Marzia Castiglione Humani parla di Nata viva e di Zoe Rondini.
Il romanzo di formazione Nata viva è un piccolo libro che narra l’esperienza di vita di Zoe la cui esistenza è stata segnata da un’anossia neonatale. Quel respiro arrivato con quasi cinque minuti di ritardo ha causato un danno permanente ai neuroni che controllano i movimenti, ma non ha impedito alla protagonista di vivere a pieno la vita e cercare percorsi alternativi per raggiungere e conquistarsi la “normalità“, l’autostima e la serenità che tutti bramiamo.
Zoe, sarei io. Nata viva ha rappresentato per me un fondamentale canale di comunicazione con il mondo esterno. Nell’incipit mi presento così al lettore “Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale a gli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio.“
Nel romanzo racconto della mia infanzia ed adolescenza caratterizzate dalla famiglia, che ha sempre creduto in me e mi ha stimolata ed aiutata. Figure di spicco nella commedia della mia vita sono mia madre e mia nonna, che mi hanno permesso di fare tantissima fisioterapia, viaggiare, c’è un capitolo dedicato ai Caraibi e New York, studiare fino al conseguimento della laurea quinquennale, conquistarmi la patente di giuda.
Mia madre mi ha concepita all’età di venticinque anni. È una donna forte, che si è trovata a dover superare molte prove nel corso della vita. Sin da quando ero ancora molto piccola, si è trovata ad affrontare la mia crescita da sola. Mio padre è un uomo debole ed egoista, si è dileguato dopo poco.
Quando ero piccola piangevo perché volevo essere come il protagonista del mio cartone preferito, mamma riusciva a consolarmi e poi giocavano insieme. “Oggi, rivedo lo sforzo e la bravura comunque di mia madre nell’essere costretta, da sola, come meglio poteva, a consolare una bambina di cinque anni, grondante di una quantità inimmaginabile di lacrime e mocciolo, così tanto da non poter considerare che tanti litri di acqua e muco, potevano uscire da un minuscolo naso e dagli occhi di un’unica bambina cinquenne.
Ecco, si, ora ricordo! Quando piangevo per quel cartone animato, mamma mi spingeva a fare il gioco della lotta. Era lei ad iniziare, mi diceva: «Dai Zoe dammi un pugno; no non così più forte! Dai mena mena, ecco brava così, dai ancora, dai… ancora uno!». Mamma non è mai stata masochista ma mi spingeva a fare quel gioco per insegnarmi a “muovermi“ ed a reagire.“
Infondo mia madre non era del tutto sola; come spesso accaduto nella storia della nostra famiglia ha trovato conforto in un’altra figura femminile: mia nonna. Signora energica ed elegante. Io e nonna abbiamo intessuto un rapporto speciale, profondo. È stata un’amica preziosa, con lei ho riempito buona parte del mio tempo libero con mostre, cinema, teatro, negozi e ristoranti!
Non tutti gli adulti, però, sono stati in grado di interagire con me. Nel romanzo ragiono sulla mia diversità e su come sia percepita dall’esterno: “mi domando quand’è che ho cominciato a capire che avevo qualcosa che mi “distingueva“ dagli altri, qualcosa che non gli permetteva di accettarmi, li metteva a disagio. Non a tutti si intende, ma già dal modo in cui la gente si avvicinava a me, riuscivo subito a distinguere se una persona era sensibile, senza pregiudizi e senza imbarazzi, oppure no.“
Il mio primo approccio con l’altro, gli altri, al di fuori del nucleo famigliare, è avvenuto, come per molti, a scuola. Qui mi sono scontrata con chi non voleva aiutarmi a camminare; a ricreazione rimanevo seduta al banco, per andare in bagno e partecipare alle gite scolastiche doveva intervenire mia madre, in quanto tutto il personale scolastico era terrorizzato dal prendersi la responsabilità.
I miei primi ricordi risalgono all’asilo; qui non giocavo: dovevo esercitarmi ad imparare a scrivere e camminare poiché mi sarebbe servito più tempo per riuscire a farlo rispetto a gli altri bambini.
All’elementari, poi “la suora era brava, ma molto esigente. Io andavo male, facevo una gran fatica a leggere e memorizzare. Lei non lo capiva, mi faceva leggere ad alta voce e scrivere a mano, così la mia collezione di brutti voti cresceva di giorno in giorno. All’inizio ero mortificata, poi per me divenne una cosa normale andare male a scuola.
Se ripenso a quei cinque anni, mi sembra un tempo dilatato: cinque anni, solo cinque anni, durati come una vita intera.“
La scuola dovrebbe essere un luogo dove oltre ad apprendere, si istaurano relazioni, si gioca, ci si confronta, si cresce… non dovrebbe rappresentare un incubo, soprattutto da bambini!
Gli anni più difficili, nel confronto con gli altri, sono stati quelli dell’adolescenza. Camminavo male, troppo male per uscire con i coetanei, prendere con loro i mezzi pubblici o andare a ballare. Dovevo rimanere a casa. Isolata. Per non perdermi d’animo è a questo punto della vita che comincio a scrivere un diario. Ecco a tredici anni prendono forma le prime pagine di quello che poi diventerà Nata viva. Scrivere è stato il mio modo per capire gli altri e le vicende della vita, sentirmi viva ed utile.
L’atro è rappresentato anche dal secondo marito di mia madre. Figura maschile che, insieme a nonno, ha rappresentato, nell’universo femminile della mia famiglia, un importante punto di riferimento. Un uomo simpatico, un secondo padre presente e giocherellone, un adulto che portava addosso i postumi della poliomielite. Forse proprio per queste sue caratteristiche mi capiva meglio di chiunque altro. Rickie, questo era il suo soprannome, visse con noi per nove anni. La sua morte improvvisa segnò in tutta la famiglia un duro colpo. Non è casuale la scelta di iniziare a narrare in un diario i ricordi legati a lui per evitare che sbiadissero con il passare del tempo e per condividerli da prima con la famiglia e pochi amici, poi con tutti i lettori di Nata viva.
Dicono di Nata viva: Zoe non sale mai in cattedra, non si lascia andare a inutili piagnistei, anzi è proprio con pungente ironia, ed auto ironia, che narra l’incontro tra luci e tenebre, presenza ed invisibilità, civiltà e pregiudizio, dialogo e assenza.
Questo libro è a tutti gli effetti un romanzo autobiografico, non un trattato sulla disabilità, anche se ha alti contenuti pedagogici.
Il “segreto“ dell’autrice è non dare mai per scontato nulla e soprattutto non accontentarsi mai del buon quieto vivere che spesso la società assegna alle persone disabili.
Lo stile è scorrevole, rapsodico adatto ad adulti e ragazzi. È un testo appassionato ed appassionante, che spizza vitalità (tratto dalla sinossi dell’opera, a cura di Matteo Frasca).
Nata viva, edito dal Gruppo Albatros il Filo (2011). L’autrice scrive con il nome d’arte di Zoe Rondini, foto di copertina realizzata da Daria Castrini.