Un’insolita giornata

Quella mattina ci siamo svegliate alle sei: dovevamo prendere  il treno dalla stazione di Roma Termini per Bolzano, alle nove circa, eravamo io nonna e quattro valige. Quello era solo in bagaglio a mano perché nonna aveva previdentemente spedito due bauli enormi e pieni zeppi di vestiti tramite corriere. Nonna è sempre previdente, aveva anche richiesto il servizio assistenza disabili che è attivo ed efficiente in tutte le stazioni e mi hanno portato con una piccola vettura elettrica, dal parcheggio fino al treno.
Il viaggio era cominciato nel migliore dei modi.
Verso mezzogiorno ci siamo alzate: volevamo raggiungere il vagone ristorante, ma non raggiungemmo nessun ristorante quel giorno!
Camminavo sottobraccio a nonna; fatalità volle che mentre passavamo da un vagone all altro, entrando nella stazione di Bologna, il treno fece una frenata un po’ brusca, nonna cadde all’indietro trascinandomi per terra. Io non mi sono fatta niente ma nonna sbatté la testa contro la parete del treno, facendo un rumore sordo fortissimo, sembrava il rumore di una palla ti legno molto pesante scagliata contro la parete. Dei signori accorsero, ci fecero sedere sulle prime due poltrone del vagone. Nonna si lamentava, diceva: “Che male, che male, mi fa male la testa, ho la nausea“. Io ero preoccupata ma non troppo: ho dato tante capocciate come quella, lo so che fa male, ma per me non è mai stato pericoloso. Però in quel momento non ho pensato che nonna ha qualche anno più di me e che alla sua età, per una botta in testa ci possono essere delle conseguenze. Non l’ho pensato perché non reputo mia nonna “una persona anziana“ e questo mio atteggiamento mi viene sempre confermato quando lei parla con le persone e dice: “indovini quanti anni ho?“ e loro rispondono titubanti “ma no lo so, sessantacinque, forse settanta“, lei con voce sicura e divertita risponde “ce ne ho ottantuno!“ restano tutti sbigottiti e le fanno i complimenti.
Tornando a quei minuti dopo la caduta, una dottoressa che stava andando in vacanza in montagna come noi, raggiunse subito nonna li senti il polso e decise che era meglio chiamare autoambulanza e mandarci al pronto soccorso di Bologna.
In un’ora che il treno dovette stare fermo aspettando l’autoambulanza, intorno a nonna si creò un piccola folla: seduta accanto a lei, c’ero io spaventata, le tenevo la mano come se la mia mano la potesse curarla Poi c’erano la dottoressa, tre poliziotti e gli infermieri dell’ambulanza e altri due o tre passeggeri del treno. Nonna diede subito le sue generalità e precisò “non sono svenuta e sono lucida, anche adesso ricordo tutto, vedete come parlo bene, sto bene.“ “si signora“ disse la dottoressa “ma le consigli di andare a farsi una tac“ “si, si ha ragione, si scambi i numeri di cellulare con mia nipote così stasera ci sentiamo“.
Gli infermieri misero nonna sulla barella e le “disse mia nipote viene con me, non voglio assolutamente che mi separate da lei“ “certo signora, non si preoccupi, la ragazza sta con lei“. La barella scese dal treno e nonna chiese “Marzia dove sei, Marzia“ “eccomi nonna sto scendendo stai tranquilla“. Entrammo in autoambulanza, ero euforica: “è la prima volta che vado i autoambulanza, e per fortuna non hai qualcosa di grave“ nonna sorrise e disse “sei proprio matta“. “Però la sirena è spenta“ mi rivolsi all’infermiere “si potrebbe accendere?“ Mi accontentò subito.
Arrivammo al pronto soccorso, era l’una e mezza. Misero nonna su un’altra barella ed io mi ritrovai seduta accanto a lei su una sedia a rotelle. Nonna aveva un collare rigido che le immobilizzava il collo, poteva solo guardare il soffitto. Con la mano teneva stretta la mia sedia a rotelle; come se io potessi scappare…
Non sapevo che fare, mi infastidiva stare sulla sedia a rotelle: vorrei alzarmi e sgranchirmi le gambe ma non posso, magari impiccio. Stavo pensando queste cose quando chiesi a nonna: “Vuoi che avverto io nonno e mamma?“ lei ci pensò a lungo prima di rispondere. Mi guardai attorno, eravamo in un lungo corridoio; le pareti e le tante tendine che chiudevano le sale visite erano giallo chiaro. Sulle tante barelle c’erano per lo più anziani con flebo o bombole di ossigeno. Accanto ad ogni barella c’era un parente in piedi che aspettava il medico. “No Marzia, è inutile dirglielo tanto ci risponderanno che siamo due pazze e che non possiamo più viaggiare da sole. Non chiamiamo nessuno, tu che ne pensi?“ “è giusto, tanto non sono i tipi che prendono e partono per venire ad aiutarci, è meglio non dire niente.“
Le ore trascorsero lentissimamente nell’attesa della tac, la visita del medico di base e dell’ortopedico, io guardavo spesso le lancette di un piccolo orologio a muro non si muoveva quasi per niente, mi sembrava la moviola di un film americano, forse mi sentivo catapultata in “ER medici in prima linea“. In quell’ospedale la stanchezza, al contrario dello scorrere del tempo, si faceva sentire benissimo ed arrivava sempre più veloce.
Il pomeriggio nonna fece le due visite e la tac a distanza di ore una dall’altra. Eravamo entrambe a digiuno: nonna non poteva mangiare ed io non avevo fame, chiesi solo l’acqua ad un’infermiera, mi portò un bottiglia bella fresca: “Marzia non vuoi un panino“ “no nonna, non ho fame“ “ ok lasciamo stare tanto chi ti accompagna al bar“ “appunto, mangerò questa sera, poi ho lo stomaco chiuso adesso mi basta l’acqua“.
Poco dopo dissi: “nonna non mi sento bene, ho la pressione sicuramente troppo bassa“ “aspetta, cerco nella borsa una bustina di zucchero,“ “ dai nonna sbrigati mi sento male“ “stai calma, eccola questa è l’ultima“. Non feci a tempo a metterla sotto la lingua perché persi i sensi.
Quando mi svegliai ero su una barella accanto alla barella di nonna e dall’altra parte un’infermiera che mi chiedeva come mi sentivo, li risposi che ero stanche e che finalmente potevo stare un po’ distesa. “Riposati“ disse lei “nella flebo ci sono zuccheri e sali minerali, durerà meno di venti minuti, quando sarà finita vi dimettiamo“. “Ho capito, la ringrazio“.
Guardai nonna e le chiesi “ma dove dormiremo questa notte?“ “eh già! Io avevo un’ amica a Bologna ma non ho il numero con me “ “aspetta nonna, il mio amico Luca è stato qui per lavoro lo posso chiamare e chiedere se conosce un albergo qui vicino“. Lo chiamai gli spiegai in due parole l’accaduto e gli chiesi se ci sapeva consigliare un hotel nella zona dell’ospedale. “Ok, richiamami tra dieci minuti che lo cerco su internet“ Lo richiamai mi diede l’indirizzo dove passammo la notte. “e pensare che dovevamo essere già in montagna, invece siamo qui su due barelle stremate dalla stanchezza“ gli dissi ridendo. “Mi dispiace, se ti serve qualche altra cosa non esitare a chiamarmi e comunque tiemmi informato“. Lo ringraziai e le salutai.
Alle otto uscimmo dall’ospedale. L’aria era rovente. Noi eravamo pallide, sporche e cariche di borse. Chiamammo un taxi che ci portò in uno squallido e piccolo hotel.
Per cena c’erano solo piatti freddi, non mangiammo quasi niente. Nonna prenotò una bella macchina con autista per la mattina dopo, ci mettemmo subito a dormire.
Sotto le coperte ripensai alla caduta, alla giornata in ospedale e all’autoambulanza. Pensai a nonna a quello che sarebbe potuto accadere. Tutto è bene quel che finisce bene mi dissi sottovoce, tra un Padre Nostro e un’Ave Maria. La stanza era già buia, c’era silenzio, sapevo che anche nonna stava pregando. Anche lei stava sicuramente ripensando a tutta la giornata e come me ringraziava il Signore e avrà pensato che era passato tutto anche se eravamo sole io e lei a cinquecento chilometri da casa e dal resto della famiglia, eravamo riuscite a cavarcela ed anche se si sentiva stanca e stordita mi disse all’orecchio “dormiamo tranquille, tanto dalla tac non si vede nulla di anomalo, hai capito Marzia?“ le strinsi la mano e dissi un flebile “si“.
La mattina alle otto abbiamo ripreso le nostre valige a deposito bagagli della stazione di Bologna e ripartimmo per la nostra vacanza in montagna.

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