IL GRIDO DI ZOE (prima breve recensione)

Dott. Maria Luigia Carpentieri

Partendo da una verità espressa da Zoe “il diverso degli altri è il diverso per il disabile“ ritengo
fondamentale l’orizzonte in cui ci poniamo quando analizziamo i fatti della sua vita:
la quotidianeità, il superfluo, l’essenziale, il contingente, il trascendente.
I conflitti adolescenziali elaborati dalla protagonista risultano amplificati a causa di una ingombrante
burocrazia che prevalica sulla vera vita e relazioni parentali e sociali sviluppate su interazioni nutrite da
problematiche rese esponenziali.
Il rapporto fra Zoe e sua madre risulta composto da amore ed odio in una alternanza rapida e sconvolgente
mentre fortemente equilibrante è quello con l’ amatissima nonna: struttura portante dell’albero della vita
e della famiglia.
L’educazione ricevuta da Zoe e da lei stessa coltivata è costruita su realtà psicologiche d’evoluzione:
stimoli  risposte, effetto  causa, proiezioni freudiane.
La scrivania di studio descritta e percepita come una sedia elettrica e l’aula  come cella scolastica sono
concetti geniali: come docente li condivido ma non per solidarietà bensì per esperienza personale
nonostante la mia posizione sia al di là della cattedra.
Nominalmente ogni termine ha una sua funzione specifica ma nel vituperato relazionismo implica analogie
diametralmente opposte.
Zoe è una giovane donna inserita nell’attuale società che si occupa di comunicazione, di crescita del
femminile in una forma di responsabile consapevolezza.
Si muove su una base di interazioni sincroniche in cui la volontà  forte e intraprendente è animata
dal desiderio.
Zoe grida la sua voglia di vivere sin dalla sala parto, ciò che lei ci racconta è un inno alla libertà,
è una dichiarazione di amore, di indipendenza, di crescita, di coraggio cantata all’interno della sinfonia
armoniosa dell’esistenza.

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