Intervista per “Il Telespettatore”

Ringrazio la rivista Il Telespettatore di avermi intervistata, sui libri, sulla valenza terapeutica della narrazione del sè, su disabilità e mezzi di comunicazione e su tutte le mie  attività che hanno come fil rouge l’importanza di promuovere una vita piena, per me e per tante famiglie. La persona disabile è una persona a tutti gli effetti, questo dovrebbe bastare  per uscire dai tanti, troppi stereotipi!

Ha scelto di farsi chiamare Zoe, parola che deriva dal greco,  e non Marzia. Perché questo nome?

 

Per motivi di privacy, prima di pubblicare la mia prima opera, il romanzo di formazione Nata Viva (Società Editrice Dande Alighieri) ho cambiato tutti i nomi dei personaggi ed anche il mio. Zoe, in greco vuol dire vita e Rondini mi ha fatto pensare  al volo degli uccelli, quindi alla libertà. La vita e la conquista della liberta, sono le ematiche principali del romanzo.

Se le dicessi di raccontarsi brevemente, cosa scriverebbe?

Sono  autrice del saggio “RaccontAbili. Domande e risposte sulle disabilità” e del romanzo autobiografico “Nata Viva”, dal quale è stato tratto l’omonimo  cortometraggio. Il cortometraggio della regista Lucia Pappalardo, è stato il primo classificato nella categoria Corti della realtà; nell’ambito del Premio L’Anello debole 2016, al Festival di Capodarco. Dal 2006, curo il portale Piccologenio.it; dove mi occupo di varie tematiche correlate alle diverse disabilità.

Per fortuna le mie attività sono molte: spesso non mi annoio! Infatti a seguito del conseguimento della laurea triennale in Scienze dell’Educazione e della Formazione ho acquisito competenze in ambito pedagogico e sociologico, che metto in pratica nel progetto: “Disabilità e narrazione di sé” portato in diversi istituti scolastici con studenti dai dieci anni in su. Lo scopo è incentivare la narrazione del sé, fare prevenzione a tutte le forme di bullismo ed educazione  al rispetto delle differenze. I contenuti degli incontri nelle scuole sono ispirati al romanzo “Nata Viva” come spiegherò meglio più avanti.

Ogni anno, tengo delle docenze su disabilità, amore e  sessualità e su disabilità e narrazione del sé, presso l’Università Lumsa. Inoltre, mi campita spesso di trattare queste ed altre tematiche in vari convegni, in tv: quest’anno sono opinionista, in qualità di esperta, al programma “O Anche No”, di Rai Tre. Infine, da diversi anni, collaboro con varie testate giornalistiche, in particolare Superando.it e Ubiminor.org.

In tutte le attività divulgative e formative cerco sempre d’approfondire gli aspetti psicologici, sociologici e pedagogici legati all’handicap; affronto argomenti quali i rapporti tra la persona con disabilità e la famiglia, la scuola, gli ausili informatici, l’amore, l’affettività,  la sessualità e la narrazione del sé come strumento di empowerment e di terapia, la vita indipendente e disabilità e mass media. In tal modo spero di fare la mia parte per contribuire ad un necessario cambiamento culturale che dia più valore alle abilità di ogni persona.

 

Ci parli del suo recente lavoro “RaccontAbili, domande e risposte sulle disabilità“.

RaccontAbili, domande e risposte sulle disabilità” (Edizioni Erickson Live, 2020); è un saggio polifonico che racchiude le “voci” di trenta persone, tra disabili e chi, per vari motivi, conosce bene il mondo della disabilità. L’intento dell’opera letteraria è quello di offrire il punto di vista dei diretti interessati, uscendo dall’ottica di interpellarli solo nei casi migliori o peggiori delle loro/nostre vite. Gli argomenti delle interviste sono quelli che ci accomunano tutti, si parla infatti di famiglia e società, routine, lavoro, interessi, arte, amore e sessualità. Il volume è arricchito da testimonianze di caregiver, siblings, psicologi, psicosessuologi, registi, scrittori, giornalisti,  attori e docenti universitari.

L’auspicio dell’opera letteraria è cercare di cambiare la narrazione dei e sui disabili, dando loro l’opportunità di parlare in prima persona e non scegliendo solo il disabile che diventa un super eroe grazie allo sport… o la persona che subisce un danno, viene bullizzata, o le vengono negati dei diritti: c’è molto altro di “interessante” da narrare e “far conoscere” nella vita ordinaria di ogni persona.

RaccontAbili è diviso in due sezioni: una prima parte che raccoglie le interviste ed una seconda dove si evince   il mio punto di vista sulle medesime tematiche, sotto forma di articoli che vengono dal portale Piccologenio.

In  fine il testo si rivolge alla stessa comunità protagonista delle interviste: persone con disabilità, famigliari, insegnanti, educatori, giornalisti, scrittori, psicologi, medici, studenti, amanti del teatro e del cinema, attori, registi e autori.

Qual è, a suo giudizio, la valenza terapeutica della narrazione del sé?

La narrazione del sé ha il potere di aiutare le persone, di ogni età, ad elaborare le forti emozioni e distaccarsi dal proprio vissuto.

Ognuno può avere l’esigenza di esprimere ciò che ha provato tenendo un diario o facendo dei disegni. All’ospedale pediatrico Bambino Gesù, si stimolano i piccoli pazienti a narrare le loro paure e aspettative, ciò migliora la presa il carico e le cure.

Oggi posso affermare che raccontarmi in forma scritta, è stata la mia ancora di salvezza. Gli anni dell’adolescenza sono stati segnati da un lutto famigliare improvviso e da un forte senso di solitudine.

La narrazione del mio vissuto mi ha sempre aiutata a superare i momenti bui e riordire le emozioni forti. Il romanzo autobiografico Nata Viva, nasce dal diario che ho tenuto negli anni dell’adolescenza.

Dopo aver sperimentato l’effetto decisivo e dirompente che la scrittura ha avuto per me, ho deciso di utilizzare tale strumento per aiutare altre persone a narrarsi per comprendere quanto di straordinario c’è nelle loro vite. Dal 2012, porto agli studenti dalle quinte elementari ai Master universitari, il progetto: “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”.

La finalità perseguita dal progetto è quella di “educare alle differenze”.

Per quanto riguarda le scuole primarie e secondarie tale scopo viene declinato in un’ottica di prevenzione e contrasto al bullismo. Invece, negli incontri che si svolgono in ambito universitario, avendo come interlocutori dei futuri “addetti ai lavori” (pedagogisti, terapisti, logopedisti, fisioterapisti e insegnanti e insegnanti di sostegno) la lezione si focalizza sul fornire loro il punto di vista del vissuto di una bambina e ragazza con disabilità.

L’intento degli incontri, soprattutto nelle scuole, è quello di stimolare la narrazione di sé quale strumento di presa di coscienza dei propri limiti, mancanze, ma anche delle proprie potenzialità.

Attraverso il confronto si cerca di dimostrare che determinate sensazioni e esperienze ci accomunano, aldilà delle differenze nel nostro modo di apparire. In questo contesto si cerca anche di trasmettere il messaggio che la “diversità” è negli occhi di guarda e che questa può rappresentare una risorsa.

L’ambizione del progetto è quella di seminare nei ragazzi la voglia di esplorare la diversità e appassionarsi, nel corso della loro crescita, a nuove narrazioni. La parte più emozionante degli incontri con gli alunni è ascoltare le loro domande e stimolare le loro narrazioni.  Dopo ogni lezione penso sempre che quello che mi hanno trasmesso gli alunni, in termini di narrazione, curiosità e empatia è molto di più di quello che ho cercato di dare loro!

Quale tematica in particolare ha ancora troppo poco spazio nel  dibattito culturale del nostro Paese  e quale la responsabilità dei media e della TV in particolare.

Nel nostro paese siamo ancora molto indietro sulla questione amore, disabilità, sessualità e affettività.

Negli ultimi anni noto con piacere che se ne parla di più in tv e sui vari mass media. Indubbiamente è un bene perché i mezzi di comunicazione sono fruibili veramente da ogni persona: ricca, povera, adulta o in età della formazione, laureti o diplomati…  ma la strada da percorrere è ancora lunga.

Per cercare di dare il mio contributo nel processo di apertura su queste tematiche, oltre le attività raccontate fin ora, nel 2012 ho aperto il gruppo FacebookAmore, disabilità e tabù: parliamone!“, di cui sono moderatrice e che, ad oggi, conta oltre 1.500 membri. In questi anni, sono moltissime le famiglie che mi hanno contattata dopo aver letto i miei articoli su PiccoloGenio, il libro RaccontAbili o dopo essere entrati a far  parte del gruppo Facebook.

Purtroppo molti familiari di persone con disabilità, o persone con disabilità, si sentono lasciate sole ad affrontare le naturali pulsioni dei figli che crescono. Dalle tante persone ascoltate e da me intervistate mi sento di poter dire che  di certo è un problema culturale, ma anche di leggi. In molti paesi del nord Europa il sex worker è una realtà regolarizzata. È vero che l’amore è più importante del sesso, ma dall’ascolto mi sembra che per tante  persone, il desiderio di scoprire la sessualità viene prima di tutto. Dopo di che,  in alcuni casi, la persona disabile riesce a costruirsi una relazione ed una famiglia. Ma per molti purtroppo ricevere un contatto fisico e amorevolezza all’infuori della famiglia rimane una cosa proibita, o se è un discorso accettato dalla famiglia è  comunque un sogno difficile da realizzare.

 Quali sono oggi i temi forti su cui riflettere e quale il posto che oggi viene dato nella cinematografia al tema della disabilità?

Tutti i temi legati al raggiungimento di una vita più piena ed indipendente possibile, fornendo anche indicazioni utili sui progetti, gli sportelli informativi, i centri di eccellenza e i professionisti che si occupano della riabilitazione, dell’inserimento scolastico e lavorativo e tutti i molteplici aspetti utili ad avere una vita piena e soddisfacente.

Per le persone “fragili” sussistono ancora molti ostacoli per crearsi una propria autonomia. Mi riferisco in particolare, a varie problematiche  poco raccontate. Ad esempio le misere pensioni di invalidità, le agevolazioni sul  collocamento lavorativo  che molto spesso non vengono rispettate. Ci vorrebbero più interventi per garantire il diritto all’istruzione e quindi per agevolare lo studio ad ogni età.

Creare dei percorsi ad oc verso il raggiungimento di una vita piena e indipendente toglierebbe tante famiglie  dall’angoscia del “dopo di noi” e darebbe un “durante noi” sereno e  dignitoso alle persone con disabilità e alle loro famiglie. L’Istat rivela che nel nostro Paese, nel 2019, le persone con disabilità sono 3 milioni e 150 mila. Non tutti hanno problematiche gravi; con i dovuti supporti e adattamenti potrebbero avere una vita  piena e soddisfacente. A giovarne sarebbe tutta la società; purtroppo molti, finita la scuola dell’obbligo vivono confinati in casa o in istituti invece di avere una vita produttiva.

Quali a suo giudizio gli ultimi migliori film che si sono fatti portatori di messaggi a favore di una migliore conoscenza della disabilità.

Negli ultimi anni la disabilità è divenuta oggetto di riflessione culturale, ciò è un bene perché i film possono approfondire di più un aspetto a differenza delle notizie del telegiornale che sono brevi  e quasi sempre negative.

Dagli anni ’80 circa la disabilità è entrata nel linguaggio artistico e cinematografico investendo vari generi. Con il passare del tempo i personaggi hanno acquisito maggiore spessore e sono usciti dagli stereotipi buonisti per raccontare vicende sempre più realistiche.

C’è da sottolineare il fatto che, i film sulla disabilità stanno riscontrando grande successo in termini di pubblico. Il film forse più visto, esilarante è “Quasi Amici”,  che racconta le avventure ordinarie e straordinarie  di Driss e Philippe.  Philippe Pozzo di Borgo è un ricco signore tetraplegico  ed è in cerca di un badante. Tra i tanti aspiranti, elegantemente vestiti e con molte referenze, si presenta Driss Bassari, un ragazzo trasandato e rozzo.

In poco tempo tra i due iniziano ad instaurare un bellissimo rapporto: Driss si pone verso Philippe senza preconcetti, facendogli dimenticare del suo problema fisico.
I due trascorrono tanto tempo insieme, ciò crea  tra i protagonisti una forte complicità che li porta a scambiarsi confidenze: Philippe racconta a Driss di essere diventato tetraplegico dopo un incidente successo mentre faceva parapendio.

Diss sa che Philippe ha una relazione di tipo epistolare con Éléonore alla quale non ha mai voluto mostrarsi temendo che il suo stato fisico potesse spaventarla e allontanarla, ma Driss lo sprona a non avere paura e ad avere stima di sé stesso.
Tra un concerto e un volo con il parapendio l’amicizia tra i due si consolida, poi è il momento dell’incontro con la donna amata. È Driss a organizzare il tutto e esce di scena per lasciare spazio ai due innamorati.

Tra i tanti film che ho visto mi sono particolarmente piaciuti: “La teoria del tutto”, pellicola biografica su Stephen Hawking, celebre fisico, astrofisico e cosmologo. Il film racconta una vita di intenso studio, lavoro e vicende famigliari di un uomo che oggi viene spesso ricordato per l’importante contributo che ha dato nel suo settore e  non come persona con una grave e progressiva  disabilità fisica.

Il binomio tra assistente e persona con disabilità è un legame forte che funziona benissimo anche nel film “La Teoria Di un Volo”, è  la storia di Jane, ragazza affetta da una forma incurabile di degenerazione muscolare e Richard, suo assistente. Jane confessa a Richard il suo più grande desiderio: perdere la verginità prima di morire. Fra molti dubbi e incertezze, Richard decide di aiutare la ragazza a realizzare il suo sogno e tenta di contattare un gigolò. Ben presto però entrambi si rendono conto di non poter proseguire lungo questo sentiero ed infine è lo stesso Richard a realizzare il desiderio di Jane.

I film che “rappresentano” la vita delle persone con disabilità sono tanti sarebbe troppo lungo raccontare tutte le trame di quelli che ho visto. Posso dire che la maggioranza sono veramente lodevoli!

Contatti: e-mail: zoe.rondini@gmail.com, oppure mi potete scrivere in privato sulla pagina Facebook ZoeRondiniAutrice o sul profilo Istagram

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La narrazione di sé per potenziare l’autoconsapevolezza

 

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La narrazione di sé per potenziare l’autoconsapevolezza

Il progettoDisabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”  nasce in seguito alla pubblicazione  del romanzo di formazione  autobiografico Nata viva” (prima edizione aprile 2011).

L’idea deriva da un’intuizione , nel 2012, di Matteo Frasca, amico, consulente letterario e pedagogista che già lavorava in diverse scuole a Roma e provincia. Nel confrontarci è emerso che, dopo aver riscontrato con “Nata viva” un certo entusiasmo nel pubblico adulto, poteva essere una buona idea presentare il romanzo anche a bambini e adolescenti. Molti capitoli trattano dell’età della formazione, in questi descrivo i giochi, le favole, i cartoni animati che mi facevano compagnia quando ero bambina. Il racconto affronta anche i problemi scolastici da me incontrati, la solitudine, l’amicizia, il rapporto tra pari, le passioni: in particolare quella per la scrittura. Capitolo dopo capitolo emerge una protagonista che con fatica cresce, diventa adolescente, si sente allo stesso tempo uguale e diversa dai compagni di classe che un po’ l’accettavano e un po’ la bullizzavano. 

La narrazione di sé: un metodo e per superare i pregiudizi

Con il tempo l’esperienza si è raffinata. Il metodo è semplice ed efficace: ai ragazzi narro degli episodi della mia vita: la nascita, la scuola, la famiglia e poi propongo la lettura di alcuni brani, analizzandoli in un’ottica di inclusione e del rispetto delle differenze.  Negli incontri lascio spazio per le domande e invito gli alunni, attraverso  alcuni stratagemmi, a narrare i loro vissuti della scuola, della famiglia, del rapporto tra pari e con gli adulti di riferimento, la noia, il tempo libero, le loro paure e speranze. 

Il progetto riesce ad essere un’occasione per favorire la comunicazione tra alunni ed insegnanti. Per me è sempre sorprendente ascoltare episodi di vita dei ragazzi, le loro aspettative, i vissuti, e talvolta qualche criticità della quale i professori non erano al corrente. Fino ad oggi ho riscontrato molto entusiasmo, soprattutto nei ragazzi delle scuole medie: non sono più piccoli, ma non hanno ancora i timori degli adulti. Si lasciano coinvolgere dalla narrazione e sono realmente desiderosi di capire come ho percepito la mia “diversità”.

Mi sono rimaste impresse alcune delle domande più belle e coraggiose:

“Zoe ti sei mai innamorata?”

“Come hai fatto a raccontare la tua nascita? Ma tu te la ricordi?!”

“Se oggi potessi dire qualcosa alla Zoe bambina, cosa le diresti?”

Se non avessi avuto quel “cortocircuito” al momento della nascita saresti stata comunque una scrittrice o pensi che avresti fatto un lavoro diverso?

Cosa provavi quando le tue compagne di classe e le insegnanti non ti volevano aiutare?

Nel brano dove racconti della tua nascita parli di tua madre e di tua nonna, ma tuo padre c’era e se era presente cosa faceva?

Nei panni dei tuoi famigliari cosa avresti fatto con una bambina disabile?

In tutte le risposte ho cercato di dare risalto alle conquiste ottenute nelle diverse circostanze in cui mi sono ritrovata. Tali traguardi sono stati raggiunti grazie agli forzi della mia famiglia e miei non solo nella riabilitazione, ma anche grazie al percorso di studi nel quale sono stata sostenuta fino al raggiungimento della laurea in scienze dell’educazione e della formazione con specializzazione in editoria e scrittura. Nel corso degli incontri non nascondo ai giovani  i miei brutti voti e la voglia di abbandonare la scuola, ma cerco sempre di trasmettere il valore della volontà e della tenacia, che sono fondamentali per raggiungere tanti traguardi,  anche se spesso si comprende a molti anni di distanza.

Uno degli scopi del progetto è incentivare le narrazioni dei ragazzi e sviluppare in loro la consapevolezza dei loro obiettivi e aspirazioni. A tal proposito sono tanti i racconti che mi hanno colpita. C’è chi vuole laurearsi in America, chi ambisce a diventare scienziato o viaggiare in tutto il mondo per fornire il proprio contributo alla risoluzione dei problemi climatici. Tanti poi, vogliono diventare medici, psicologi, insegnanti per aiutare  i bambini e le loro famiglie. Sono sognatori, ma anche pragmatici e ben inseriti nella realtà in cui vivono, a differenza dei bambini della mia generazione che volavano un po’ di più con la fantasia e per i quali lo scontro con la realtà è stato spesso traumatico!

I primi anni del progetto ho svolto molti incontri nelle scuole di Campagnano e Nazzano, in provincia di Roma, insieme a Matteo Frasca. Ci è rimasta impressa un’alunna di seconda media che desiderava morire. Parlandole è emerso che per lei la morte era semplicemente un modo per ricongiungersi con lo zio, mancato da poco. Abbiamo cercato di incoraggiarla dicendo che i nostri cari sono felici nell’assistere, anche se da lontano, alle nostre conquiste presenti e future e seguono il nostro percorso di crescita. Ricordo con tenerezza anche un’altra bambina che mi ha raccontato che il suo papà ha un handicap fisico, e ispirata dal mio esempio, desidera   scrivere un libro su di lui.

È entusiasmante conoscere giovani di varie realtà del territorio, da scuole di provincia a istituti a Roma nord. Mi rimane impressa la grande empatia di presidi, professori ed alunni che mi aprono le porte e mi permettono di fare parte di una realtà che, negli anni ’80 e ‘90 mi ha emarginata come studentessa. Per fortuna adesso c’è più attenzione verso le persone con disabilità che hanno diritto ad un buon inserimento scolastico e verso chi vuole, a distanza di anni, far pace con l’istituzione  scolastica.

Traguardi e prospettive pedagogiche

L’intento degli incontri è quello di stimolare la narrazione di sé quale strumento di presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie potenzialità. Attraverso il confronto e la narrazione si cerca di dimostrare che determinate sensazioni e esperienze ci accomunano, aldilà delle differenze nel nostro modo di apparire. Agli alunni si cerca di trasmettere il messaggio che la “diversità” è negli occhi di chi guarda e che questa può rappresentare una risorsa, come affermato dal pedagogista russo Anton Semenovyč Makarenko. L’ambizione del progetto è quella di seminare nei ragazzi la voglia di esplorare la diversità, appassionarsi a nuove narrazioni ed aumentare la consapevolezza del sé e del cyberspazio nel quale si trovano sempre di più ad interagire, al fine di  essere più empatici e curiosi. A tale scopo  si cerca di rafforzare la capacità di narrare i propri vissuti al fine di esplorare i propri  limiti, ma anche delle proprie potenzialità.

Nell’ambito della psicologia, si è posta molta attenzione all’utilità dei ricordi autobiografici, nella convinzione che le caratteristiche di autoconoscenza di tali ricordi contribuirebbero alla percezione di coerenza personale e di un senso di sé nel tempo.  Lo psicologo Bauer affermava che “La capacità di narrare, intesa come funzione mentale è fondamentale per dare un’organizzazione al proprio mondo interiore e per attribuire significati all’esperienza umana”. È ormai assodato che la narrazione del sé sta dando esiti positivi nei bambini, ma anche negli adulti dei reparti oncologici.

In fondo, parlare di “Nata Viva” è solo il pretesto per aiutare gli altri a raccontare le proprie speranze e le difficoltà.

Considerazioni sull’esperienza ripetuta

Ad oggi il progetto è stato ripetuto nelle scuole primarie e secondarie e anche presso le Università la Sapienza e LUMSA di Roma, dove ogni anno tengo una lezione conclusiva del Master di neuropsicologia dell’età evolutiva.

I contenuti, la metodica e la durata dell’incontro variano in base all’età degli studenti e alle esigenze del programma didattico.

Non mi affatico a parlare, come a volte chi non mi conosce può temere. Per me è un’esperienza bellissima aiutare gli altri a narrarsi e narrare i vissuti, ma anche la realtà che ci circonda. Nel mio piccolo cerco di scardinare i pregiudizi che a volte ancora permangono sulle varie diversità. Con le classi elementari e medie mi focalizzo sul contrasto al bullismo e al cyberbullismo, mentre, per gli studenti del corso di pedagogia della Sapienza e del master di neuropsicologia dell’età evolutiva della LUMSA, focalizzo il mio intervento affinché possa essere per loro un supporto per capire cosa succede ad un bambino disabile ed alla famiglia durante un percorso riabilitativo o semplicemente durante l’apprendimento.

Ricordo uno studente della LUMSA che, a conclusione della lezione mi ha detto:

“Non avevo mai pensato a quanto l’aspetto psicologico della terapia riabilitativa potesse incidere sul bambino e sul nucleo famigliare, d’ora in avanti ci presterò più attenzione perché non è un fattore di poca importanza”.

I bambini di Radio Freccia Azzurra: piccoli grandi intervistatori

Grazie agli incontri nelle scuole, a maggio 2016 sono stata intervistata dai bambini di Radio Freccia Azzurra, un progetto pedagogico rivoluzionario ed innovativo realizzato da Matteo Frasca con il sostegno della sua Associazione Matura Infanzia e il circolo Gianni Rodari onlus.

I piccoli speakers erano già informati su chi fossi e cosa facessi. Matteo aveva già parlato loro di me, del romanzo e aveva proiettato il cortometraggio “Nata viva”, ispirato al romanzo e che ne costituisce un sequel. Il giorno dell’intervista, al mio arrivo era tutto pronto: il microfono, le domande, lo speaker, il coro e perfino la pubblicità; tutto realizzato e condotto dai bambini. Ero emozionata e divertita nel rispondere alle loro domande. I bambini erano molto preparati e sicuri. Le maestre e Matteo erano in fondo alla classe, avevano fatto un ottimo lavoro di preparazione e i bambini di quinta elementare erano completamente autonomi e pronti a conoscere una nuova storia. Per fortuna che in molte scuole si da valore agli incontri, alle storie ed ai personaggi contemporanei, che non sono solo del passato e che non fanno parte di un programma didattico tradizionale.

Esplorare la diversità e ad appassionarsi di nuove narrazioni

Negli ultimi anni ho ripetuto il progetto senza Matteo, perché impegnato con nuove iniziative e progetti di vita. Una tappa importante è rappresentata dall’incontro con le classi quinte elementari e medie della scuola Di Donato di Roma, una realtà scolastica unica a Roma per l’impegno sociale e l’inclusione tra i bambini e i ragazzi di diverse etnieQuest’incontro è stato diverso dagli altri: il professore di arte ha introdotto il mio intervento con una interessante lezione su teatro, artisti, barriere e diversità. Nella seconda parte dell’incontro Emilia Martinelli, dell’Associazione Fuori Contesto, nonché amica e membro del comitato genitori della Di Donato, ha letto dei brani ed insieme abbiamo stimolato il racconto in una classe molto ricca e multietnica. Quanta empatia con gli adolescenti che si sentono inadeguati, ma allo stesso tempo vorrebbero cambiare questo strano mondo! Recentemente, grazie alla presenza di una preside molto lungimirante, ho avuto l’occasione di intervenire più volte presso le classi medie dell’Istituto Comprensivo Nitti di Roma.

Spero che l’entusiasmo dimostrato dagli studenti incontrati finora nei confronti di una persona e delle storie nuove accompagni loro nella crescita e che possano continuare ad esplorare la diversità e ad appassionarsi a  nuove narrazioni perché “la diversità può (e dovrebbe) rappresentare una risorsa”, come affermava Makarenko.

Il progetto e le aspirazioni per il futuro

Per quanto riguarda le aspettative future, mi piacerebbe riprendere il progetto che si è interrotto a causa del Covid-19. La didattica a distanza mi ha consentito di incrementare i miei interventi in ambito universitario, ma lo stesso non si può dire per le scuole. Mi sento pronta a ripetere gli incontri senza Matteo, come ho fatto negli ultimi anni. Dopo le docenze universitarie, mi piacerebbe contribuire a formare chi lavora nelle scuole, case-famiglia, carceri, ospedali… sul valore terapeutico della narrazione di sé, la medicina narrativa e sulla prevenzione al bullismo, al cyberbullismo ed a tutte le forme di discriminazioni. Mi sento sufficientemente preparata a far crescere il progetto “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità” in presenza o con la didattica a distanza. Al momento non sono mancate le occasioni per spiegare la metodologia in diversi convegni importanti. 

Per tutti i dettagli del progetto,  per invitarmi a ripeterlo gratuitamente nelle scuole di  Roma e provincia (o in tutt’Italia con la didattica a distanza)  potete mandare una mail a: zoe.rondini@gmail.com

Le scuole e i corsi universitari che hanno aderito al progetto, anche più volte, dal 2012 ad oggi sono state:

Istituto Comprensivo Nitti di Roma, classi medie: III E,  III D, IA, IIIA, IIIB, IIIC, IIID, IIIE, IIIF, IIIG e IIIH

Liceo scientifico Giovanni Keplero, Roma – classe medie II, sezione G;

Liceo scientifico Plinio Seniore, Roma – cinque classi;

Istituto Comprensivo Campagnano, Campagnano (RM) – sette classi  seconde e sette classi terze medie;

Istituto Comprensivo Campagnano, Campagnano (RM) – cinque classi di quinta elementare;

Plesso Piazza Capri a Montesacro, Roma – quinta elementare;

Scuola Federico Di Donato, Roma – classi quinte elementari  e prime medie, sezioni A e B.

Facoltà di Scienze dell’educazione e della formazione, Università la Sapienza di Roma, corso di Pedagogia generale (Prof. Nicola Siciliani De Cumis);

12.2023 Prestazione occasionale presso l’Università Lumsa di Roma, per la scuola internazionale triennale di psicomotricità.

l’11.09.2022 e il 5.09.2021 Prestazione occasionale presso l’Università Lumsa di Roma, per il Master in Neuropsicologia dell’età evolutiva sulla narrazione del sé come strumento di empowerment.

09.2022 ed il 23.09.2021 Prestazione occasionale presso l’Università Lumsa di Roma, per il Master in Neuro riabilitazione. Di seguito i materiali delle lezioni:

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Presentazione del saggio “RaccontAbili”

 

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Disabilità e comunicazione: dal sensazionalismo al pietismo

Il 15 dicembre 2022, sono stata relatrice al convegno: “Disabilità e comunicazione: dal sensazionalismo al pietismo”, presso l’ambasciata della Santa Sede a Roma.
È stata un’importante occasione per tutti noi relatori, per cercare di portare la nostra esperienza nell’intento comune di andare verso una società più inclusiva: che tenga presente i bisogni (tal volta minimi) di tutti.
Il mio intervento si è focalizzato sull’importanza della scrittura come strumento di emancipazione e di aiuto per me stessa e per tante persone con disabilità e normodotate.
Presenti al tavolo dei relatori: Francesco Di Nitto, ambasciatore presso la santa sede in Italia, Sandra Cioffi, presidente del Consiglio Nazionale degli utenti, Maria Teresa Bellucci, Vicepresidente del Lavoro e delle politiche sociali, Suor Veronica Amata Donatello, Responsabile del Servizio Nazionale CEI per la Pastorale delle persone con disabilità, Silvia Leone coordinatrice del Gruppo Disabilità del Consiglio Nazionale degli Utenti. Roberto Natali, Direttore Rai.
Non sono mancati i contributi video di Giuseppina Versace Vicepresidente Commissione Cultura e patrimoni culturale, istruzione pubblica del Senato, di Giacomo Lasorella coordinatore della Commissione di vigilanza RAI, e di Alessandra Locatelli, Ministro per le Disabilità.
Nella seconda parte del convegno, abbiamo parlato delle nostre esperienze di vita e lavorative: Giampiero Griffo, Coordinatore dell’Osservatorio Nazionale delle Condizioni delle Persone con Disabilità, Magdalena Casa, Co-fondatrice dell’Associazione BluAliké Asd Onlus ed io. A moderare l’incontro è stata Paola Severini Melograni, Direttrice di Angeli Press e autrice del programma RAI “O Anche No”.
Grazie di cuore a chi si è prodigato per questa importante iniziativa, a gli amici presenti in sala insieme alla mia professoressa di psicologia della Sapienza.
Il ringraziamento più importante va a chi decide; un giorno alla volta, di condividere sfide, cadute, traguardi e successi che, come altre persone, probabilmente non avrei vissuto se non fossi… Nata Viva!

Un estratto del mio intervento:

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Tutto chiede salvezza: il labile confine tra normalità e malattia mentale

La serie Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, vincitore del premio Strega Giovani nel 2020, riesce ad affrontare la questione delle malattie mentali in modo leggero e profondo al tempo stesso senza sconti e senza ipocrisie. Un racconto da guardare tutto d’un fiato.

La serie invita a riflettere su chi siano i veri “matti”. I matti stanno là fuori, afferma il protagonista, durante il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio).

“Tutto chiede salvezza” è la storia di Daniele, un ragazzo come tanti, carico delle aspettative di una famiglia semplice ma determinata a far diventare qualcuno proprio lui, il più piccolo, perché solo lui dei tre figli aveva dimostrato di potercela fare, di avere un grande potenziale. Una dote pesante per Daniele che, schiacciato tra le aspettative e il timore di non farcela, ha sempre fatto i conti con paure più o meno manifeste, con fughe da scuola per correre in braccio alla mamma. Un macigno che, qualche anno dopo, in bilico tra alcol e droghe, una notte esplode in un episodio di violenza contro i genitori. Ecco il motivo del T.S.O. Dopo una crisi psicotica si risveglia nella camerata di un reparto psichiatrico, insieme a cinque particolari compagni di stanza con cui, all’inizio, pensa di non avere niente in comune.

Il rapporto con il personale sanitario e le telefonate alla famiglia, poco dopo il ricovero, sono molto conflittuali. Inoltre il ragazzo, si sente pressato dai medici, che gli vogliono frugare nel cervello per capire cos’abbia che non va, ed è accudito da infermieri che, inizialmente sono cinici e disinteressati. Sette giorni, tanto dura la sua permanenza nel reparto, sembrano lunghissimi e quella che all’inizio gli appare una condanna piano piano si trasforma in una delle esperienze più intense e formative della sua vita.

I sette episodi, sono un invito a riflettere sul disagio conclamato e su quello sopito e su molti aspetti dell’esistenza umana. A tal proposito mi sembrano significative le parole del regista e sceneggiatore Francesco Bruni: “Dal dolore si può uscire, e uscire migliori. Anche nel momento più buio può fare capolino la speranza, si può ridere pochi istanti dopo aver pianto e piangere poco dopo aver riso.” Nella prima puntata una frase mi è rimasta particolarmente impressa perché ritengo che sintetizzi la condizione e la fragilità umana: Semo come piume: basta uno sputo di vento per portarci via”. La serie ci fa riflettere su molti concetti importanti e comuni all’esistenza di ogni persona, ad esempio il fatto che è il dolore che, nel bene o nel male, accende gli anfratti più nascosti di ogni essere umano. O che alla fine l’amore spinge molte persone alla ricerca di quella speranza perduta.

Nello spazio atipico dell’ospedale ed in un tempo che sembra sospeso, isolato dal mondo Daniele si trova ad affrontare i suoi demoni interiori, intraprendendo un viaggio inaspettato che si rivelerà quanto mai essenziale per scoprire le sue vere emozioni e la sua personalità.

All’inizio la serie sembra il racconto di un ragazzo viziato che pensa solo alle ragazze, le serate in discoteca ed alla cocaina, ma poi, il protagonista sarà il primo ad aiutare e confortare i compagni di stanza che, sembrano essere in situazioni più gravi della sua.

Nell’ospedale psichiatrico c’è anche spazio per una complicata storia d’amore con Nina, un’influencer che ha tentato il suicidio e che, a detta dei medici, sta molto peggio del protagonista.

“Tutto Chiede Salvezza”, è un invito a riflettere sull’importanza dell’amicizia, della famiglia, del perdono e dell’aiuto reciproco: valori non scontati.  Tutto ciò spesso è difficoltoso da mantenere, donare ed ottenere.

Attorno a Daniele si raccontano  le storie dei cinque compagni di stanza: Mario, maestro “a riposo”, ricoverato per aver aggredito moglie e figlia qualche decennio prima; “Madonnina”, di cui nessuno conosce il vero nome e che passa le giornate invocando, appunto, la Vergine Maria; Giorgio, un Hulk dal cuore buono, segnato dalla perdita della madre; Alessandro, affetto da una patologia neurologica che lo ha reso un vegetale; Gianluca, omosessuale e, per questo, costretto al trattamento da una famiglia bigotta e incapace di accettare la diversità. E poi gli infermieri, i medici, i familiari e tanto amore, più o meno sano: una grande nave dei pazzi in cui il confine tra normalità e follia diventa davvero labile. Di tutto, una sola certezza: tutti chiedono salvezza, chi sta fuori e chi sta dentro. Chi si prende cura e chi è curato. Chi resta a casa e chi ne sente la nostalgia. Chi cerca rifugio e chi ne rifugge. L’unica via di scampo sembrano essere i legami, gli affetti. Che, se ben vissuti, salvano.

Una bella miniserie, tutta italiana, che mette al centro la tematica delicata, ma anche drammaturgicamente sempre affascinante, delle malattie mentali che è stata raccontata dosando sapientemente leggerezza e patos, così che ogni spettatore si possa ritrovare nei vari personaggi.

La storia rappresenta anche una difficile sfida contro se stessi e contro il mondo: ritrovarsi e capire che i vuoti personali si assomigliano un po’ tutti, le sofferenze sono tante e molteplici e che nella diversità si può trovare una rara bellezza. Una meravigliosa e ritrovata leggerezza. Che, guarda caso, fa rima con salvezza.

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Spiegare bene la disabilità a bimbi e bimbe: un’occasione pedagogica per tutti

Spiegare la disabilità ai bambini è importante. Perché le varie disabilità esistono, si possono incontrare… quindi è opportuno che l’adulto sia in grado di motivare le differenze senza drammatizzarle. Partendo da tale presupposto, è auspicabile anche che  i genitori affrontino l’argomento visto che a scuola, al parco o in vacanza si può trovare un compagno di giochi con caratteristiche che possono suscitare diverse reazioni: la risata, la presa in giro o l’accettazione.

Per fortuna oggi giorno, in molti contesti la disabilità non è un più tabù ed è importante parlarne anche ai piccolissimi.

I bambini si accorgono benissimo se qualche compagno fa più fatica nei movimenti, o si comporta in modo “insolito“. Ma non per questo giudicano, semplicemente si interrogano sul perché: da parte di genitori e insegnanti deve esserci grande sincerità nell’affrontare il tema e non bisogna negare l’evidenza dicendo che quel bambino è uguale a loro. Ha gli stessi diritti certo, ma è diverso. Vi accorgerete della spiazzante semplicità con cui i bambini sono in grado di capire e accettare le diversità.

Con i più piccoli, è importante usare un linguaggio comprensibile, che non spaventi o renda ancor più distante il tema: l’ideale è parlarne con naturalezza a partire dalle loro domande. Date spazio alle loro curiosità e fate passare il messaggio che è normale notare la disabilità e chiedersi il perché. Ricordatevi che un bambino chiede una cosa solo quando si sente pronto per capirla. Ciò detto vale sia per il gruppo dei pari che per rispondere alle domande che un bambino con disabilità può porre agli adulti di riferimento.

In una classe dove c’è un bambino con una disabilità, è importante parlare con tutti gli alunni spiegando i limiti e le potenzialità del compagno con bisogni speciali, rendendolo protagonista nel descrivere e condividere la sua disabilità con i compagni e amici. Tutto ciò può creare armonia tra il gruppo di pari e prevenire ogni forma di bullismo.

Va anche ricordato che i bambini sono curiosi, una volta placata la loro voglia di sapere, saranno i primi a trovare strategie per giocare e comunicare  tutti insieme.

Un errore che fanno alcuni genitori è quello di essere iperprotettivi e di evitare che il figlio conosca la diversità. È auspicabile che i genitori lascino i figli liberi di incontrare le difficoltà della vita, come le diversità e le disabilità.

Per concludere le riflessioni ed i consigli su come affrontare il tema delle disabilità con i più piccoli, penso che per noi adulti sia importante chiedersi come noi per primi ci approcciamo alla disabilità. L’occasione di affrontare tale tematica con i bambini è un’ottima occasione per misurarsi con la propria visione.

Ricordiamoci che i bambini apprendono molto dal nostro comportamento, che funge da modello. Il modo in cui ci comportiamo di fronte alle disabilità, le conversazioni che facciamo in loro presenza – anche quando non ci rivolgiamo direttamente a loro – contano più di qualsiasi spiegazione.

Per spiegare la disabilità a bambini e ragazzi esistono tanti libri!

Di seguito troverete una selezione di questi testi, tra cui rientrano romanzi sulla disabilità e storie di inclusione per bambini. Non mancano anche alcuni libri facilitati per bambini con bisogni speciali.

 

Romanzi sulla disabilità


Mia sorella è un quadrifogliodi Beatrice Masini e Svietlan Junaković (Carthusia, 2012).
Dai cinque anni in su. Nel libro una bambina narra i primi passi su questo mondo della sorellina speciale. Con uno sguardo fresco ma profondo, tipico dell’infanzia, Beatrice Masini ha saputo raccogliere le sfumature più delicate, dando vita a una storia vivace, coinvolgente e originale, in cui la disabilità viene raccontata da una voce molto particolare, forse unica nei libri per bambini dedicati alla disabilità: la voce di una sorella.
Nella vita della piccola Viola, infatti, arriva Mimosa, una sorella un po’ particolare, che scompiglia la vita familiare: ma è, prima di tutto, una sorella. «Siamo tutti diversi e siamo tutti speciali. In un prato c’è posto per tutto: i quadrifogli, le farfalle, le coccinelle, le formiche, i fiori».

L’intruso. Storia di un orso arruffato di Waltraud Egitz (Bohem Press 2006).
Adatto dai due anni in su. Orsetto si è svegliato bene stamattina, ma qualcosa lo disturba: quando arriva nel suo posto preferito, trova un intruso. Lo sconosciuto è un orso che ha il pelo tutto arruffato: a Orsetto proprio non piace e decide di cacciarlo via. Gli animali del bosco lo interrogano sul perché della sua azione. Non sapendo cosa rispondere, Orsetto decide di provare a conoscerlo meglio. È un libro sulla diversità e sull’amicizia.

Oggi no domani si! di Lucia Scuderi (Fatatrac, 2008).
Da tre anni in su. Lo struzzo è un uccello non volatore, una diversità che gli rende la vita difficile. «Oggi no domani sì, torna domani e troverai così» è la frase che gli urla il piccolo scarafaggio per prenderlo in giro, quando lo struzzo continua a rimandare di giorno in giorno la sua prova di volo. Ma, a sorpresa, sarà proprio la sua fragilità a renderlo alla fine simpatico agli altri piccoli animali.
In un tempo che ci parla di bullismo perfino nelle scuole materne, ecco una storia in cui il protagonista non viene apprezzato perché più forte, ma perché conosce i suoi limiti e li fa accettare agli altri.

La cosa più importante di Antonella Abbatiello (Fatatrac, 2003).
Da tre anni in su. «Il coniglio diceva: la cosa più importante è avere orecchie lunghe. Chi ha orecchie lunghe si accorge subito di ogni piccolo rumore…». È l’inizio di un’appassionata discussione tra gli animali del bosco in cui di volta in volta la particolarità di ognuno viene considerata la più importante e come tale “imposta” a tutti gli altri. Sarà un gufo saggio a far capire che l’importanza di ciascuno sta proprio nella sua “diversità” che lo rende unico ed essenziale alla vita del bosco.
Un importante messaggio di pace e di tolleranza in una smagliante favola moderna.

Laura di Elfi Nijssen ed Eline Van Lindenhuizen (Clavis, 2009).
Da quattro anni in su. Laura è una bambina speciale: ha problemi di udito. Giocare con gli altri bambini non è facile, se non senti bene. E anche camminare per strada. Fortunatamente il Dottore dell’orecchio dà a Laura due apparecchi acustici: sono piccoli piccoli, non si vedono, ma le sono di enorme aiuto. Una delicata storia su una bambina che ha problemi di udito.

Il Signor Tazzina di Maria Sole Macchia (Fabbri, 2003).
Dai quattro anni in su. Un disegnatore distratto illustra un personaggio senza un orecchio. Il personaggio comincia a vivere la sua storia ed esce per strada. Un ragazzino lo addita ai passanti dicendo che sembra una tazzina. Da quel momento il poverino diventa per tutti il “Signor Tazzina”, e, umiliato, si nasconde in casa. Ma poi, dalla finestra di casa, comincia ad osservare le persone che passano per la strada: quella signora con il collo lunghissimo, non è identica a un cucchiaino? Quel tipo coi capelli in su, non sembra una forchetta? Così scopre che essere diversi dagli altri vuol dire essere unici e speciali.
Una storia fantasiosa, allegra, coloratissima, che parla di diversità e accettazione della propria identità.

Ad abbracciar nessuno di Arianna Papini (Fatatrac, 2010).
Dai cinque anni in su. Damiano incontra una bambina misteriosa alla scuola dell’infanzia e da subito nasce in lui una commovente fratellanza mossa sia dalla curiosità che dalla sua storia di bimbo adottato, che corre verso la bimba affetta da autismo. Insieme i due bambini, durante il tratto di strada della vita che condividono, si scambiano affetto, gioco, tristezza e allegria.

Nata Viva di Zoe Rondini (Società Editrice Dante Alighieri, prima edizione 2011).
Il romanzo di formazione narra la vita di Zoe, una bambina che nei primi cinque minuti della sua vita ha “trattenuto il fiato”. Il libro è adatto ai ragazzi dai dieci anni in poi. Attraverso le vicende scolastiche e familiari di Zoe, si può capire che in fondo ci sono tante cose che accumunano un bambino con bisogni speciali ai suoi coetanei. Tramite le vicissitudini della protagonista, molti lettori e lettrici si rivedono nell’essere adolescenti incompresi, in famiglia come a scuola.
Un romanzo che invita a non dimenticare mai lo scarto enorme che c’è tra vivere ed esistere, inchiodandoci all’idea che per nascere veramente, ad ogni occasione, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo al mondo intero.

Storie di inclusione per bambini

Martino piccolo lupo (Carthusia)

Per avvicinare i più piccoli al tema della disabilità, questo è sicuramente uno dei titoli più indicati. Al centro, la storia di Martino, un cucciolo di lupo che, diversamente dagli altri, non ulula alla luna e adora mangiare le ciliegie.  “Non sarà mai un vero lupo!”, tuona il capobranco alla mamma lupa. Il libro affronta il tema dell’emarginazione, rappresentata come una nebbia fitta che finisce per inghiottire il piccolo lupo fino a che qualcuno riuscirà finalmente a vedere oltre all’apparenza. La metafora vuole far luce sulle problematiche legate all’autismo e alla capacità di entrare in relazione con chi appare “diverso”. Una pagina finale è dedicata alla presentazione di Fondazione ARES (Autismo Ricerca e Sviluppo) con il quale il libro è realizzato.

Ada al contrario (Settenove)

La protagonista di questo libro è Ada, una bambina molto particolare che sembra fare tutto al contrario. Da neonata, al posto di urlare «Uééé, uééé», aveva strillato: «Éééu, éééu». Dormiva di giorno e stava sveglia di notte. Chiamava mamma il papà e papà la mamma e, crescendo, iniziò persino a camminare al contrario. La sua storia affronta con leggerezza il tema dell’Asperger, una forma di autismo, sottolineando l’aspetto della libertà e del diritto di essere accolti nella propria diversità, qualunque essa sia.

Il pentolino di Antonino (Kite Edizioni)

Semplice e al tempo stesso potente, questo libro illustrato racconta la storia di Antonino, un bambino che trascina sempre dietro di sé una piccola pentola. Un giorno gli è caduta sulla testa e da allora Antonino non è più come tutti gli altri. Quel pentolino gli complica la vita, si incastra dappertutto e gli impedisce di andare avanti. Antonino è un bambino che ama la musica, la compagnia, l’affetto… ma spesso le persone vedono solo la piccola pentola che trascina dietro di sé. Sarà l’incontro con una persona speciale a insegnargli ad usare quel pentolino per esprimere tutte le sue qualità. La metafora è quella dell’autismo, ma più in generale della difficoltà che qualsiasi bambino può incontrare nell’affrontare diverse situazioni di vita.

Il pezzettino in più (Feltrinelli Kids)

Un libro spiritoso ma anche toccante che affronta il tema della sindrome di Down. Manuelita e Lucía, detta Pussy, sono sorelle. Manuelita è la maggiore ed è “diversa”: i medici alla sua nascita hanno detto che ha 47 cromosomi invece di 46, “come un orologio con un pezzo in più”. Tra le due sorelle c’è amore e complicità, solo che Pussy spesso si stanca di dover fare la sorella maggiore pur essendo la più piccola e di dover affrontare le prese in giro dei “bambini corvo”, che sotto l’apparenza di bambini normali nascondono penne nere, becco appuntito e artigli… Attraverso episodi insoliti e divertenti, la storia riesce a offrire uno sguardo nuovo sul mondo della disabilità.

Compagni di diritti. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità spiegata ai bambini delle scuole primarie di Lorenzo Fronte (Erickson 2017).

Un libro che può essere utilizzato per svolgere un percorso in classe, contenendo anche stimoli per attività da far fare ai bambini. Spiega ai piccoli della scuola primaria la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Serena, la mia amica di Anna Genni Miliotti (Editoriale Scienza, 2007).
Il libro racconta l’amicizia tra Chiara e Serena, due ragazzine “speciali”. Solo nell’ultima illustrazione scopriamo che Serena è una bimba con sindrome di Down.
Un discorso sulla diversità alla rovescia, quasi sia Chiara un po’ gelosa delle qualità di Serena, pur sapendone i problemi e i limiti. Il tema della diversità si ritrova anche in una storia dentro la storia, nel divertente racconto a fumetti su una balena… rosa.

Parliamo di Abilità. Una spiegazione della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità di UNICEF Italia (UNICEF Italia 2008).
Pubblicazione utile per i bambini e i ragazzi un po’ più grandi. Vi si spiega la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, con l’obiettivo di aiutare le persone con disabilità a realizzare i loro diritti.

Libri facilitati per bambini con bisogni speciali


L’avventura di Oliver in piazza L’avventura di Oliver tra i ricordi di Gabriella Fredduselli (Erickson 2014 e nuova edizione 2021).
Sono favole scritte anche nella versione facile da leggere (Easy to Read), accessibile anche ai bambini con disabilità intellettiva che affrontano il tema della diversità. Si prestano ad essere utilizzati anche in classe.

Ho un po’ paura di Laure Constantin (Editions Européennes d’Albums Tact-Illustrés, 2004).
Il volume fa parte di A spasso con le dita, biblioteca di libri tattili, un progetto a sostegno della letteratura per l’infanzia e l’integrazione tra vedenti e non vedenti.

Articolo pubblicato su Superando

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Lezione per il master in Neuropsicologia dell’età evolutiva della Lumsa 11.09.22

 

È sempre entusiasmante tenere le lezioni ai master dell’Università Lumsa di Roma. Le mie lezioni riguardano la narrazione del sé come strumento di empowerment e disabilità, affettività, amore e sessualità. La parte più bella è il feel back degli alunni, che riportano l’interesse e l’utilità nel ascoltare il punto di vista di una persona con disabilità.

 

Slide lezione 11.09.2022

Brani Nata Vivia e RaccontAbili

Nella lezione viene anche proiettato il minifilm “Nata Viva” della regista Lucia Pappalardo.

Potete comprare il romanzo Nata Viva sul sito  della Società editrice Dante Alighieri, l’ebook è disponibile qui . Il saggio RaccontAbili, cartaceo e e-book è disponibile nel catalogo Erickson Live

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Come godo. Guida avventurosa al piacere femminile

Il libro “Come godo. Guida avventurosa al piacere femminile” di Lyona Florencia, edito da Vallardi, ha un approccio ironico, mordace e femminista nei confronti della sessualità. La protagonista compie un “viaggio” alla ricerca del proprio piacere sfatando il cliché della sessualità femminile. I riferimenti a medici e psicologi nella storia sono molto interessanti per capire come siano cambiate le conoscenze sulla sessualità, ma si evince anche quanto lavoro ci sia ancora da fare contro i tabù e gli stereotipi di una visione maschilista ancora troppo diffusa.

Il libro è adatto a ragazzi e persone con disabilità che non hanno ancora avuto esperienze amorose e sessuali, ma anche a chi vuole approfondire la conoscenza riguardo l’amore e la sessualità.

Di seguito citerò alcuni spunti tratti dal libro che sfatano molti luoghi comuni sulle donne: “vogliamo tutte il Principe Azzurro… Ah sì, davvero? Ci hanno fatto credere che noi donne cerchiamo solo l’amore e che non abbiamo bisogno del sesso, per dominarci e sottometterci, relegandoci ai margini della società”. Ma il libro ci suggerisce che il  piacere è potere.

E ancora il volume illustrato mette in evidenza come il rapporto sessuale non si limita alla penetrazione: “siamo ossessionati dalla penetrazione quando possiamo ottenere molto di più con carezze, baci, sussurri, parole e giochi”.

In effetti il modello sessuale lineare, orientato a raggiungere un solo obiettivo, fa sì che molte donne con il passare del tempo si sentano frustrate pur avendo orgasmi perché non sfruttano al massimo il loro potenziale.

“Si pensa che il rapporto sessuale sia completo solo quando avviene la penetrazione, questo perché la visione del sesso è fallocentrica e si basa sulla risposta sessuale maschile”.

L’autrice ci ricorda poi, che le statistiche dimostrano che, due terzi delle donne non raggiungono l’orgasmo con la penetrazione vaginale e hanno bisogno della stimolazione della clitoride.

Sempre parlando del piacere femminile: “il 99,9% delle donne ha praticato sesso orale più di quanto lo abbia ricevuto. Perciò se il tuo partner non lo fa o non ha voglia, diglielo. Non vergognarti di esprimere i tuoi desideri. E se ti spiega perché non vuole, cercate di trovare una soluzione.”

È interessante anche il capitolo che analizza la pornografia, dove viene spiegato che il modello pornografico che oggi va ancora per la maggiore è maschile e maschilista. Questo perché rappresentano un rapporto sessuale meccanico, con corpi e dinamiche molto diverse dalla realtà. Tutto risulta veloce e semplice: i protagonisti cominciano a fare sesso e tutto si riduce nel compiacere e far raggiungere l’orgasmo all’uomo, ignorando quasi del tutto il piacere della donna.

Un’altra cosa che può rendere il libro utile agli adolescenti è che non tutti sono a conoscenza del fatto che la zona erogena più potente è il cervello e non solo per le donne, anche per gli uomini, sebbene siano più visivi, provate a chiedere a un uomo se non rimane su di giri per ore dopo del sexting o del sesso telefonico fatto bene. Allo stesso modo, anzi di più, per una donna l’eccitazione parte tutta dal cervello.

L’autrice poi, va contro la visione che vede noi donne come delle sante o delle poco di buono: “la dualità nella visione femminile per secoli e ancora oggi purtroppo, è una delle dicotomie che riguardano la definizione di donna ha a che fare proprio con il sesso: o è santa, quindi poco o per niente interessata al sesso, o è una poco di buono, se per caso osa confessare che il sesso le piace. Se ama parlarne, farlo, ricercarlo, farlo da sola, farlo in modo strano, farlo in modo audace… gli epiteti che le si danno sono negativi, offensivi e difficili da contrastare. Perché? A noi donne non è dato godere? E’ ora di riprenderci questa libertà”.

Degna di nota anche la riflessione che le autrici riservano agli effetti benefici che il Piacere apporta al nostro sistema nervoso centrale: “l’orgasmo consente di produrre dopamina, l’ormone del piacere, che fa sentire immediatamente più euforiche, energiche, concentrate e creative. Tutto ciò ha una spiegazione scientifica: quando godiamo viene rilasciato anche testosterone che dona sicurezza e forza. In una parola, siamo più potenti, fisicamente e mentalmente. Quindi, ascoltiamoci, liberiamoci, diamoci piacere. Facciamolo per la nostra libertà e la nostra felicità”.

Un importante invito riguarda il lasciare andare i giudizi per vivere una sessualità libera da ricatti e tabù: “ciò che gli altri fanno o dicono non dovrebbe interessarti. Non giudicare o non permettere che ti giudichino. Non ti reprimere. Non ti autocensurare, perché quando la colpa scompare ecco arrivare il piacere (…) La maggior parte delle donne si vede minacciata ed umiliata per aver condiviso immagini intime. Se non ci fossero così tanti tabù, ipocrisie e pregiudizi sulla sessualità, non ci sarebbe spazio per i ricatti, gli abusi e la pressione sociale a danno di molte donne.”

Infine è ben ricordare a tutte le persone che possono esplorare il corpo, senza trascurare nessuna zona erogena per andare anche oltre l’amplesso!

Questo libro invita a non accontentarsi, scoprire con divertimento e rispetto il proprio corpo e quello delle altre persone (ovviamente ci deve essere il consenso). È un viaggio nella conoscenza che molti possono fare.

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L’adolescenza: tra criticità, potenzialità e soluzioni

L’adolescenza è un periodo della vita caratterizzato da forti e rapidissimi cambiamenti a livello fisico, ormonale e  psicologico. Gli adolescenti  mettono in discussione la propria identità  per poterla definire e cercano in tutti i modi di maturare l’idea che hanno di sé stessi. Si tratta di un processo non lineare che può prevedere grandi balzi in avanti, ma anche repentini   passi indietro. Spesso i comportamenti di questa fase della vita oscillano tra l’infantile e il troppo spavaldo.

Non è raro che i ragazzi si sentano fragili, ma al tempo stesso si ribellino alle regole. Quasi tutti poi, cercano l’omologazione nel gruppo dei pari.

Quello che gli adulti di riferimento devono tenere a mente è che, nella maggior parte dei casi, in tutto questo non c’è nulla di patologico o preoccupante. In questa fase delicata l’adolescente va sostenuto e istradato per quanto possibile; tenendo conto che, spesso si impara degli errori.

La visione dei genitori

L’adolescenza è un periodo che richiede una grande capacità di adattamento anche per i genitori, che vengono messi spesso a dura prova. Si tratta di una fase molto delicata, sia per i ragazzi che per gli adulti, ed è facile in tanti momenti cedere al pessimismo  quando ci si ritrova davanti un figlio così diverso dal bambino a cui eravamo abituati, da non riuscire più a riconoscerlo.

La visione dei ragazzi e i segnali di allarme per i genitori

Molto spesso, i figli percepiscono una mancanza  d’ ascolto e supporto verso le loro richieste e necessità. Non riconoscono o non vedono riconosciute le proprie potenzialità.

Tutto questo è normale se non viene esasperato nel tempo. Quali sono i segnali, i campanelli d’allarme ai quali un genitore dovrebbe prestare attenzione per poter intervenire il più presto possibile? Innanzitutto un forte segnale può provenire dal luogo in cui il ragazzo passa la maggior parte del suo tempo, cioè la scuola. Il rendimento scolastico è un indicatore da tenere sempre in considerazione. Un calo repentino dei voti di un ragazzo adolescente può essere sintomo di un disagio che si ripercuote sull’attenzione, sulla capacità di studiare e sulla motivazione e che porta, quindi, ad un abbassamento della media scolastica.

Un altro campanello d’allarme dovrebbe scattare quando un figlio adolescente manifesta insoddisfazione, noia continua come se non riuscisse a trovare alcuno stimolo nelle cose che ha sempre fatto o in nuove attività. Il disinteresse nei giovani talvolta è normale e fisiologico, ma c’è il rischio che l’indolenza si trasformi in apatia giovanile, causata da un contesto poco stimolante, dalla bassa autostima e dall’assenza di gratificazione. Ci si può trovare di fronte a un ragazzo che fatica a trovare un senso ed uno scopo, che passa le giornate  senza concludere nulla. A differenza di quello che si crede comunemente, la preoccupazione dovrebbe scattare anche quando l’adolescente dimostra difficoltà a emanciparsi dalla famiglia  e ad assumersi le proprie responsabilità.

Altro importante segnale da considerare sono le relazioni sociali del ragazzo: se tende ad isolarsi,  a chiudersi in casa o si allontana e non sembra avere rapporti con i propri coetanei, è possibile che stia vivendo un forte disagio.

Infine anche l’aspetto fisico del figlio può dare motivo di riflessione: la trascuratezza può essere un segnale forte di scarsa autostima e mancata accettazione oltre che di assenza di stimoli.

Prevenzione dei problemi in adolescenza

Naturalmente esiste anche una fase di prevenzione dei problemi e dei disturbi adolescenziali più comuni. Il primo luogo in cui effettuare degli interventi volti a prevenire il disagio giovanile è, senza dubbio la scuola.

È quindi opportuno che vi siano degli incontri nei quali esperti psicologi e pedagogisti, possano entrare in relazione con i ragazzi. I preadolescenti e gli adolescenti devono trovare uno spazio dove poter parlare delle loro paure, delle proprie passioni ed aspirazioni. È anche utile che gli esperti e gli adulti di riferimento facciano capire al ragazzo che le emozioni che egli vive, lo accomunano a molti altri suo coetanei.

La narrazione del sé come supporto psicopedagogico

Dal 2012 al 2020, (prima del Covid-19) facevo molti incontri nelle scuole grazie al progetto: “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”, si tratta di un progetto educativo contro ogni forma di bullismo che cerca anche di prevenire le varie tipologie di discriminazione.

Gli incontri con le classi si articolano in tre momenti. In primo luogo narro agli alunni alcuni episodi della mia vita estrapolati dal romanzo di formazione ed autobiografico “Nata Viva“. I brani che faccio leggere ai ragazzi per renderli più protagonisti; hanno a che fare con la nascita, la scuola, la famiglia, l’adolescenza, il tempo libero e il rapporto tra pari. È emozionante vedere la loro concentrazione e la loro empatia.

Nella parte successiva c’è un momento di confronto nel corso del quale i ragazzi, stimolati e incalzati da me, narrano i loro vissuti in relazione alla scuola, il rapporto tra pari e con gli adulti, le loro paure e speranze e mi possono porre tante domande. La parte più entusiasmante è senza dubbio ascoltare le domande dei ragazzi, i loro vissuti della scuola e della famiglia e rispondere alle loro curiosità.

Riporto alcuni quesiti  che mi sono rimasti impressi ed ai quali ho risposto senza celare nulla:

“Zoe ti sei mai innamorata?

Cosa provavi quando le tue compagne di classe e le insegnanti non ti volevano aiutare?

Se non avessi avuto quel “cortocircuito” al momento della nascita saresti stata comunque una scrittrice o pensi che avresti fatto un lavoro diverso?

Nel brano dove racconti della tua nascita parli di tua madre e di tua nonna, ma tuo padre c’era e se era presente cosa faceva?

Nei panni dei tuoi famigliari cosa avresti fatto con una bambina disabile?

Come hai fatto a raccontare la tua nascita? Ma tu te la ricordi?!”

Sono felice di poter affermare che le situazioni di sofferenza legati alla famiglia e alla scuola sono state poche rispetto ai tanti bambini e ragazzi incontrati. Hanno tutti molte aspettative per il futuro, vogliono laurearsi e intraprendere carriere di un certo livello.

Mi piacerebbe tornare quanto prima nelle scuole e magari riproporre il progetto insieme ad una persona con disabilità sensoriale, per sensibilizzare i ragazzi su vari tipi di diversità e far capire che siamo tutti diversi e un po’ speciali, ognuno a suo modo.

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Famiglie e sensi di colpa: non tutto è imputabile alla disabilità…

“Il ciclo di vita della famiglia è caratterizzato da una serie di eventi più o meno critici che possono essere causati da diversi fattori, come l’ingresso o l’uscita di alcuni componenti della famiglia, problemi psicosociali legati allo sviluppo dei bambini o semplicemente eventi particolari legati alla vita della coppia” (Gambini, 2007). Quando nasce un bambino con disabilità avviene un vero e proprio terremoto nella famiglia. All’improvviso, si devono ristabilire ruoli e competenze rispetto alle famiglie di origine.

Per i genitori la nascita del primo figlio rappresenta una vera e propria rivoluzione.  Da figli diventano (anche) genitori e, da questo momento in poi, sono tenuti ad assumere l’autorevolezza e le responsabilità che la nuova situazione comporta. A volte capita che le famiglie d’origine interferiscano con le scelte dei neo-genitori rispetto al neonato. Oppure potrebbe avvenire che un partner, ancora molto dipendente dalla propria famiglia d’origine, ricerchi eccessivamente la presenza e il sostegno dei genitori.

Nessun evento in sé,  dovrebbe essere considerato “critico” per lo sviluppo della famiglia, ma diventa rilevante sulla base di come viene percepito e dal significato ad esso attribuito, che è in gran parte correlato al carattere ed alle esperienze personali di tutti i componenti della famiglia.  Un bambino con disabilità, suo malgrado, mette tutti davanti a nuove problematiche, per chi accetta la sfida esso può rappresentare un motivo  di soddisfazioni e di traguardi da condividere.

Ma non è per tutti così,  alcuni  genitori possono vivere  questa situazione come un “lutto” dal quale fuggire in vari modi. Tutti i sogni e progetti sulla vita “normale” vanno in pezzi e vi è la necessità di elaborare la nuova situazione dopo la diagnosi, c’è chi non ce la fa dall’inizio e chi, dopo anni, tira fuori tutto il suo dolore.

In questo uragano di emozioni e reazioni non è raro che, la negazione ed il senso di colpa, siano qualcosa di insito ed atavico in molte famiglie. Esso può essere spesso legato a comportamenti o fatti che si apprendono all’improvviso, che non si possono narrare e che non tutti hanno metabolizzato. Ciò è comune a tante famiglie e in alcuni casi non è connesso  dalla presenza  di un famigliare con disabilità. Va però considerato che la disabilità può rappresentare un ottimo elemento per  sentirsi sbagliati: non siamo o non abbiamo il figlio normale che tutti desiderano.

Bicknell ha tentato di delineare le fasi attraverso le quali si arriva all’elaborazione del “lutto”/diagnosi:

  1. fase di shock e dolore
  2. senso di colpa e rabbia
  3. accettazione della condizione ed elaborazione di un progetto di vita, tenendo conto che in presenza di un figlio con disabilità il lavoro di cura è molto più impegnativo e le emozioni possono essere confuse e contraddittorie.

In tale discorso poi, non è saggio sottovalutare l’aspetto dell’accudimento. Nel corso del tempo cambiano  i ruoli tra chi accudisce e chi viene accudito. In una dinamica “normale”  il figlio si prende cura del genitore che invecchia, ma possono esserci altri casi dove il figlio adulto e non completamente autosufficiente non riesce a farsi carico delle sofferenze, soprattutto psicologiche, del genitore perché si sente la “causa” dei mali della famiglia. Ammesso che non si siano interrotti i rapporti tra genitori e figli.

Le urgenze delle varie età, specialmente nel periodo della formazione, mettono da parte i meccanismi familiari in quanto prevale il bisogno di far emergere il proprio io, confrontarsi con il mondo esterno e con i coetanei. Raggiungendo poi la maturità bisogna fare i conti con le proprie radici. Ecco riemergere, La Storia Familiare con la sua potenza sia negli accadimenti positivi che in quelli negativi. A farne maggiormente le spese di una storia famigliare complessa sono i  figli che creano la causa dei maggiori conflitti o si ritrovano catapultati in dinamiche già esistenti o che non hanno causato volontariamente e che sono fiammelle sulle quali, non si sa perché, soffia spesso il vento anziché cadere la pioggia.

Tal volta fra diverse generazioni si accumula un dolore sommerso che sfocia in rabbia, gelosie, sensi di colpa e d’inadeguatezza, facendo “scoppiare“ le famiglie. Soprattutto c’è un sentimento che può rendere tutti simili ai disabili, ma non uguali per dati oggettivi, questo è il senso di inadeguatezza. Quando il sentirsi in colpa nasce dall’inconscio, dalla confusione interiore che impedisce di discernere la verità, dalle calunnie di diverse persone, i sentimenti dalla ragione, il senso di colpa,  la rabbia, i dubbi… tutti questi elementi possono  diventare i nostri peggiori nemici.

La complessità è una caratteristica imprescindibile e non eliminabile delle tematiche connesse alla disabilità in generale e alla sua comunicazione in particolare. Dopo la diagnosi, le famiglie non possono semplicemente  “fare un salto indietro” e tornare alla solita vecchia vita, ma dovrebbero fare “uno scatto in avanti” per passare attraverso un territorio nuovo. Per non sprofondare nella solitudine,  nei sensi di colpa e nella rabbia che con il tempo o si superano o ci sovrastano. Sarebbe estremamente importante, fornire a tutto il nucleo famigliare un appropriato supporto psicologico che li aiuti ad affrontare e ridurre i vissuti negativi: la depressione, la frustrazione e, tal volta, la vergogna.

Gli obiettivi fondamentali dovrebbero includere i seguenti punti:

  1. Ridurre l’impatto stressante dell’esperienza della disabilità sulla famiglia;
  2. Far percepire i punti di forza e le potenzialità della situazione e di ogni membro della famiglia per poi focalizzarsi su delle aspettative realistiche;
  3. Offrire dei collegamenti con quei servizi territoriali deputati al sostegno e all’integrazione delle funzioni e degli sforzi dell’assistenza familiare.

Quando la disabilità colpisce un membro di una famiglia, sarebbe auspicabile occuparsi per tempo dell’intero sistema familiare per evitare conseguenze negative che, talvolta creano un effetto domino difficile da gestire e disinnescare. Va anche detto che non bisognerebbe avere paura delle reazioni negative e di chiedere aiuto per tempo, prima che sia troppo tardi per affrontare con energia i vari problemi di tutta la famiglia.

“Ci ritroviamo in certe situazioni per costruire il nostro personaggio, non per distruggere noi stessi.” Nick Vujicic

Purtroppo non sempre si è disposti a lavorare su noi stessi o chiedere aiuto. Talvolta è più facile chiudersi nel proprio dolore e rancore per poi scaricarlo sugli altri, o compiere atti privi di logica e tal volta autolesionistici.

Le voci messe in giro di un possibile evento traumatico, accaduto anni prima di una nascita complicata ed accidentata non tornano e non fanno altro che alimentare dubbi, rabbia e frustrazione. La volontà di non pensarci molte volte è del tutto inefficace.  Le verità sulle cause della disabilità e  altri accadimenti traumatici  andrebbero spiegati una volta sola quando il bambino non è molto grande di modo che sia più semplice farsene una ragione o conviverci in modo decente.

Un mio caro amico con una lieve disabilità motoria mi ha raccontato che la sua psicologa gli ha spiegato che i suoi traguardi ed ambizioni dell’età adulta non erano condivisi dai genitori, ciò è dato dal fatto che quando era piccolo l’ambizione più grande era che lui camminasse e studiasse, assolte queste situazioni (che per noi rappresentano un vissuto di sacrifici notevoli) le ambizioni dei genitori sono cessate. Nell’età adulta sia lui che io, abbiamo fatto delle scelte che ci hanno portato a vivere ogni giorno tanti traguardi, in questo modo i sacrifici fatti cominciano ad avere un senso.

Talvolta sembra che la disabilità crea traumi e spaccature in tutta la famiglia, ma non si pensa che gli altri non devono fare continuamente i conti con i limiti che un corpo “disubbidiente” ti impone e ti ricorda in modo costante.

Sarebbe bello potersi staccare dalla narrazione della mia nascita, che ha causato  traumi, abbandoni e pettegolezzi non indifferenti, per essere tutti uniti e concentrati sui lati positivi di tanti traguardi e conquiste, ma questo finale mi sembra troppo fiabesco e i colpi di scena sulla storia famigliare e le cause di un parto che non è andato come doveva escono fuori sempre quando meno te lo aspetti.

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La Comunicazione Aumentativa Alternativa, uno strumento di dialogo, apprendimento ed integrazione

La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (detta anche CAA) è un insieme di conoscenze, strategie e tecnologie che hanno lo scopo di migliorare ed incrementare le capacità comunicative di coloro che hanno difficoltà, temporanee o permanenti, nell’utilizzo del linguaggio orale e scritto. L’uso dei gesti, simboli, immagini e ausili tecnologici, consentono alla persona con difficoltà, di sperimentare un modo di comunicare comprensibile a tutti, così da non dipendere costantemente dai famigliari, altrimenti chiamati a tradurre bisogni e pensieri.

L’insieme di strategie della Comunicazione Aumentativa Alternativa hanno anche l’obiettivo di potenziare il linguaggio verbale.

Questo tipo di comunicazione viene definita Aumentativa in quanto non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni). Viene definita Alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche diverse dal linguaggio parlato.

Tale approccio ha come obiettivo la creazione di opportunità di reale comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; pertanto dev’essere flessibile e su misura della persona stessa.

La nascita  della CAA

I primi semi per il futuro della CAA sono stati gettati negli anni ‘50.  Michael Williams, persona con complessi bisogni comunicativi, racconta che nei suoi primi anni comunicava con suoni comprensibili solo ai suoi genitori.

In seguito, per farsi comprendere anche da persone esterne all’ambiente familiare, tracciava dei gesti nell’aria come per scrivere parole. Fino a quando un collega stanco di vederlo gesticolare nell’aria, gli portò una tabella alfabetica, tabella che diede inizio per lui ad una nuova vita.

Tra gli anni ‘50 e ‘70 il progresso delle cure mediche e riabilitative portò ad un aumento di casi di bambini sopravvissuti a nascite premature e di adulti sopravvissuti a ictus, traumi, malattie. Per molti di loro residuavano come postumi, situazioni di grave disabilità motoria e impossibilità a comunicare attraverso il linguaggio orale. Pochi riabilitatori, andando contro corrente, iniziarono a suggerire modi aumentativi per favorire la comunicazione e iniziarono a diffondere i risultati di queste esperienze.

Tra il 1960 e il 1970 si iniziò a non nascondere più la disabilità. John Kennedy e altri personaggi famosi iniziarono a rendere noto che avevano parenti con deficit comunicativi, ciò portò ad una prima iniziale accettazione della disabilità e, quindi, di modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. Le comunità di sordi anticiparono questo processo di legittimazione di un linguaggio alternativo, esigendo il diritto di essere educati utilizzando il linguaggio dei segni.

All’ospedale universitario di Jowa City dal 1964 al 1974 venne condotto un primo programma di C.A.A. rivolto a bambini con Paralisi Cerebrale Infantile. Nel frattempo si sviluppava anche l’idea che la tecnologia potesse aggirare la disabilità comunicativa e venivano usate per la comunicazione macchine da scrivere adattate.

Negli anni ’80, la C.A.A. si diffonde maggiormente in seguito alla nascita dell’Associazione Internazionale di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (ISAAC, associazione composta da professionisti, utenti e familiari).

Gli sviluppi e i destinatari

Dopo le paralisi celebrali infantili, la C.A.A. venne usata anche per persone con ritardo mentale grave e ad altre tipologie di disabilità con disturbi della comunicazione associati, ed ai gravi disturbi di comprensione del linguaggio. Nella CAA non esistono soluzioni universali adatte ad ogni soggetto. Al contrario, per ogni persona è necessario creare un intervento ad hoc: ogni strumento va scelto in base alle caratteristiche del paziente e al momento particolare della sua vita in cui viene richiesto, e quindi lo stesso va migliorato, adattato o aggiustato secondo necessità, oltre ad essere personalizzato per la persona stessa.

Con la C.A.A. il bambino viene stimolato a progredire nella sua evoluzione linguistica, poiché sarà in grado di costruire una frase anche se non riesce ad esprimerla verbalmente. Non ci sono prerequisiti minimi necessari nel bambino, non c’è un livello cognitivo minimo, o di gravità, o di età al di sotto del quale è sconsigliato iniziare.

I molteplici vantaggi della Comunicazione Aumentativa Alternativa

  •  La C.A.A. ha l’obiettivo di mettere ogni persona con bisogni comunicativi complessi nelle condizioni di poter effettuare delle scelte, esprimere un rifiuto, un consenso, raccontare, esprimere i propri stati d’animo. Comunicare significa anche influenzare il proprio ambiente e diventare protagonista della propria vita.
  •  La C.A.A. non si fonda sull’esercizio, ma su esperienze di reali comunicazioni offerte alla persona con bisogni comunicativi complessi.
  •  La C.A.A. può essere uno strumento efficace per memorizzare un testo. Associando delle immagini ai vari concetti, si facilita l’apprendimento.

Da tenere presente

  •  E’ importante, per una buona riuscita del progetto di C.A.A., la partecipazione alle sedute dei partner comunicativi e di frequenti momenti di confronto con gli operatori di riferimento.
  •  I sistemi di C.A.A. sono efficaci se, oltre a essere accompagnati da un training rivolto alla persona con bisogni comunicativi complessi, sono condivisi e supportati dalla maggioranza delle persone che fanno parte dei contesti maggiormente frequentati, al fine di evitare una “separazione” tra i vari ambienti di vita.

Le tabelle di comunicazione

Tra gli strumenti più conosciuti della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, ci sono le tabelle di comunicazione. Con questo strumento la persona indica (adoperando le modalità che la compromissione rende possibili) i simboli contenuti nella tabella.

Le tabelle di comunicazione vengono costruite valutando un insieme di aspetti simultaneamente, come ad esempio: la selezione del vocabolario e gli aspetti fisici e sensoriali della persona con bisogni comunicativi complessi.

I diversi messaggi contenuti nella tabella possono essere rappresentati in modi diversi: oggetti concreti, miniature di oggetti, simboli grafici (fotografie, disegni), lettere o parole.

Quando si può iniziare

In Italia la C.A.A. viene impiegata prevalentemente in età evolutiva, mentre nei paesi di più lunga tradizione viene adottata anche con adulti ed anziani.

Con i bambini disabili, l’inizio precoce di interventi di C.A.A. può contribuire a prevenire un ulteriore impoverimento comunicativo, simbolico, cognitivo e la comparsa di disturbi del comportamento, altrimenti molto diffusi proprio come strategia di richiesta di attenzioni. Per questo è consigliabile un primo approccio con la C.A.A. in età prescolare e scolare.

La CAA in classe, un metodo per l’inclusione scolastica

La Comunicazione Aumentativa Alternativa è quindi un approccio molto utile non solo per le persone con problemi a esprimersi e comunicare nei canali classici (scritto e orale), ma anche per il mondo della scuola e per l’educazione in generale. In questo senso, come spiega Giorgia Terry Sbernini, educatrice esperta in CAA e nei processi d’apprendimento, “negli ultimi anni si è visto che il metodo simbolico è uno strumento inclusivo per tutto il gruppo classe, non solo per le persone con disabilità. Infatti, la simbologia della CAA è un sistema molto più immediato di quello verbale, per questo utilizzarla in classe permette a tutti di tenere lo stesso passo.”

In termini pratici, l’approccio della CAA consente di includere nel contesto classe il minore con disabilità, ma anche l’alunno con difficoltà di apprendimento e memorizzazione, lo studente straniero che deve imparare la lingua e, in generale, chi va un po’ più piano. Ultimamente la Comunicazione Alternativa Aumentativa viene inoltre utilizzata anche per il deficit di attenzione (ADHD). “La CAA – spiega ancora Giorgia Bernini – permette infatti un tempo di attenzione più ampio. Grazie all’utilizzo della simbologia, il bambino riesce a mantenere di più la concentrazione”.

Gli strumenti utilizzati dalla CAA, il sistema di scrittura in simboli o immagini, ma anche le tabelle di comunicazione, i libri personalizzati ed i programmi informatici, possono favorire una didattica più inclusiva per tutto il gruppo classe.

Le potenzialità della Comunicazione Aumentativa Alternativa nella didattica, sono in parte ancora da esplorare e la scuola italiana ha senz’altro tantissimo da guadagnarci, in termini di innovazione, efficacia e inclusività. Sarebbe quindi auspicabile una maggior formazione dei docenti, superando un approccio che ne limita l’intervento solamente ad alcuni ambiti specifici.

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