racconto della redattrice
È successo in un attimo. Era un pomeriggio di novembre del 2006, ero passata per quell’incrocio miliardi di volte. Quel giorno avevo fretta e poi c’era quel cartello “dare precedenza“. Ho rallentato, ma avevo un appuntamento ed era già tardi. Sono ripartita, il sole mi accecava, e poi un gran botto. Ho frenato terrorizzata, non ero neanche arrivata a metà incrocio che quell’urto mi fece ritrovare ferma col muso della mia Nissan Micra verso destra. Vidi subito l’altra macchina con la quale mi ero scontrata e scoppiai a piangere ed imprecare.
Sul posto c’era già una piccola folla, un signore mi chiese: “Ti sei fatta male?“ “No, sto bene“ “Piangi perché ti fa male il collo?“ “No, non mi sono fatta niente ma ho paura, cos’è successo?“ gli chiesi mentre tiravo fuori il cellulare dalla borsa. “L’incidente non è grave, non ti preoccupare“. Feci il numero di nonna che mi stava aspettando a viale Mazzini. “Pronto, nonna?“ “Marzia perché piangi? Dove sei? Cosa è successo?“. Ed io: “Ho avuto un incidente, non lo so, vieni qui, ho paura“. “Un incidente! Come? Non capisco se piangi? C’è qualcuno lì con te? Passami qualcuno“. Passai il telefono ad un signore, mentre un’altra persona mi fece scendere dall’auto.
Il conducente dell’altra macchina era seduto per terra, stava parlando e non vidi traccia di sangue. Mi fecero sedere al bar e mi portarono un bicchier d’acqua. Sul luogo dell’incidente arrivarono, in contemporanea, l’ autoambulanza ed i vigile e subito dopo arrivò nonna: mi aveva raggiunto in un tempo da record. Un vigile fece il verbale ed io lo firmai. Le macchine furono portate via dal carratrezzi, il conducende dell’atra auto andò all’ospedale con autoambulanza, gli faceva male una gamba. Nonna mi riaccompagno a casa. Non era arrabbiata: “Chi non fa non sbaglia, cara Marzia“ mi diceva per consolarmi. “Ora fatti fare una camomilla, lavati e mettiti sul letto“.
Dopo aver seguito i suoi consigli, chiamai mamma e le raccontai l’accaduto; ci chiedevamo se mi avrebbero sospeso la patente o se poteva risolversi tutto con una multa salata. Secondo noi, ingenue, me la sarei cavata con una multa e cinque punti in meno. In realtà arrivò subito la multa e mi scalarono i punti di guida (non mi ricordo quanti me ne tolsero di preciso), ma questo era solo l’inizio di una vicenda ben più lunga e sofferta.
La macchina era da rottamare ed io posso guidare solo la mia auto perché ha il cambio automatico e una modifica al volante. Pensavo che il tutto si sarebbe risolta nel giro di pochi mesi, il tempo di acquistare una nova macchina e fare il corso teorico a scuola guida, indispensabile per riprendere i punti della patente. Mai avrei pensato che sarei rimasta per un anno e mezzo senza poter guidare!
Un maledetto giorno, mentre ero in giro usando il taxi, persi la patente: me ne accorsi solo la sera, mentre pagavo una pizza insieme a un mio amico. “Cavolo, dov’è la patente? La tengo sempre qui accanto ai soldi!“. “Guarda nella borsa“ mi disse lui. “Aspetta, tiro fuori tutto, no, non c’è!“. La cercammo tutta la sera, senza trovarla: l’unica spiegazione era che l’avevo persa quel pomeriggio chissà dove.
Il giorno dopo feci la denuncia di smarrimento mi diedero un foglio di giuda provvisorio.
Passarono pochi giorni, quando nonna trovò una Micra usata, che sembrava in buone condizione e dopo una consultazione famigliare tra me, nonna, mamma e nonno, me la comprarono. Grazie alla macchina usata, che quindi arrivò senza lunghe attese, ripresi a guidare fino allo scadere del foglio provvisorio. In questura mi avevano spiegato che allo scadere dei sessanta giorni il foglio non era più valido e dura solo sessanta giorni perché perché per rinnovare una patente per non disabili non ci vuole tanto tempo.
Peccato che io dovevo aspettare, gli esami per le patenti speciali si fanno alla motorizzazione solo il primo lunedì del mese, mentre gli esami “normali“ si tengono ogni settimana. Con questi tempi era impossibile non ritrovarmi col foglio provvisorio scaduto, quindi di nuovo senza poter guidare.
Per mesi e mesi ho vissuto molto più in casa, costretta a dover chiedere troppo spesso “Per piacere, domani ho questo impegno, mi puoi accompagnare?“. dovevo domandare a mamma, nonna, un amico o un taxi per andare all’università ed anche per fare la spesa o in farmacia e tutte le commissioni più ordinarie. Era come quando ero minorenne e trascorrevo le mie giornate tra scuola, casa ed il fine settimana al cinema.
“Non è possibile, ho ventiquattro anni, negli ultimi cinque anni ho imparato a guidare in maniera sempre più sicura, ho imparato ad attraversare le strade anche quelle più trafficate, ho imparato ad entrare in un negozio e a fare un acquisto senza rompere nulla, ed adesso non posso più fare niente da sola“.
Cominciai a chiamare sempre più spesso la scuola guida dove avevo preso la patente. Mi dissero che era inutile fare il corso per riprendere i punti dal momento che dovevo rifare tutto da capo: visita medica, esame orale e teorico. Era questa la trafila che mi aspettava! Riuscii ad avere l’appuntamento per la visita medica di lì a breve e la passai subito. Per verbalizzarne il risultato, l’ingegnere voleva vedere la mia patente. “Non ce l’ho, l’ho smarrita“ dissi. “Allora non posso fare niente per te. Avanti il prossimo“. “Ma che dice?“ lo attaccammo io e nonna “Ho la denuncia di smarrimento, mi hanno detto che basta questa per la visita medica, lo verbalizzi, la prego“. Rispose: “Uffa, perché non l’avete detto subito? Ecco qua la firma che vi serve. Avanti il prossimo, chi è il prossimo?“.
“Nonna“ le dissi appena uscita dal palazzo squallido e grigio della commissione medica “è inutile che ci arrabbiamo e ci rammarichiamo, tanto tutte le cose burocratiche vanno così“. “Hai ragione Marzia, è tutto faticoso in questo mondo. Vieni a pranzo a casa mia così se ci va il pomeriggio usciamo“. “Va bene nonna, andiamo“.
Passai tanti e tanti pomeriggi a casa sua, perché il più delle volte era lei che mi accompagnava nei posti che dovevo o volevo raggiungere. Di rado mi ha detto “No, non ce la faccio, ho ottantuno anni, ti chiamo un taxi o lo chiedi a tua madre“. Quando non stavo da lei, rimanevo a casa mia al computer, sui libri o con la tv. Col passare dei mesi mi sentivo meno sicura nel camminare e cadevo sempre più spesso, ma per fortuna anche quando cado è molto raro che mi faccio male.
Quell’estate, andai al mare, guardavo la gente in bicicletta, sui motorini o sui pattini; pensavo che a diciott’anni e pochi mesi guidavo già e sono sempre andata in giro per Roma senza problemi. Addirittura, ancora prima, dai miei quattordici ai diciotto anni usavo un motorino elettrico a quattro ruote che mi permetteva di girare in lungo ed in largo nella pineta di Punta Ala, dove non c’erano molte macchine, a Roma non lo portavo perchè era troppo lento e pericoloso, poi lo regalai la prima estate che presi la patente. Ma non mi sarei mai immaginata di dover vivere un’avventura tanto assurda come quella di trascorrere un anno e mezzo senza poter guidare.
I primi di settembre nonna richiamò Serena, la segretaria della scuola guida, una delle poche scuole in tutta Roma ad avere le macchine con le modifiche per persone disabili. Serena spiegò a nonna che alla motorizzazione c’erano degli scioperi e che quindi tutti gli esami (per disabili e non) erano stati posticipati. “Dovete aspettare“ ci disse “vi chiamo io appena questa situazione si smuove un po’“.
Due mesi dopo ci chiamò e ci disse che le proteste degli ingegneri stavano diminuendo, ma Mattia, il mio istruttore di scuola giuda sconsigliava di andare. Mi arrabbiai e dissi che volevo fare un tentativo. Il lunedì seguenti mi svegliai alle sei, alle otto, ero davanti al cancello della motorizzazione con la mia “seconda Micra“. Era un mattino nebbioso, la luce biancastra del sole filtrava a fatica, ai lati del piazzale c’erano bottiglie rotte, bicchieri di plastica e sacchi neri d’immondizia. Alle otto e mezza circa, arrivo Mattia e si aprì il cancello. “Ciao Marzia, ho detto anche a tua nonna che secondo me è stato inutile venire oggi.“ Risposi “Ciao, ma ora siamo qui, facciamo almeno un tentativo!?! Dai ti prego“ “Va bene, aspetta qui vado dentro a vedere“. Al suo ritorno, la conferma che temevo di sentire. Io ed il mio accompagnatore potevamo tornare a casa e ad attendere il lunedì del mese seguente.
Il mese seguente la motorizzazione era aperta. Ricordo che stavo seduta in sala d’attesa quando arrivò l’ingegnere, io mandai un messaggio ad un mio amico dicendogli “sono dentro la motorizzazione, finalmente, sto aspettando di fare l’esame, appena ho fatto ti chiamo“. Lo inviai col cellulare e contemporaneamente l’ ingegnere annunciò: “oggi facciamo solo gli esami delle patenti, chi deve fare revisione patente può tornare la volta prossima“. Non c’era nulla da fare, mi riavviai a casa, col mio accompagnatore. Ed io che mi immaginavo che quel giorno avrei fatto gli untimi chilometri della strada di casa portando io la mia Micra.
Dalla macchina chiamai il mio amico e nonna; dicemmo che era quasi comico, che era proprio iella; costatammo che tutto quello che mi stava accadendo era al di sopra di ogni immaginazione. “Si è assurdo,“ dissi in tutt’e due le telefonate “ancora non è finita quest’avventura, ci dovrò tornare un’altra volta tra un mese“.
Arrivai a casa mia mangiai un panino e feci una lunga dormita tanto non avevo in programma di uscire con qualcuno.
Trascorsi un altro mese, stando molto tempo dentro casa. Meno uscivo e meno avevo voglia di uscire; è brutto a dirsi ma mi è successo proprio così, anche perchè se esco a piedi, posso raggiungere solo il bar ed il giornalaio.
Non avevo neanche bisogno di uscire perché se mi serviva qualcosa delegavo gli altri o dovevo per forza farmi accompagnare e questo era frustrante. Il computer potevo usarlo dal mio salotto, senza dover chiedere niente a nessuno e così passavo molto tempo a scrivere e in internet.
La tersa volta che tornai alla motorizzazione potei finalmente sostenere l’esame pratico.
Guidai per venti minuti anche un tratto di Laurentina: una strada a scorrimento veloce. Mi sentivo sicura, come se il periodo di stasi non l’avessi mai vissuto. Quando tornai al parcheggio l’ingegnere firmò un foglio e dopo essere già sceso disse a Mattia: “promossa“ e se ne andò. Guardai Mattia con occhi interrogativi ed impauriti, mi fece “ok“ con i pollici feci un lungo respiro di sollievo, chiamai mamma e nonna e urlando dissi “ce l’ho fatta, è finita,“ “oh finamente“ risposero loro con voce mista tra riso e pianto. Conclusi la telefonata dicendo: “stasera venite a cena da me che festeggiamo“.
La sera cenammo col pesce, vino e spumante, la vicenda ci sembrava un brutto ricordo.
La patente mi arrivò a metà maggio 2007, dopo un mese e mezzo dall’esame pratico; questo perchè gli uffici addetti alle patenti “speciali“ hanno poco personale e troppe pratiche da sbrigare ed i tempi sono esasperanti.
Il giorno che presi in mano il mio nuovo documento, abbraccia nonna forte forte. La riaccompagnai a casa sua e ritornai a casa da sola. Ricominciai da quel giorno a condurre la mia vita di sempre, fatta da università, spesucce, uscite con mamma nonna ed amici, ansi spesso sono io che do’ un passaggio a loro.