Famiglie e sensi di colpa: non tutto è imputabile alla disabilità…

“Il ciclo di vita della famiglia è caratterizzato da una serie di eventi più o meno critici che possono essere causati da diversi fattori, come l’ingresso o l’uscita di alcuni componenti della famiglia, problemi psicosociali legati allo sviluppo dei bambini o semplicemente eventi particolari legati alla vita della coppia” (Gambini, 2007). Quando nasce un bambino con disabilità avviene un vero e proprio terremoto nella famiglia. All’improvviso, si devono ristabilire ruoli e competenze rispetto alle famiglie di origine.

Per i genitori la nascita del primo figlio rappresenta una vera e propria rivoluzione.  Da figli diventano (anche) genitori e, da questo momento in poi, sono tenuti ad assumere l’autorevolezza e le responsabilità che la nuova situazione comporta. A volte capita che le famiglie d’origine interferiscano con le scelte dei neo-genitori rispetto al neonato. Oppure potrebbe avvenire che un partner, ancora molto dipendente dalla propria famiglia d’origine, ricerchi eccessivamente la presenza e il sostegno dei genitori.

Nessun evento in sé,  dovrebbe essere considerato “critico” per lo sviluppo della famiglia, ma diventa rilevante sulla base di come viene percepito e dal significato ad esso attribuito, che è in gran parte correlato al carattere ed alle esperienze personali di tutti i componenti della famiglia.  Un bambino con disabilità, suo malgrado, mette tutti davanti a nuove problematiche, per chi accetta la sfida esso può rappresentare un motivo  di soddisfazioni e di traguardi da condividere.

Ma non è per tutti così,  alcuni  genitori possono vivere  questa situazione come un “lutto” dal quale fuggire in vari modi. Tutti i sogni e progetti sulla vita “normale” vanno in pezzi e vi è la necessità di elaborare la nuova situazione dopo la diagnosi, c’è chi non ce la fa dall’inizio e chi, dopo anni, tira fuori tutto il suo dolore.

In questo uragano di emozioni e reazioni non è raro che, la negazione ed il senso di colpa, siano qualcosa di insito ed atavico in molte famiglie. Esso può essere spesso legato a comportamenti o fatti che si apprendono all’improvviso, che non si possono narrare e che non tutti hanno metabolizzato. Ciò è comune a tante famiglie e in alcuni casi non è connesso  dalla presenza  di un famigliare con disabilità. Va però considerato che la disabilità può rappresentare un ottimo elemento per  sentirsi sbagliati: non siamo o non abbiamo il figlio normale che tutti desiderano.

Bicknell ha tentato di delineare le fasi attraverso le quali si arriva all’elaborazione del “lutto”/diagnosi:

  1. fase di shock e dolore
  2. senso di colpa e rabbia
  3. accettazione della condizione ed elaborazione di un progetto di vita, tenendo conto che in presenza di un figlio con disabilità il lavoro di cura è molto più impegnativo e le emozioni possono essere confuse e contraddittorie.

In tale discorso poi, non è saggio sottovalutare l’aspetto dell’accudimento. Nel corso del tempo cambiano  i ruoli tra chi accudisce e chi viene accudito. In una dinamica “normale”  il figlio si prende cura del genitore che invecchia, ma possono esserci altri casi dove il figlio adulto e non completamente autosufficiente non riesce a farsi carico delle sofferenze, soprattutto psicologiche, del genitore perché si sente la “causa” dei mali della famiglia. Ammesso che non si siano interrotti i rapporti tra genitori e figli.

Le urgenze delle varie età, specialmente nel periodo della formazione, mettono da parte i meccanismi familiari in quanto prevale il bisogno di far emergere il proprio io, confrontarsi con il mondo esterno e con i coetanei. Raggiungendo poi la maturità bisogna fare i conti con le proprie radici. Ecco riemergere, La Storia Familiare con la sua potenza sia negli accadimenti positivi che in quelli negativi. A farne maggiormente le spese di una storia famigliare complessa sono i  figli che creano la causa dei maggiori conflitti o si ritrovano catapultati in dinamiche già esistenti o che non hanno causato volontariamente e che sono fiammelle sulle quali, non si sa perché, soffia spesso il vento anziché cadere la pioggia.

Tal volta fra diverse generazioni si accumula un dolore sommerso che sfocia in rabbia, gelosie, sensi di colpa e d’inadeguatezza, facendo “scoppiare“ le famiglie. Soprattutto c’è un sentimento che può rendere tutti simili ai disabili, ma non uguali per dati oggettivi, questo è il senso di inadeguatezza. Quando il sentirsi in colpa nasce dall’inconscio, dalla confusione interiore che impedisce di discernere la verità, dalle calunnie di diverse persone, i sentimenti dalla ragione, il senso di colpa,  la rabbia, i dubbi… tutti questi elementi possono  diventare i nostri peggiori nemici.

La complessità è una caratteristica imprescindibile e non eliminabile delle tematiche connesse alla disabilità in generale e alla sua comunicazione in particolare. Dopo la diagnosi, le famiglie non possono semplicemente  “fare un salto indietro” e tornare alla solita vecchia vita, ma dovrebbero fare “uno scatto in avanti” per passare attraverso un territorio nuovo. Per non sprofondare nella solitudine,  nei sensi di colpa e nella rabbia che con il tempo o si superano o ci sovrastano. Sarebbe estremamente importante, fornire a tutto il nucleo famigliare un appropriato supporto psicologico che li aiuti ad affrontare e ridurre i vissuti negativi: la depressione, la frustrazione e, tal volta, la vergogna.

Gli obiettivi fondamentali dovrebbero includere i seguenti punti:

  1. Ridurre l’impatto stressante dell’esperienza della disabilità sulla famiglia;
  2. Far percepire i punti di forza e le potenzialità della situazione e di ogni membro della famiglia per poi focalizzarsi su delle aspettative realistiche;
  3. Offrire dei collegamenti con quei servizi territoriali deputati al sostegno e all’integrazione delle funzioni e degli sforzi dell’assistenza familiare.

Quando la disabilità colpisce un membro di una famiglia, sarebbe auspicabile occuparsi per tempo dell’intero sistema familiare per evitare conseguenze negative che, talvolta creano un effetto domino difficile da gestire e disinnescare. Va anche detto che non bisognerebbe avere paura delle reazioni negative e di chiedere aiuto per tempo, prima che sia troppo tardi per affrontare con energia i vari problemi di tutta la famiglia.

“Ci ritroviamo in certe situazioni per costruire il nostro personaggio, non per distruggere noi stessi.” Nick Vujicic

Purtroppo non sempre si è disposti a lavorare su noi stessi o chiedere aiuto. Talvolta è più facile chiudersi nel proprio dolore e rancore per poi scaricarlo sugli altri, o compiere atti privi di logica e tal volta autolesionistici.

Le voci messe in giro di un possibile evento traumatico, accaduto anni prima di una nascita complicata ed accidentata non tornano e non fanno altro che alimentare dubbi, rabbia e frustrazione. La volontà di non pensarci molte volte è del tutto inefficace.  Le verità sulle cause della disabilità e  altri accadimenti traumatici  andrebbero spiegati una volta sola quando il bambino non è molto grande di modo che sia più semplice farsene una ragione o conviverci in modo decente.

Un mio caro amico con una lieve disabilità motoria mi ha raccontato che la sua psicologa gli ha spiegato che i suoi traguardi ed ambizioni dell’età adulta non erano condivisi dai genitori, ciò è dato dal fatto che quando era piccolo l’ambizione più grande era che lui camminasse e studiasse, assolte queste situazioni (che per noi rappresentano un vissuto di sacrifici notevoli) le ambizioni dei genitori sono cessate. Nell’età adulta sia lui che io, abbiamo fatto delle scelte che ci hanno portato a vivere ogni giorno tanti traguardi, in questo modo i sacrifici fatti cominciano ad avere un senso.

Talvolta sembra che la disabilità crea traumi e spaccature in tutta la famiglia, ma non si pensa che gli altri non devono fare continuamente i conti con i limiti che un corpo “disubbidiente” ti impone e ti ricorda in modo costante.

Sarebbe bello potersi staccare dalla narrazione della mia nascita, che ha causato  traumi, abbandoni e pettegolezzi non indifferenti, per essere tutti uniti e concentrati sui lati positivi di tanti traguardi e conquiste, ma questo finale mi sembra troppo fiabesco e i colpi di scena sulla storia famigliare e le cause di un parto che non è andato come doveva escono fuori sempre quando meno te lo aspetti.

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La Comunicazione Aumentativa Alternativa, uno strumento di dialogo, apprendimento ed integrazione

La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (detta anche CAA) è un insieme di conoscenze, strategie e tecnologie che hanno lo scopo di migliorare ed incrementare le capacità comunicative di coloro che hanno difficoltà, temporanee o permanenti, nell’utilizzo del linguaggio orale e scritto. L’uso dei gesti, simboli, immagini e ausili tecnologici, consentono alla persona con difficoltà, di sperimentare un modo di comunicare comprensibile a tutti, così da non dipendere costantemente dai famigliari, altrimenti chiamati a tradurre bisogni e pensieri.

L’insieme di strategie della Comunicazione Aumentativa Alternativa hanno anche l’obiettivo di potenziare il linguaggio verbale.

Questo tipo di comunicazione viene definita Aumentativa in quanto non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni). Viene definita Alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche diverse dal linguaggio parlato.

Tale approccio ha come obiettivo la creazione di opportunità di reale comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; pertanto dev’essere flessibile e su misura della persona stessa.

La nascita  della CAA

I primi semi per il futuro della CAA sono stati gettati negli anni ‘50.  Michael Williams, persona con complessi bisogni comunicativi, racconta che nei suoi primi anni comunicava con suoni comprensibili solo ai suoi genitori.

In seguito, per farsi comprendere anche da persone esterne all’ambiente familiare, tracciava dei gesti nell’aria come per scrivere parole. Fino a quando un collega stanco di vederlo gesticolare nell’aria, gli portò una tabella alfabetica, tabella che diede inizio per lui ad una nuova vita.

Tra gli anni ‘50 e ‘70 il progresso delle cure mediche e riabilitative portò ad un aumento di casi di bambini sopravvissuti a nascite premature e di adulti sopravvissuti a ictus, traumi, malattie. Per molti di loro residuavano come postumi, situazioni di grave disabilità motoria e impossibilità a comunicare attraverso il linguaggio orale. Pochi riabilitatori, andando contro corrente, iniziarono a suggerire modi aumentativi per favorire la comunicazione e iniziarono a diffondere i risultati di queste esperienze.

Tra il 1960 e il 1970 si iniziò a non nascondere più la disabilità. John Kennedy e altri personaggi famosi iniziarono a rendere noto che avevano parenti con deficit comunicativi, ciò portò ad una prima iniziale accettazione della disabilità e, quindi, di modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. Le comunità di sordi anticiparono questo processo di legittimazione di un linguaggio alternativo, esigendo il diritto di essere educati utilizzando il linguaggio dei segni.

All’ospedale universitario di Jowa City dal 1964 al 1974 venne condotto un primo programma di C.A.A. rivolto a bambini con Paralisi Cerebrale Infantile. Nel frattempo si sviluppava anche l’idea che la tecnologia potesse aggirare la disabilità comunicativa e venivano usate per la comunicazione macchine da scrivere adattate.

Negli anni ’80, la C.A.A. si diffonde maggiormente in seguito alla nascita dell’Associazione Internazionale di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (ISAAC, associazione composta da professionisti, utenti e familiari).

Gli sviluppi e i destinatari

Dopo le paralisi celebrali infantili, la C.A.A. venne usata anche per persone con ritardo mentale grave e ad altre tipologie di disabilità con disturbi della comunicazione associati, ed ai gravi disturbi di comprensione del linguaggio. Nella CAA non esistono soluzioni universali adatte ad ogni soggetto. Al contrario, per ogni persona è necessario creare un intervento ad hoc: ogni strumento va scelto in base alle caratteristiche del paziente e al momento particolare della sua vita in cui viene richiesto, e quindi lo stesso va migliorato, adattato o aggiustato secondo necessità, oltre ad essere personalizzato per la persona stessa.

Con la C.A.A. il bambino viene stimolato a progredire nella sua evoluzione linguistica, poiché sarà in grado di costruire una frase anche se non riesce ad esprimerla verbalmente. Non ci sono prerequisiti minimi necessari nel bambino, non c’è un livello cognitivo minimo, o di gravità, o di età al di sotto del quale è sconsigliato iniziare.

I molteplici vantaggi della Comunicazione Aumentativa Alternativa

  •  La C.A.A. ha l’obiettivo di mettere ogni persona con bisogni comunicativi complessi nelle condizioni di poter effettuare delle scelte, esprimere un rifiuto, un consenso, raccontare, esprimere i propri stati d’animo. Comunicare significa anche influenzare il proprio ambiente e diventare protagonista della propria vita.
  •  La C.A.A. non si fonda sull’esercizio, ma su esperienze di reali comunicazioni offerte alla persona con bisogni comunicativi complessi.
  •  La C.A.A. può essere uno strumento efficace per memorizzare un testo. Associando delle immagini ai vari concetti, si facilita l’apprendimento.

Da tenere presente

  •  E’ importante, per una buona riuscita del progetto di C.A.A., la partecipazione alle sedute dei partner comunicativi e di frequenti momenti di confronto con gli operatori di riferimento.
  •  I sistemi di C.A.A. sono efficaci se, oltre a essere accompagnati da un training rivolto alla persona con bisogni comunicativi complessi, sono condivisi e supportati dalla maggioranza delle persone che fanno parte dei contesti maggiormente frequentati, al fine di evitare una “separazione” tra i vari ambienti di vita.

Le tabelle di comunicazione

Tra gli strumenti più conosciuti della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, ci sono le tabelle di comunicazione. Con questo strumento la persona indica (adoperando le modalità che la compromissione rende possibili) i simboli contenuti nella tabella.

Le tabelle di comunicazione vengono costruite valutando un insieme di aspetti simultaneamente, come ad esempio: la selezione del vocabolario e gli aspetti fisici e sensoriali della persona con bisogni comunicativi complessi.

I diversi messaggi contenuti nella tabella possono essere rappresentati in modi diversi: oggetti concreti, miniature di oggetti, simboli grafici (fotografie, disegni), lettere o parole.

Quando si può iniziare

In Italia la C.A.A. viene impiegata prevalentemente in età evolutiva, mentre nei paesi di più lunga tradizione viene adottata anche con adulti ed anziani.

Con i bambini disabili, l’inizio precoce di interventi di C.A.A. può contribuire a prevenire un ulteriore impoverimento comunicativo, simbolico, cognitivo e la comparsa di disturbi del comportamento, altrimenti molto diffusi proprio come strategia di richiesta di attenzioni. Per questo è consigliabile un primo approccio con la C.A.A. in età prescolare e scolare.

La CAA in classe, un metodo per l’inclusione scolastica

La Comunicazione Aumentativa Alternativa è quindi un approccio molto utile non solo per le persone con problemi a esprimersi e comunicare nei canali classici (scritto e orale), ma anche per il mondo della scuola e per l’educazione in generale. In questo senso, come spiega Giorgia Terry Sbernini, educatrice esperta in CAA e nei processi d’apprendimento, “negli ultimi anni si è visto che il metodo simbolico è uno strumento inclusivo per tutto il gruppo classe, non solo per le persone con disabilità. Infatti, la simbologia della CAA è un sistema molto più immediato di quello verbale, per questo utilizzarla in classe permette a tutti di tenere lo stesso passo.”

In termini pratici, l’approccio della CAA consente di includere nel contesto classe il minore con disabilità, ma anche l’alunno con difficoltà di apprendimento e memorizzazione, lo studente straniero che deve imparare la lingua e, in generale, chi va un po’ più piano. Ultimamente la Comunicazione Alternativa Aumentativa viene inoltre utilizzata anche per il deficit di attenzione (ADHD). “La CAA – spiega ancora Giorgia Bernini – permette infatti un tempo di attenzione più ampio. Grazie all’utilizzo della simbologia, il bambino riesce a mantenere di più la concentrazione”.

Gli strumenti utilizzati dalla CAA, il sistema di scrittura in simboli o immagini, ma anche le tabelle di comunicazione, i libri personalizzati ed i programmi informatici, possono favorire una didattica più inclusiva per tutto il gruppo classe.

Le potenzialità della Comunicazione Aumentativa Alternativa nella didattica, sono in parte ancora da esplorare e la scuola italiana ha senz’altro tantissimo da guadagnarci, in termini di innovazione, efficacia e inclusività. Sarebbe quindi auspicabile una maggior formazione dei docenti, superando un approccio che ne limita l’intervento solamente ad alcuni ambiti specifici.

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Vita indipendente e buona assistenza: una strada tortuosa ma non impossibile

Il termine disabilità è ancora presente nell’immaginario collettivo come qualcosa strettamente collegato a una visione negativa, ma questa idea sta cambiando, portando a una nuova visione che pone attenzione alla figura del disabile come soggetto, individuo e persona che ha una serie di attitudini e particolarità che non dovrebbero essere nascoste ma impiegate a favore della società.

 Nonostante negli ultimi decenni si sia sviluppata più attenzione, ci siano più diritti e più leggi, sia cambiato il linguaggio; molto spesso noi persone con disabilità ci troviamo a fare i conti con infiniti modi nei quali gli altri ci vedono. Purtroppo l’atteggiamento di molti, ci può indurre ogni volta, a ridiscutere il modo nel quale noi stessi  ci percepiamo. Quante volte chi ci vuole bene ci vede pienamente in grado di gestire tutti gli aspetti della vita, ma poi tal volta capita che problemi ordinari ci angosciano e ci fanno sentire inetti. O al contrario: a volte il senso di protezione di molte famiglie impedisce, alla persona con disabilità, di sviluppare le sue capacità e di realizzarsi.

In vari casi, il sentirsi inadeguati ad un compito o al rapportarsi con l’altro diverso da noi,  non riguarda solo la persona normodotata nei confronti di una persona con disabilità. A quanti è capitato di sentirsi dire o pensare: “è più disabile di me, non me la sento di frequentarlo/a”. Nei casi peggiori, talvolta sono i genitori o i famigliari che non accettano la disabilità e fuggono lontani.

Non penso sia facile per nessuno raggiungere una vita autonoma e che sia soddisfacente su vari aspetti fondamentali quali: una buona formazione, un lavoro adeguato alla preparazione che tenga presente anche i limiti della persona, coltivare le proprie passioni e crearsi delle ricche relazioni interpersonali. Ma c’è comunque differenza tra l’essere una persona “normale/normodotata” con tante potenzialità o partire con un deficit che può essere più o meno grave e complesso, al livello fisico, sensoriale, cognitivo.

Anche se si hanno molte potenzialità, non è facile accettare e misurarsi continuamente con corpo che ti limita in ciò che vorresti fare e ti rende, tuo malgrado, dipendente da qualcun altro nella vita quotidiana. C’è anche da mettersi nei panni di chi tutti i giorni, si occupa di una persona non pienamente autosufficiente. Di certo non è un compito facile. Sia che si tratti di un famigliare che di una persona esterna.

Purtroppo la disabilità di un figlio o famigliare, involontariamente ricorda un evento traumatico, molti genitori non vogliono o non ce la fanno a dedicarsi al figlio. In altri casi l’età avanzata e gli scarsi aiuti esasperano la situazione. Spesso, accudire una persona non completamente autosufficiente,  aiutarla ad avere una vita piena, sono mansioni che richiedono sforzi  fisici e mentali. C’è chi fa tutto questo con amore e dedizione e chi no.

C’è anche da tener presente che, a volte,  un badante ha la sua storia: magari il suo livello socioculturale non gli hanno permesso di trovare altri impieghi. Può non essere più giovane quindi sopraggiunge la stanchezza. Tutto ciò può portare  al rischio di burnout. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), “il burnout è una sindrome derivante da stress cronico associato al contesto lavorativo, che non riesce ad essere ben gestito”. Il termine viene spesso usato per chi è a contatto con anziani e disabili e non in altri tipi di lavori: non sono lavori adatti a chiunque.

Un altro problema legato alla cura della persona con disabilità è che non sempre è possibile emanciparsi dalla famiglia. In molti casi le varie situazioni personali e famigliari non permettono di poter scegliere come vivere e soprattutto con chi. Ciò detto vale soprattutto quando la disabilità non è lieve e quindi si necessita di aiuti nelle azioni della routine giornaliera. Servirebbero più supporti  e tutele per crearsi una vita indipendente e per non temere, una volta rimasti soli, di ritrovarsi  in realtà che non si sono scelte e sono molto diverse dalla casa dove la persona è cresciuta.

Vediamo qualche esempio virtuoso. Una soluzione che si sta creando in varie regioni, soprattutto al nord,  è il cohousing. Si tratta di piccole realtà abitative dove c’è un rapporto bilanciato tra assistenti ed assistiti. Il cohousing per persone con disabilità può essere inteso in modi diversi. Ad esempio come una convivenza tra persone adulte già inserite nel mondo del lavoro e autonome; oppure come un percorso verso un’adultizzazione consapevole per ragazzi e studenti; o ancora come un nuovo stile di vita per le famiglie con componenti disabili che mettono insieme le forze per una quotidianità più sostenibile.

Un altro esempio   positivo,  è quello di Elena Rasia, una ragazza della provincia di Bologna che si è trasferita in città per inseguire i suoi sogni: primo fra tutti, vivere una vita in indipendenza, senza che siano gli altri a decidere per lei nonostante la disabilità. Da un anno divide un appartamento con Margherita Pisani, coinquilina gratuitamente, che dà in cambio una mano tra le mura domestiche. Fra le due è nata una grandissima amicizia, oltre a  Indi Mates: un progetto sociale di scambio alla pari e coinquilinaggio sperimentale che chiunque può realizzare con l’obiettivo dell’indipendenza. “Se non avessi agito d’anticipo, un giorno i servizi mi avrebbero portata in qualche struttura, in qualche gruppo appartamento. Invece, per fortuna, ho voluto lavorare sulla mia autonomia prima che fosse tardi. E la fortuna ha voluto che trovassi, oltre che una coinquilina, un’amica”. L’affermazione di Elena dice tutto.

Anch’io come Elena ho potuto scegliere una vita indipendente e sono riuscita a vivere da sola (con un aiuto in casa) dall’età di ventuno anni. Per questo mi sento molto fortunata. Le mie esperienze personali nell’ambito di chi riceve assistenza e cura da persone al di fuori dei familiari mi portano a pensare che è abbastanza semplice trovarsi bene tra coetanee con interessi in comune. Non sono pochi i fine settimana, i viaggi e le vacanze dei quali, sia io che la persona che mi accompagnava abbiamo un bel ricordo. Cosa diversa è Con-Dividere la vita di tutti i giorni e non farsi sopraffare dal carico che, ogni persona, (assistito ed assistente) porta con se. Anche i rapporti più lunghi possono diventare di dipendenza e si possono usurare per colpa di entrambe le persone. È importante riuscire a rispettare le esigenze di vita e la privacy di chi assiste e di chi viene assistito.

Ci vuole saggezza e buona volontà per evitare che un rapporto si logori e che il burnout prenda il sopravvento. Alle famiglie mi sento di suggerire che è importante lavorare, fin da quando il bambino è molto piccolo, sulle capacità residue per valorizzare al massimo la persona. Ci vorrebbero altresì più aiuti e sostegni per pesare di meno sui famigliari e per crearsi una vita piena e soddisfacente. Ciò detto andrebbe a beneficio di persone, famiglie ma anche sull’intera società. Ricordiamoci che la cultura e il livello di civiltà della società moderna dovrebbero essere valutati, anche, sulla qualità e quantità degli strumenti che vengono creati al fine di tutelare e di integrare le persone più deboli.

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Intervista a Zoe Rondini per Tv Odeon

 

I miei libri sono un buon inizio per parlare di tanti progetti che sono “Vivi” e Esistono grazie alla mia esigenza di narrarmi e narrare. “Perchè la vita riserva inaspettate soprese alle persone che, nonostante tutto… Nascono vive“.

 

 

 

 

 

 

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Zoe Rondini si racconta a Radio Roma Capitale

 

Ai microfoni di Radio Roma Capitale, fm 93, ho parlato di quanto la scrittura mi abbia aiutata a superare i momenti difficili della vita, diventando uno strumento di lavoro e di autodeterminazione.

Non mancano i progetti più importanti che hanno preso vita dopo la prima pubblicazione e un suggerimento alle famiglie con un bambino con bisogni speciali.

 

 

 

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La potenza del Serpente

“La Vita è e deve essere un festa. Una festa continua a cui siamo tutti invitati! Nessuno è escluso dall’incanto e dall’estasi del GRANDE GIOGO COSMICO DELLA VITA! La separazione tra sessualità e spiritualità ha generato piaceri effimeri e molta frustrazione, tristezza e rabbia, dopo millenni di separazione ci conviene tornare all’armonia e alla riconciliazione. Chi vive bene la sessualità si regala momenti felici”.

Queste parole di Giorgio Cerquetti, autore del testo “L’essenza del Tantra, fare l’Amore ed essere Amore mi fanno pensare al grande potenziale della concezione che il Tantra e l’Energia della Kundalini regala ad ognuno di noi. La Kundalini è l’energia vitale,  potente, è legata alla sessualità, all’innamoramento ed alla nostra creatività. Tale forza spesso rimane dormiente nell’area del primo chakra che porta il nome sanscrito di Muladhara, ovvero chakra della radice, dove affluisce la vita. Questo chakra ci collega alla terra, alle nostre basi,  al ramo materno e paterno. I testi tantrici definiscono con il termine kundalini, letteralmente “avvolta”, quell’energia che, in forma di serpente attorcigliato che giace addormentata alla base della colonna vertebrale.

Secondo la tradizione Kundalini Yoga, il corpo è attraversato da vari canali trasportatori di energia: i Nadi. Nei tre  Nadi principali chiamati Sushumna, Ida e Pingala scorre il Prana. Il Prana è la forza vitale presente in noi e nel mondo, connaturata al respiro. L’energia del Prana determina il corretto svolgimento di tutte le funzioni psicologiche ed emotive necessarie a mantenere un armonico equilibrio tra mente, corpo e spirito.

Cos’è il risveglio della Kundalini?

In parole povere, il risveglio della kundalini è una forma di risveglio energetico che ci fa trasformare a livello mentale, emotivo e spirituale.

La stessa Kundalini è una parola sanscrita che significa “colei che è avvolta” – si riferisce all’energia della forza vitale primordiale contenuta alla base della spina dorsale che è spesso raffigurata come un serpente. Questa energia serpentina, una volta risvegliata, viaggia su per i vari centri energetici (i chakra) del corpo fino al  chakra della corona dove vengono  attivate la coscienza e la creatività.

Nella tradizione indiana dei testi sacri tantrici, induisti e buddhisti, si fa riferimento alla kundalini come a quell’energia sessuale che ha in sé una grande potenza.

Il risveglio dell’energia della Kundalini può innescare reazioni molto potenti sul piano fisico, psicologico e spirituale. C’è chi sente una forte creatività e un’energia infinita e c’è chi invece è completamente privato di ogni energia.

Bisogna risvegliarla con consapevolezza essendo maestri di noi stessi. L’autore Ashley Thirleby nel suo libro “Tantra, un invito a vivere l’affettività, l’amore e l’erotismo in modo libero e completo”, ci insegna che: “diversamente a quanto avete sempre creduto, il piacere non è fine a se stesso ma vi farà provare una gioia molto intensa che vi consentirà di sviluppare tutte le vostre potenzialità utilizzando le grandi riserve di energia che avete liberato”.

La conoscenza della Kundalini in occidente 

La conoscenza in occidente della Kundalini si deve all’ orientalista britannico Sir John Woodroffe (15 dicembre 1865 – 1936), da molti fu denominato “il padre degli studi tantrci [2]”. La  pubblicazione più nota di Woodroffe s’ intitola “Il potere del serpente”, del 1919, scritto con lo pseudonimo di Arthur Avalon. In quest’opera letteraria è riportato tutto un insieme di insegnamenti tradizionali indù, specie quelli riguardanti l’anatomia e la fisiologia dell’organismo umano, tanto da fornire al lettore una visione completa e seria di tutta questa sapienza. Il suo lavoro ha contribuito a promuovere in Occidente un profondo interesse per la filosofia indù e le pratiche yoga. Sir John Woodroffe spiega anche che:

“l’attivarsi dell’energia della kundalini si basa in un risveglio dell’eros, inteso attraverso un amore intenso e profondo che trascende la sfera sessuale”.

La Kundalini  arrivò ad affascinare anche Carl Jung, psichiatra, psicoanalista che andò alla ricerca di paralleli tra questa energia latente e l’inconscio. Jung apprezzò molto il concetto di kundalini ritrovandoci diverse corrispondenze con le sue teorie: credeva infatti che il risveglio di questa energia potesse portare a essere completamente sommersi dalle forze dell’inconscio.

Gli strumenti per il risveglio

Per svegliare la Kundalini occorre un lungo processo meditativo e un costante e assiduo allenamento nelle posizioni dello Yoga. Non dimentichiamo che c’è anche il massaggio Kundalini è un insieme di tecniche che fanno parte della tradizione del Kundalini Yoga secondo gli insegnamenti di Yogi Bhajan. Il massaggio Kundalini permette di sperimentare la cura del contatto, di lavorare sul proprio vissuto emozionale collegato al corpo e sulla comunicazione non verbale.

Dyal Kaur, insegnante di Kundalini Yoga e Massaggio Kundalini da oltre venticinque anni, allieva di Yogi Bhajan, spiega la sua conoscenza del massaggio Kundalini:

“Mi sono avvicinata al massaggio Kundalini perché veniva proposto durante i seminari di Yogi Bhajan come Il Massaggio come Comunicazione. Qui  iniziai a sentire una forte attrattiva per il Kundalini Yoga. La sentivo come una grande opportunità, perché mi faceva risvegliare la percezione del mio corpo fino ad allora per me sconosciuta. Così iniziai a curarmi anche col massaggio oltre che con lo Yoga e ad approfondirne la conoscenza frequentando i corsi a Roma tenuti da un allievo diretto di Yogi Bhajan: Gobinde Singh.”

La comunicazione non verbale e il sapersi mettere in ascolto con tutti i sensi, anche il tatto, sono una caratteristica fondamentale del massaggio. Ecco cosa ne pensa Dyal Kaur: “La comunicazione non verbale è uno strumento eccezionale per fare arrivare al cuore di una persona quella presenza mentale e spirituale che non può essere trasmessa a parole e che crea una speciale relazione di anima che cura una persona nella sua totalità. Il massaggio Kundalini rappresenta un’esperienza sensoriale unica: si occupa di riequilibrare la persona a livello Spirituale ed Energetico”.

Il  massaggio Kundalini è un trattamento che si basa sulla meditazione e sulla ricarica energetica, il cui beneficio dura più giorni. E’ più intimo di altri tipi di massaggi perchè lavora di più sui primi due chakra.   Questo massaggio è indicato per chi desidera scoprire l’abbandono non solo fisico ma anche della Mente e va eseguito da professionisti capaci di mettersi in una condizione di accoglienza e amore incondizionato.

Spero che questo articolo vi abbia fornito una conoscenza di base e sia servito a stimolare la vostra curiosità. Gli esperti ci invitano ad essere persone sempre maggiormente consapevoli; anche attraverso il risvegliare la Kundalini: è un processo che ci può aiutare a conoscere della nostra vera essenza.

[1] Dal libro “Tantra, un invito a vivere l’affettività, l’amore e l’erotismo in modi libero e completo”, di Ashlay Thirleby.

[2] Dal libro “L’Essenza del Tantra; Fare l’Amore ed Essere  Amore”, di Giorgio Cerquetti.

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Lezione al master in neuropsicologia dell’età evolutiva presso l’Università Lumsa

 

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Sessuologia, tutto quello che non sapevi di voler sapere sul mondo del sesso

Con il dottor Francesco Battista, psicologo e psicosessuologo, abbiamo commentato il libro: “Sessuologia, tutto quello che non sapevi di voler sapere sul mondo del sesso”, edito da Gribaudo, autore Daniel Giunti. Il testo ci ha offerto numerosi spunti per riflettere sulla sessualità di ogni persona e rispondere alle domande frequenti degli utenti del gruppo “Amore, disabilità e tabù: parliamone!

 

 

 

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I diversi Rituali Tantrici per scoprire l’unità tra corpo, mente e spirito

I diversi Rituali Tantrici per scoprire l’unità tra corpo, mente e spirito. 1

La Via Tantrica per vivere in armonia. 1

L’orgasmo tantrico. 1

Rituale Tantra Kundalini 2

Rituale Tantrico Kashmiro. 2

Rituale tantrico di coppia ed il rituale Maithuna. 3

Massaggio tantrico dei cinque elementi 3

A chi possono essere utili i rituali tantrici 3

Il Tantra è un antico sistema di pratiche rituali e tecniche che utilizzano la capacità creativa dell’energia vitale per portare gli individui ad un più elevato stato di coscienza. Il massaggio rituale fa parte di questo millenario sistema di pratiche.

Attraverso il rituale Tantra, il corpo ritrova l’armonia, il rilassamento e l’esaltazione dei sensi. L’intento principale è quello di sviluppare una maggiore consapevolezza sia in chi lo offre che in chi lo riceve; migliorando la reciproca padronanza dei desideri e delle emozioni.

Come spiegherò meglio più avanti, è  fondamentale affidarsi agli esperti per potersi  abbandonare al momento di piacere del trattamento.

Il rituale tantrico fa parte dei rituali sacri d’amore e serve anche per sviluppare la coscienza della nostra unione tra corpo, mente e spirito. È bene tener presente che il rituale tantrico non si improvvisa, al contrario prevede una grande preparazione da parte dell’operatore o operatrice, tanto studio, molta pratica e disciplina, nulla è lasciato al caso.

È auspicabile che il rituale tantrico venga svolto da un/una tantrika, cioè da chi segue un percorso spirituale e che dopo aver imparato a conoscere il corpo sottile riuscirà a percepire i malesseri e le emozioni della persona che avrà di fronte, andando a giovare sia a livello mentale che fisico. Attraverso il tocco sapiente si andranno a purificare i chakra (centri energetici) per far scorrere l’energia vitale (prana); così facendo è possibile ritrovare l’equilibro di corpo, mente e spirito e si riattiva la Kundalini.

L’energia kundalini è la fonte della forza vitale che ognuno custodisce dentro di sé. Risvegliare la Kundalini è una pratica considerata in Oriente molto significativa per la realizzazione spirituale ed il benessere di corpo, mente e spirito  di ogni individuo, ma è raramente riconosciuta come tale nelle tradizioni occidentali. Non è raro che il rituale tantrico sia associato solo alla sessualità, anche se negli ultimi anni si stanno diffondendo seminari e scuole di un certo livello in Italia, ma maggiormente al centro nord.  

La Via Tantrica per vivere in armonia

Chi intraprende la Via Tantrica si addentra in un cammino che coinvolge numerose pratiche, tra cui i rituali tantrici. Vivere nel tantrismo significa infatti condurre uno stile di vita con  tecniche e discipline mirate all’innalzamento della coscienza.

Nei vari rituali tantrici, il sesso è visto come uno strumento per raggiungere l’illuminazione incanalando l’energia dell’Universo. Di conseguenza il piacere è da considerare, tra l’altro, un mezzo per raggiungere il divino. Grazie al massaggio Tantra, si possono ottenere benefici che riguardano la totalità dell’organismo. Anche la vita sessuale e sentimentale ne trarrà dei benefici.

L’orgasmo tantrico

La focalizzazione sul Qui ed Ora nei rituali tantrici è uno degli elementi imprescindibili. Nella tranquillità del rapporto tantrico, come negli altri massaggi tantrici, le persone  possono sperimentare orgasmi multipli, che comunque non costituiscono l’obiettivo primario dell’atto.
A differenza di come viene vissuto il sesso in Occidente, dove spesso l’orgasmo è il culmine dell’amore, dura solo qualche secondo e coinvolge solo la zona genitale, nel Tantra l’orgasmo è molto di più. Gli insegnanti della scuola TantraYoga di Bologna, che si ispirano agli insegnamenti tradizionali, tramandati dai saggi dell’India e del Tibet, spiegano così l’orgasmo tantrico: “a differenza dell’orgasmo tradizionale, in cui l’uomo arriva al punto di non ritorno, eiacula e la sua sessualità crolla, nell’orgasmo tantrico l’uomo, subito prima del punto di non ritorno applica le tecniche per la continenza. Questa esperienza può aprire la porta a nuove, potenti sensazioni, facendo sì che subito dopo il primo orgasmo ne seguano altri, in una condizione di benessere multi-orgasmico”.

Per la donna il Tantra può far sperimentare due tipologie di orgasmo:

  • ORGASMO ESPLOSIVO: esperienza superficiale che comporta la dispersione dell’energia all’esterno del corpo. Coinvolge solamente l’area genitale e i chakra inferiori (primo e secondo), lascia spesso un senso di stanchezza e frustrazione perché non porta il completo appagamento. L’orgasmo clitorideo è di questo tipo.
  • ORGASMO IMPLOSIVO: esperienza in cui l’energia non si disperde all’esterno ma implode verso l’interno e verso i chakra superiori. Può coinvolgere tutto il corpo, come pure le sfere mentali ed emotive della donna, regalando un profondo stato di appagamento, fisico, mentale ed emozionale. Di questo tipo sono invece l’orgasmo vaginale e quello cervico-uterino[1]”.

Sembra complicato, eppure quest’onda tantrica può durare a lungo, un tempo in cui entrambi gli amanti possono continuare ad avere orgasmi implosivi senza eiaculazione e senza perdita di energia.
Vediamo ora i vari tipi di rituali tantrici.

Rituale Tantra Kundalini

Il rituale Tantra Kundalini deve il suo nome all’energia kundalini che grazie a questo trattamento viene risvegliata. L’obiettivo è risvegliare l’energia  dormiente. Durante questo rituale  vengono stimolati i sette chakra uno alla volta, partendo da quello del cuore la cui apertura favorisce il passaggio energetico attraverso il canale principale.

Le stimolazioni passano poi alla zona vertebrale con l’intenzione di far correre l’energia in tutto il corpo e ricavare tutti i benefici che derivano da questo risveglio. Un altro aspetto fondamentale da considerare è che l’energia vitale ha una grandissima capacità di essere convertita in energia sessuale. Per questo motivo le tecniche kundalini sono utilizzate anche nella coppia, praticandolo sotto forma di massaggio Tantra kundalini.

Rituale Tantrico Kashmiro

Detto anche “Massaggio del Tocco”, il rituale tantrico di scuola kashmira, viene utilizzato come mezzo per espandere e innalzare la coscienza, esattamente come tutte le altre tecniche Tantra.

È considerato un massaggio di tipo emozionale e sensoriale, in quanto va a sprigionare le emozioni. Attraverso il tatto si cerca di raggiunge un’esperienza meditativa e rilassante. È grazie a questo tocco, talvolta definito “sacro”, che si percepiscono tutte le sfumature e le fattezze dell’altra persona. Non a caso nelle teorie di questo massaggio si parla di “ascolto tattile”.

Con il rituale tantrico Kashmiro si pratica un vero e proprio rito che riporta ad un’intensa unione con l’altra persona.

Rituale tantrico di coppia ed il rituale Maithuna

Generalmente, una persona o una coppia che si dedica ad un percorso tantrico, vuole sperimentare diverse pratiche, al fine di concepire il sesso come mezzo per raggiungere l’appagamento, sperimentare un piacere intenso e durevole e raggiungere l’illuminazione.

Nel Tantra l’atto sessuale viene definito “rituale Maithuna”. L’uomo e la donna durante questo rito incarnano le energie femminili e maschili Shiva e Shakti  diventando l’uno per l’altra la totale espressione di divinità. Shiva rappresenta il principio maschile universale e Shakti è l’energia femminile. Nella pratica, il sesso secondo il rituale del Maithuna utilizza movimenti lenti, caratterizzato da una apparente immobilità. Nella tradizione erotica tantrica, la parte attiva del sesso appartiene alla donna, che in quel momento sta incarnando la dea Shakti.

La dualità tra uomo e donna si trasforma in unità e la fusione delle anime, in perfetto equilibrio tra energia maschile e femminile, porta ad un piacere universale.

Massaggio tantrico dei cinque elementi

Il massaggio rituale tantrico dei cinque elementi è una delle principali tecniche con cui vengono perseguiti gli obiettivi propri della filosofia tantrica. Viene impiegato per risvegliare l’energia interiore ed entrare in contatto con un livello spirituale superiore.

Anche questo massaggio va a lavorare sulle energie sessuali stagnanti (come anche il rituale kundalini, e il massaggio tantrico rituale di scuola kashmira). Questo trattamento si basa sull’ideologia orientale secondo la quale tutti gli esseri viventi sono incarnazione dei cinque elementi della natura: Acqua, Terra, Fuoco, Aria, Etere. Ciascuno dei sette chakra, ossia i centri energetici del corpo che raccolgono e metabolizzano l’energia vitale, ha una diretta corrispondenza con uno dei cinque elementi che compongono l’universo.
Il primo chakra Muladhara o Chakra della Radice  è associato all’elemento Terra, il secondo Svadhisthana o Centro Sacrale, rappresenta l’elemento Acqua, il terzo Manipura o del Plesso Solare è legato al fuoco; il quarto all’elemento Anahata o del Centro del Petto è legato all’aria; il quinto Vishuddha o Centro della Gola; il sesto è Ajna o Centro Frontale; il settimo è chiamato Sahasrara o Centro Coronale, questi ultimi tre simboleggino la luce.

A chi possono essere utili i rituali tantrici

La pratica del Tantra è utile a chiunque voglia approfondire in maniera olistica il rapporto tra corpo, mente e spirito, e rendere più sottile la propria percezione energetica. 

Tale pratica mira al raggiungimento di uno stato di equilibrio e armonia tra il corpo fisico, grossolano, e i corpi più sottili e spirituali, e può essere quindi molto utile nei casi in cui sia necessario lavorare su squilibri fisici oppure su sbilanciamenti energetici che possono causare, ad esempio, stati di agitazione,  ansia o depressione, ma è bene ricordare che, come le altre discipline olistiche, non si sostituiscono alla medicina.

Per chi vuole scoprire una sessualità più profonda, i rituali tantrici possono essere una bella esperienza per donare e donarsi una coccola o un momento di intenso piacere. Questi rituali sono consigliati alle donne vittima di abusi o  dopo la gravidanza  e a chi per vari motivi a perso la stima in se stesso/a o in un partner. È indicato anche a persone con disabilità che vogliono vivere un’esperienza amorevole e scoprire delle sensazioni diverse del loro corpo e nel contatto profondo con un’altra  persona.

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Sitografia

1 https://www.gyanastudio.it/index.php/64-servizi/156-rituali-antichi

2https://www.studiokarenshaktidevi.com/rituale-tantra-e-massaggio-tantra-vediamo-la-differenza/

3 https://massaggiorientali.biz/rituali-tantrici-tipologie.html

4https://www.cure-naturali.it/enciclopedia-naturale/terapie-naturali/medicina-naturale/tantra.html

[1] https://www.ilgiornaledelloyoga.it/tipi-orgasmo-femminile

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Storia di un devotee: tra il proprio “demone” ed il rispetto

Un’interessante intervista ad un devotee che è riuscito a tener a bada il suo “demone”. Marco (nome di fantasia), ci parla della sua famiglia e della sua  vita abbastanza “normale”. Solo la moglie è a conoscenza della sua particolarità. Essere devotee gli procura molti sensi di colpa, ma è anche un uomo  attento alle necessità delle persone con disabilità e una parte del suo lavoro è volta all’abbattimento delle barriere architettoniche. Probabilmente chi è contrario/a  ai devotee non cambierà opinione,  ma il racconto a tratti sofferto di Marco rende la sua storia toccante.

Ti va di parlare un po’ di te e della tua famiglia?

Mi chiamo Marco (nome di fantasia), ho superato la cinquantina, una famiglia piccola ma felice: sono sposato da più di vent’anni, con una figlia tra l’adolescente e l’adulto. Ho un lavoro di una certa responsabilità nella Pubblica Amministrazione e vivo in una città del centro nord. Mia moglie non è disabile ma è a conoscenza del mio “segreto”, mentre mia figlia non sa nulla.

Quando e come hai capito di essere un devotee?

Premetto che mal digerisco le etichette, compresa quella di devotee. Rispondendo alla domanda, ho da sempre avuto interesse non esclusivo per le ragazze con difficoltà motorie, ricordo ancora con “emozione” la compagna di classe di cui ero già invaghito arrivare a scuola con le stampelle ed un piede ingessato. Eravamo in seconda elementare, per cui ben prima dello sviluppo della sessualità. Non mi è mai interessato approfondire più di tanto la questione delle origini di questa attrazione ma nel mio caso credo si tratti di una caratteristica pressochè innata.

Nel corso degli anni questo interesse si è consolidato, pur non essendo mai sfociato in morbosità o peggio perversione, ho sempre avuto uno stile di vita “normale” anche dal punto di vista delle relazioni sociali e sentimentali; ho conosciuto ovviamente anche ragazze disabili ma senza mai andare a cercarle, tanto meno con l’inganno.

Fino all’avvento di internet pensavo di essere il solo al mondo con questa particolare attrazione, poi il vulcano si è scoperchiato  a cominciare dalla presa d’atto dell’esistenza in tutto il mondo di migliaia di “colleghi” di passione, nei confronti dei quali non mi è mai interessato cercare contatti diretti ma che mi hanno rafforzato nella convinzione sulla perversione della stragrande maggioranza di loro, almeno di quelli che si espongono su internet.

Che impatto ha avuto e come l’avete gestita questa situazione a livello famigliare e tra le tue amicizie e conoscenze?

Mia moglie è l’unica persona che è al corrente della mia attrazione. La scoperta è avvenuta in modo piuttosto traumatico. Un giorno le ho chiesto di mandarmi da casa alcuni documenti per il lavoro senza aver chiuso il browser con visitazioni piuttosto esplicite. Forse sto facendo psicologia spicciola, ma è stato come se volessi liberarmi di questo segreto e, passata la tempesta iniziale, mi sono sentito sollevato nei suoi confronti. 

All’epoca (mia figlia era piccolissima) decidemmo di intraprendere un percorso di psicoterapia singolo e di coppia, ma lo abbiamo interrotto quasi immediatamente di comune accordo perché non nutrivamo alcuna  fiducia in quello che stavamo perseguendo. Forse non abbiamo trovato la persona giusta; ci è sembrato un percorso lungo, tortuoso e squilibrato.

Ti senti di avere dei sensi di colpa o dei punti di forza per essere attratto da chi ha difficoltà fisiche?

Ho sempre vissuto interiormente questo mio interesse particolare con un grandissimo senso di colpa e di vergogna, temo inevitabile da persona sensibile quale mi ritengo. La mia è una frustrazione quasi fisica, essendo attratto da ragazze in difficoltà, non certo una cosa di cui farsi vanto. L’approfondimento del fenomeno su internet mi ha aperto successivamente scenari variegati e quindi meno colpevolizzanti, anche se l’argomento resta scabroso e con punti di vista diversi e contrapposti, sia all’interno della categoria dei disabili che di quella dei “devotee”.

Dal punto di vista etico e sociale, questa mia caratteristica paradossalmente mi ha consentito di sviluppare una sensibilità particolare e, se mi è consentito, anche di empatia nei confronti delle problematiche e delle esigenze dei portatori di handicap: è solo un esempio banale, ma mai e poi mai parcheggerei l’auto nemmeno per poco tempo nel posto riservato ai disabili. Nel mio lavoro, nel poco di mia competenza, una parte importante è rivolta con passione all’eliminazione delle barriere architettoniche.

Hai conosciuto ragazze disabili ma senza andare a cercarle e senza mai “ingannarle”. Ti va di raccontare dove e perché vi siete incontrati e come si è sviluppato il vostro rapporto?

Nella vita quotidiana non ho mai approcciato ragazze disabili allo scopo di soddisfare la mia attrazione, credo abbiano prevalso il mio pudore ed i sensi di colpa cui ho accennato sopra. Le ragazze disabili conosciute nella vita reale derivano quindi da incontri casuali come tutti gli altri: studio, lavoro, tempo libero e quant’altro. In questi casi ha sempre prevalso il mio raziocinio ed il mio equilibrio, mi sono sempre comportato con loro in modo “normale” e che credo non si siano mai accorte del mio occhio particolare.

 I miei due unici incontri con ragazze disabili sono avvenuti a seguito di conoscenze in rete. Entrambi risalgono a tantissimi anni fa, ovvero agli albori di internet. Con entrambe le ragazze sono stato chiaro e trasparente dall’inizio nella mia attrazione particolare (d’altronde ci siamo conosciuti in forum a tema), ma le storie sono diversissime tra loro.

Nella prima avevo conosciuto da poco la mia futura moglie; non eravamo fidanzati, per cui avevo libertà di movimento anche morale per capire che cosa davvero volessi. La ragazza, conosciuta in un forum di ‘devotee’, (mi ha cercato lei ma poco cambia) era affetta da una malattia degenerativa, con periodi intervallati tra remissione e crisi con ricadute ogni volta più invalidanti. L’esito definitivo sarebbe stato inevitabilmente la paralisi completa delle gambe con la conseguente vita in sedia a rotelle, sperando che la malattia non salisse anche verso tronco e braccia.

Era una ragazza molto forte e, nei limiti del possibile, serena. Professionista di valore, qualche anno più di me, attorno ai trentacinque anni. Purtroppo avevamo aspettative molto diverse: io, ingenuamente preso dalla novità, volevo solo sperimentare il mondo che avevo sempre represso, mentre lei voleva rifarsi una vita essendo in fase di separazione dal marito, spaventato dal rapido incedere della sua malattia. Ci siamo frequentati alcuni mesi in chat, incontrati qualche volta di persona, per poi capire che non era quello che volevo, soprattutto che non era la persona giusta per me a prescindere dalla sua disabilità.

Lei invece non si capacitava di come io, attratto da ragazze disabili, potessi esitare nell’avere una relazione stabile con lei. Era come se si fossero ribaltati i ruoli, mi dava per scontato! Ovviamente in quel periodo i miei sensi di colpa raggiunsero i massimi livelli. Mi è servito diverso tempo per metabolizzare questa storia e anche questa volta ne sono uscito definitivamente qualche tempo più tardi, dopo averne parlato con mia moglie, ovviamente omettendo i particolari più scabrosi e nel rispetto totale della privacy della ragazza.

La seconda storia, qualche anno dopo, è molto più leggera. Nel frattempo ci eravamo sposati, era nata la piccola e ci eravamo trasferiti temporaneamente in una casa enorme, assieme a mia suocera che dava una mano a mia moglie con la bambina. Di fatto pochi mesi di vita separata nella quale ho contattato (questa volta io) una ragazza disabile in una chat a tema, escludendo esplicitamente coinvolgimenti sentimentali. Pochi giorni per capire che il “sesso a distanza” non fa per me e qualche settimana per chiudere definitivamente, questa volta senza sensi di colpa se non con un po’ di vergogna nei confronti di me stesso.

Mi hai raccontato che con tua moglie avete intrapreso un percorso di psicoterapia, ma vi siete trovati male e non avete più affrontato la questione. Ti va parlare di questa scelta? Come mai non avete fatto altri tentativi?

Da allora effettivamente non ne abbiamo più parlato, io soddisfatto del peso che mi ero tolto e lei tranquillizzata dalla serenità con cui tenevo e tengo a bada il mio “demone”. Forse non è stata modalità da manuale, soprattutto in assenza di controprova, ma dopo tanto tempo ancora funziona.

In realtà recentemente ho fatto un altro tentativo in solitaria, ho contattato una professionista, questa volta molto preparata ed empatica che mi ha proposto una sessione di tre incontri focalizzati sulla problematica, al termine dei quali decidere se e come proseguire. Ebbene, forse sto peccando di presunzione, ma anche questa volta ho deciso di interrompere, o meglio di fermarmi dove eravamo arrivati. Il punto è che non vedo valore aggiunto per me in un percorso di psicoterapia: alla mia età specialmente mi ritengo perfettamente in grado di controllare le pulsioni sconvenienti e allo stesso tempo non credo sia possibile “guarire” da questa attrazione, ammesso che ci sia qualcosa da cui guarire.

Su discorso devotee c’è chi è favorevole  e chi è contrario. Ti va di dare dei consigli a chi cerca un devotee, a chi è contrario ed infine come si deve comportare un devotee per trovare ciò che desidera e per gestire il proprio “demone” o per affrontare i sensi di colpa?

La domanda è molto interessante ed altrettanto complessa; oltre alla mia esperienza diretta posso portare al dibattito solo alcune riflessioni personali maturate negli anni. In modo del tutto laico, penso ogni persona sia un unico ed irripetibile, non a caso ad una domanda precedente ho risposto manifestando insofferenza per le etichette parziali.

Se pensiamo al “devotee” come ad un soggetto che si eccita solo in presenza di una difficoltà motoria o peggio di un oggetto inanimato, che considera le disabili stesse come un feticcio e non come persone e soprattutto con una vita sociale, affettiva e sessuale condizionata esclusivamente da questa attrazione, sono  il primo a ritenere che siamo di fronte ad una patologia che va contenuta e respinta, sia nel caso di avance troppo esplicite sia all’opposto in caso di approcci subdoli e ingannatori.

Se invece inseriamo questa attrazione nel complesso delle caratteristiche di una persona, la lettura del fenomeno può essere diversa, quanto meno più articolata. Se sono presenti sincerità, fiducia e soprattutto rispetto reciproco credo che il fenomeno possa essere anche una risorsa, ovviamente avendo ben chiari quali sono i limiti ed i confini.

Non sono e non voglio certo fare il “verginello”, ma credo che la mia storia sia una testimonianza ed uno spunto di riflessione, anche se non sono qui per convincere nessuno.

Vorrei aggiungere un’ultima considerazione. Si dice che tra adulti consenzienti sia tutto lecito ed è sicuramente vero, ma attenzione agli squilibri emotivi e psicologici delle situazioni. E questo vale non solo per una persona disabile che approccia il mondo devotee esclusivamente per trovare una scorciatoia, ma anche al contrario, come dimostra la storia che raccontato con la persona che “pretendeva” mi legassi a lei solo in quanto disabile. Come se fosse una condizione sufficiente.

Vuoi aggiungere altro che non è emerso dalle domande precedenti?

Vorrei semplicemente ringraziarti per avermi dato l’opportunità di esternare sentimenti e considerazioni che mi stanno molto a cuore e che avevo sempre tenuto rinchiusi dentro me stesso. E ti ringrazio di averlo fatto con grande professionalità, senza pregiudizi e senza indulgenza nei miei confronti e della mia storia.

Se avete una storia interessante da raccontare, che abbia a che fare con la disabilità, i bambini, l’amore, la sessualità, la famiglia… potete mandare una mail a: marziacastiglione81atgmail.com 

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Relazioni: quali sono le cose basilari nei vari tipi di rapporti?

Quante relazioni ci sono? Analizziamone alcune. 1

Relazioni: quando preoccuparsi?. 2

Alcune dinamiche di coppia. 3

Relazioni poliamorose. 4

L’importanza delle regole e del rispetto. Qualche consiglio pratico. 4

L’importanza di educare all’unicità di ognuno di noi 5

Lo psicologo Erich Fromm ha dato la seguente definizione dell’amore:

“l’amore è un potere attivo dell’uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai suoi simili, che gli fa superare il senso di isolamento e separazione, ma comunque gli permette di essere se stesso e di conservare la propria integrità. Sembra un paradosso, ma nell’amore è quando due esseri diventano uno, tuttavia restano due”.

 Non esiste un’unica definizione per quello che è, forse, il sentimento più importante che ci preserva e ci unisce gli uni agli altri. Ognuno di noi ha la propria idea, questa è il risultato di vari fattori che influiscono positivamente o negativamente sul nostro concetto d’amore: la cultura, il paese e l’epoca storica in cui nasciamo, l’educazione ricevuta, l’età e le esperienze.. L’amore cambia nel tempo e in base alle persone: quando si è alle prime esperienze è più facile sentirsi perdutamente innamorati, rispetto a chi è in un’età più avanzata.

Certo è che l’amore è essere in relazione. E proprio di relazioni cercherò di parlarvi. Mi soffermerò sulle aspettative che spesso i nostri cari e la società alimentano. Fornirò punti di vista su relazioni “sane, atipiche e sbagliate” attingendo al pensiero personale e di vari esperti; perché essere  innamorati e in relazione, a volte non dovrebbe essere classificato: se c’è rispetto reciproco, un sentimento vero non sempre  si desidera una “relazione classica”.

Quante relazioni ci sono? Analizziamone alcune

Esistono tanti tipi di relazioni sentimentali, dalle più classiche a quelle considerate atipiche nella nostra cultura, a quelle dannose.

Spesso il contesto socioculturale immagina solo le relazioni classiche meglio se tra persone eterosessuali. “E’ un bravo ragazzo con un lavoro stabile? Vi sposate in chiesa? Quando ti sposi, hai quasi trent’anni?! Quando fate un bambino?”

Quante volte facciamo o ci sentiamo rivolgere queste domande. Spesso l’immaginario collettivo tende a pensare una relazione di coppia come due persone accumunate da un percorso di vita simile. Le aspettative sulla coppia sono perlopiù: il fidanzamento, il matrimonio e i figli.

A mio avviso, la domanda più importante dei genitori e degli amici, ma anche la più difficile da fare, è: “Sei/siete felice/i?”

È bene ricordare anche che le relazioni possono avere mille sfaccettature. Non tutte le persone sognano di mettere su famiglia. E non solo, non tutte le persone vogliono una relazione. C’è chi sceglie di essere single, chi cerca molte avventure, c’è chi ha una relazione stabile da tempo e sceglie la convivenza, altre coppie poi scelgono il matrimonio e la famiglia.

Tendiamo a pensare che una vera relazione sia solo monogama ovvero esclusiva. Eppure esistono anche relazioni non monogame, ma etiche. Che significa “relazione etica”? Ce lo spiga Violeta Benini, nel suo libro “Senza Tabù”: “(…) Vuol dire che le persone coinvolte scelgono consapevolmente un tipo di relazione aperta o di altra natura.”

Le relazioni “atipiche” possono essere diverse e ci vorrebbe maggior educazione al rispetto di ogni differenza.

Relazioni: quando preoccuparsi?

Una relazione sana si caratterizza per il rispetto, la fiducia, l’onestà e la buona comunicazione tra le persone coinvolte; ma anche per la possibilità che ciascuna conservi l’identità e la personalità individuale. Viceversa, un rapporto sbagliato può essere caratterizzato dall’assenza di tali aspetti, i quali vengono sostituiti dal disprezzo, la disonestà, la menzogna, l’incomunicabilità e l’urgenza di cambiare la propria natura per compiacere il partner. Talvolta, anche nei rapporti sani possono emergere questi atteggiamenti disfunzionali e negativi, ma solo per periodi di tempo brevi e isolati. Se si vive una relazione con uno di questi “sintomi” in maniera regolare e per un lasso di tempo considerevole, probabilmente si tratta di un legame perverso, che è opportuno scogliere. È importante imparare a riconoscere fin dall’inizio a riconoscere i segnali negativi che potrebbero manifestarsi nei tuoi rapporti.

Alcune dinamiche di coppia

“Nelle prime fasi dell’amore, quando si è reciprocamente  innamorati prevalgono gli assoluti di totalità, esclusività ed eternità, è una fase magica, ciascuno si sente capito, accettato ed amato per quello che è. Progressivamente, questo vissuto di accettazione totale si ridimensiona e si trasforma in affermazione di sé, potrebbero cominciare ad affiorare le proprie configurazioni, i propri bisogni, ciascuno inizia venir fuori per come è.

Questo passaggio è scontato e naturale, come è altrettanto scontato e probabile è pensare che quando l’altro inizia a venir fuori con i propri bisogni, superata la fase della totalità, non ci ami più come all’inizio, quindi  ci sentiamo offesi ed arrabbiati. Contemporaneamente, per l’altro non è facile fare i conti con questa nostra sensazione di frustrazione e rabbia.

Per tutte le coppie la crisi è inevitabile e, generalmente, l’affermazione di sé ne è la causa[1]”. Il bello dell’amore è essere capaci di supere le difficoltà e i momenti di crisi, senza aver timore di chiedere aiuto, se da soli non si riesce!

Tuttavia, come si diceva all’inizio, è bene anche ricordare che ci sono persone single che hanno una vasta gamma di relazioni pur non sentendosi legate a qualcuno in particolare. Solitamente una coppia condivide una progettualità. Ci sono persone che amano le relazioni sporadiche o continuative, senza le consuetudini tipiche di una coppia.

Relazioni poliamorose

L’essere umano è per natura poligamo. L’esperienza della monogamia è stata costruita ad hoc nelle diverse culture per garantire alla prole la paternità, introducendo un nuovo concetto di relazione intima e di famiglia. In realtà nella storia sono sempre esistiti gruppi in cui l’esperienza “poli” era contemplata e vissuta in armonia e grande rispetto tra le persone.

“È stato stimato che negli Stati Uniti circa il 4-5 % degli individui sono attualmente coinvolti in una relazione consensuale non-monogama (Rubin, Moors, Matsick, Ziegler & Conley, 2014) e circa una persona su cinque ha fatto esperienza di questa forma di relazione in un periodo della propria vita (Haupert, Gesselman, Moors, Fisher & Garcia, 2017).

Il termine relazioni consensuali non-monogame racchiude una costellazione di configurazioni relazionali che prevedono la possibilità di instaurare rapporti affettivi e/o sessuali con più partner nello stesso momento (Rubin et al., 2014); ciò avviene con l’accordo e il consenso da parte di tutte le persone coinvolte. [2]

Chi vive questo tipo di relazione non ha scelto il partner sbagliato, ma semplicemente sente il bisogno di stare anche con altre persone perché da ogni individuo può ricavare sentimenti ed emozioni diverse.

L’importanza delle regole e del rispetto. Qualche consiglio pratico

In tutti i tipi di relazioni, tipiche e atipiche, è bene stabilire delle regole condivise. Quando una relazione è palesemente sbagliata? Ad esempio, quando si vuole in tutti i modi prevaricare l’alta persona. In questa situazione mancano le basi di una relazione: il rispetto, il voler il bene dell’altra  persona, l’amore o per lo meno l’affetto.

Qualsiasi tipo di relazione si viva è bene ricordarsi che i sogni, le idee, il tempo per noi stessi/e in primis e della/e persona/e che amiamo sono importanti. Se una persona viene meno alle regole, tradisce la fiducia del partner.

Cercare di imparare dal nostro passato decisamente non è semplice, ma può essere un buon proposito. Se non ti dai il tempo di capire che cosa è andato storto nei rapporti precedenti, potresti cadere più volte nel rischio di costruire relazioni sbagliate. Prima di intraprendere una nuova storia, fermati e pensa a tutte quelle passate. Quante di loro sono finite male? Perché si sono chiuse in questo modo? Che cosa, secondo te, non andava nel tuo partner? Cosa non andava in te? Che cosa, invece, funzionava?

Talvolta bisogna superare i sensi di colpa per analizzare lucidamente cosa  non ha funzionato o cosa è cambiato nella relazione, senza farsi condizionare troppo dai molteplici  giudizi degli altri.

L’importanza di educare all’unicità di ognuno di noi

Nella società italiana le relazioni hanno spesso a che vedere con l’esclusività del rapporto. Ciò non toglie che le persone si interroghino, ad un certo punto della relazione, se non sia possibile trovare attenzioni altrove. Certo è che questo momento di definizione e talvolta di crisi del rapporto, porta con sé una serie di possibili rischi – spiega Gabriele Lo Iacono, psicoterapeuta autore di “D’amore e d’accordo” (edizioni Erickson) – uno di questi è quello di cercare di inquadrare il rapporto “dentro schemi precostituiti, come regole stabilite in anticipo dai copioni diffusi. Ma ognuno di noi è un essere complesso e unico e per questo stiamo stretti nei copioni in cui altri vorrebbero rinchiuderci”.

Sono d’accordo con il professor Lo Iacopo che sottolinea la nostra unicità, in molti casi nessuno meglio di noi stessi conosce i nostri sentimenti, relazioni, aspirazione e bisogni.

In qualsiasi relazione è auspicabile che ci siano la libertà, l’ascolto ed il rispetto reciproci. Per arrivare a ciò e evitare storie sbagliate che, a volte, diventano casi di cronaca nera, sarebbe auspicabile intervenire di più sull’educazione dei bambini, delle bambine e degli adolescenti per insegnare loro che esistono tanti tipi di relazioni.

“Nei paesi del nord Europa, l’educazione sessuale e sentimentale è considerata uno strumento per garantire la salute fisica e psicologica della popolazione, ridurre le gravidanze precoci e contrastare la diffusione delle malattie.

E’ obbligatoria nell’Unione europea, con poche eccezioni tra cui l’Italia. In Danimarca sono previste lezioni anche con omosessuali e in Francia i programmi vertono su prevenzione Hiv. Nelle scuole italiane i corsi sono lasciati all’iniziativa dei docenti e organizzati dai consultori: “I ragazzi vogliono sapere e discutere, ma gli istituti hanno sempre meno fondi e il numero dei corsi diminuisce di anno in anno”, spiegano le associazioni. Intanto in un villaggio in Pakistan la “sex ed” entra in classe con il permesso delle famiglie[3]”.

L’obbiettivo di un’unione  non dovrebbe essere solamente il matrimonio e la famiglia, ma la serenità propria e delle altre persone, in qualsiasi relazione si scelga liberamente e consapevolmente di vivere!

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[1] https://www.psicologia-psicosomatica.it/2021/08/05/le-principale-causa-della-crisi-di-coppia-e-laffermazione-di-se/

[2] https://www.stateofmind.it/2020/10/poliamore-attaccamento/

[3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/08/educazione-sessuale-in-olanda-si-inizia-a-4-anni-in-italia-non-ce-una-normativa/1008863/

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