Cos’è la felicità e chi è veramente felice? Mi interrogo su questi e altri concetti in un periodo di vulnerabilità, dove mi sento troppo Marzia e poco Zoe Rondini, autrice, invitata a parlare ai ragazzi delle scuole o a presentare i miei libri. In passato mi sentivo più sostenuta da un consulente letterario, famigliari, insegnanti e altri autori.
Per Aristotele, la felicità non è un semplice stato emotivo, ma uno stato di piena realizzazione personale e di esercizio delle virtù. È il fine ultimo della vita umana, un’attività continua che si raggiunge attraverso il vivere secondo ragione e virtù, e che porta a una vita piena e soddisfacente. Non è un’esperienza passiva, ma un’attività costante e impegnata.
Aristotele collega la felicità all’idea che ogni essere umano ha una funzione specifica, e la felicità consiste nel realizzarla nel modo migliore possibile. Per l’uomo, questa funzione è legata alla sua natura razionale.
La vita è basata su ciò che portiamo avanti, ma anche sulla gestione di emozioni, accadimenti che, non sempre, dipendono da noi. Per fortuna ci sono momenti di felicità in cui ci possiamo lasciare andare, persone con le quali ci possiamo rivelare per quello che siamo… Sarebbe ancora più complesso vivere con un iper-controllo su gesti, azioni, pensieri ed emozioni. Chi ci può insegnare la felicità e la differenza tra euforia. Cos’è la depressione, è una malattia o un malessere? Perché a volte ci paralizza e non ci permette di svolgere le attività complesse e più ordinarie di tutti i giorni?
Cos’è la felicità? Esiste davvero o è una nostra invenzione? Secondo me ognuno è felice, infelice, depresso, euforico… a modo suo. Non ci dovrebbero essere spiegazioni, prediche, retorica su altre persone che vivono queste ed altre emozioni a modo proprio.
Ho trovato interessante l’articolo “Cos’è la felicità? Perché alcuni sono felici?[1]”, dello psicologo Angelo Scuzzarella e altre definizioni che citerò di seguito. “Dire che la felicità non esiste è una stupidaggine. – dice l’esperto che poi prosegue – È altrettanto inutile dire che si sono persone felici in quanto tali, o perché hanno tutto, esattamente come è riduttivo dire che ci sono persone depresse per il semplice fatto che gli “è venuta la depressione”. Essere felici significa vivere prevalentemente emozioni positive. Essere depressi significa vivere prevalentemente emozioni negative. Le emozioni però non vengono come un raffreddore, sono determinate da quello che facciamo e da quello che pensiamo di noi stessi, del mondo e degli altri”.
Dipende da noi, ma anche da quello che ci capita, da come vanno le cose in un determinato momento della vita, dalla nostra resilienza e resistenza, da quali e quanti traumi ci portiamo dentro, dalle nostre reazioni. Ma soprattutto non possiamo insegnare le emozioni, almeno non del tutto perché infondo la vita va vissuta più che insegnata o imparata.
Molti sentimenti si caratterizzano nell’essere condivisi altrimenti subentra la frustrazione, noia, apatia, depressione. Dalle emozioni positive spesso si riparte, si trova la voglia di progettare, sperare, fare, emozionarsi di nuovo per piccole e grandi cose… in una parola vivere…
È auspicabile avere qualcuno per poter condividere tutto ciò. Anche se a volte le modalità di condivisione della gioia o della più frivola e banale euforia del momento vengono manifestate e accolte non correttamente. È anche difficile cambiare atteggiamento se per decenni le modalità di interazione con una persona sono in un certo modo e poi cambiano per via dei modi di pensare, dei problemi, delle necessità. Ne deriva rabbia, smarrimento… sentimenti contrari a quella felicità che, secondo la Treccani è: l’Opportunità, qualità di ciò che è riuscito in modo eccellente.
“Le sue caratteristiche – spiega meglio Wikipedia- sono variabili secondo l’entità che la prova (per esempio: serenità, appagamento, eccitazione, ottimismo). Quando la felicità è presente, associa la percezione di essere eterna al timore che essa finisca”. Quante volte abbiamo paura che l’esperienza nuova, elettrizzante, felice, euforica… finisca subito e per questa paura ci chiediamo se è meglio viverla o meno? Sono situazioni che capitano spesso e questo logorio dei pensieri non ci permette pienamente di vivere la felice, l’emozione, ma anche l’euforia, la gioia e la gratitudine del momento o del periodo.
In tutto questo mi sembra giusto soffermarmi sulla serenità che è ancora più importante, ma più difficile da raggiungere. La serenità è uno stato di calma interiore e di equilibrio emotivo, spesso associato a una sensazione di pace, stabilità e benessere. Si tratta di uno stato mentale in cui siamo in grado di affrontare le sfide della vita con compostezza e tranquillità. Si caratterizza per l’assenza di ansia, stress e agitazione e per la presenza di una mente chiara e concentrata. Conosco tante persone che non sembrano serene, anche se all’apparenza non gli mancherebbe niente… eppure!
Altri concetti interessanti e molto collegati a quelli sopra citati sono:
- Resilienza: la capacità di un individuo di affrontare e superare eventi stressanti o traumatici, riorganizzando positivamente la propria vita e mantenendo o sviluppando il proprio equilibrio psichico ed emotivo. In altre parole, è la capacità di “rimbalzare” dopo un’esperienza negativa, non solo sopravvivendo ma anche crescendo e imparando da essa.
- Accettazione: non si tratta di essere passivi di fronte alle situazioni difficili. Piuttosto, è accettare ciò che non può essere cambiato e impegnarsi per migliorare ciò che, invece, può esserlo.
- Consapevolezza di sé: la serenità è spesso legata a un alto livello di consapevolezza. Quando siamo sereni conosciamo i nostri pensieri, emozioni e reazioni e sappiamo gestirli in modo efficace.
Sentimenti ed emozioni non sono la stessa cosa ma la felicità può essere considerata sia un sentimento che un’emozione, a seconda del contesto e della prospettiva da cui viene osservata.
Da un lato, è un sentimento profondo di benessere e soddisfazione che permea la vita di una persona nel complesso. Dall’altro, è un’emozione fugace di gioia e contentezza che sorge in risposta a eventi o situazioni positive.
Entrambi gli aspetti contribuiscono al significato della felicità umana, riflettendo sia la sua natura stabile e duratura, sia la sua dinamicità e varietà nelle esperienze quotidiane.
Ricollegandomi alla mia situazione, descritta all’inizio di questo articolo, penso che la felicità sia frutto delle scelte che facciamo ogni giorno: quelle che ci consentono di raggiungere gli obiettivi e realizzare i nostri progetti di vita, quelli che sono in grado di farci sentire veramente appagati, fieri di noi stessi e che ci fanno stare bene.
Per trovare la felicità può essere necessario uscire dagli schemi che ci vengono imposti dall’esterno: i sogni di ciascuno sono diversi da quelli degli altri e possono essere completamente differenti dalle norme sociali, come formare una famiglia, avere un lavoro stabile e ben retribuito o la casa di proprietà.
Il filosofo Martin Heidegger chiamava queste norme sociali “pubblicità“, perché determinano il modo in cui una persona deve apparire agli altri per potersi uniformare alla comunità. Contrapposta alla pubblicità c’è la necessità di trovare sé stessi e realizzare pienamente la propria identità, perché ciascuno di noi è anche i suoi progetti di vita. Perciò, saremo completamente felici solo quando avremo ottenuto ciò che noi vogliamo davvero indipendentemente dalla società, compiendo a pieno la nostra identità e trovando chi siamo.
È più giusto, ma molto più complesso e impegnativo fare un cammino condiviso verso la propria felicità piuttosto che imporsi sulle modalità corrette e non corrette di come vivere emozioni più o meno potenti.
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Zoe Rondini: formazione e lavoro
Presentazione di “Nata viva”, romanzo e cortometraggio
Presentazione del saggio “RaccontAbili”
[1] https://www.scuzzarella.com/psicologia-positiva/

Ci sono molti genitori di persone con vari tipi di disabilità che trovano nei figli motivo di andare avanti, creando Associazioni per dar loro e a tante altre persone un aiuto concreto. Molti familiari fanno ciò anche per sopperire agli aiuti irrisori che lo Stato offre alle persone non autosufficienti e alle loro famiglie.


