Il disabile e lo Stato

Nel 2001 l’Organizzazione mondiale della sanità propose un nuovo punto di vista per il concetto di disabilità. Questo infatti viene definito come “la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo“. La definizione appare notevolmente ampia e inclusiva di diverse situazioni, rivelando un’ottica moderna. Accogliere tale affermazione (nella pratica ed in tutto il suo profondo e complesso cambiamento) nel nostro paese significherebbe andare contro e superare le profonde convinzioni culturali che portano a trattare l’handicappato con pietismo e a sostituirsi a questo in tutte le mansioni, anche in quelle che sarebbe in grado di svolgere autonomamente con un po’ più di tempo, pazienza e impegno.
In Italia una cultura arcaica indissolubile e radicata, impermeabile a riforme di legge e cambiamenti sociali, impedisce una reale integrazione del disabile nella società. Questo avviene sia sotto un’ottica di sostegno economico e sanitario, sia in un’ottica di emancipazione e autonomia. Molte persone normodotate credono nella teoria di accettare la disabilità, ma quando si trovano di fronte alle vere e piccole esigenze che un disabile pone loro si rivelano incapaci e indifferenti.
A questo proposito vorrei ora riportare uno stralcio dell’ articolo: http://www.cprogettosud.it/editoria/una%20possibile%20autonomia/3.html. Nel testo viene condotta un’analisi comparata delle situazioni dei cittadini disabili in alcune città europee. L’ipotesi di partenza è che vi sia un nesso molto stretto tra contesto socio-economico, contesto culturale e condizioni di vita dei disabili. I paesi presi in considerazione sono: Albania, Serbia, Olanda e Finlandia. Dalle testimonianze riportate nell’articolo si evince chiaramente che nei paesi, come Serbia e Albania, attraversati da crisi economiche e politiche, le persone disabili arrivano a dimenticare il loro handicap per lavorare e sopravvivere. Lo stato non è in grado di fornire loro alcun diritto speciale. Nei paesi del Nord Europa, invece, dove lo Stato è al servizio dei cittadini, troviamo testimonianze di perfetta integrazione o di significativo sostegno economico. Bisogna comunque riconoscere l’esistenza di più fattori che incidono sulla presenza dello stato nella vita di una persona con disabilità: la densità degli abitanti nei diversi stati, le origini culturali e l’evoluzione stessa della cultura di un determinato paese e le diverse situazioni economiche nazionali. A questi macro fattori se ne aggiungono altri dettati dalla mentalità delle singole persone, famiglie e comunità.
Passando ora ad analizzare il rapporto tra Stato e disabile nel nostro paese, l’Italia, lo scenario che ci si presenta non è dei più confortanti. Basti vedere alcuni dati rinvenuti dalla pagina «La disabilità in cifre» dell’Istat: in Italia i disabili «sono 2 milioni 600 mila, pari al 4,8% circa della popolazione di 6 anni e la maggior parte vive in famiglia. Considerando anche le 190.134 persone residenti nei presidi socio-sanitari si giunge a una stima complessiva di poco meno di 2 milioni 800 mila persone.“ A farsi carico dell’assistenza delle persone non autosufficienti sono, in misura sempre maggiore, le famiglie. In particolare sono le donne, figlie, mogli, nuore, le indiscusse protagoniste del lavoro di cura. Si è assistito, negli ultimi anni, ad un notevole passo indietro dello Stato nel sussidiare le famiglie in questione. Pochi numeri, presi da un’inchiesta del «Sole 24 Ore», dicono tutto. Rispetto al Pil, l’Italia spende molto più della media dell’Europa a 15 per le pensioni (16,1% contro 11,7%), come gli altri nel totale del welfare (26,5% contro 26%) ma nettamente meno per la non autosufficienza: 1,6% contro 2,1%. Un quarto di meno. Basti vedere, in un’analisi di Antonio Misiani, il taglio delle due voci che più interessano l’handicap. Dal 2008 al 2013 il Fondo per le politiche sociali precipita nelle tabelle del governo Berlusconi da 929,3 milioni di euro a 44,6. Quello per la non autosufficienza da 300 a 0: zero! Numeri che da soli confermano il giudizio durissimo del Censis: «La disabilità è ancora una questione invisibile nell’agenda istituzionale, mentre i problemi gravano drammaticamente sulle famiglie, spesso lasciate sole nei compiti di cura». Peggio:«L’assistenza rimane nella grande maggioranza dei casi un onere esclusivo della famiglia».
Pietro Barbieri, presidente della Fish, la Federazione italiana del sostegno all’handicap, traccia il seguente quadro: «Da noi si spende meno della metà della media europea a 15 per la non autosufficienza. E il dato comprende sia l’indennità civile che l’assistenza domiciliare pagata dai Comuni. Qui non si tratta di prendere provvedimenti più equi, qui si dice alle famiglie “arrangiatevi!”» E a quel punto sapete cosa accadrà? «Che le famiglie cominceranno a chiedere il ricovero per un congiunto non autosufficiente. E a quel punto avremo una maggiore segregazione di persone che non hanno fatto nulla di male e un costo molto più alto per il Paese. (1)
Lo  scarico di responsabilità da parte dello Stato, registrato nelle analisi riportate sopra, può essere attribuito a diverse variabili. A cominciare dalla crisi economica che affligge ciclicamente il nostro Paese, all’affermarsi indiscusso di un capitalismo senza freni e senza scrupoli che ha portato ad un dilagante individualismo: ognuno deve pensare per sé, e se riesce gli è consentito scavalcare gli altri nella distribuzione di beni e diritti. Le famiglie composte anche da persone disabili non si salvano da tale vortice. Il Welfare State va lasciando il posto ad un Welfare State privato, composto da badanti, parenti e amici. Tale fenomeno lascia l’amarezza e il senso di tanti nuclei familiari di sentirsi completamente abbandonati dal proprio governo. Alla fine dei conti ci si organizza e tristemente rassegnati si rinuncia a rivendicare attenzioni pubbliche verso cittadini bisognosi. L’assuefazione all’assenza dello Stato è totale.

(1) “I disabili (veri) dimenticati dallo Stato , In Italia 2 milioni 800 mila di persone non autosufficienti. E tutto il carico ricade sulle spalle delle famiglie.“ Di Gian Antonio Stella fonte: www.corriere.it

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La Cantastorie Zoe: impressioni di uno spettatore

Il 31 maggio 2012, mi sono recato al teatro Abarico, di via dei sabelli, con una certa dose di perplessità e sopratutto perché Zoe (nome d’arte di Marzia) ci teneva a vedermi con lei, in prima fila.

A dire la verità, non avevamo quasi mai parlato di questa impresa – dopo una piccola recita avvenuta nella tarda estate del 2011, nella casa dei genitori di Matteo Frasca. Nemmeno conosco gli sforzi di preparazione che la necessità di “imparare la parte“ ha richiesto, ad ambedue i giovani attori – sotto la guida della brava e sensibile Tiziana Scrocca. Ebbene, mi sono trovato di fronte ad una vera sorpresa. Un racconto svolto nelle molteplici pagine di un libro annedottico, come “Nata viva ove ciascuno degli episodi ha valore di ricordo sentimentale di un passato che non tornerà più, ma ha inciso nella memoria ed ha costruito la sensibilità umana e la partecipazione alla vita sociale di una persona che “nel venire al mondo“ ha giocato il suo destinoè stato magistralmente tradotto nello spettacolo teatrale ove il “vedere“ dei gesti, “l’ascoltare“ di brevi frasi mozze; l’ostentare di giocattoli, collane e fotografie; il suono sempre coerente di brevi frasi musicali hanno racchiuso – quasi condensato –   circa trent’anni di vita nella simbologia di quei primi “cinque minuti di non respiro“.

Questa “trovata“ degnissima ed efficace con la quale è stato costruito teatralmente il racconto ha consentito di narrare quasi una progressiva previsione da parte dell’istinto del sub conscio di Zoe di ciò che sarebbe successo, negli anni a venire, se la decisione fosse stata a favore del vivere.
La nota bassa e progressivamente ritmata con maggiore frequenza delle chitarra ha finalmente “espresso“ questa “scelta“ dal cuore noenatale di Zoe.

Nel guardare con ammirazione ciò che nel palcoscenico andava svolgendosi, mi è tornato alla memoria l’antico maestro liceale che mi insegnava cos’è il Teatro: azione.  E ripeteva la nota frase: ACTIO, ACTIO, ACTIO!

Tiriamo le conclusioni:  la piece recitata benissimo da ambedue i giovani attori/autori, è metafora di una possibilità di esistenza piena e reale con tutte le sue gioie e le sue pene; anche a dispetto di qualche difficoltà fisica – e questo è l’essenziale!

Fa pensare per le “potenzialità“ che presentano molti di questi “non fortunati“ colpiti nei primi minuti dopo la nascita ed anche, talvolta, nel tempo trascorso nel grembo materno. Ad essi non andrebbe attribuito solamente un sorriso di compassione, ma dovrebbe essere loro rivolta una solidarietà completa.

Leggi anche:

La Cantastorie Zoe  a Radio Onda Rossa.

La Cantastorie Zoe, spettacolo tratto dal romanzo “Nata Viva”

Zoe Rondini è Nata Viva

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Intervista a Zoe Rondini tratta dal sito www.consiglialibro.altervista.org

      

1) CIAO, PARLACI UN PO’ DI TE
Ciao e grazie per questa intervista. Allora diciamo che sono laureata in pedagogia; quest’anno ho svolto un progetto che ha visto coinvolti studenti dai 10 ai 25 anni, su: “handicap e narrazione di se“. Ho scritto e recitato nello spettacolo teatrale “La cantastorie Zoe“, tratto da alcuni capitoli del mio breve romanzo di formazione “Nata viva“. Entrambe queste opportunità hanno avuto un successo ed una richiesta di un seguito anche in altri contesti, per coinvolgere altri ragazzi ed adulti. La mia più grande aspirazione è che ciò mi possa portare o per lo meno indirizzare ad un lavoro retribuito. Incrociamo le dita e staremo a vedere!

2) DI COSA PARLA IL TUO LIBRO?
“Nata viva“ è un breve romanzo di formazione; è la mia autobiografia e quindi parla di tante “disavventure scolastiche“, dei bellissimi viaggi che ho avuto l’opportunità di intraprendere, dei giochi e cartoni animati della mia generazione (sono nata agli inizi degli anni ’80). In questo libro rapsodico ci sono una serie di ostacoli, che in parte ho superato, e che possono appartenere ed essere condivisi da tanti lettori. Il tutto è narrato con molta ironia ed autoironia, è la cosa che mi stava più a cuore e che mi ha dato maggior soddisfazione: far sorridere e ridere chi con passione legge le mie pagine. In particolare molti adulti mi hanno riferito che si erano  divertiti e che la sera riponevano il libro sul comodino ripromettendosi di arrivare presto all’epilogo delle varie vicende!

3) COSA TI HA SPINTO AD INIZIARE A SCRIVERE?
Ho sempre amato scrivere: a nove anni iniziai a scrivere una fiaba per altri bambini. Dopo poco ho capito che ero ancora troppo piccola per un’impresa così ardua ed rinunciai.
A tredici anni iniziai una lunghissima ed importante avventura: scrivere la mia autobiografia!
Molte persone mi chiedevano: “come mai a soli 13 anni già scrivi le tue memorie? non ti sembra un po’ presto?“- La risposta che ancora  oggi sento molto attuale è che l’idea di fermare su carta il mio vissuto mi è nata in seguito ad un episodio doloroso. Era l’estate 1994 quando Rickie, il secondo marito di mia madre è venuto a mancare. Avevo l’esigenza di ricordate tutto di lui e degli anni nei quali mi ha fatto da padre. Crescendo continuai a scrivere non solo di Lui, ma anche delle persone che vedevo ogni giorno a casa ed a scuola, dei mie pensieri, di tutta la mia vita.
La mia adolescenza, ed un po’ tutta la mia vita, è stata “diversa“, per un motivo che è ben narrato nell’opera e che non vorrei svelare in questa intervista. In quegli anni la scrittura mi ha aiutato molto a non sentirmi sola, a passare il mio tempo libero in completa autonomia, a ragionare riflettere e quindi anche a crescere. Per tornare alla tua domanda “cosa mi ha spinto ad iniziare a scrivere“ direi che la risposta è da prima il dolore acuto di un lutto improvviso e famigliare, e poi la crescente consapevolezza di una mia “caratteristica“, oggi la definirei così… Ecco gli elementi  che mi hanno spinta a scrivere sia per me stessa sia per gli altri.

4) COSA NE PENSI DEGLI EDITORI E LETTORI ITALIANI?
Direi che i lettori italiani sono sempre più attenti ed informati sui libri, ma un dato significativo è che negli ultimi anni la fiera del libro di Torino (la più prestigiosa in  Italia) ha riscontrato un maggior numero di visitatori ma anche un netto calo nelle vendite. Questo mi porta a supporre che i lettori ci tengano ad essere ben informati, ma poi possono subentrare vari motivi che li scroraggino all’acquisto (prezzi troppo alti, la possibilità di scaricarsi un testo facilmente e gratuitamente, o anche poca scelta nel genere preferito) quindi perché comprare il caro vecchio libro cartaceo? A meno che non sia un must da tenere assolutamente in bella vista nel salotto di casa!
Per quanto riguarda gli editori Italiani, penso che le grandi case editrici dovrebbero aprirsi un po’ ai giovani talenti e dar loro almeno una possibilità, magari riservandoli una piccola area e specifiche collane. Non trovo giusto che gli aspiranti scrittori possano pubblicare solo con piccoli e medi editori e quindi faticare molto di più per farsi conoscere, o per avere una buona distribuzione in libreria.
C’è solo una grossa casa editrice che da poco ha aperto un progetto rivolto ai giovani autori, ma i libri pubblicati non sono presenti nelle tantissime librerie di questo editore; è quindi possibile solo l’acquisto on-line scaricando a pagamento l’E-Book o ordinando la versione cartacea che esteticamente non è ben curata e rifinita.
In Italia sono pochi gli scrittori che vivono facendo solo questo bel mestiere, eppure dall’800 a giorni nostri se ne sono aperte tante di case editrici. Vedo la situazione editoriale un po’ troppo chiusa e cristallizzata, basata su regole che  non sono mai abbastanza evolute a differenza delle idee, delle prospettive, delle abitudini delle persone e  del mondo del lavoro.

5) COSA TI ASPETTI DAL TUO LIBRO E CHE PROGETTI HAI PER IL FUTURO?
Grazie al libro ho intrapreso il progetto nelle scuole, ho recitato in teatro ed ho avuto l’opportunità di conoscere persone umanamente molto ricche ed interessanti, spero che tutto questo continui anzi cresca! Spero di arrivare quanto prima alla seconda edizione di “Nata viva“, mi auguro che venga letto da ancora tante persone. Vorrei entro due o tre anni pubblicare un  secondo libro, mi sto impegnando molto per tutti questi progetti. Speriamo bene!

Potete richidere una copia del breve romanzo di formazione “Nata viva“ scrivendo una mail ad info@piccologenio.it   la spedizione è gratuita 🙂 non esitate!!!!!!!!

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