Il Libro Nata Viva (aggiornato il 9/01/2012)

 Zoe Rondini

“… Tutti i dottori si affrettano a rianimarmi, ma rimango cinque minuti completamente senza respirare. Si tratta solo di cinque minuti, ma sono i primi della mia vita”. Poi Zoe comincia a respirare. E a vivere. Quei cinque minuti dopo rispetto agli altri neonati, la costringeranno a confrontarsi fin dai primi mesi, con una vita che è cominciata più tardi ma che pian piano non tarderà a essere così tanto desiderata da consentire a Zoe di superare qualsiasi ostacolo. All’età di tredici anni, a causa di un lutto doloroso, Zoe intraprende l’avventura più importante: dare vita ad un racconto autobiografico, che l’accompagnerà per ben 16 anni. Lungi dall’essere un trattato o un saggio sulla disabilità, Nata Viva vuole essere un racconto appassionato e antipedagogico di una ragazzina e poi di una ragazza, che tra luci e tenebre ha saputo lottare per raggiungere e conquistare quella serenità che tutti bramiamo. Nel suo stile rapsodico, Zoe si fa cantore e testimone con la sua voce, dell’incontro sorprendente tra limite e prospettiva, civiltà e pregiudizio, presenza e invisibilità. Insieme a lei, anche noi riviviamo il nostro essere stati bambini o adolescenti incompresi. Nel suo romanzo di formazione Zoe costringe il lettore a non dimenticare mai lo scarto enorme che c’è tra vivere ed esistere, inchiodandoci all’idea che per nascere veramente, ad ogni occasione, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo al mondo intero.

Zoe Rondini è lo pseudonimo dell’autrice. Laureata in Scienze dell’Educazione e della Formazione, attualmente sta studiando per ottenere la laurea magistrale in Editoria e Scrittura (giornalismo). In passato ha pubblicato molti articoli riguardanti i problemi e i diritti delle persone disabili su vari siti, su un quotidiano on-line e sulla rivista italiana dell’Opera Montessori. “Nata Viva” è la sua opera prima.

Dove acquistare Nata viva

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Incipit Nata Viva

Zoe Rondini
Premessa
“Nulla di utile”

Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale agli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio. Adesso mi domando quand’è che ho cominciato a capire che avevo qualcosa che mi “distingueva” dagli altri, qualcosa che non permetteva loro di accettarmi, li metteva a disagio. Non a tutti si intende, ma già dal modo in cui la gente si avvicinava a me, riuscivo subito a distinguere se una persona era sensibile, senza pregiudizi e senza imbarazzi, oppure no. Forse ho percepito questo fin dall’asilo, visto che i miei primi ricordi risalgono a quegli anni, forse da molto, molto tempo prima, quando osservavo gli altri bambini sgambettare dall’interno dell’incubatrice. O forse l’avevo già intuito quando mi trovavo nella pancia di mia madre e avevo tutta quella fretta di uscire e tutta quella paura, non potevo non aver paura, “qui sono al sicuro”, devo aver pensato. Non volevo ritrovarmi in un mondo troppo grande per me, troppo rumoroso, pieno di doveri e regole da rispettare. Dove tutti corrono e poche persone hanno tempo e voglia di aiutare chi resta indietro.”La nascita è un cambiamento troppo grande per me”, devo essermi detta, e io ho sempre temuto i cambiamenti. Non so dire quando ho intuito che avevo qualcosa di “diverso”, ma so che la consapevolezza della mia diversità l’ho acquisita piano piano, crescendo, sentendo gli altri bambini che di nascosto ridevano e parlavano di me e dicevano «guarda i suoi scarabocchi». O quando rimanevo seduta ad osservare tutti gli altri muoversi, bambini che correvano, dispettosi e allegri, saltavano, salivano e scendevano dagli alberi, dalle altalene, dai muretti alti, ogni giorno sempre più alti. E poi c’erano i grandi che sempre dovevano andare da qualche parte, sempre avevano qualcuno da chiamare, da andare a cercare, qualcun altro con cui stare. Non capivo perché avessero bisogno di muoversi tanto. Forse sto meglio io, non mi stanco come loro, posso giocare qui per terra, potrei giocare qui in ginocchio per interi pomeriggi. Mi dicevo questo e non pensavo a quello che mi mancava.

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