cose sulle mie amiche della parrocchia mi sono veramente arrabbiata, gli ho detto che non si dovevano permettere di parlarmi in quel modo e sono uscita dalla classe. Ho telefonato a mamma, le ho detto che ero veramente arrabbiata… e che volevo tornare a casa, lei ha capito e mi ha dato il permesso di uscire da scuola a quell’ora. Quando sono tornata in classe le altre mi hanno detto che era tutto a posto, che avrebbero ricominciato ad aiutarmi. Non ho risposto, ho preso le mie cose e me ne sono andata, anche se avrei voluto dirgli: “grazie mille della compassione”. Pochi giorni dopo tutta questa storia è finita senza un motivo particolare, proprio come è iniziata. L’altro giorno, ho sentito al tele giornale che la mamma di una bambina sorda ha scritto una lettera al Presidente Ciampi per informarlo che d’improvviso alla figlia li hanno tolto l’insegnante di sostegno. Ciampi ha risposto pubblicamente: “bambini difendete i vostri diritti”, Io penso che sia gravissimo che nella scuola accadano certe cose perché la scuola dovrebbe servire ad educare i ragazzi, ma a me sembra che accada tutto il contrario: sono proprio i professori che danno il cattivo esempio. Per me la responsabilità non è solo dei docenti, ma è anche del governo, in quanto sostiene che la scuola è un diritto ed un dovere di tutti i cittadini ma forse ancora non ci sono abbastanza leggi a favore degli studenti diversamente abili.

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