Una cena particolare

In quest’ultima settimana, sono andata a cena con un mio caro amico, che non vedo spesso, in quanto io vivo a Roma e lui a Milano. Trovandomi vicino a Milano – per visitare l’ Expo  – non potevo non approfittare per incontrarlo, anche solo per poco tempo. Ci siamo recati in un’ accogliente trattoria specializzata in secondi di carne; ed è stata un’ ottima serata sia a livello gastronomico, che filosofico grazie alle dense conversazioni e alla compagnia.

Già l’ antipasto preannunciava la festa del gusto. Mentre ci godiamo un’ ottima polenta con i funghi con scaglie di parmigiano squagliate sopra, siamo presi dalla conversazione del  tavolo accanto al nostro, forse una cena di lavoro; un signore di 40/45 anni raccontava che suo zio  – omossessuale – si era rivolto al nipote e con aria scherzosa, resa ancor più divertente dal dialetto napoletano, aveva detto: “Non capisco tutto questo parlare delle unioni civili; io non ho moglie, non ho figli, non obblighi o seccature famigliari… ho un compagno, chi sta meglio di me?“. Il nipote ridendo raccontava che aveva risposto: “Zietto caro, sono pienamente d’accordo  con te!“. Stupidamente mi sono vergognata di parlare con una persona che non conoscevo, ma avrei voluto dire a quel signore che trovo giusto che in Italia si vada verso l’acquisizione di più diritti per tutti, ma la visione di quello zio era pienamente condivisa e condivisibile dalla sottoscritta e da altre persone intelligenti e colte che per fortuna conosco.

Se l’avesse detta un eterosessuale mi sarei scagliata dicendo che non capiva i diritti di tutti i cittadini, ma detta da un omosessuale che voleva avere la sua piena libertà senza tanti vincoli… è, a mio avviso, una visione positiva e bella!

Pochi giorni dopo mi trovavo a Roma Termini, erano circa le quattro di pomeriggio. Davanti a me c’erano due uomini che si baciavano, non ho potuto fare a meno di notarli, non erano né belli né giovani… ma i loro baci esprimevano dolcezza ed amore! Chissà se era solo un caso vederli di giorno a pochi chilometri dal Vaticano o veramente andiamo verso una società più libera, aperta ed inclusiva? Non voglio illudermi, o dire che il cambiamento sociale e culturale sia facile ma è ovvio che spero in un’ apertura, un’ottica nuova anche da noi in Italia. Ho raccontato tutto questo al mio amico. Entrambi abbiamo convenuto che sulla tanto dibattuta questione delle unioni civili non ci vediamo nulla di male. In tanti si oppongono all’adozione dei bambini, ma perché? In fondo se un bambino ha due genitori dello stesso sesso può assorbire il “modello di riferimento mancante“ al di fuori del nucleo famigliare senza per questo avere chissà quali problemi o “turbamenti“. D’altronde è un dato di fatto che  spesso un figlio debba crescere senza la madre o senza il padre… ed allora? Di certo se manca un modello di riferimento è più difficile ma non per questo si è destinati ad aver problemi o turbe mentali. Io ammiro molto Massimo Gramellini, lui ha perso la madre da piccolo, non ha avuto un vissuto facile da solo con il padre ma ha una vita invidiabile e come lui tanti altri meno famosi!

 Ma tutto questo, in fondo era ancora l’ antipasto.

Il piatto forte, non essendoci il primo, è consistito in un delizioso carpaccio di carne accompagnato dai funghi porcini sopra, tagliati non troppo finemente. A questo sapore forte e deciso e sicuramente autunnale, non è potuto mancare un tema altrettanto forte. Siamo arrivati a confrontarci sulla delicata questione dell’eutanasia, il mio amico era favorevole… io sono propensa a rispettare la volontà del singolo, ma bisogna garantire la “decenza“ sia per chi vuole vivere, sia per chi decide di ridurre le proprie sofferenze. Chi ci dice che Eluana Englaro non abbia sofferto, visto che è morta di fame e di sete? E chi vuole vivere, ha la dovuta assistenza? Penso che troppo spesso si sente dire che i soldi non arrivano, per esempio ai malati di SLA o il personale delle case-famiglia, ospizi, istituti, compie male il proprio lavoro, tanto chi li controlla sul serio? Lo stipendio a fine mese gli arriva, sia se si comportano con decenza e passione (e per fortuna c’è chi lo fa) sia se abusano della loro posizione, lavorando il meno possibile, e non avendo comportamenti etici verso i propri assistiti.

I nostri pasti sono stati accompagnati da un ottimo vino rosso della casa, di sacra bontà. Neanche a farlo apposta, mentre sorseggiavamo, ci siamo resi conto che stavamo parlando  di religione e del papa. Il mio amico ha affermato che papa Francesco non ha lo spessore dei suoi due predecessori che, con meno clamore, prendevano posizioni e decisioni importanti anche da un punto di vista storico-politico e dottrinale; questo papa parla come un semplice parroco, forse è fin troppo “semplice“ rispetto al ruolo che deve o dovrebbe ricoprire. All’inizio del suo pontificato lo ammiravo, ma col passare del tempo, confrontandomi con vari punti di vista, di credenti e non, forse è vero che a questo Papa manca di prese di posizioni reali; in fondo lui richiama grandi masse che si erano distaccate dalla Chiesa, ma poi sia rispetto all’ omosessualità, che alle nuove tipologie di famiglie, sia rispetto a tutti gli altri grandi temi politici, non è così incisivo e chiaro, seppure dimostra una grande disponibilità e apertura  verso gli “ultimi“ ; speriamo che a tale approccio comunque nuovo, sobrio e di sicura ispirazione francescana, faccia corrispondere nel tempo prese di posizione nette, chiare e storiche per davvero.

Ma ecco arrivare il dessert… una torta di mele calda. Quel  gusto dolce stemperato dalla nota acidula e giocosa della mela, simile al sapore e al calore  che ha spesso la compagnia con la quale hai la fortuna di condividere una sera a cena, come questa.    Ripenso, mentre mi gusto la torta, a tutte le altre “compagnie“ importanti.  Non a caso mi è venuto da constatare che ho avuto il privilegio di crescere con due nonni che mi hanno sempre stimolata intellettualmente ed adesso che non ci sono più trovo la stessa curiosità e desiderio di cultura in mia sorella, nel suo ragazzo, nelle amicizie che finalmente ho potuto scegliere. Avevo molta paura che con la mancanza dei miei nonni tante cose importanti sarebbero cessate, invece la loro educazione, i loro interessi sono vivi in me ed in tante persone che mi circondano. Questo per la sottoscritta è un tesoro prezioso da condividere e preservare. I miei nonni e mia sorella mi hanno sempre spinta a migliorarmi, essere più autonoma possibile, allenare il mio senso critico, pormi domande per capire, poter decidere e poter commentare la realtà che mi circonda. A mio avviso vivo questi importanti insegnamenti come un arma a doppio taglio: se da una parte riesco a scegliere e vivere la quotidianità con una certa indipendenza, dall’altra ho la pretesa di aiutare chi ha un handicap solamente motorio, ad usare la propria testa, allenare il senso critico, fare nuove esperienze. Ma è giusto o è solo l’esigenza di replicare un modello di comportamento da me assorbito fin dalla prima infanzia e durante i miei studi di pedagogia? Perché mi comporto in questo modo? Questo atteggiamento mi ha portato a successi (ad esempio quando ho presentato il mio romanzo di formazione Nata viva nelle scuole, e quindi ho avuto l’ occasione di sensibilizzare i ragazzi dai 10 ai 18 anni sugli ostacoli che i disabili incontrano) ed a situazioni più frustranti. Un mio ex aveva una lieve disabilità fisica, veniva da una famiglia dove era completamente ovattato. La sua vita era lavorare, fare sport, mangiare e dormire. Non si era mai fatto domande su argomenti tipo: l’amore, il sesso, la cultura, la società, i suoi problemi di salute, i suoi problemi motori etc. Veniva da una famiglia che non l’aveva mai “curato“ e stimolato più di tanto. Forse ho sbagliato a cercare di “interessarlo“ e incuriosirlo su argomenti per lui nuovi.

Vedo che negli istituti e case-famiglia si tende ad assistere ed ovattare il disabile… quindi sbaglio io a ritenere che si possa incoraggiare la mente a vari ragionamenti e migliorare l’autonomia degli utenti. La mia amica Elena Improta ed altri singoli genitori forse sono le poche persone che conosco che si danno da fare per  promuovere l’autonomia dei loro figli, ma la realtà più diffusa è ancora quella dell’assistenzialismo, quella di dire: “faccio io per te che faccio prima e meglio“; “tu non ce la fai e non ce la farai… quindi ci penso io“. Esattamente l’opposto di ciò che prima mia nonna e poi mia  sorella mi hanno detto e mi continuano a dire. Certo è faticoso lottare giorno dopo giorno per “crescere“, ma mi accorgo che è molto importante.

Tornando ad un discorso più generale sulle capacità e le disabilità, mi torna alla memoria il tanto studiato metodo Montessori che si basa su “aiutami a fare da solo/a“! Maria Montessori voleva un ambiente a misura di bambino dove i piccoli potevano scegliere, svolgere attività in autonomia, sentirsi soddisfatti e capaci. E a pensarci bene iniziò proprio da quei bambine e bambini che avevano disturbi mentali. Già… perché non si prendono gli elementi utili da questo e da altri metodi educativi e psicologici e si applicano  alle tante  disabilità in grado di  migliorarsi e cambiare? Intanto la torta è finita; mando giù il boccone, dolce e non amaro, insieme a tutti gli interrogativi.

 E poi una cosa buffa: durante la cena il cameriere che ci serviva è rimasto “basito“ dal mio assaggiare il vino con la cannuccia. Ha detto che non gli era mai capitato di  vedere una situazione del genere; ho sorriso, pensando… “questo cameriere non è molto intelligente e sensibile“; poco dopo mi è venuto ancora più da ridere pensando che non mi era mai capitato che un cameriere si scandalizzasse dal mio bere le bevande, e ahimè anche il nettare degli dei… con la cannuccia! Anche per questa ultima nota surreale si è di sicuro trattato… di una cena molto particolare.

 

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Vengo anch’ io… sì tu sì!

Quella del 2015 è stata la vacanza più lunga che io e mia sorella Fiore abbiamo mai condiviso. Adesso che siamo cresciute, adulte e ben affiatate, se si potesse e non ci fossero gli obblighi del lavoro, dello studio, gli impegni quotidiani, ho ben capito che con lei viaggerei tutta la vita. E non solo però; cosa più importante, anche se non ci dovessero essere le condizioni per “viaggiare“, ho scoperto che è per me lei sarebbe la compagna ideale per le tante possibilità che il tempo libero offre, senza spostarci troppo da casa.

 Il 2015 per me, non è stato un anno facile, tutt’ altro. Ed essendo il contatto con mia sorella profondo negli ultimi anni, a inizio estate si è resa conto che per me era complicato, nonostante mi fossi impegnata tanto e con largo anticipo, trovare un’ assistente che mi potesse accompagnare nel modo giusto a esplorare un luogo e che potesse essere anche la persona giusta per scambiare impressioni, emozioni, e mappe condivise. Ne avevo tanto bisogno. Chi rispondeva all’ annuncio, per diversi motivi, rinunciava pochi giorni dopo.  È stata lei a propormi di organizzare un viaggio insieme, all’ estero. Per la prima volta, da sole, fuori dall’ Italia, per un periodo di tempo più lungo della solita durata standard delle nostre “trasferte“ insieme.

Ci siamo rivolte ad un’ agenzia, declinando qualsiasi proposta di pacchetti organizzati, crociere, giornate calcolate al millimetro dove si vedono cento luoghi senza conoscerne davvero nessuno.  Su questo ci siamo sintonizzate entrambe. Oltre all’ affetto tra noi, che forse da solo non basta mai per godere di un viaggio condiviso, sono stati due gli aspetti fondamentali che ci hanno garantito relax, condivisione effettiva, rispetto delle esigenze personali. Innanzitutto Fiore, che tra le due è l’ esperta dei viaggi, ha sempre condiviso le sue idee con me, pretendendo che io decidessi con lei mete, luoghi e tempi. Mi sono sentita coinvolta anche in questo aspetto organizzativo, affatto scontato – a mio avviso –  quando una sorella normodotata e una persona con disabilità viaggiano insieme. Si corre il rischio  di essere sbilanciati nelle  aspettative o dell’ una o dell’ altra, cosa che noi non abbiamo mai corso, perché affiatate e rispettose  ognuna dei desideri dell’ altra. In questo, abbiamo trovato un tacito accordo strepitoso, che ci ha consentito un equilibrio ideale e reale insieme. Lei mi svegliava alle dieci, capendo quali fossero i miei tempi di recupero, diversi dai suoi, per la mia peculiare condizione fisica. Io, contenta di questa sua accortezza, beh… fino a sera non mi lamentavo di nulla, seguivo il suo ritmo stakanovista,  fortunatamente aiutandomi  con la  mia carrozzina, che uso solo quando viaggio e che con Fiore è diciamo… molto di supporto!

Di Stoccolma ricorderò per sempre la sua eleganza, il suo essere regale, e quindi va da sé la densità di musei di cui è costernata (pane per i denti per mia sorella) . Curioso è stato assistere al cambio della guardia del Palazzo reale. Personalmente ho trovato interessante e divertente un parco che riproduce le case, i mestieri, le usanze, la vita di questa città agli inizi del Novecento. Il parco è anche il museo all’ aperto  più grande d’ Europa. Menomale che al suo interno vi era un itinerario da fare a bordo di un trenino. Ora mi direte… Il trenino non è una cosa fatta appositamente per bambini e famiglie?… Avete ragione. Ma vi assicuro che per avere un’ idea di quello che si vuole visitare quando non si è disposti  a fare tanta fatica a piedi, il trenino è una gran bella invenzione per tutti. Di tutt’ altro fascino è il Museo dei Vichinghi e il galeone esposto. Ma ancora più interessante è la storia del galeone che per un errore di costruzione del suo baricentro, ecco,  durante il varo, colò immediatamente a picco a pochi metri dal molo. Quindi non ci furono molte morti e quasi tutti furono tratti in salvo.

Dopo alcuni giorni che con Fiore e la mia a sedia rotelle, giravamo come trottole ad una velocità inverosimile, ho apprezzato la lentezza del battello preso al porto di Stoccolma. Man mano che navigavamo  il panorama dell’ arcipelago  era caratterizzato dalla presenza di case (dei ricchi) e barche sugli isolotti, che creavano un paesaggio da set cinematografico e poi devo constatare che in Svezia hanno un ottimo gusto per tutto ciò che è arredamento, design, architettura in genere. La destinazione finale del viaggio in battello è stata l’ isola  più grande dell’ arcipelago, con tanto di … ottimo ristorante segnalato dalla guida e luogo ideale per fare shopping. Andando in giro mi sono accorta che le persone più anziane si muovevano liberamente e soprattutto a loro agio, con un deambulatore ultra moderno, leggero, stabile e maneggevole, insomma  una sorta di ritrovato fantascientifico in confronto ai modelli presenti in Italia che tutto sono tranne che maneggevoli, stabili e soprattutto leggeri.

Dall’ eleganza e la regalità di Stoccolma siamo state catapultate nella libertà, l’ allegria, la giovialità e l’ aria frizzante di Copenaghen (nonostante la malinconia del monumento de La Sirenetta di Andersen, che di sicuro non è tra le cose più belle della città). Abbiamo avuto la fortuna di trovare una sistemazione comoda, in una posizione centrale, vicino alle maggiori attrattive della città, tra cui il Parco Tivoli. Che è davvero qualcosa di unico: un parco divertimenti , ma con uno stile ottocentesco. È stato bello addentrarsi nel parco al calar della sera, perché abbiamo goduto di un’ illuminazione sapiente e suggestiva che imprimeva un’ atmosfera magica al tutto. Eravamo lì con l’ intento di fare una tranquilla passeggiata serale, senza partecipare necessariamente alle attrazioni, quando… io mi sono accorta che c’ era la pista delle macchine a scontro. A quel punto ho minacciato mia sorella di non tornare mai più in albergo, senza aver prima fatto un giro di scontri; anche se c’ era una lunga fila, entrambe non potevamo rinunciare, anzi… nell’ attesa ci siamo ancor più caricate. E comunque ne è valsa proprio la pena, perché ci siamo divertite come bambine, ridendo e urlando ad ogni scontro, per tutto il tempo.

Due sono gli aspetti che rendono Copenaghen una città energica e poetica insieme. Da una parte i suoi canali, attraversati sia a piedi che in battello. Lungo i canali era facile incontrare accoglienti “caffè“ e punti di ristoro dove poter godere del sole e della luce,  sempre diversa in tanti momenti della giornata. Le case galleggianti, così ben curate, ricolme di fiori e pulitissime, fanno di certo impallidire i trasandati maleodoranti barconi che purtroppo costeggiano il Tevere. Abbiamo avuto il piacere di imbatterci anche nel Street food Festival, accogliente sia all’ interno, con i capannoni che ospitavano stand a base di cibo da strada, provenienti da vari Paesi, si all’ esterno, dove io e Fiore abbiamo approfittato delle tante sdraio sulla riva del Canale, per rilassarci e… digerire al sole. Lì siamo rimaste a lungo, perché mia sorella ha passato a me “la palla“, nello stabilire i tempi della tabella di marcia di quella giornata.

Verso gli ultimi giorni della vacanza Fiore mi ha proposto un altro museo, tanto perché ne avevamo già visitati pochi. La mia prima risposta è stata “no, un altro no!“…  ma non si trattava di un museo delle antichità, quanto del Museo del Design con i più grandi nomi dell’arte contemporanea internazionale, in materia appunto di design. Un esempio per tutti che mi ha colpito: quelle che  vengono chiamate e indicate come SEDIE sembravano tutto, qualsiasi cosa, tranne che quelle: forme, misure e colori di ogni tipo, che hanno attraversato la storia dagli anni ’50 fino ai giorni nostri. Lo stesso parametro vale per lampade, posate, stoviglie, armadi, tavoli e tavolini vari, vasi e contenitori, cassetti e portaoggetti, letti, divani, poltrone.

Come già detto, molto spesso io Fiore  ci prendevamo il tempo per leggere insieme la guida, prima di recarci a visitare luoghi che suscitavano la nostra curiosità. È In uno di questi momenti che  Fiore  mi nomina l’ esistenza di Christiania. Per capire meglio si è inoltrata nella lettura. Ci siamo entrambe rese conto, mentre leggevamo,  che per poter visitare questa sorta di villaggio esteso all’ interno di Copenaghen, vi erano anche dei pericoli e delle situazioni da evitare, come per esempio fare fotografie a parte della comunità, in particolare ai pusher, che si trovavano non a caso nella Pusher street. Così abbiamo deciso di affidare la nostra sicurezza ad una sapiente guida del luogo, una domenica pomeriggio. E così grazie alla loquacità della signora e allo sforzo di mia sorella di tradurre tutto, ho capito tante cose.   Christiania nasce come un insieme di diverse comunità hippy, che dopo la seconda guerra mondiale, avevano occupato molte fabbriche abbandonate, che si trovavano nella zona industriale  della città. Il Governo per non dovere affrontare la situazione di tante persone ormai senza fissa dimora, ha lasciato piena autonomia nella possibilità di costituirsi in una sorta di città dentro la città. Christiania è un modello di società alternativa comunitaria. Infatti non esiste il concetto della proprietà privata. Tutti si danno da fare per migliorare la vita di ciascuno attraverso la vita in comunità. I salari sono bassi e tutti gli abitanti sono chiamati a contribuire come possono in caso di bisogno o necessità economica. Le case non vanno in eredità ai figli, perché – come già detto – nulla è di proprietà del singolo. Per avere un’ abitazione, bisogna rispettare i tempi di una lista d’ attesa. L’ equilibrio difficile, eppure duraturo, di questo modello sta incontrando resistenze fortissime e scontri accesi con il governo attuale, conservatore e ostile a tutto quello che Cristiania rappresenta. Sulla questione dei pusher la guida ha raccontato due cose fondamentali che mi hanno colpito. La prima è che appunto i pusher non vogliono essere mai fotografati, perché in quei paesi la droga non è legalizzata e quindi, se le foto vengono diffuse e arrivano ad essere usate dalla polizia, sono “rogne“ per loro.  La seconda è che nella Pusher street è vietato correre. Vi chiederete… perché non si può correre? Me lo sono chiesto anch’ io. La spiegazione è stata chiara, semplice e sensata. Se una persona corre in quel luogo, i pusher pensano che questi stiano scappando dalla polizia. Per evitare problemi e malintesi di sorta, hanno inserito questo divieto. Un’ altra particolarità di quel luogo è la musica e tantissimi americani del calibro di Bob Dylan, si sono esibiti sul palco di Christiania.  Al di là di tutto quello che di interessante ci ha raccontato, ho trovato in lei una persona simpatica, sensibile ed accogliente. Quando mi ha visto in sedia a rotelle, ha sorriso dicendomi che quasi quasi mi avrebbe messo in una specie di grandissimo cesto, posto davanti la sua bici. Ho talmente apprezzato un commento del genere, che quasi quasi le avrei chiesto di adottarmi, per entrare a far parte anch’ io, come potevo, della comunità degli hippies. Finito il giro, la nostra fenomenale guida ci ha lasciato in un grazioso negozio di artigianato all’ interno di Christiania. Ma io, forse sorpresa e incantata da tutto quello che avevo a scoperto, ne volevo ancora e ancora. E così ho chiesto a mia sorella di continuare, ora che eravamo ben istruite, il nostro giro da sole. E lei ha acconsentito. È però nella nostra sosta ad un bar, sempre dentro al Villaggio, che mia sorella, accorgendosi della mia felicità e dal mio essere appagata dalle storie e dalle ragioni che il luogo incarnava, ha avuto il dubbio, anzi… quasi la certezza che non sarebbe riuscita più a schiodarmi da lì. Persino la presenza di un lavapiatti italiano, in quel bar, era per me – al contrario di Fiore che era convinta che quell’ uomo non fosse così felice a fare quel mestiere – era invece per me la prova magari di una scelta di vita, piuttosto che immaginarsi dentro la routine e la gabbia di un lavoro d’ ufficio dentro le chiusure e i pregiudizi di una vita infelice trascorsa in Italia.

Quando si viaggia e si fa turismo in un Paese diverso dal proprio è giusto, spontaneo e positivo notare anche le differenze culturali e sociali. Da persona con disabilità motoria, sono rimasta colpita dal vedere come in questi Paesi, la diversità non rappresenti un ostacolo: né da un punto di vista mentale, culturale, né dal punto di vista fisico. A tale proposito ho notato un signore comodamente seduto sul suo motorino elettrico che si trovava ad un tavolo all’ interno di un fast food. Ora, la riflessione è venuta da sé: in molti punti di ristoro di Roma, la mia città, è un caso fortuito se un persona in sedia a rotelle possa mangiare ai tavoli all’ esterno del locale… figuriamoci quando si tratta dell’ interno. E a maggior ragione proviamo ad immaginare se a posto della sedia a rotelle il disabile porti con sè uno scooter elettrico più ingombrante. Cosa succederebbe? Ma questo è solo un esempio. Un altro “dettaglio“ che mi ha colpito è stata una gigantografia, in foto,  di due uomini che  si baciano in bocca all’ interno di una vetrina di un negozio di ottica. Adesso, io e mia sorella abbiamo apprezzato un’ apertura mentale di questa comunità nordeuropea rispetto ad un modello culturale interiorizzato in riferimento  non tanto all’ omosessualità , quanto al concetto di amore e attrazione, raccontabile e reso condivisibile  tranquillamente attraverso una foto dove sono due uomini a baciarsi e ad essere attratti l’ uno dall’ altro, per pubblicizzare un prodotto. Ora in Italia, un ‘ immagine del genere avrebbe acceso infiniti  dibattiti, sterili e meno sterili, pertinenti o non… sarebbe stata ancora una volta trattata o come una pubblicità progresso o come l’ ennesima provocazione per alzare polveroni stantii e vecchi. Per questo, quando l’ ho vista non  ho potuto fare a meno di sorprendermi per tanta freschezza e normalità che sapeva emanare. E proprio per questo ne ho parlato a lungo con Fiore. Per dire che secondo me, mettendo da parte per un momento il Vaticano e la Chiesa, in Italia ci sono tante persone che per motivi anagrafici, poca istruzione, poca cultura, poco confronto serio su modelli sociali altri cresciuti negli ultimi decenni, nonchè per la chiusura e la piccolezza anche “spaziale“ di tante provincie disseminate nel territorio in luoghi impervi e isolati, ecco ci sono queste tante persone e ristrette comunità  che non possono essere veramente toccate e coinvolte in questa trasformazione profonda e necessaria. Tutto ciò non vuole giustificare l’ arretratezza ma quanto meno, tale riflessione, mi aiuta ad analizzare le ragioni. Di sicuro dovremmo cercare il modo di far progredire la nostra società e i nostri modelli culturali, nonostante questa impasse, che piccola di certo non è.

Avviandoci verso la conclusione, mi viene da dire che la mia voglia di scrivere di questo viaggio vacanza  è stata motivata dal  grado di  benessere con cui l’ ho vissuta, grazie a Fiore, ai suoi ritmi che hanno incrociato i miei, al tanto divertimento e alle tante risate che ci siamo fatte, alle lunghe conversazioni avute con lei sui tanti livelli del viaggio condivisi insieme, al legame nostro, uscitone rafforzato da questa e da altre esperienze. Ma non solo la presenza di Fiore è stata motivo di questo mio benessere.  Anche tutti gli ostacoli che non ho dovuto subire nei luoghi che esploravo, l’ inesistenza di barriere architettoniche, le strade larghe e accessibili a tutti, la vista di tante persone con disabilità padroni dei loro spazi e a loro agio in ogni situazione; e poi le belle persone incontrate in tutte le occasioni di visita, le conversazioni piacevoli, la gentilezza avuta nei miei confronti e rispetto alle mie difficoltà. A tale proposito, durante la vacanza, mi è venuto in mente la triste esperienza che ho avuto in un Centro Euronics quando,  stanca della lunga attesa in piedi, chiese ad una signora se potevo per cortesia passare avanti, evitando di stancarmi ancora e lei che mi risponde “Non vedo perché dovrei“. Io ho cercato una risposta che non attirasse inutili pietismi, ma tanto di sicuro lei non era il tipo. Con decisione, le ho solo motivato la mia esigenza dicendo: “Perché mi stanco a stare in piedi…“; ma poi non lo poteva capire da sola? Comunque era ben lontano da questo, visto che, con aria seccata, mi ha consigliato di chiederlo ad un signore davanti a lei, il quale, con aria altrettanto infastidita mi ha detto “Vabbè passi“. Ho pagato in fretta e ho lasciato il negozio e tutto il resto alle mie spalle, evitando ringraziamenti perché proprio non ce n’ era motivo. Ma tutto questo mi è venuto in mente mentre stavo fortunatamente nel mio benessere e in luoghi civili e meravigliosi, come tutto quello che vi ho raccontato.

Dunque la compagnia giusta, l’ accoglienza di chi ti ospita contribuiscono a trovare e a ricordare la bellezza delle cose che si incontrano, durante i nostri viaggi. Quindi, cercate di trovare sempre le compagnie ideali, cercando di informarvi prima sui tanti livelli che rendono memorabile – in senso positivo – anche la vacanza di una persona con disabilità . Vi segnalo due siti che si occupano proprio di questo, cioè di turismo sostenibile e disabilità:

  http://www.diversamenteagibile.it/   (collegato a Trivago)

 http://www.handysuperabile.org/chi-siamo/handy-superabile/   (associazione onlus).

Inoltre, per lasciarci con un sorriso e una speranza posto il video di Iacopo Melio e Lorenzo Baglioni, che sulla musica di “Vengo anch’ io, no tu no“ di Jannacci, costruiscono un testo geniale e divertente per denunciare l’ inadeguatezza del nostro Paese di fronte ai luoghi eternamente  irraggiungibili dalle persone disabili, che sia uno stadio o un appartamento di un amico.

https://www.youtube.com/watch?v=HtuMELyRVwk

 

 

 

 

 

 

 

 

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