racconto della redattrice.
Dalla strada si vede un grande cancello nero, dopo aver citofonato il cancello si apre automaticamente, come per magia, senza che nessuno chieda “chi è?“.
Superato un piccolo ingresso senza finestre, illuminato dalla fioca luce di un’ abatjour, si entra in un’unica stanza molto grande, il pavimento è formato da mattonelle marroni, lucide. Vi si accede da un piccolo portone nascosto, al piano terra; forse molti anni prima era una cantina della quale oggi rimane solo la forma. L’arredamento è antico e curato nei particolari: sulla parete più lunga c’è una libreria con molti volumi logorati dal tempo. Di fonte, tra due finestre che lasciano entrare molta luce c’è un mobile nero moderno con due grandi cassetti. E’ l’unico particolare che si differenziava dal resto della stanza, ma non ci sta male. Nell’angolo c’è una piccola scrivania, al centro un grandissimo tappeto ed infondo alla stanza c’è un divanetto che s’intona perfettamente al resto dell’arredamento.
Sopra disteso con la testa appoggiata su un grande cuscino c’è Luca, sta aspettando la sua psicologa che è uscita un momento.
capitava praticamente ad ogni seduta che Luca dovesse aspettare un po’ prima di poter cominciare. Quelle attese lo infastidivano: ogni volta che andava in quello studio non vedeva l’ora di cominciare a parlare. Aveva tantissime cose da raccontare, si sentiva intimamente capito da quella donna anche se si conoscevano solo da pochi mesi. Fin da piccolo aveva desiderato fare psicoanalisi, ma ogni volta che esprimeva quest’esigenza alla sua famiglia, rimaneva deluso: i suoi inventavano sempre qualche pretesto per respingere questa richiesta. Un giorno la famiglia si dovette ricredere: quell’estate Luca era scappato di casa e non aveva dato notizie alla famiglia per una settimana, fu proprio con questa stupida bravata che riuscì a manifestare il suo disagio. Così a settembre cominciò una lunga serie di rapidi colloqui con la dottoressa.
Mentre aspettava la psicologa, era assorto in mille pensieri che gli affollavano nella mente. Forse era a causa del suo rapporto con il padre che aveva fatto tante scelte più o meno consapevolmente. Neanche lui sapeva bene perché non aveva finito la scuola ed adesso viveva facendo qualche lavoretto e stando sempre insieme al suo gruppo d’amici. Praticamente viveva giorno e notte in compagnia di quei ragazzi che lo conoscevano meglio di chiunque altro e lo capivano perché, infondo anche loro non avevano ancora combinato nulla di buono nella vita.
Luca ripensava agli anni della sua infanzia quando dopo il divorzio dei suoi genitori era andato a vivere con suo padre perché la madre beveva e non aveva nessuna intenzione ad occuparsi del bambino, dopo il divorzio non aveva mai voluto passare del tempo col figlio. Al contrario lui e suo padre avevano un bellissimo rapporto, il padre era attento e affettuoso col bambino tutti i giorni lo accompagnava all’asilo e poi all’elementari. Quando avevano del tempo libero stavano sempre insieme. Nelle
belle giornate di primavera andavano spesso in campagna il padre lo portava a visitare posti interessanti e gli raccontava storie fantastiche su quelle campagne.
Col passare del tempo il rapporto tra padre e figlio si era rovinato: Luca amava profondamente suo padre, ma allo stesso tempo faceva di tutto per cercare di sottrarsi alle sue continue imposizioni. Non accettava che il padre lo costringesse a fare il liceo scientifico per poi farlo diventare un’importante medico come lui, lo vedeva come un rivale, non più come un compagno, così Luca era diventato un ragazzo ribelle. D’altro canto anche il padre era cambiato: pensava sempre più alla sua carriera e, forse senza rendersene conto, si stava allontanando dal figlio che per questo motivo cercava rifugio nei suoi amici.
Il rapporto tra i due si rovinò definitivamente il giorno in cui il padre ebbe un incarico importante per la propria carriera: doveva andare in un centro di ricerca in una famosa università americana. Era la meta che sognava ormai da molti anni, per la quale aveva fatto molti sacrifici. Di certo non ci avrebbe rinunciato per nessun motivo. Quando Luca ebbe la notizia fu felice: sapeva benissimo quello che significava per suo padre, poi era un occasione anche per lui: aveva sempre sognato di vivere in America; certamente quel paese avrebbe potuto offrigli molte più possibilità di quelle che avrebbe avuto rimanendo in Italia. Purtroppo il suo entusiasmo durò poco, ben presto si dovette svegliare da quel del sogno che lo vedeva felice in un college americano: il padre gli disse che sarebbe andato prima lui, e quando si era organizzato il lavoro e avrebbe trovato sistemazione in una villetta comoda per solo due persone Luca lo avrebbe raggiunto. Ingenuamente il ragazzo pensò che il padre stesse facendo la cosa più giusta per entrambi, credete che avesse accantonato i contrasti che avevano avuto negli ultimi anni e volesse recuperare quel tipo di rapporto che gli legava quando lui era piccolo.
Ben presto il padre partì; all’inizio e due si sentivano spesso Luca lo chiamava tutti i giorni: era impaziente di sentire la sua voce, di sapere come stava. Aveva calcolato che se lo chiamava subito dopo pranzo poteva dargli il buongiorno, lui aspettava quel momento con ansia: era contento di poter svegliare il padre raccontandogli quello che aveva fatto durante la mattina. Purtroppo con il passare del tempo cambiò tutto: il padre era troppo preso dalla sua vita, dal suo lavoro, la sua giornata era piena di impegni che proprio non aveva tempo per un figlio. I contatti telefonici divennero sempre più rari. Luca continuava a chiamarlo, ma le poche volte che riusciva a parlare con lui, si sentiva ripetere che non era il caso che lo raggiungesse, che era troppo impegnato nel suo lavoro ed altre scuse di questo cenere.
Luca non riusciva a rassegnarsi al fatto che il padre si era fatto una nuova vita e non voleva più saperne di lui. Col passare del tempo il ragazzo capì che lo stava perdendo per sempre, di lui li rimanevano solo dei ricordi come delle fotografie,
si ricordava chiaramente di quando il padre lo portò per la prima volta nell’ospedale dove lavorava, allora era molto piccolo, il padre lo prese in braccio e
lì fece visitare l’ospedale; si ricordava quei corridoi lunghissimi bianchi, illuminati da grosse lampade a neon e poi c’era quell’odore di disinfettante tipico degni ospedali.
ecco siamo arrivati, questa è la stanza dove lavora papà
quant’è piccola; che sono tutte queste cose?
Ti faccio vedere guarda, guarda qui dentro
È tutto rosso e sotto che una luce
Quello che vedi è un coccia di sangue ingrandita migliaia e migliaia di volte
Tu guardi questo quando sei a lavoro?
Anche, papà studia molte cose quando lavora, vieni, andiamo a visitare il resto del reparto.
Quando il padre gli presentò i suoi colleghi Luca rimase molto colpito dalla stima che avevano tutti gli altri medici per suo padre, lo descrivevano come un ottimo ricercatore ed una persona sempre attenta agli altri. Luca non riusciva a rassegnarsi si continuava a domandare com’era possibile che un uomo così stimato da tutti aveva rinunciato coscientemente ad un figlio.
Un giorno, dopo tanto tempo che Luca non riusciva ad avere notizie del padre, lo chiamò a casa quando oltre l’oceano erano le undici di sera; rispose una donna:
-hello
-emh pronto…
-si chi parla a quest’ora
-sono Luca
-Luca chi?
-Sono… vorrei parlare con il dottore
-Adesso non è in casa, siamo tornati questa mattina dal viaggio di nozze ed è già corso a studiare i suoi topi, comunque non lo troverà per parecchi giorni dice che è rimasto indietro con il lavoro, se vuole posso lasciarli un messaggio
Luca non rispose.
-pronto è ancora in linea?
Pochi istanti di silenzio, un tempo interminabile per Luca durante il quale sentì i batti del cuore rimbombarli velocissimi nel cervello, aveva gli occhi infuocati, un terribile ronzio nelle orecchie ed un nodo in gola che li impediva di respirare, li sembrava di avere la febbre a quaranta, improvvisamente si sentì un enorme vuoto all’altezza dello stomaco, era una sensazione sconosciuta, non si era mai sentito così neanche da piccolo quand’era malato e gli saliva improvvisamente la febbre. Riagganciò la cornetta, capì che il padre lo aveva cancellato per sempre dalla sua vita ed anche lui doveva fare la stessa cosa ma perché, pensò, infondo non glie l’ho
chiesto io di venire al mondo, fare un figlio non è un obbligo e neanche un passa tempo quindi poteva pensarci prima, perché si è stufato di me? Che cosa gli ho fatto?
Poco dopo la dottoressa entrò nella stanza, Luca le sorrise, fece un grande sbadiglio che lo aiutò ad uscire dal torpore datogli dalla concentrazione e cominciò a parlare. Quel giorno con l’aiuto della dottoressa, si rese conto che lui era molto più forte e maturo dei suoi genitori, in un certo senso era lui il padre dei suoi, doveva compatirli: non erano abbastanza forti per prendersi cura di lui; non erano pronti ad affrontare i problemi che Luca, come tutti i ragazzi al momento della crescita, gli aveva creato. Così tutti e due, se pur in maniera diversa avevano preferito fuggire: la madre aveva trovato rifugio nella sua depressione divenuta ormai cronica. Pensò che lui poteva fare ben poco per i suoi, loro ormai erano grandi, poteva solo compatirli per la loro immaturità. L’importante era che cominciasse a pensare al suo futuro, decise che avrebbe ricominciato a studiare per ottenere almeno il diploma, capì che non poteva continuare a vivere alla giornata insieme ai suoi amici, ma che doveva cominciare a costruirsi una sua indipendenza; questo era l’unico modo che aveva per affrontare la situazione.