Storia di un devotee: tra il proprio “demone” ed il rispetto

Un’interessante intervista ad un devotee che è riuscito a tener a bada il suo “demone”. Marco (nome di fantasia), ci parla della sua famiglia e della sua  vita abbastanza “normale”. Solo la moglie è a conoscenza della sua particolarità. Essere devotee gli procura molti sensi di colpa, ma è anche un uomo  attento alle necessità delle persone con disabilità e una parte del suo lavoro è volta all’abbattimento delle barriere architettoniche. Probabilmente chi è contrario/a  ai devotee non cambierà opinione,  ma il racconto a tratti sofferto di Marco rende la sua storia toccante.

Ti va di parlare un po’ di te e della tua famiglia?

Mi chiamo Marco (nome di fantasia), ho superato la cinquantina, una famiglia piccola ma felice: sono sposato da più di vent’anni, con una figlia tra l’adolescente e l’adulto. Ho un lavoro di una certa responsabilità nella Pubblica Amministrazione e vivo in una città del centro nord. Mia moglie non è disabile ma è a conoscenza del mio “segreto”, mentre mia figlia non sa nulla.

Quando e come hai capito di essere un devotee?

Premetto che mal digerisco le etichette, compresa quella di devotee. Rispondendo alla domanda, ho da sempre avuto interesse non esclusivo per le ragazze con difficoltà motorie, ricordo ancora con “emozione” la compagna di classe di cui ero già invaghito arrivare a scuola con le stampelle ed un piede ingessato. Eravamo in seconda elementare, per cui ben prima dello sviluppo della sessualità. Non mi è mai interessato approfondire più di tanto la questione delle origini di questa attrazione ma nel mio caso credo si tratti di una caratteristica pressochè innata.

Nel corso degli anni questo interesse si è consolidato, pur non essendo mai sfociato in morbosità o peggio perversione, ho sempre avuto uno stile di vita “normale” anche dal punto di vista delle relazioni sociali e sentimentali; ho conosciuto ovviamente anche ragazze disabili ma senza mai andare a cercarle, tanto meno con l’inganno.

Fino all’avvento di internet pensavo di essere il solo al mondo con questa particolare attrazione, poi il vulcano si è scoperchiato  a cominciare dalla presa d’atto dell’esistenza in tutto il mondo di migliaia di “colleghi” di passione, nei confronti dei quali non mi è mai interessato cercare contatti diretti ma che mi hanno rafforzato nella convinzione sulla perversione della stragrande maggioranza di loro, almeno di quelli che si espongono su internet.

Che impatto ha avuto e come l’avete gestita questa situazione a livello famigliare e tra le tue amicizie e conoscenze?

Mia moglie è l’unica persona che è al corrente della mia attrazione. La scoperta è avvenuta in modo piuttosto traumatico. Un giorno le ho chiesto di mandarmi da casa alcuni documenti per il lavoro senza aver chiuso il browser con visitazioni piuttosto esplicite. Forse sto facendo psicologia spicciola, ma è stato come se volessi liberarmi di questo segreto e, passata la tempesta iniziale, mi sono sentito sollevato nei suoi confronti. 

All’epoca (mia figlia era piccolissima) decidemmo di intraprendere un percorso di psicoterapia singolo e di coppia, ma lo abbiamo interrotto quasi immediatamente di comune accordo perché non nutrivamo alcuna  fiducia in quello che stavamo perseguendo. Forse non abbiamo trovato la persona giusta; ci è sembrato un percorso lungo, tortuoso e squilibrato.

Ti senti di avere dei sensi di colpa o dei punti di forza per essere attratto da chi ha difficoltà fisiche?

Ho sempre vissuto interiormente questo mio interesse particolare con un grandissimo senso di colpa e di vergogna, temo inevitabile da persona sensibile quale mi ritengo. La mia è una frustrazione quasi fisica, essendo attratto da ragazze in difficoltà, non certo una cosa di cui farsi vanto. L’approfondimento del fenomeno su internet mi ha aperto successivamente scenari variegati e quindi meno colpevolizzanti, anche se l’argomento resta scabroso e con punti di vista diversi e contrapposti, sia all’interno della categoria dei disabili che di quella dei “devotee”.

Dal punto di vista etico e sociale, questa mia caratteristica paradossalmente mi ha consentito di sviluppare una sensibilità particolare e, se mi è consentito, anche di empatia nei confronti delle problematiche e delle esigenze dei portatori di handicap: è solo un esempio banale, ma mai e poi mai parcheggerei l’auto nemmeno per poco tempo nel posto riservato ai disabili. Nel mio lavoro, nel poco di mia competenza, una parte importante è rivolta con passione all’eliminazione delle barriere architettoniche.

Hai conosciuto ragazze disabili ma senza andare a cercarle e senza mai “ingannarle”. Ti va di raccontare dove e perché vi siete incontrati e come si è sviluppato il vostro rapporto?

Nella vita quotidiana non ho mai approcciato ragazze disabili allo scopo di soddisfare la mia attrazione, credo abbiano prevalso il mio pudore ed i sensi di colpa cui ho accennato sopra. Le ragazze disabili conosciute nella vita reale derivano quindi da incontri casuali come tutti gli altri: studio, lavoro, tempo libero e quant’altro. In questi casi ha sempre prevalso il mio raziocinio ed il mio equilibrio, mi sono sempre comportato con loro in modo “normale” e che credo non si siano mai accorte del mio occhio particolare.

 I miei due unici incontri con ragazze disabili sono avvenuti a seguito di conoscenze in rete. Entrambi risalgono a tantissimi anni fa, ovvero agli albori di internet. Con entrambe le ragazze sono stato chiaro e trasparente dall’inizio nella mia attrazione particolare (d’altronde ci siamo conosciuti in forum a tema), ma le storie sono diversissime tra loro.

Nella prima avevo conosciuto da poco la mia futura moglie; non eravamo fidanzati, per cui avevo libertà di movimento anche morale per capire che cosa davvero volessi. La ragazza, conosciuta in un forum di ‘devotee’, (mi ha cercato lei ma poco cambia) era affetta da una malattia degenerativa, con periodi intervallati tra remissione e crisi con ricadute ogni volta più invalidanti. L’esito definitivo sarebbe stato inevitabilmente la paralisi completa delle gambe con la conseguente vita in sedia a rotelle, sperando che la malattia non salisse anche verso tronco e braccia.

Era una ragazza molto forte e, nei limiti del possibile, serena. Professionista di valore, qualche anno più di me, attorno ai trentacinque anni. Purtroppo avevamo aspettative molto diverse: io, ingenuamente preso dalla novità, volevo solo sperimentare il mondo che avevo sempre represso, mentre lei voleva rifarsi una vita essendo in fase di separazione dal marito, spaventato dal rapido incedere della sua malattia. Ci siamo frequentati alcuni mesi in chat, incontrati qualche volta di persona, per poi capire che non era quello che volevo, soprattutto che non era la persona giusta per me a prescindere dalla sua disabilità.

Lei invece non si capacitava di come io, attratto da ragazze disabili, potessi esitare nell’avere una relazione stabile con lei. Era come se si fossero ribaltati i ruoli, mi dava per scontato! Ovviamente in quel periodo i miei sensi di colpa raggiunsero i massimi livelli. Mi è servito diverso tempo per metabolizzare questa storia e anche questa volta ne sono uscito definitivamente qualche tempo più tardi, dopo averne parlato con mia moglie, ovviamente omettendo i particolari più scabrosi e nel rispetto totale della privacy della ragazza.

La seconda storia, qualche anno dopo, è molto più leggera. Nel frattempo ci eravamo sposati, era nata la piccola e ci eravamo trasferiti temporaneamente in una casa enorme, assieme a mia suocera che dava una mano a mia moglie con la bambina. Di fatto pochi mesi di vita separata nella quale ho contattato (questa volta io) una ragazza disabile in una chat a tema, escludendo esplicitamente coinvolgimenti sentimentali. Pochi giorni per capire che il “sesso a distanza” non fa per me e qualche settimana per chiudere definitivamente, questa volta senza sensi di colpa se non con un po’ di vergogna nei confronti di me stesso.

Mi hai raccontato che con tua moglie avete intrapreso un percorso di psicoterapia, ma vi siete trovati male e non avete più affrontato la questione. Ti va parlare di questa scelta? Come mai non avete fatto altri tentativi?

Da allora effettivamente non ne abbiamo più parlato, io soddisfatto del peso che mi ero tolto e lei tranquillizzata dalla serenità con cui tenevo e tengo a bada il mio “demone”. Forse non è stata modalità da manuale, soprattutto in assenza di controprova, ma dopo tanto tempo ancora funziona.

In realtà recentemente ho fatto un altro tentativo in solitaria, ho contattato una professionista, questa volta molto preparata ed empatica che mi ha proposto una sessione di tre incontri focalizzati sulla problematica, al termine dei quali decidere se e come proseguire. Ebbene, forse sto peccando di presunzione, ma anche questa volta ho deciso di interrompere, o meglio di fermarmi dove eravamo arrivati. Il punto è che non vedo valore aggiunto per me in un percorso di psicoterapia: alla mia età specialmente mi ritengo perfettamente in grado di controllare le pulsioni sconvenienti e allo stesso tempo non credo sia possibile “guarire” da questa attrazione, ammesso che ci sia qualcosa da cui guarire.

Su discorso devotee c’è chi è favorevole  e chi è contrario. Ti va di dare dei consigli a chi cerca un devotee, a chi è contrario ed infine come si deve comportare un devotee per trovare ciò che desidera e per gestire il proprio “demone” o per affrontare i sensi di colpa?

La domanda è molto interessante ed altrettanto complessa; oltre alla mia esperienza diretta posso portare al dibattito solo alcune riflessioni personali maturate negli anni. In modo del tutto laico, penso ogni persona sia un unico ed irripetibile, non a caso ad una domanda precedente ho risposto manifestando insofferenza per le etichette parziali.

Se pensiamo al “devotee” come ad un soggetto che si eccita solo in presenza di una difficoltà motoria o peggio di un oggetto inanimato, che considera le disabili stesse come un feticcio e non come persone e soprattutto con una vita sociale, affettiva e sessuale condizionata esclusivamente da questa attrazione, sono  il primo a ritenere che siamo di fronte ad una patologia che va contenuta e respinta, sia nel caso di avance troppo esplicite sia all’opposto in caso di approcci subdoli e ingannatori.

Se invece inseriamo questa attrazione nel complesso delle caratteristiche di una persona, la lettura del fenomeno può essere diversa, quanto meno più articolata. Se sono presenti sincerità, fiducia e soprattutto rispetto reciproco credo che il fenomeno possa essere anche una risorsa, ovviamente avendo ben chiari quali sono i limiti ed i confini.

Non sono e non voglio certo fare il “verginello”, ma credo che la mia storia sia una testimonianza ed uno spunto di riflessione, anche se non sono qui per convincere nessuno.

Vorrei aggiungere un’ultima considerazione. Si dice che tra adulti consenzienti sia tutto lecito ed è sicuramente vero, ma attenzione agli squilibri emotivi e psicologici delle situazioni. E questo vale non solo per una persona disabile che approccia il mondo devotee esclusivamente per trovare una scorciatoia, ma anche al contrario, come dimostra la storia che raccontato con la persona che “pretendeva” mi legassi a lei solo in quanto disabile. Come se fosse una condizione sufficiente.

Vuoi aggiungere altro che non è emerso dalle domande precedenti?

Vorrei semplicemente ringraziarti per avermi dato l’opportunità di esternare sentimenti e considerazioni che mi stanno molto a cuore e che avevo sempre tenuto rinchiusi dentro me stesso. E ti ringrazio di averlo fatto con grande professionalità, senza pregiudizi e senza indulgenza nei miei confronti e della mia storia.

Se avete una storia interessante da raccontare, che abbia a che fare con la disabilità, i bambini, l’amore, la sessualità, la famiglia… potete mandare una mail a: marziacastiglione81atgmail.com 

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