Simone Cristicchi: il concerto a Roma

Il primo novembre 2025, sono andata al concerto di Simone Cristicchi, a Roma presso l’Auditorium Della Conciliazione.

“Dalle  tenebre alla luce”, lo stesso titolo dell’ultimo album, disponibile da giugno 2024. È stato uno spettacolo emozionante, intenso, profondo per festeggiare i vent’anni di carriera del cantautore romano. È stato un magico viaggio tra canzoni, ironia e ricordi. Insieme alla sua band storica e lo Gnu Quarted, Cristicchi ha creato un’atmosfera straordinaria per ripercorrere successi recenti con canzoni mistiche e profonde per ricordarci poi, i successi ironici del passato.

Lo spettacolo è stato un viaggio musicale attraverso le tappe più significative del suo percorso, dalla canzone d’autore ai concept album teatrali, passando per i brani che hanno segnato il suo stile unico e inconfondibile. In scaletta, alcune tra le canzoni più amate del suo repertorio: Ti regalerò una rosa, Studentessa universitaria, Meno male (che c’è Carla Bruni), Sette miliardi di felicità, fino al recente e toccante brano Quando sarai piccola. (Fonte)

Dopo il grande successo teatrale di Franciscus, Cristicchi torna alla musica dal vivo con un progetto che intreccia canzone, teatro e poesia, esplorando tematiche profonde con la consueta alternanza di ironia,  malinconia, leggerezza e introspezione.

L’incontro tra la musica da camera e il rock d’autore dà vita a una sonorità originale e potente, in perfetto equilibrio tra eleganza, sperimentazione e intensità emotiva.

Dalle Tenebre alla Luce è molto più di un concerto: è un racconto personale, intimo e universale, un invito a lasciarsi trasportare dalla forza evocativa della musica e dalla profondità delle parole di uno degli artisti più poliedrici della scena italiana contemporanea.

Seguo Simone da diverso tempo, amo le sue canzoni e  mi piacciono soprattutto le sue interviste.

Il  concerto mi è piaciuto molto, nonostante ho trovato molte similitudini con le sue innumerevoli ed interessanti interviste. Ero molto preparata.

È stato emozionante anche andare nel camerino a salutarlo. Tantissime persone lo hanno salutato, per questo è stato un incontro veloce. Sono felice di avergli dato i miei libri ed avergli chiesto la dedica su uno dei suoi. Soprattutto ci tenevo a parlarci per consegnargli una lettera per me molto importante. Gli ho accennato che abbiamo diverse esperienze in comune: a cominciare da un lutto famigliare improvviso quando eravamo poco più che bambini. Entrambi, come dice lui: “ci siamo salvati la vita con l’arte”. Ho raccontato a Simone che ho iniziato a scrivere, ciò che ora è un romanzo di formazione, per superare il lutto di chi mi ha fatto da padre.  

In pochi minuti ho avuto modo di dirgli che la lettera era molto sentita e che mi piacerebbe tantissimo intervistarlo. Per tale scopo sarei disposta anche ad andare dalle sue parti a Velletri.  Non c’è stato tempo per le foto né per salutare la sua compagna Erika Mineo, in arte Amara, ma è stato disponibile a salutare tantissime persone!

È stato dolce vedere un bambino delle scuole elementari consegnargli una lunga lettera. Ho anche avuto modo di fare una carezza a Noa, la cagnolina di Erika e Simone.

Avrei voluto parlargli di più come si fa con un caro amico. D’altronde sono felice di sapere tantissime cose su di lui. Spero che, sia Simone che Erika, facciano più spesso dei concerti a Roma.

Va anche, di frequente,  alla trasmissione televisiva L’Ora Solare su Tv2000. Ho scritto alla redazione per far parte del pubblico ed incontrarlo ma, per ora, non mi hanno risposto.

È stato bellissimo condividere la serata con mia sorella. Seduti davanti a noi c’erano Fiorella Mannoia con il marito Carlo Di Francesco. Ho incontrato Fiorella molte volte, è stato bello vedere che si ricordava di me quando li ho salutati.

Pubblico qui di seguito degli stralci della lettera a Simone. Se qualcuno ha dei contatti con la coppia di artisti mi può scrivere. Grazie a tutti.

 

Caro Simone,

Mi chiamo Marzia Castiglione, in arte Zoe Rondini.  Sono autrice, divulgatrice, pedagogista e blogger. Nel mio piccolo cerco di essere cantastorie come te … e come te giro volentieri teatri, convegni, scuole e atenei; perché in tutto ciò cerco di portare avanti dei messaggi ed è sempre più importante quello che ricevo, dagli altri, in particolare dagli alunni di medie, liceo ed università.

Dici che spesso ti scrivono persone che si sentono sole, ti scrivono dagli ospizi, gli ospedali… questo mi fa sperare che anche questa lettera non rimarrà un grido nel silenzio.

Mi piacerebbe molto parlarti ed intervistarti. Come hai raccontato a L’Ora Solare, sei andato in hotel per “seguire” il Maestro Franco Battiato, gli hai dato un tuo cd… tanto è che ti ha invitato a casa… Io farei altrettanto per conoscerti! Sono una tua grande fan. Da tempo le tue canzoni e quelle di Erika, mi tengono molta compagnia e mi emozionano tantissimo. Penso di conoscere a memoria tante delle tue interviste e così mi sono resa conto che abbiamo diverse esperienze in comune.

Entrambi ci siamo salvati la vita grazie all’arte. A tredici anni è venuto a mancare il secondo marito di mia madre che per me è stato un padre. Questo è stato il primo motivo che mi ha spinta a chiudermi nella mia stanza… anch’ io con una bella lampada… e armata di un vecchio computer ho iniziato  a scrivere la  mia autobiografia. Il secondo motivo è che avendo una disabilità motoria, dovuta ad un’asfissia neonatale di cinque minuti, la mia adolescenza è stata piena di barriere e limitazioni. Passavo interminabili pomeriggi a scrivere al computer perché era l’unica cosa che potevo fare in autonomia. Mi piacerebbe tanto conoscerti di persona, raccontarti di me farti domande sulla tua storia e la tua vita, ascoltare i racconti su tuo nonno Rinaldo e tua nonna Selene, curiosare per sapere che tipo di padre e compagno sei.

Come ti trovi a collaborare con l’Osservatore Romano? Complimenti! Quando è uscito il mio primo libro, nel 2011, è stata scritta una recensione su questa testata. E ancora, dopo il Covid, sei tornato nelle scuole, qual’ è la tua esperienza con i bambini e ragazzi? Ho impiegato sedici lunghi anni per scrivere e veder pubblicato il mio romanzo di formazione “Nata Viva”. Come hai fatto a non demordere in quel lungo periodo dove le case discografiche non ti notavano?

Sai, recentemente a luglio, sono stata  alla Fraternità Monastero di San Magno e ho conosciuto frate Francesco. È una persona eccezionale! Ha voluto sapere la mia esperienza di vita e forse faremo qualche cosa insieme!

Un’altra cosa eccezionale è stata andare al concerto di Amara, evento splendido tenutosi lo scorso 28 giugno a Roseto degli Abbruzzi. Oltre ad essere la mia cantante preferita è una persona meravigliosa perché dopo il concerto ho potuto parlarle ed avere la conferma che siamo sulla stessa frequenza.  Spero che faccia presto un evento a Roma. Noi ci vediamo il primo novembre, all’Auditorium Della Conciliazione. Spero tanto che sia possibile salutarti in camerino, porto con me un tuo libro: mi piacerebbe tanto avere la dedica.

La cosa che mi piace di più di quando cantate insieme sono le occhiate amorevoli che vi scambiate e i vostri sorrisi complici. Siete stupendi!

Mi piacerebbe tanto conoscerti e parlarti per questo girerei tutta  Roma e non solo.

Volevo anche chiederti: tra le tue stupende poesie in musica e dopo avere trattato varie sfaccettature di problemi e situazioni della vita… perché non parli della disabilità? A tal proposito, ti parlo un po’ di me e di ciò che faccio.

Dopo “aver riflettuto per i primi cinque minuti di vita, ho deciso di respirare”, e quindi di vivere…  Oggi conduco una vita “normale”: non vivo in famiglia, sono laureata, scrivo, guido, in poche parole…  Esisto e cerco di vivere…

Tra le tue canzoni, quelle che parlano più di me e del mio vissuto sono: I MATTI DE ROMA, LAURA e LA CANZONE DEI VECCHI AMANTI, mi piacerebbe raccontarti a voce e fino in fondo perché queste canzoni mi risuonano, un po’ te lo scrivo.

Mi reputo serenamente… e affettuosamente   MATTA,  adoro LA TOSCANA, I MATTI e CASTELLI ROMANI. Anch’io, come te,  penso che esistano tanti concetti di normalità e di felicità… tanti quanti le persone! Per me la felicità non dovrebbe essere sbagliata, anche se per chi non la sa gestire, si trasforma in euforia alla quale segue, inesorabilmente, la depressione.

Dal 2012 al 2020 ho avuto la fortuna di portare nelle scuole il progetto: “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”, che si propone di incentivare la narrazione del sé, sensibilizzare sulle differenze  e si  propone di prevenire il bullismo. L’ho riproposto dopo il Covid, ma ultimamente è tutto più difficile…

(…) Mi piaceva quello che ho fatto come  autrice, peccato che sta sfumando e sono rimasta sola, senza il mio consulente letterario che, per tanti anni, con competenza e affetto, ha creduto in me e mi ha aiutato a realizzare tanti progetti.

L’attitudine alla recitazione mi ha portato, grazie alla collaborazione con Matteo Frasca e la regista e attrice Tiziana Scrocca, ad estrapolare dal mio romanzo la sceneggiatura dello spettacolo teatrale “La cantastorie Zoe“. Inoltre, dal 2019 al 2023 ho fatto parte del laboratorio teatrale indipendente – “Compagnia Nuovo Teatro[1]”, direzione artistica dell’attrice-regista Patrizia Schiavo, che ti conosce.

Continuo a parlarti della mia “missione”, sperando di conoscerti di persona, prima o poi…

Ma andiamo con ordine: il mio ultimo “figlio” è il saggio RaccontAbili: domande e risposte sulle disabilità” (Erickson Live 2020). La mia prima opera  letteraria è il romanzo autobiografico Nata Viva”, (Seconda edizione nel 2015, grazie alla Società Editrice Dante Alighieri).
Dal romanzo è tratto l’omonimo cortometraggio, disponibile su YouTube. Il video è il seguito del libro ed è stato il  primo a classificarsi nella categoria “Corti Della Realtà”; nell’ambito del Premio L’Anello Debole – Festival di Capodarco edizione 2016.

La mia passione per la scrittura mi ha anche portata, dal 2006, ad aprire  il portale www.piccologenio.it dove pubblico contributi  su tematiche quali disabilità, amore, sessualità, narrazione di sé e pedagogia.

Nel sito puoi trovare l’articolo, foto e video del concerto-incontro di e con Erika!

Sono laureata in Scienze della Formazione e dell’Educazione, con specialistica in Lettere, Editoria e Scrittura presso l’Università Sapienza di Roma.

Mi impegno anche come divulgatrice delle tematiche di educazione sessuale e disabilità. Amo cucinare, faccio anche un ottimo gelato in casa!

Ho regalato i miei libri in duplice copia ad Erika, magari possono essere di ispirazione per una canzone sulla disabilità?

Hai chiesto a tanti… che cos’è la felicità, oggi come oggi la mia sarebbe stare bene, scrivere, ricominciare a fare le cose di tutti i giorni. (…)

Rivedere i concerti tuoi e di Erika. Come avrai capito mi piacerebbe conoscerti, intervistarti. Sarebbe un dono enorme sia se fosse una cosa solamente nostra sia che fosse un’intervista più strutturata…  o, come si vede in molti programmi, possiamo far vedere un po’ di tempo trascorso insieme, che ne pensi?

Scusa se mi sono dilungata, ti considero un Amico e una persona molto speciale per il tuo talento, i messaggi che riesci a divulgare e il tuo essere normale, con un grande sorriso che cela quella timidezza che hai imparato a gestire! 🙂 Ti auguro di non perdere mai la poesia, l’ironia, l’empatia, l’attenzione verso gli altri e la leggerezza che ti caratterizzano!

Mi avete parlato più te ed  Erika che tante persone che conosco…!

Auguro a te ed Amara, di rimanere persone vere, umili e centrate come siete ora!

Vi auguro anche tanto amore e serenità. Un abbraccio forte, che siate sempre “perfetti e benedetti”!

GRAZIE!

Marzia – Zoe

Contatti

E-mail: zoe.rondini@gmail.com
Oppure mi potete scrivere in privato sulla pagina Facebook ZoeRondiniAutrice o sul profilo Istagram

 

[1] https://www.piccologenio.it/vi-spiego-il-sito/zoe-rondini/

 

Leggi anche:

Il concerto di Amara, una carica di felicità e di umanità

Lettera a Fiorella Mannoia

Zoe Rondini: formazione e lavoro

 

 

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Stati emotivi e equilibrio: ognuno a modo suo!

Cos’è la felicità e chi è veramente felice? Mi interrogo su questi e altri concetti in un periodo di vulnerabilità, dove mi sento troppo Marzia e poco Zoe Rondini, autrice, invitata a parlare ai ragazzi delle scuole o a presentare i miei libri. In passato mi sentivo più sostenuta da un consulente letterario, famigliari, insegnanti e altri autori.

Per Aristotele, la felicità non è un semplice stato emotivo, ma uno stato di piena realizzazione personale e di esercizio delle virtù. È il fine ultimo della vita umana, un’attività continua che si raggiunge attraverso il vivere secondo ragione e virtù, e che porta a una vita piena e soddisfacente. Non è un’esperienza passiva, ma un’attività costante e impegnata.

Aristotele collega la felicità all’idea che ogni essere umano ha una funzione specifica, e la felicità consiste nel realizzarla nel modo migliore possibile. Per l’uomo, questa funzione è legata alla sua natura razionale.

La vita è basata su ciò che portiamo avanti, ma anche sulla gestione di emozioni, accadimenti che, non sempre, dipendono da noi. Per fortuna ci sono momenti di felicità in cui ci possiamo lasciare andare, persone con le quali ci possiamo rivelare per quello che siamo… Sarebbe ancora più complesso vivere con un iper-controllo su gesti, azioni, pensieri ed emozioni. Chi ci può insegnare la felicità e la differenza tra euforia. Cos’è la depressione, è una malattia o un malessere? Perché a volte ci paralizza e non ci permette di svolgere le attività complesse e più ordinarie di tutti i giorni?

Cos’è la felicità? Esiste davvero o è una nostra invenzione?  Secondo me ognuno è felice, infelice, depresso, euforico… a modo suo. Non ci dovrebbero essere spiegazioni, prediche, retorica su altre persone che vivono queste ed altre emozioni a modo proprio.

Ho trovato interessante l’articolo “Cos’è la felicità? Perché alcuni sono felici?[1]”, dello psicologo Angelo Scuzzarella e altre definizioni che citerò di seguito.  “Dire che la felicità non esiste è una stupidaggine. – dice l’esperto che poi prosegue – È altrettanto inutile dire che si sono persone felici in quanto tali, o perché hanno tutto,  esattamente come è riduttivo dire che ci sono persone depresse per il semplice fatto che gli “è venuta la depressione”. Essere felici significa vivere prevalentemente emozioni positive. Essere depressi significa vivere prevalentemente emozioni negative. Le emozioni però non vengono come un raffreddore, sono determinate da quello che facciamo e da quello che pensiamo di noi stessi, del mondo e degli altri”.

Dipende da noi, ma anche da quello che ci capita, da come vanno le cose in un determinato momento della vita, dalla nostra resilienza e resistenza, da quali e quanti traumi ci portiamo dentro, dalle nostre reazioni. Ma soprattutto non possiamo insegnare le emozioni, almeno non del tutto perché infondo la vita va vissuta più che insegnata o imparata.

Molti sentimenti si caratterizzano nell’essere condivisi altrimenti subentra la frustrazione, noia, apatia, depressione. Dalle emozioni positive spesso si riparte, si trova la voglia di progettare, sperare, fare, emozionarsi di nuovo per piccole e grandi cose… in una parola  vivere…

È auspicabile avere qualcuno per poter condividere tutto ciò. Anche se a volte le modalità di condivisione della gioia o della più frivola e banale euforia del momento vengono manifestate e accolte non correttamente. È anche difficile cambiare atteggiamento se per decenni le modalità di interazione con una persona sono in un certo modo e poi cambiano per via dei modi di pensare, dei problemi, delle necessità. Ne deriva rabbia, smarrimento… sentimenti contrari a quella felicità che, secondo la Treccani è: l’Opportunità, qualità di ciò che è riuscito in modo eccellente.

“Le sue caratteristiche – spiega meglio Wikipedia-  sono variabili secondo l’entità che la prova (per esempio: serenità, appagamento, eccitazione, ottimismo). Quando la felicità è presente, associa la percezione di essere eterna al timore che essa finisca”. Quante volte abbiamo paura che l’esperienza nuova, elettrizzante, felice, euforica… finisca subito e per questa paura ci chiediamo se è meglio viverla o meno? Sono situazioni che capitano spesso e questo logorio dei pensieri non ci permette pienamente di vivere la felice, l’emozione, ma anche l’euforia, la gioia e la gratitudine del momento o del periodo.

In tutto questo mi sembra giusto soffermarmi sulla serenità che è ancora più importante, ma più difficile da raggiungere. La serenità è uno stato di calma interiore e di equilibrio emotivo, spesso associato a una sensazione di pace, stabilità e benessere. Si tratta di uno stato mentale in cui siamo in grado di affrontare le sfide della vita con compostezza e tranquillità. Si caratterizza per l’assenza di ansia, stress e agitazione e per la presenza di una mente chiara e concentrata. Conosco tante persone che non sembrano serene, anche se all’apparenza non gli mancherebbe niente… eppure!

Altri concetti interessanti e molto collegati a quelli sopra citati sono:

  • Resilienza: la capacità di un individuo di affrontare e superare eventi stressanti o traumatici, riorganizzando positivamente la propria vita e mantenendo o sviluppando il proprio equilibrio psichico ed emotivo. In altre parole, è la capacità di “rimbalzare” dopo un’esperienza negativa, non solo sopravvivendo ma anche crescendo e imparando da essa.
  • Accettazione: non si tratta di essere passivi di fronte alle situazioni difficili. Piuttosto, è accettare ciò che non può essere cambiato e impegnarsi per migliorare ciò che, invece, può esserlo.
  • Consapevolezza di sé: la serenità è spesso legata a un alto livello di consapevolezza. Quando siamo sereni conosciamo i nostri pensieri, emozioni e reazioni e sappiamo gestirli in modo efficace.

Sentimenti ed emozioni non sono la stessa cosa ma la felicità può essere considerata sia un sentimento che un’emozione, a seconda del contesto e della prospettiva da cui viene osservata.

Da un lato, è un sentimento profondo di benessere e soddisfazione che permea la vita di una persona nel complesso. Dall’altro, è un’emozione fugace di gioia e contentezza che sorge in risposta a eventi o situazioni positive.

Entrambi gli aspetti contribuiscono al significato della felicità umana, riflettendo sia la sua natura stabile e duratura, sia la sua dinamicità e varietà nelle esperienze quotidiane.

Ricollegandomi alla mia situazione, descritta all’inizio di questo articolo, penso che la felicità sia frutto delle scelte che facciamo ogni giorno: quelle che ci consentono di raggiungere gli obiettivi e realizzare i nostri progetti di vita, quelli che sono in grado di farci sentire veramente appagati, fieri di noi stessi e che ci fanno stare bene.

Per trovare la felicità può essere necessario uscire dagli schemi che ci vengono imposti dall’esterno: i sogni di ciascuno sono diversi da quelli degli altri e possono essere completamente differenti dalle norme sociali, come formare una famiglia, avere un lavoro stabile e ben retribuito o la casa di proprietà.

Il filosofo Martin Heidegger chiamava queste norme sociali “pubblicità“, perché determinano il modo in cui una persona deve apparire agli altri per potersi uniformare alla comunità. Contrapposta alla pubblicità c’è la necessità di trovare sé stessi e realizzare pienamente la propria identità, perché ciascuno di noi è anche i suoi progetti di vita. Perciò, saremo completamente felici solo quando avremo ottenuto ciò che noi vogliamo davvero indipendentemente dalla società, compiendo a pieno la nostra identità e trovando chi siamo.

È più giusto, ma molto più complesso e impegnativo fare un cammino condiviso verso la propria felicità piuttosto che imporsi sulle modalità corrette e  non corrette di come vivere emozioni più o meno potenti.

Leggi anche:

La narrazione di sé per potenziare l’autoconsapevolezza

Zoe Rondini: formazione e lavoro

Presentazione di “Nata viva”, romanzo e cortometraggio

Presentazione del saggio “RaccontAbili”

 

[1] https://www.scuzzarella.com/psicologia-positiva/

 

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Il concerto di Amara, una carica di felicità e di umanità

Sabato 28 giugno 2025, sono stata al concerto di Erika Minneo, in arte  Amara, nell’ambito del Roseto Gentile Festival, presso la  Villa Comunale di  Roseto degli Abbruzzi.

La mia stima per la cantante è nata dopo subito dopo aver conosciuto la sua voce dolce e graffiante e i suoi testi intensi dopo l’ultimo Festival di Sanremo. Ha partecipato a concorsi musicali come SanremoLab e Area Sanremo prima del suo debutto tra le Nuove Proposte del Festival di Sanremo nel 2015. La svolta nella sua carriera è arrivata proprio con la partecipazione al Festival di Sanremo, dove ha presentato la canzone Credo. 

Chi è Amara e la sua interpretazione a Sanremo

Nata a Prato il 15 giugno 1984, Amara è compagna d’arte e di vita di Simone Cristicchi. Durante la serata delle cover dell’ultimo Festival di Sanremo Amara e Simone hanno interpretato La cura, uno dei brani più iconici di Franco Battiato. La scelta di Cristicchi è stata accolta con entusiasmo:

“Sono stato felice che Carlo Conti abbia accettato la nostra proposta”, ha dichiarato il cantautore, spiegando perché ha voluto Amara accanto a sé. La definisce un’artista “straordinaria”, ma soprattutto la persona che ha “reso la mia vita meravigliosa”.

L’incontro, le emozioni e la serata

 Ritornando al nostro incontro a Roseto, è stato davvero emozionante per me poterle parlare, come due amiche, a fine serata. Ero al settimo cielo e non ero l’unica  ad essere entusiasta. Anche lei era contenta di ricevere i miei libri con dedica,  una lettera e  due  zainetti con immagine e scritta di me come divulgatrice: “vi  aspetto su www.piccologenio.it”, uno per Amara e uno per Simone.

È una cantautrice di grande sensibilità, voce unica e penna raffinata, che  emozione incontrarla, parlarle di chi sono e cosa ho fatto, regalarle i miei scritti e scoprire che è veramente una persona autentica. Ero piena di aspettative, ma anche spaventata dalla delusione che poteva derivare dal mancato incontro, o da una sua reazione scostante verso una fan come tante.

Ma andiamo a raccontare con ordine i momenti più importanti della  serata. Un’ora prima del concerto ero alla villa nell’intento di parlare con lo staff per vedere se riuscivo ad avvicinarla e ad accaparrarmi un posto nelle prime file. Sapevo di chiedere tanto ad un personaggio pubblico. Con mia sorpresa ed emozione è stato possibile, a dirla tutta mi hanno addirittura messo in prima fila.

Poco prima ho potuto parlare  facilmente con delle persone gentilissime dello staff e ho dato loro i dépliant  che sintetizzano chi sono ed   il mio lavoro di divulgatrice. Ho ricevuto da subito doni inaspettati: come due posti, per me ed un’ amica che mi aiuta e  che con entusiasmo ha condiviso con me  questo week end distante da Roma. Un’addetta   è andata a parlare con la cantante; da   quel momento è stato un crescendo d’emozioni. L’ingresso alle prove, il sorprendente posto in prima fila con gli addetti stampa.

Assistere al concerto è stato un privilegio, Amara è un’interprete divina. Stupenda l’interpretazione dei testi condivisi  tra lei e Fiorella Mannoia. Apprezzo l’attenzione per gli ultimi, i pensieri rivolti alla guerra, al tema del cambiamento climatico e le riflessioni sull’impatto spesso eccessivo che il  digitale ha sulle nostre vite.

Persona  e personaggio: le due cose possono coesistere

Ci tenevo tantissimo ad incontrarla. In video e interviste è sempre apparsa come una persona autentica e sensibile.

 Per questi motivi le ho chiesto,  nella lettera che le ho consegnato, della quale riporterò buona parte del testo più avanti, se con Cristicchi hanno pensato di scrivere una canzone sulle persone con disabilità oltre la bellissima “L’Autistico, chissà, ma apprezzo molto  li loro lavoro di dare voce a tutti, matti, reduci di guerra, malati, custodi, anziani.

Nello scambio con Erika abbiamo parlato tanto, ero preparatissima! Lei sembrava a suo agio e contenta di ascoltare una persona che conosce a menadito le sue interviste, testi e concerti, le ho chiesto anche alcune cose della vita privata. È molto potente come persona ed anche come personaggio pubblico. Mi piace e mi emoziona la delicatezza, l’interessamento e l’umiltà che è quasi palpabile, non è  scontata nelle persone comuni ed è cosa più difficile da conservare per i personaggi pubblici. Ma molti, per fortuna riescono a rimanere fedeli ad una vita comune ed autentica.

Anch’io saprò  di te ora che leggerò Nata Viva”,

è stata  una delle cose che mi ha detto. Abbiamo parlato di tutti gli argomenti della lettera  e anche di problemi personali e di salute che ho avuto ultimamente e sto ancora gestendo.

 Sono veramente felice di  averla incontrata. Adesso sarei felice di andare a vedere Cristicchi e Amara in altre date in una loro tournee autunnale e magari parlarci ancora come si fa tra amici.

Auguro a lei e a Simone tutto il bene ed il successo che meritano!

Di seguito  alcuni stralci della lettera:

Carissimi Erika e Simone,

Mi chiamo Marzia Castiglione, in arte Zoe Rondini[1]Sono autrice, divulgatrice, pedagogista e blogger. Nel mio piccolo cerco di essere cantastorie come voi… e come voi giro volentieri teatri, convegni, scuole e atenei; perché in tutto ciò cerco di portare avanti dei messaggi ed è sempre più importante quello che ricevo, dagli altri, in particolare dagli alunni di medie, liceo ed università.

Vi seguo da tanto e adoro la vostra musica e le profonde parole. Credo di aver visto tante volte molti  video delle vostre interviste, concerti ed interventi, ma per fortuna continuo a sorprendermi. Cara Erika sei sempre bravissima, se posso esprimere una preferenza il concerto  “il respiro dell’alba”, presso il monastero San Magno (luglio 2023), che vorrei visitare magari proprio nei prossimi mesi estivi, è quello che più mi ha colpita. Complimenti vivissimi per il tuo  “La Certezza di Essere viva”.      

Vi parlo un po’ di me: ho una disabilità motoria dovuta ad un’asfissia neonatale di cinque minuti. Sono stata fortunata… la “vita è meravigliosa. Che sia benedetta”.

Dopo “aver riflettuto per i primi cinque minuti di vita, ho deciso di respirare”, e quindi di vivere…  Oggi conduco una vita “normale”: non vivo in famiglia, sono laureata, scrivo, guido, in poche parole…  Vivo e cerco di esistere. E’ con la consapevolezza dei miei limiti e capacità  che ho fatto le scelte più importanti verso una esistenza piena e autonoma. Come quella di iniziare a  scrivere a tredici anni ciò che oggi è il romanzo di formazione “Nata Viva”. Ho iniziato per lo stesso motivo per il quale Simone ti sei rifugiato nel disegno. Anch’io mi sentivo emarginata, sola e non solo perché non c’era più il secondo marito di mia madre che per me è stato come un padre.

 Anche per la profonda condivisione e stima, ogni vostra parola mi emoziona tantissimo, mi nutre e mi porta a riflettere. Mi piacerebbe conoscervi e scambiare due parole con voi su musica, scrittura, teatro e Vita.

 Mi reputo serenamente… e affettuosamente   MATTA,  adoro LA TOSCANA, I MATTI e CASTELLI ROMANI. Mi piacerebbe parlare con voi di tanti argomenti. Tu Simone parli degli ultimi in guerra, nelle strutture psichiatriche, negli ospizi… prima o poi parlerai di tutte le persone con fragilità? Per fare un esempio mi vengono in mente i disabili😊😉! Sia quelli autonomi che  chi vive in strutture. Tante situazioni sono eccellenti, non tutte purtroppo. 

Comunque anch’io, come voi,  penso che esistano tanti concetti di normalità e di felicità… tanti quanto le persone! Per me la felicità non dovrebbe essere sbagliata, anche se per chi non la sa gestire, si trasforma in euforia alla quale segue, inesorabilmente, la depressione.

Mi piacerebbe scoprire come mai anche a voi appassionano i Mantra e poter approfondire la vostra attività nelle scuole, oltre ai monologhi. Sarei anche curiosa di sapere se   avete ripreso tale attività dopo il covid, se avete ancora tempo tra scrittura, concerti, libri e Sanremo😉.

Dal 2012 al 2020 ho avuto la fortuna di portare nelle scuole il progetto: “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”, che si propone di incentivare la narrazione del sé, sensibilizzare sulle differenze (anch’io penso che la normalità sia noiosa) e si  propone di prevenire il bullismo. L’ho riproposto dopo il Covid, ma ultimamente è tutto più difficile… 

(…) Lo so che “la vita è meravigliosa, che sia benedetta…”   ma ci sono alti e bassi. Mi piaceva quello che ho fatto come  autrice, peccato che sta sfumando e sono rimasta sola, senza il mio consulente letterario che, per tanti anni, con competenza e affetto, ha creduto in me e mi ha aiutato a realizzare tanti progetti.

L’attitudine alla recitazione mi ha portato, grazie alla collaborazione con Matteo Frasca e la regista e attrice Tiziana Scrocca, ad estrapolare dal mio romanzo la sceneggiatura dello spettacolo teatrale “La cantastorie Zoe“. Inoltre, dal 2019 al 2023 ho fatto parte del laboratorio teatrale indipendente – “Compagnia Nuovo Teatro”, direzione artistica dell’attrice-regista Patrizia Schiavo.

Continuo a parlarvi della mia “missione”, sperando di conoscervi di persona, prima o poi.

Ma andiamo con ordine: il mio ultimo “figlio” è il saggio “RaccontAbili: domande e risposte sulle disabilità” (Erickson Live 2020). La mia prima opera  letteraria è il romanzo autobiografico “Nata Viva”, (Seconda edizione nel 2015, grazie alla Società Editrice Dante Alighieri).
Dal romanzo è tratto l’omonimo cortometraggio, disponibile su YouTube. Il video è il seguito del libro ed è stato il  primo a classificarsi nella categoria “Corti Della Realtà”; nell’ambito del Premio L’Anello Debole – Festival di Capodarco edizione 2016.

La mia passione per la scrittura mi ha anche portata, dal 2006, ad aprire  il portale www.piccologenio.it dove pubblico contributi  su tematiche quali disabilità, amore, sessualità, narrazione di sé e pedagogia.

Sono laureata in Scienze della Formazione e dell’Educazione, con specialistica in Lettere, Editoria e Scrittura presso l’Università Sapienza di Roma.

Mi impegno anche come divulgatrice delle tematiche di educazione sessuale e disabilità. Amo cucinare, faccio anche un ottimo gelato in casa!

Nella speranza di conoscervi, auspico di farvi cosa gradita regalandovi un po’ di me attraverso i miei scritti.

Vi auguro tanto amore e serenità.

 Marzia in arte Zoe Rondini

 

    

Leggi anche:

Lettera a Fiorella Mannoia

“Nata viva” di Zoe Rondini: romanzo e cortometraggio

RaccontAbili: presentazione del saggio di Zoe Rondini e rassegna stampa

 

[1] www.piccologenio.it

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La storia di Giulia Cecchettin, una buona occasione per lavorare sull’educazione e la prevenzione

La storia di Giulia Cecchettin, la 22enne scomparsa in Veneto insieme all’ex fidanzato Filippo Turetta ed il tragico epilogo 7 giorni dopo. Il ragazzo è stato arrestato ed è indagato per omicidio volontario e sequestro di persona.

Tutta l’Italia si è stretta attorno alla storia di Giulia Cecchettine alla sua famiglia. In questo articolo cercherò di portare le considerazioni che mi appartengono di più, su un caso che sembra aver smosso le coscienze di tanti.

Si è concluso nel peggiore dei modi il caso della scomparsa di Filippo Turetta e Giulia Cecchettin, i due ex fidanzati 22enni di cui si sono perse le tracce da sabato 11 novembre in Veneto, dove vivevano con le loro famiglie. Il corpo senza vita della ragazza è stato rinvenuto nei pressi del lago di Barcis, a Pordenone, dopo 7 giorni di ricerche, mentre il giovane è stato fermato in Germania, vicino a Lipsia.

Stravolte le loro famiglie, da un lato il papà di Giulia Cecchettin, insieme alla sorella Elena e al fratello minore, dall’altro i genitori di Turetta. La famiglia di Giulia aveva perso la madre solo un anno fa.

I due ragazzi, che dopo essersi conosciuti all’Università avevano avuto una relazione conclusasi ad agosto, sono scomparsi sabato 11 novembre. Si erano dati appuntamento per uscire insieme. Forse è stato il fatidico ultimo appuntamento che psicologi e forze dell’ordine ci insegnano essere spesso l’appuntamento più pericoloso.

Un uomo che dice :“l’ho uccisa perché è solo mia” concepisce la relazione con una donna solo in termini di possesso. L’amore è volere il bene e la libertà dell’altra persona. L’amore è aiutarsi e completarsi. L’amore è unione, è costruire non distruggere.  Non è possesso e morte!

I dati sui femminicidi e varie disparità

Solo nel 2023 sono 109 le donne uccise nel 2023, fino al 3 dicembre, di cui 90 in ambito familiare o affettivo, 58 quelle uccise da partner o ex partner.

I dati Istat che riguardano le donne con disabilità, sono peggiori: il 72% delle donne disabili aveva subito violenza nell’arco della vita e che sono vittime di violenza sessuale più del doppio rispetto alle normotipiche.

Anche in questo caso, a fronte dei dati che emergono, il sommerso si stima enorme. Basti pensare che alle indagini Istat, fatte per telefono, non potevano rispondere donne sorde o con disabilità cognitiva, fa notare Rosalba Taddeini, referente dell’Osservatorio nazionale contro la violenza sulle donne con disabilità di Differenza Donna.

Non è giusto che le ragazze e le donne debbano aver paura per la loro vita o per le fantasie omicide di un uomo. Bisogna migliorare l’aiuto e la prevenzione. Tutti siamo coinvolti e possiamo fare la nostra parte. Parlando con la coppia in difficoltà.

Ci vuole più prevenzione e educazione.  La famiglia, la scuola, le forze dell’ordine dovrebbero dare buoni esempi ai bambini e ai giovani. L’intervento psicologico per capire i segnali di un rapporto “malato” o non equilibrato dovrebbero essere garantiti e gratuiti in molti ambiti al sud come al nord.

Perché nelle scuole non si prevedono delle prime lezioni di base per insegnare a TUTTI a riconoscere i primi segnali di disagio, non si parla dell’importanza del consenso e non si creano abbastanza opportunità di ascolto e non si fornisce in maniera sistematica un valido supporto? Dobbiamo tutti lavorare per una società non patriarcale, dove uomini e donne siano trattati allo stesso modo… Dove ci siano veramente gli stessi diritti e gli stessi doveri in famiglia, a scuola ma anche nel mondo del lavoro poiché in questo ambito ci sono ancora molte disparità tra uomini e donne.

Lo dimostrano i dati: nell’Unione europea risulta occupato l’80% della popolazione maschile in età lavorativa, contro il 69,3% di quella femminile. 10,7 punti percentuali la differenza di tasso di occupazione tra uomini e donne in Ue (2022), con l’Italia fanalino di coda tra gli Stati membri con solo il  52,6% delle donne occupate nel 2023. Quasi metà della popolazione femminile in età lavorativa in Italia non ha un impiego e, pertanto, non può vantare un’indipendenza economica rendendosi quindi più vulnerabile ad abusi e prevaricazioni.

Le persone disabili sono occupate in misura minore, e con stipendi inferiori. Peggiore la situazione per giovani e donne. I dati dell’ultimo report del Forum europeo della disabilità lo dimostrano: “il rapporto mostra che solo il 51,3% delle persone attive con disabilità in età lavorativa nell’UE ha un lavoro retribuito. Inoltre, ancora una volta, le donne e i giovani risultano i gruppi più svantaggiati: solo il 49% delle donne e il 47,4% dei giovani con disabilità hanno un lavoro retribuito”.

Tornando sulla vicenda di Giulia,  le parole del padre, al termine del funerale sono profonde e di insegnamento per tutti:

“In questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte può, anzi, deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita”.

Violenza sulle donne: cosa possiamo fare

Nonostante le difficoltà e la paura, chiedere aiuto (magari contattando il numero antiviolenza e stalking “1522”) è l’unico strumento nelle mani di una donna che subisce violenza. Uno tra i consigli utili da dare a qualsiasi donna è quello di provare a non accettare fin dall’inizio la prima manifestazione di violenza, perché ne seguirà certamente una successiva e così via fino ad arrivare ad una terribile escalation di soprusi e accuse.

La piaga più grande è che le donne fanno fatica a parlare della violenza che subiscono, pensando che ci sia qualcosa di sbagliato in loro. La vittima che viene isolata non parla con nessuno di ciò che sta vivendo mentre invece sarebbe fondamentale, cercare di chiedere aiuto per porre fine alla spirale di crudeltà in cui si è costretti a vivere. La richiesta d’aiuto può essere rivolta a familiari, amici, centri specializzati e centri antiviolenza. Nei centri antiviolenza sul territorio, ci lavora un personale specializzato in grado di fornire informazioni utili a tutelarsi e a comprendere ogni situazione.  Per denunciare i fatti o chiedere un immediato intervento in caso di pericolo imminente è possibile anche rivolgersi alla Stazione dei Carabinieri o al Commissariato della Polizia di Stato.

Il video della lettera di Gino, durante il funerale

Infondo in questa tragedia, la cosa che colpisce è che non trapela nessun rancore dalla famiglia Cecchettin.  Spero che l’esempio di Gino sia per me, per tante persone e istituzioni, un monito a liberarsi dai sentimenti e messaggi negativi e lavorare sull’educazione e la prevenzione.

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Lettera a Fiorella Mannoia

Cara Fiorella,

ti stimo molto come cantante ed artista poliedrica!

La cosa che più mi ha colpito, oltre la tua eleganza,  bellezza e bravura è la semplicità con la quale ti sei fermata a ascoltarmi quando ci siamo incontrate nell’hotel di Pestum, al supermercato  ed ultimamente a luglio ai Parioli.

Ti scrivo questa lettera anche per parlarti di me, del mio impegno sociale, delle mie storie d’amore, soprattutto quella più importante. Mi soffermerò a ragionare anche sull’urgenza di porre più attenzione per tutelare le donne con vari tipi di disabilità.

Sono autrice del saggio “RaccontAbili, domande e risposte sulle disabilità” e del romanzo autobiografico “Nata Viva”, dal quale è stato tratto l’omonimo cortometraggio disponibile su YouTube.

Ma procediamo con ordine: i chiamo Marzia Castiglione, prima di pubblicare i miei due libri, per motivi di privacy ho scelto lo pseudonimo di Zoe Rondini.

Oggi sono abbastanza serena di ciò che, in vari modi, mi impegno a portare avanti. La mia vita ha avuto un punto di svolta quando, attraverso la narrazione del sé, sono riuscita a raccontare la resilienza nelle vite ordinarie di tante persone con disabilità (me compresa) e di chi, per vari motivi, si trova a relazionarsi noi.

Ho molti interessi, ma la mia più grande passione e l’inizio di ogni progetto è la scrittura. Grazie ad essa mi sono realizzata e continuo a realizzarmi. Ho trovato il mio ruolo nella società, parlo nelle scuole con un progetto contro il bullismo, che vuole incentivare la narrazione del sé. Ogni anno poi, tengo delle lezioni all’Università Lumsa.

Negli incontri che si svolgono in ambito universitario, avendo come interlocutori dei futuri “addetti ai lavori” (pedagogisti, terapisti, logopedisti, fisioterapisti e insegnanti e insegnanti di sostegno) la lezione si focalizza sul fornire loro il punto di vista della persona con disabilità e far passare il messaggio che oggi la scuola e le terapie riabilitative posso essere proposte in modo giocoso. Negli anni ’80 ho vissuto tutto ciò come una terribile condanna.

Per fortuna dall’età di 10 anni ho cominciato a amare la scrittura al computer e mi sono sempre  rifugiata e adoperata per fare di una passione, un lavoro ed un porto sicuro.

Il primo step è stato creare e curare assiduamente il blog www.piccologenio.it attivo dal 2005. Grazie ad esso cerco di fare informazione su disabilità e varie tematiche. Soprattutto mi sono “specializzata” sulla sessualità e sentimenti che, il più delle volte vengono negati, quando si parla di figli o assistiti con disabilità.

Sono tante anche le persone con disabilità che mi contattano attraverso i social! Mi raccontano la rabbia verso la famiglia poiché si sentono trattate da asessuate e mi chiedono un consiglio. Devo ammettere che non è sempre così per fortuna!!!! In tanti anni sono   molti  i genitori che mi scrivono  per chiedermi come far  fare un’esperienza erotica al figlio o alla figlia. Spesso consiglio un massaggio tantrico perché è un’esperienza più sicura, dolce e totalizzante della prostituzione.

Da donna per fortuna, non ho mai subito nessuna forma di violenza, solo un po’ di bullismo a scuola. Le mie brutte esperienze mi sono servite per accendere il desiderio di cercare, con varie forme di comunicazione, di essere sempre più utile a gli altri.

Ti ringrazio perché sei molto attiva nel sostenere l’associazione “Una Nessuna Centomila”, mi piacerebbe fare qualcosa con voi! Sono d’accordo con la tua affermazione: «La legge da sola non basta, serve una rivoluzione culturale in difesa delle donne». La musica e i mas madia hanno il potere di arrivare a tutti: giovani, adulti, persone con tanta cultura o con poca. Secondo me, sfruttando al massimo i vari linguaggi artistici e tanti mezzi di comunicazione, si potrebbe fare di più in favore per tutelare  le varie “categorie fragili e deboli”.

Le statistiche che riguardano le donne con disabilità, vittime di vari tipi di violenza sono allarmanti! L’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) – struttura della Polizia di Stato, rileva che: “Le vittime subiscono una discriminazione multipla, definita dagli esperti “intersezionale” – ovvero causata da più fattori – che non solo rende le donne più esposte a abusi sia dentro l’ambiente domestico che fuori.”

Il Sole 24 Ore rivela i dati: “Le donne con disabilità (con limitazioni gravi) che hanno subìto violenze fisiche o sessuali sono il 36%, una percentuale già molto alta e più alta del 30% delle donne senza limitazioni. Il 10% è stata vittima di stupro contro il 4,7% delle donne senza limitazioni. La violenza psicologica dal partner attuale riguarda il 31,4% delle donne con disabilità (contro il 25%) mentre quelle che hanno subìto lo stalking prima o dopo la separazione sono il 21,6% (contro il 14,3% delle donne senza limitazioni). I dati sono quelli dell’Istat del 2014, mancano numeri più completi e aggiornati.” La vergogna, l’impossibilità di uscire di casa, l’aiuto che ricevono dal loro aguzzino per le cose pratiche incidono negativamente sulla possibilità di esporre una denuncia. Spesso la donna con disabilità è penalizzata in quanto donna ed in quanto disabile. Spesso ho parlato di queste tematiche in numerosi convegni, a Roma e non solo… ma mi piacerebbe fare di più!

In realtà ti scrivo questa lettera anche per parlarti delle mie  storie d’amore, soffermandomi su quella più importante, ancora in corso; anche se non si tratta di un fidanzamento “convenzionale”, ma per questo magari trovi spunto per una canzone.

Partiamo velocemente dalle prime esperienze: a ventidue anni ero più che mai decisa a sperimentare la sessualità (non vivevo più con i miei), così ho messo un messaggio sul forum di un sito dedicato alla disabilità. Poco dopo sono uscita con un ragazzo con disabilità motoria, siamo stati insieme ma non è scattata la scintilla. È successa una cosa analoga con un ragazzo non vedente che non viveva a Roma. Queste esperienze le ricordo ancora con dolcezza: è stato bello aiutarci a vicenda facendo insieme tante cose della vita quotidiana.

Tempo dopo, volevo vivere una storia d’amore e mi sono iscritta ad un sito d’incontri. Pensavo di non avere chance con le persone normodotate, invece mi sono stupita per la quantità messaggi ricevuti. Avevo 23 anni e grazie ad un sito  ho conosciuto un uomo normodotato, ci siamo innamorati. Siamo stati più di un anno insieme, è stata una storia importante; ma per la grande differenza di età ed il fatto che non era ben visto dalla mia famiglia, hanno fatto affievolire l’innamoramento e la passione.

Fui io a lasciarlo. Verso la fine di questa storia… sullo stesso sito ho conosciuto un uomo affascinante, sexy e elegante. Lui mi ha detto subito che non voleva una storia seria. Ci siamo frequentati per un po’ e mi sono innamorata. C’è stato un momento di forte sofferenza perché ho temuto di perderlo: aveva riconquistato la compagna dopo una pausa di riflessione. Per fortuna con il tempo e l’impegno di entrambi abbiamo trasformato il nostro rapporto in una solida amicizia. A dicembre 2020 abbiamo festeggiato quindici anni di frequentazione!

Spesso ci diciamo che se era solo sesso era finita già da tanto. Anche lui mi vuole un gran bene, mi trova bella, intelligente e sexy!  È vero, non è una storia convenzionale. Lui a circa 20 anni più di me, ha la sua vita, il suo lavoro. Penso che oltre la passione e l’amore gli elementi importanti che ci tengano insieme siano l’accettazione e il rispetto.  Tra me e V. oggi c’è ancora passione. Ci raccontiamo tutto e ci sosteniamo a vicenda.

Ho provato ad avere altre storie serie, ma con gli anni il degrado nei siti d’incontri è aumentato terribilmente. Io stessa sono cambiata e maturata. Ho avuto delle storie brevi, ma poi la coppia Zoe e V. Vince sempre! Secondo me abbattiamo anche gli stereotipi della disabile tristemente a casa nella sua famiglia d’origine o nella “classica” storia della coppia dove entrambe le persone hanno una con disabilità!

Per fortuna, la disabilità non ha mai inciso tra me e lui, anzi è tutt’ora oggetto di battute e divertimento! V. è proprio una persona speciale!

Ho visto su Instagram che sei stata ricoverata. Niente di grave spero.

Ti faccio i miei migliori auguri per tutto.

Un abbraccio.

Zoe

  • Sono davvero felice della disponibilità che Fiorella ha sempre dimostrato verso di me ed il suo pubblico. Ieri eravamo in tanti a aspettarla all’uscita dell’Auditorium Parco Della Musica. Le ho regalato una scatola di cioccolatini e questa lettera che per me è importante come tutto ciò che scrivo. Mia sorella mi ha accompagnata in questa lunga e bella serata e ha specificato che nella busta c’era questa lettera per me importante. Fiorella aveva messo tutto nel trolley. I due libri li ho donati quando ci siamo incontrate a Pestum  nell’agosto 2020!

  Grazie di tutto e buona lettura! 

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Tutto chiede salvezza: il labile confine tra normalità e malattia mentale

La serie Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, vincitore del premio Strega Giovani nel 2020, riesce ad affrontare la questione delle malattie mentali in modo leggero e profondo al tempo stesso senza sconti e senza ipocrisie. Un racconto da guardare tutto d’un fiato.

La serie invita a riflettere su chi siano i veri “matti”. I matti stanno là fuori, afferma il protagonista, durante il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio).

“Tutto chiede salvezza” è la storia di Daniele, un ragazzo come tanti, carico delle aspettative di una famiglia semplice ma determinata a far diventare qualcuno proprio lui, il più piccolo, perché solo lui dei tre figli aveva dimostrato di potercela fare, di avere un grande potenziale. Una dote pesante per Daniele che, schiacciato tra le aspettative e il timore di non farcela, ha sempre fatto i conti con paure più o meno manifeste, con fughe da scuola per correre in braccio alla mamma. Un macigno che, qualche anno dopo, in bilico tra alcol e droghe, una notte esplode in un episodio di violenza contro i genitori. Ecco il motivo del T.S.O. Dopo una crisi psicotica si risveglia nella camerata di un reparto psichiatrico, insieme a cinque particolari compagni di stanza con cui, all’inizio, pensa di non avere niente in comune.

Il rapporto con il personale sanitario e le telefonate alla famiglia, poco dopo il ricovero, sono molto conflittuali. Inoltre il ragazzo, si sente pressato dai medici, che gli vogliono frugare nel cervello per capire cos’abbia che non va, ed è accudito da infermieri che, inizialmente sono cinici e disinteressati. Sette giorni, tanto dura la sua permanenza nel reparto, sembrano lunghissimi e quella che all’inizio gli appare una condanna piano piano si trasforma in una delle esperienze più intense e formative della sua vita.

I sette episodi, sono un invito a riflettere sul disagio conclamato e su quello sopito e su molti aspetti dell’esistenza umana. A tal proposito mi sembrano significative le parole del regista e sceneggiatore Francesco Bruni: “Dal dolore si può uscire, e uscire migliori. Anche nel momento più buio può fare capolino la speranza, si può ridere pochi istanti dopo aver pianto e piangere poco dopo aver riso.” Nella prima puntata una frase mi è rimasta particolarmente impressa perché ritengo che sintetizzi la condizione e la fragilità umana: Semo come piume: basta uno sputo di vento per portarci via”. La serie ci fa riflettere su molti concetti importanti e comuni all’esistenza di ogni persona, ad esempio il fatto che è il dolore che, nel bene o nel male, accende gli anfratti più nascosti di ogni essere umano. O che alla fine l’amore spinge molte persone alla ricerca di quella speranza perduta.

Nello spazio atipico dell’ospedale ed in un tempo che sembra sospeso, isolato dal mondo Daniele si trova ad affrontare i suoi demoni interiori, intraprendendo un viaggio inaspettato che si rivelerà quanto mai essenziale per scoprire le sue vere emozioni e la sua personalità.

All’inizio la serie sembra il racconto di un ragazzo viziato che pensa solo alle ragazze, le serate in discoteca ed alla cocaina, ma poi, il protagonista sarà il primo ad aiutare e confortare i compagni di stanza che, sembrano essere in situazioni più gravi della sua.

Nell’ospedale psichiatrico c’è anche spazio per una complicata storia d’amore con Nina, un’influencer che ha tentato il suicidio e che, a detta dei medici, sta molto peggio del protagonista.

“Tutto Chiede Salvezza”, è un invito a riflettere sull’importanza dell’amicizia, della famiglia, del perdono e dell’aiuto reciproco: valori non scontati.  Tutto ciò spesso è difficoltoso da mantenere, donare ed ottenere.

Attorno a Daniele si raccontano  le storie dei cinque compagni di stanza: Mario, maestro “a riposo”, ricoverato per aver aggredito moglie e figlia qualche decennio prima; “Madonnina”, di cui nessuno conosce il vero nome e che passa le giornate invocando, appunto, la Vergine Maria; Giorgio, un Hulk dal cuore buono, segnato dalla perdita della madre; Alessandro, affetto da una patologia neurologica che lo ha reso un vegetale; Gianluca, omosessuale e, per questo, costretto al trattamento da una famiglia bigotta e incapace di accettare la diversità. E poi gli infermieri, i medici, i familiari e tanto amore, più o meno sano: una grande nave dei pazzi in cui il confine tra normalità e follia diventa davvero labile. Di tutto, una sola certezza: tutti chiedono salvezza, chi sta fuori e chi sta dentro. Chi si prende cura e chi è curato. Chi resta a casa e chi ne sente la nostalgia. Chi cerca rifugio e chi ne rifugge. L’unica via di scampo sembrano essere i legami, gli affetti. Che, se ben vissuti, salvano.

Una bella miniserie, tutta italiana, che mette al centro la tematica delicata, ma anche drammaturgicamente sempre affascinante, delle malattie mentali che è stata raccontata dosando sapientemente leggerezza e patos, così che ogni spettatore si possa ritrovare nei vari personaggi.

La storia rappresenta anche una difficile sfida contro se stessi e contro il mondo: ritrovarsi e capire che i vuoti personali si assomigliano un po’ tutti, le sofferenze sono tante e molteplici e che nella diversità si può trovare una rara bellezza. Una meravigliosa e ritrovata leggerezza. Che, guarda caso, fa rima con salvezza.

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Spiegare bene la disabilità a bimbi e bimbe: un’occasione pedagogica per tutti

Spiegare la disabilità ai bambini è importante. Perché le varie disabilità esistono, si possono incontrare… quindi è opportuno che l’adulto sia in grado di motivare le differenze senza drammatizzarle. Partendo da tale presupposto, è auspicabile anche che  i genitori affrontino l’argomento visto che a scuola, al parco o in vacanza si può trovare un compagno di giochi con caratteristiche che possono suscitare diverse reazioni: la risata, la presa in giro o l’accettazione.

Per fortuna oggi giorno, in molti contesti la disabilità non è un più tabù ed è importante parlarne anche ai piccolissimi.

I bambini si accorgono benissimo se qualche compagno fa più fatica nei movimenti, o si comporta in modo “insolito“. Ma non per questo giudicano, semplicemente si interrogano sul perché: da parte di genitori e insegnanti deve esserci grande sincerità nell’affrontare il tema e non bisogna negare l’evidenza dicendo che quel bambino è uguale a loro. Ha gli stessi diritti certo, ma è diverso. Vi accorgerete della spiazzante semplicità con cui i bambini sono in grado di capire e accettare le diversità.

Con i più piccoli, è importante usare un linguaggio comprensibile, che non spaventi o renda ancor più distante il tema: l’ideale è parlarne con naturalezza a partire dalle loro domande. Date spazio alle loro curiosità e fate passare il messaggio che è normale notare la disabilità e chiedersi il perché. Ricordatevi che un bambino chiede una cosa solo quando si sente pronto per capirla. Ciò detto vale sia per il gruppo dei pari che per rispondere alle domande che un bambino con disabilità può porre agli adulti di riferimento.

In una classe dove c’è un bambino con una disabilità, è importante parlare con tutti gli alunni spiegando i limiti e le potenzialità del compagno con bisogni speciali, rendendolo protagonista nel descrivere e condividere la sua disabilità con i compagni e amici. Tutto ciò può creare armonia tra il gruppo di pari e prevenire ogni forma di bullismo.

Va anche ricordato che i bambini sono curiosi, una volta placata la loro voglia di sapere, saranno i primi a trovare strategie per giocare e comunicare  tutti insieme.

Un errore che fanno alcuni genitori è quello di essere iperprotettivi e di evitare che il figlio conosca la diversità. È auspicabile che i genitori lascino i figli liberi di incontrare le difficoltà della vita, come le diversità e le disabilità.

Per concludere le riflessioni ed i consigli su come affrontare il tema delle disabilità con i più piccoli, penso che per noi adulti sia importante chiedersi come noi per primi ci approcciamo alla disabilità. L’occasione di affrontare tale tematica con i bambini è un’ottima occasione per misurarsi con la propria visione.

Ricordiamoci che i bambini apprendono molto dal nostro comportamento, che funge da modello. Il modo in cui ci comportiamo di fronte alle disabilità, le conversazioni che facciamo in loro presenza – anche quando non ci rivolgiamo direttamente a loro – contano più di qualsiasi spiegazione.

Per spiegare la disabilità a bambini e ragazzi esistono tanti libri!

Di seguito troverete una selezione di questi testi, tra cui rientrano romanzi sulla disabilità e storie di inclusione per bambini. Non mancano anche alcuni libri facilitati per bambini con bisogni speciali.

 

Romanzi sulla disabilità


Mia sorella è un quadrifogliodi Beatrice Masini e Svietlan Junaković (Carthusia, 2012).
Dai cinque anni in su. Nel libro una bambina narra i primi passi su questo mondo della sorellina speciale. Con uno sguardo fresco ma profondo, tipico dell’infanzia, Beatrice Masini ha saputo raccogliere le sfumature più delicate, dando vita a una storia vivace, coinvolgente e originale, in cui la disabilità viene raccontata da una voce molto particolare, forse unica nei libri per bambini dedicati alla disabilità: la voce di una sorella.
Nella vita della piccola Viola, infatti, arriva Mimosa, una sorella un po’ particolare, che scompiglia la vita familiare: ma è, prima di tutto, una sorella. «Siamo tutti diversi e siamo tutti speciali. In un prato c’è posto per tutto: i quadrifogli, le farfalle, le coccinelle, le formiche, i fiori».

L’intruso. Storia di un orso arruffato di Waltraud Egitz (Bohem Press 2006).
Adatto dai due anni in su. Orsetto si è svegliato bene stamattina, ma qualcosa lo disturba: quando arriva nel suo posto preferito, trova un intruso. Lo sconosciuto è un orso che ha il pelo tutto arruffato: a Orsetto proprio non piace e decide di cacciarlo via. Gli animali del bosco lo interrogano sul perché della sua azione. Non sapendo cosa rispondere, Orsetto decide di provare a conoscerlo meglio. È un libro sulla diversità e sull’amicizia.

Oggi no domani si! di Lucia Scuderi (Fatatrac, 2008).
Da tre anni in su. Lo struzzo è un uccello non volatore, una diversità che gli rende la vita difficile. «Oggi no domani sì, torna domani e troverai così» è la frase che gli urla il piccolo scarafaggio per prenderlo in giro, quando lo struzzo continua a rimandare di giorno in giorno la sua prova di volo. Ma, a sorpresa, sarà proprio la sua fragilità a renderlo alla fine simpatico agli altri piccoli animali.
In un tempo che ci parla di bullismo perfino nelle scuole materne, ecco una storia in cui il protagonista non viene apprezzato perché più forte, ma perché conosce i suoi limiti e li fa accettare agli altri.

La cosa più importante di Antonella Abbatiello (Fatatrac, 2003).
Da tre anni in su. «Il coniglio diceva: la cosa più importante è avere orecchie lunghe. Chi ha orecchie lunghe si accorge subito di ogni piccolo rumore…». È l’inizio di un’appassionata discussione tra gli animali del bosco in cui di volta in volta la particolarità di ognuno viene considerata la più importante e come tale “imposta” a tutti gli altri. Sarà un gufo saggio a far capire che l’importanza di ciascuno sta proprio nella sua “diversità” che lo rende unico ed essenziale alla vita del bosco.
Un importante messaggio di pace e di tolleranza in una smagliante favola moderna.

Laura di Elfi Nijssen ed Eline Van Lindenhuizen (Clavis, 2009).
Da quattro anni in su. Laura è una bambina speciale: ha problemi di udito. Giocare con gli altri bambini non è facile, se non senti bene. E anche camminare per strada. Fortunatamente il Dottore dell’orecchio dà a Laura due apparecchi acustici: sono piccoli piccoli, non si vedono, ma le sono di enorme aiuto. Una delicata storia su una bambina che ha problemi di udito.

Il Signor Tazzina di Maria Sole Macchia (Fabbri, 2003).
Dai quattro anni in su. Un disegnatore distratto illustra un personaggio senza un orecchio. Il personaggio comincia a vivere la sua storia ed esce per strada. Un ragazzino lo addita ai passanti dicendo che sembra una tazzina. Da quel momento il poverino diventa per tutti il “Signor Tazzina”, e, umiliato, si nasconde in casa. Ma poi, dalla finestra di casa, comincia ad osservare le persone che passano per la strada: quella signora con il collo lunghissimo, non è identica a un cucchiaino? Quel tipo coi capelli in su, non sembra una forchetta? Così scopre che essere diversi dagli altri vuol dire essere unici e speciali.
Una storia fantasiosa, allegra, coloratissima, che parla di diversità e accettazione della propria identità.

Ad abbracciar nessuno di Arianna Papini (Fatatrac, 2010).
Dai cinque anni in su. Damiano incontra una bambina misteriosa alla scuola dell’infanzia e da subito nasce in lui una commovente fratellanza mossa sia dalla curiosità che dalla sua storia di bimbo adottato, che corre verso la bimba affetta da autismo. Insieme i due bambini, durante il tratto di strada della vita che condividono, si scambiano affetto, gioco, tristezza e allegria.

Nata Viva di Zoe Rondini (Società Editrice Dante Alighieri, prima edizione 2011).
Il romanzo di formazione narra la vita di Zoe, una bambina che nei primi cinque minuti della sua vita ha “trattenuto il fiato”. Il libro è adatto ai ragazzi dai dieci anni in poi. Attraverso le vicende scolastiche e familiari di Zoe, si può capire che in fondo ci sono tante cose che accumunano un bambino con bisogni speciali ai suoi coetanei. Tramite le vicissitudini della protagonista, molti lettori e lettrici si rivedono nell’essere adolescenti incompresi, in famiglia come a scuola.
Un romanzo che invita a non dimenticare mai lo scarto enorme che c’è tra vivere ed esistere, inchiodandoci all’idea che per nascere veramente, ad ogni occasione, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo al mondo intero.

Storie di inclusione per bambini

Martino piccolo lupo (Carthusia)

Per avvicinare i più piccoli al tema della disabilità, questo è sicuramente uno dei titoli più indicati. Al centro, la storia di Martino, un cucciolo di lupo che, diversamente dagli altri, non ulula alla luna e adora mangiare le ciliegie.  “Non sarà mai un vero lupo!”, tuona il capobranco alla mamma lupa. Il libro affronta il tema dell’emarginazione, rappresentata come una nebbia fitta che finisce per inghiottire il piccolo lupo fino a che qualcuno riuscirà finalmente a vedere oltre all’apparenza. La metafora vuole far luce sulle problematiche legate all’autismo e alla capacità di entrare in relazione con chi appare “diverso”. Una pagina finale è dedicata alla presentazione di Fondazione ARES (Autismo Ricerca e Sviluppo) con il quale il libro è realizzato.

Ada al contrario (Settenove)

La protagonista di questo libro è Ada, una bambina molto particolare che sembra fare tutto al contrario. Da neonata, al posto di urlare «Uééé, uééé», aveva strillato: «Éééu, éééu». Dormiva di giorno e stava sveglia di notte. Chiamava mamma il papà e papà la mamma e, crescendo, iniziò persino a camminare al contrario. La sua storia affronta con leggerezza il tema dell’Asperger, una forma di autismo, sottolineando l’aspetto della libertà e del diritto di essere accolti nella propria diversità, qualunque essa sia.

Il pentolino di Antonino (Kite Edizioni)

Semplice e al tempo stesso potente, questo libro illustrato racconta la storia di Antonino, un bambino che trascina sempre dietro di sé una piccola pentola. Un giorno gli è caduta sulla testa e da allora Antonino non è più come tutti gli altri. Quel pentolino gli complica la vita, si incastra dappertutto e gli impedisce di andare avanti. Antonino è un bambino che ama la musica, la compagnia, l’affetto… ma spesso le persone vedono solo la piccola pentola che trascina dietro di sé. Sarà l’incontro con una persona speciale a insegnargli ad usare quel pentolino per esprimere tutte le sue qualità. La metafora è quella dell’autismo, ma più in generale della difficoltà che qualsiasi bambino può incontrare nell’affrontare diverse situazioni di vita.

Il pezzettino in più (Feltrinelli Kids)

Un libro spiritoso ma anche toccante che affronta il tema della sindrome di Down. Manuelita e Lucía, detta Pussy, sono sorelle. Manuelita è la maggiore ed è “diversa”: i medici alla sua nascita hanno detto che ha 47 cromosomi invece di 46, “come un orologio con un pezzo in più”. Tra le due sorelle c’è amore e complicità, solo che Pussy spesso si stanca di dover fare la sorella maggiore pur essendo la più piccola e di dover affrontare le prese in giro dei “bambini corvo”, che sotto l’apparenza di bambini normali nascondono penne nere, becco appuntito e artigli… Attraverso episodi insoliti e divertenti, la storia riesce a offrire uno sguardo nuovo sul mondo della disabilità.

Compagni di diritti. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità spiegata ai bambini delle scuole primarie di Lorenzo Fronte (Erickson 2017).

Un libro che può essere utilizzato per svolgere un percorso in classe, contenendo anche stimoli per attività da far fare ai bambini. Spiega ai piccoli della scuola primaria la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Serena, la mia amica di Anna Genni Miliotti (Editoriale Scienza, 2007).
Il libro racconta l’amicizia tra Chiara e Serena, due ragazzine “speciali”. Solo nell’ultima illustrazione scopriamo che Serena è una bimba con sindrome di Down.
Un discorso sulla diversità alla rovescia, quasi sia Chiara un po’ gelosa delle qualità di Serena, pur sapendone i problemi e i limiti. Il tema della diversità si ritrova anche in una storia dentro la storia, nel divertente racconto a fumetti su una balena… rosa.

Parliamo di Abilità. Una spiegazione della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità di UNICEF Italia (UNICEF Italia 2008).
Pubblicazione utile per i bambini e i ragazzi un po’ più grandi. Vi si spiega la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, con l’obiettivo di aiutare le persone con disabilità a realizzare i loro diritti.

Libri facilitati per bambini con bisogni speciali


L’avventura di Oliver in piazza L’avventura di Oliver tra i ricordi di Gabriella Fredduselli (Erickson 2014 e nuova edizione 2021).
Sono favole scritte anche nella versione facile da leggere (Easy to Read), accessibile anche ai bambini con disabilità intellettiva che affrontano il tema della diversità. Si prestano ad essere utilizzati anche in classe.

Ho un po’ paura di Laure Constantin (Editions Européennes d’Albums Tact-Illustrés, 2004).
Il volume fa parte di A spasso con le dita, biblioteca di libri tattili, un progetto a sostegno della letteratura per l’infanzia e l’integrazione tra vedenti e non vedenti.

Articolo pubblicato su Superando

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L’adolescenza: tra criticità, potenzialità e soluzioni

L’adolescenza è un periodo della vita caratterizzato da forti e rapidissimi cambiamenti a livello fisico, ormonale e  psicologico. Gli adolescenti  mettono in discussione la propria identità  per poterla definire e cercano in tutti i modi di maturare l’idea che hanno di sé stessi. Si tratta di un processo non lineare che può prevedere grandi balzi in avanti, ma anche repentini   passi indietro. Spesso i comportamenti di questa fase della vita oscillano tra l’infantile e il troppo spavaldo.

Non è raro che i ragazzi si sentano fragili, ma al tempo stesso si ribellino alle regole. Quasi tutti poi, cercano l’omologazione nel gruppo dei pari.

Quello che gli adulti di riferimento devono tenere a mente è che, nella maggior parte dei casi, in tutto questo non c’è nulla di patologico o preoccupante. In questa fase delicata l’adolescente va sostenuto e istradato per quanto possibile; tenendo conto che, spesso si impara degli errori.

La visione dei genitori

L’adolescenza è un periodo che richiede una grande capacità di adattamento anche per i genitori, che vengono messi spesso a dura prova. Si tratta di una fase molto delicata, sia per i ragazzi che per gli adulti, ed è facile in tanti momenti cedere al pessimismo  quando ci si ritrova davanti un figlio così diverso dal bambino a cui eravamo abituati, da non riuscire più a riconoscerlo.

La visione dei ragazzi e i segnali di allarme per i genitori

Molto spesso, i figli percepiscono una mancanza  d’ ascolto e supporto verso le loro richieste e necessità. Non riconoscono o non vedono riconosciute le proprie potenzialità.

Tutto questo è normale se non viene esasperato nel tempo. Quali sono i segnali, i campanelli d’allarme ai quali un genitore dovrebbe prestare attenzione per poter intervenire il più presto possibile? Innanzitutto un forte segnale può provenire dal luogo in cui il ragazzo passa la maggior parte del suo tempo, cioè la scuola. Il rendimento scolastico è un indicatore da tenere sempre in considerazione. Un calo repentino dei voti di un ragazzo adolescente può essere sintomo di un disagio che si ripercuote sull’attenzione, sulla capacità di studiare e sulla motivazione e che porta, quindi, ad un abbassamento della media scolastica.

Un altro campanello d’allarme dovrebbe scattare quando un figlio adolescente manifesta insoddisfazione, noia continua come se non riuscisse a trovare alcuno stimolo nelle cose che ha sempre fatto o in nuove attività. Il disinteresse nei giovani talvolta è normale e fisiologico, ma c’è il rischio che l’indolenza si trasformi in apatia giovanile, causata da un contesto poco stimolante, dalla bassa autostima e dall’assenza di gratificazione. Ci si può trovare di fronte a un ragazzo che fatica a trovare un senso ed uno scopo, che passa le giornate  senza concludere nulla. A differenza di quello che si crede comunemente, la preoccupazione dovrebbe scattare anche quando l’adolescente dimostra difficoltà a emanciparsi dalla famiglia  e ad assumersi le proprie responsabilità.

Altro importante segnale da considerare sono le relazioni sociali del ragazzo: se tende ad isolarsi,  a chiudersi in casa o si allontana e non sembra avere rapporti con i propri coetanei, è possibile che stia vivendo un forte disagio.

Infine anche l’aspetto fisico del figlio può dare motivo di riflessione: la trascuratezza può essere un segnale forte di scarsa autostima e mancata accettazione oltre che di assenza di stimoli.

Prevenzione dei problemi in adolescenza

Naturalmente esiste anche una fase di prevenzione dei problemi e dei disturbi adolescenziali più comuni. Il primo luogo in cui effettuare degli interventi volti a prevenire il disagio giovanile è, senza dubbio la scuola.

È quindi opportuno che vi siano degli incontri nei quali esperti psicologi e pedagogisti, possano entrare in relazione con i ragazzi. I preadolescenti e gli adolescenti devono trovare uno spazio dove poter parlare delle loro paure, delle proprie passioni ed aspirazioni. È anche utile che gli esperti e gli adulti di riferimento facciano capire al ragazzo che le emozioni che egli vive, lo accomunano a molti altri suo coetanei.

La narrazione del sé come supporto psicopedagogico

Dal 2012 al 2020, (prima del Covid-19) facevo molti incontri nelle scuole grazie al progetto: “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”, si tratta di un progetto educativo contro ogni forma di bullismo che cerca anche di prevenire le varie tipologie di discriminazione.

Gli incontri con le classi si articolano in tre momenti. In primo luogo narro agli alunni alcuni episodi della mia vita estrapolati dal romanzo di formazione ed autobiografico “Nata Viva“. I brani che faccio leggere ai ragazzi per renderli più protagonisti; hanno a che fare con la nascita, la scuola, la famiglia, l’adolescenza, il tempo libero e il rapporto tra pari. È emozionante vedere la loro concentrazione e la loro empatia.

Nella parte successiva c’è un momento di confronto nel corso del quale i ragazzi, stimolati e incalzati da me, narrano i loro vissuti in relazione alla scuola, il rapporto tra pari e con gli adulti, le loro paure e speranze e mi possono porre tante domande. La parte più entusiasmante è senza dubbio ascoltare le domande dei ragazzi, i loro vissuti della scuola e della famiglia e rispondere alle loro curiosità.

Riporto alcuni quesiti  che mi sono rimasti impressi ed ai quali ho risposto senza celare nulla:

“Zoe ti sei mai innamorata?

Cosa provavi quando le tue compagne di classe e le insegnanti non ti volevano aiutare?

Se non avessi avuto quel “cortocircuito” al momento della nascita saresti stata comunque una scrittrice o pensi che avresti fatto un lavoro diverso?

Nel brano dove racconti della tua nascita parli di tua madre e di tua nonna, ma tuo padre c’era e se era presente cosa faceva?

Nei panni dei tuoi famigliari cosa avresti fatto con una bambina disabile?

Come hai fatto a raccontare la tua nascita? Ma tu te la ricordi?!”

Sono felice di poter affermare che le situazioni di sofferenza legati alla famiglia e alla scuola sono state poche rispetto ai tanti bambini e ragazzi incontrati. Hanno tutti molte aspettative per il futuro, vogliono laurearsi e intraprendere carriere di un certo livello.

Mi piacerebbe tornare quanto prima nelle scuole e magari riproporre il progetto insieme ad una persona con disabilità sensoriale, per sensibilizzare i ragazzi su vari tipi di diversità e far capire che siamo tutti diversi e un po’ speciali, ognuno a suo modo.

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Famiglie e sensi di colpa: non tutto è imputabile alla disabilità…

“Il ciclo di vita della famiglia è caratterizzato da una serie di eventi più o meno critici che possono essere causati da diversi fattori, come l’ingresso o l’uscita di alcuni componenti della famiglia, problemi psicosociali legati allo sviluppo dei bambini o semplicemente eventi particolari legati alla vita della coppia” (Gambini, 2007). Quando nasce un bambino con disabilità avviene un vero e proprio terremoto nella famiglia. All’improvviso, si devono ristabilire ruoli e competenze rispetto alle famiglie di origine.

Per i genitori la nascita del primo figlio rappresenta una vera e propria rivoluzione.  Da figli diventano (anche) genitori e, da questo momento in poi, sono tenuti ad assumere l’autorevolezza e le responsabilità che la nuova situazione comporta. A volte capita che le famiglie d’origine interferiscano con le scelte dei neo-genitori rispetto al neonato. Oppure potrebbe avvenire che un partner, ancora molto dipendente dalla propria famiglia d’origine, ricerchi eccessivamente la presenza e il sostegno dei genitori.

Nessun evento in sé,  dovrebbe essere considerato “critico” per lo sviluppo della famiglia, ma diventa rilevante sulla base di come viene percepito e dal significato ad esso attribuito, che è in gran parte correlato al carattere ed alle esperienze personali di tutti i componenti della famiglia.  Un bambino con disabilità, suo malgrado, mette tutti davanti a nuove problematiche, per chi accetta la sfida esso può rappresentare un motivo  di soddisfazioni e di traguardi da condividere.

Ma non è per tutti così,  alcuni  genitori possono vivere  questa situazione come un “lutto” dal quale fuggire in vari modi. Tutti i sogni e progetti sulla vita “normale” vanno in pezzi e vi è la necessità di elaborare la nuova situazione dopo la diagnosi, c’è chi non ce la fa dall’inizio e chi, dopo anni, tira fuori tutto il suo dolore.

In questo uragano di emozioni e reazioni non è raro che, la negazione ed il senso di colpa, siano qualcosa di insito ed atavico in molte famiglie. Esso può essere spesso legato a comportamenti o fatti che si apprendono all’improvviso, che non si possono narrare e che non tutti hanno metabolizzato. Ciò è comune a tante famiglie e in alcuni casi non è connesso  dalla presenza  di un famigliare con disabilità. Va però considerato che la disabilità può rappresentare un ottimo elemento per  sentirsi sbagliati: non siamo o non abbiamo il figlio normale che tutti desiderano.

Bicknell ha tentato di delineare le fasi attraverso le quali si arriva all’elaborazione del “lutto”/diagnosi:

  1. fase di shock e dolore
  2. senso di colpa e rabbia
  3. accettazione della condizione ed elaborazione di un progetto di vita, tenendo conto che in presenza di un figlio con disabilità il lavoro di cura è molto più impegnativo e le emozioni possono essere confuse e contraddittorie.

In tale discorso poi, non è saggio sottovalutare l’aspetto dell’accudimento. Nel corso del tempo cambiano  i ruoli tra chi accudisce e chi viene accudito. In una dinamica “normale”  il figlio si prende cura del genitore che invecchia, ma possono esserci altri casi dove il figlio adulto e non completamente autosufficiente non riesce a farsi carico delle sofferenze, soprattutto psicologiche, del genitore perché si sente la “causa” dei mali della famiglia. Ammesso che non si siano interrotti i rapporti tra genitori e figli.

Le urgenze delle varie età, specialmente nel periodo della formazione, mettono da parte i meccanismi familiari in quanto prevale il bisogno di far emergere il proprio io, confrontarsi con il mondo esterno e con i coetanei. Raggiungendo poi la maturità bisogna fare i conti con le proprie radici. Ecco riemergere, La Storia Familiare con la sua potenza sia negli accadimenti positivi che in quelli negativi. A farne maggiormente le spese di una storia famigliare complessa sono i  figli che creano la causa dei maggiori conflitti o si ritrovano catapultati in dinamiche già esistenti o che non hanno causato volontariamente e che sono fiammelle sulle quali, non si sa perché, soffia spesso il vento anziché cadere la pioggia.

Tal volta fra diverse generazioni si accumula un dolore sommerso che sfocia in rabbia, gelosie, sensi di colpa e d’inadeguatezza, facendo “scoppiare“ le famiglie. Soprattutto c’è un sentimento che può rendere tutti simili ai disabili, ma non uguali per dati oggettivi, questo è il senso di inadeguatezza. Quando il sentirsi in colpa nasce dall’inconscio, dalla confusione interiore che impedisce di discernere la verità, dalle calunnie di diverse persone, i sentimenti dalla ragione, il senso di colpa,  la rabbia, i dubbi… tutti questi elementi possono  diventare i nostri peggiori nemici.

La complessità è una caratteristica imprescindibile e non eliminabile delle tematiche connesse alla disabilità in generale e alla sua comunicazione in particolare. Dopo la diagnosi, le famiglie non possono semplicemente  “fare un salto indietro” e tornare alla solita vecchia vita, ma dovrebbero fare “uno scatto in avanti” per passare attraverso un territorio nuovo. Per non sprofondare nella solitudine,  nei sensi di colpa e nella rabbia che con il tempo o si superano o ci sovrastano. Sarebbe estremamente importante, fornire a tutto il nucleo famigliare un appropriato supporto psicologico che li aiuti ad affrontare e ridurre i vissuti negativi: la depressione, la frustrazione e, tal volta, la vergogna.

Gli obiettivi fondamentali dovrebbero includere i seguenti punti:

  1. Ridurre l’impatto stressante dell’esperienza della disabilità sulla famiglia;
  2. Far percepire i punti di forza e le potenzialità della situazione e di ogni membro della famiglia per poi focalizzarsi su delle aspettative realistiche;
  3. Offrire dei collegamenti con quei servizi territoriali deputati al sostegno e all’integrazione delle funzioni e degli sforzi dell’assistenza familiare.

Quando la disabilità colpisce un membro di una famiglia, sarebbe auspicabile occuparsi per tempo dell’intero sistema familiare per evitare conseguenze negative che, talvolta creano un effetto domino difficile da gestire e disinnescare. Va anche detto che non bisognerebbe avere paura delle reazioni negative e di chiedere aiuto per tempo, prima che sia troppo tardi per affrontare con energia i vari problemi di tutta la famiglia.

“Ci ritroviamo in certe situazioni per costruire il nostro personaggio, non per distruggere noi stessi.” Nick Vujicic

Purtroppo non sempre si è disposti a lavorare su noi stessi o chiedere aiuto. Talvolta è più facile chiudersi nel proprio dolore e rancore per poi scaricarlo sugli altri, o compiere atti privi di logica e tal volta autolesionistici.

Le voci messe in giro di un possibile evento traumatico, accaduto anni prima di una nascita complicata ed accidentata non tornano e non fanno altro che alimentare dubbi, rabbia e frustrazione. La volontà di non pensarci molte volte è del tutto inefficace.  Le verità sulle cause della disabilità e  altri accadimenti traumatici  andrebbero spiegati una volta sola quando il bambino non è molto grande di modo che sia più semplice farsene una ragione o conviverci in modo decente.

Un mio caro amico con una lieve disabilità motoria mi ha raccontato che la sua psicologa gli ha spiegato che i suoi traguardi ed ambizioni dell’età adulta non erano condivisi dai genitori, ciò è dato dal fatto che quando era piccolo l’ambizione più grande era che lui camminasse e studiasse, assolte queste situazioni (che per noi rappresentano un vissuto di sacrifici notevoli) le ambizioni dei genitori sono cessate. Nell’età adulta sia lui che io, abbiamo fatto delle scelte che ci hanno portato a vivere ogni giorno tanti traguardi, in questo modo i sacrifici fatti cominciano ad avere un senso.

Talvolta sembra che la disabilità crea traumi e spaccature in tutta la famiglia, ma non si pensa che gli altri non devono fare continuamente i conti con i limiti che un corpo “disubbidiente” ti impone e ti ricorda in modo costante.

Sarebbe bello potersi staccare dalla narrazione della mia nascita, che ha causato  traumi, abbandoni e pettegolezzi non indifferenti, per essere tutti uniti e concentrati sui lati positivi di tanti traguardi e conquiste, ma questo finale mi sembra troppo fiabesco e i colpi di scena sulla storia famigliare e le cause di un parto che non è andato come doveva escono fuori sempre quando meno te lo aspetti.

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La Comunicazione Aumentativa Alternativa, uno strumento di dialogo, apprendimento ed integrazione

La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (detta anche CAA) è un insieme di conoscenze, strategie e tecnologie che hanno lo scopo di migliorare ed incrementare le capacità comunicative di coloro che hanno difficoltà, temporanee o permanenti, nell’utilizzo del linguaggio orale e scritto. L’uso dei gesti, simboli, immagini e ausili tecnologici, consentono alla persona con difficoltà, di sperimentare un modo di comunicare comprensibile a tutti, così da non dipendere costantemente dai famigliari, altrimenti chiamati a tradurre bisogni e pensieri.

L’insieme di strategie della Comunicazione Aumentativa Alternativa hanno anche l’obiettivo di potenziare il linguaggio verbale.

Questo tipo di comunicazione viene definita Aumentativa in quanto non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni). Viene definita Alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche diverse dal linguaggio parlato.

Tale approccio ha come obiettivo la creazione di opportunità di reale comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; pertanto dev’essere flessibile e su misura della persona stessa.

La nascita  della CAA

I primi semi per il futuro della CAA sono stati gettati negli anni ‘50.  Michael Williams, persona con complessi bisogni comunicativi, racconta che nei suoi primi anni comunicava con suoni comprensibili solo ai suoi genitori.

In seguito, per farsi comprendere anche da persone esterne all’ambiente familiare, tracciava dei gesti nell’aria come per scrivere parole. Fino a quando un collega stanco di vederlo gesticolare nell’aria, gli portò una tabella alfabetica, tabella che diede inizio per lui ad una nuova vita.

Tra gli anni ‘50 e ‘70 il progresso delle cure mediche e riabilitative portò ad un aumento di casi di bambini sopravvissuti a nascite premature e di adulti sopravvissuti a ictus, traumi, malattie. Per molti di loro residuavano come postumi, situazioni di grave disabilità motoria e impossibilità a comunicare attraverso il linguaggio orale. Pochi riabilitatori, andando contro corrente, iniziarono a suggerire modi aumentativi per favorire la comunicazione e iniziarono a diffondere i risultati di queste esperienze.

Tra il 1960 e il 1970 si iniziò a non nascondere più la disabilità. John Kennedy e altri personaggi famosi iniziarono a rendere noto che avevano parenti con deficit comunicativi, ciò portò ad una prima iniziale accettazione della disabilità e, quindi, di modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. Le comunità di sordi anticiparono questo processo di legittimazione di un linguaggio alternativo, esigendo il diritto di essere educati utilizzando il linguaggio dei segni.

All’ospedale universitario di Jowa City dal 1964 al 1974 venne condotto un primo programma di C.A.A. rivolto a bambini con Paralisi Cerebrale Infantile. Nel frattempo si sviluppava anche l’idea che la tecnologia potesse aggirare la disabilità comunicativa e venivano usate per la comunicazione macchine da scrivere adattate.

Negli anni ’80, la C.A.A. si diffonde maggiormente in seguito alla nascita dell’Associazione Internazionale di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (ISAAC, associazione composta da professionisti, utenti e familiari).

Gli sviluppi e i destinatari

Dopo le paralisi celebrali infantili, la C.A.A. venne usata anche per persone con ritardo mentale grave e ad altre tipologie di disabilità con disturbi della comunicazione associati, ed ai gravi disturbi di comprensione del linguaggio. Nella CAA non esistono soluzioni universali adatte ad ogni soggetto. Al contrario, per ogni persona è necessario creare un intervento ad hoc: ogni strumento va scelto in base alle caratteristiche del paziente e al momento particolare della sua vita in cui viene richiesto, e quindi lo stesso va migliorato, adattato o aggiustato secondo necessità, oltre ad essere personalizzato per la persona stessa.

Con la C.A.A. il bambino viene stimolato a progredire nella sua evoluzione linguistica, poiché sarà in grado di costruire una frase anche se non riesce ad esprimerla verbalmente. Non ci sono prerequisiti minimi necessari nel bambino, non c’è un livello cognitivo minimo, o di gravità, o di età al di sotto del quale è sconsigliato iniziare.

I molteplici vantaggi della Comunicazione Aumentativa Alternativa

  •  La C.A.A. ha l’obiettivo di mettere ogni persona con bisogni comunicativi complessi nelle condizioni di poter effettuare delle scelte, esprimere un rifiuto, un consenso, raccontare, esprimere i propri stati d’animo. Comunicare significa anche influenzare il proprio ambiente e diventare protagonista della propria vita.
  •  La C.A.A. non si fonda sull’esercizio, ma su esperienze di reali comunicazioni offerte alla persona con bisogni comunicativi complessi.
  •  La C.A.A. può essere uno strumento efficace per memorizzare un testo. Associando delle immagini ai vari concetti, si facilita l’apprendimento.

Da tenere presente

  •  E’ importante, per una buona riuscita del progetto di C.A.A., la partecipazione alle sedute dei partner comunicativi e di frequenti momenti di confronto con gli operatori di riferimento.
  •  I sistemi di C.A.A. sono efficaci se, oltre a essere accompagnati da un training rivolto alla persona con bisogni comunicativi complessi, sono condivisi e supportati dalla maggioranza delle persone che fanno parte dei contesti maggiormente frequentati, al fine di evitare una “separazione” tra i vari ambienti di vita.

Le tabelle di comunicazione

Tra gli strumenti più conosciuti della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, ci sono le tabelle di comunicazione. Con questo strumento la persona indica (adoperando le modalità che la compromissione rende possibili) i simboli contenuti nella tabella.

Le tabelle di comunicazione vengono costruite valutando un insieme di aspetti simultaneamente, come ad esempio: la selezione del vocabolario e gli aspetti fisici e sensoriali della persona con bisogni comunicativi complessi.

I diversi messaggi contenuti nella tabella possono essere rappresentati in modi diversi: oggetti concreti, miniature di oggetti, simboli grafici (fotografie, disegni), lettere o parole.

Quando si può iniziare

In Italia la C.A.A. viene impiegata prevalentemente in età evolutiva, mentre nei paesi di più lunga tradizione viene adottata anche con adulti ed anziani.

Con i bambini disabili, l’inizio precoce di interventi di C.A.A. può contribuire a prevenire un ulteriore impoverimento comunicativo, simbolico, cognitivo e la comparsa di disturbi del comportamento, altrimenti molto diffusi proprio come strategia di richiesta di attenzioni. Per questo è consigliabile un primo approccio con la C.A.A. in età prescolare e scolare.

La CAA in classe, un metodo per l’inclusione scolastica

La Comunicazione Aumentativa Alternativa è quindi un approccio molto utile non solo per le persone con problemi a esprimersi e comunicare nei canali classici (scritto e orale), ma anche per il mondo della scuola e per l’educazione in generale. In questo senso, come spiega Giorgia Terry Sbernini, educatrice esperta in CAA e nei processi d’apprendimento, “negli ultimi anni si è visto che il metodo simbolico è uno strumento inclusivo per tutto il gruppo classe, non solo per le persone con disabilità. Infatti, la simbologia della CAA è un sistema molto più immediato di quello verbale, per questo utilizzarla in classe permette a tutti di tenere lo stesso passo.”

In termini pratici, l’approccio della CAA consente di includere nel contesto classe il minore con disabilità, ma anche l’alunno con difficoltà di apprendimento e memorizzazione, lo studente straniero che deve imparare la lingua e, in generale, chi va un po’ più piano. Ultimamente la Comunicazione Alternativa Aumentativa viene inoltre utilizzata anche per il deficit di attenzione (ADHD). “La CAA – spiega ancora Giorgia Bernini – permette infatti un tempo di attenzione più ampio. Grazie all’utilizzo della simbologia, il bambino riesce a mantenere di più la concentrazione”.

Gli strumenti utilizzati dalla CAA, il sistema di scrittura in simboli o immagini, ma anche le tabelle di comunicazione, i libri personalizzati ed i programmi informatici, possono favorire una didattica più inclusiva per tutto il gruppo classe.

Le potenzialità della Comunicazione Aumentativa Alternativa nella didattica, sono in parte ancora da esplorare e la scuola italiana ha senz’altro tantissimo da guadagnarci, in termini di innovazione, efficacia e inclusività. Sarebbe quindi auspicabile una maggior formazione dei docenti, superando un approccio che ne limita l’intervento solamente ad alcuni ambiti specifici.

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