Amore e sessualità nelle persone con handicap fisico e/o cognitivo III parte

Le conclusioni di www.diversameteabili.it
La sessualità dell’handicappato rappresenta, dunque, un problema complesso che mette in crisi famiglia, educatori e scuola in quanto costringe a prendere decisioni che mettono in crisi e spesso portano a reprimere ogni tipo di comportamento sessuale, soprattutto nelle donne.
La base di partenza potrebbe essere una riflessione sulla propria sessualità, sul significato che diamo al piacere, sui valori che intendiamo rispettare, sulla nostra capacità di accettazione del diverso. Dobbiamo nel contempo valutare le privazioni cui sono sottoposti gli handicappati. La loro identità sessuale, lo si è detto, non poggia né su pilastri biologici, né su pilastri sociali. Il piacere sessuale è legato alla sola masturbazione che di conseguenza diventa spesso coatta e pubblica. Soltanto se comprendiamo il significato che il piacere ha nella vita umana possiamo sperare di poter dare agli handicappati una vita meno difficile. Il piacere può venire da contatti umani più accettabili, dal gioco, da un cibo particolarmente curato, da un educazione alla musica, allo sport, ad un tipo di lavoro gratificante, alla maggiore autonomia possibile. Dovremmo cercare di dare a ciascun essere umano la possibilità di legare il piacere alle relazioni umane e al proprio lavoro. Questo comporta, se voi volete, non solo tutto un altro modo di pensare all’inserimento lavorativo degli handicappati, ma anche un altro modo di accettare quando non addirittura favorire l’autoerotismo, quando non sia possibile auspicare l’instaurarsi di relazioni sessuali tra di loro. Tuttavia questa «liberalità» solleva una serie di conflitti interni, limitare la sessualità degli handicappati psichici ad un rapporto sessuale non procreativo è una decisione che desta una serie di angosce. Però noi non abbiamo rimedi: l’handicap è un problema senza soluzioni ottimali; è un problema che mette in gioco la nostra onnipotenza. Noi, soprattutto con l’aiuto di medici e psicologi, vorremmo riuscire a trovare una «terapia» valida per ogni male, essere capaci di guarire ogni malattia, di porre rimedio ad ogni difetto. Spesso invece possiamo soltanto scegliere tra due mali o accettare di non poter proporre alcun rimedio, di non poter guarire. Su questa linea sottile che divide il normale dall’handicappato non vi è una soluzione ottimale, né tanto meno una soluzione che vada bene per tutti. Ogni caso è un caso a sé, ogni caso ci richiede di individuare la strada da percorrere, ogni caso rappresenta una sfida che dobbiamo raccogliere.
 
 

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