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Il 10 gennaio 2021, sono stata intervistata da Paola Severini Melograni al programma “O Anche No” su Rai Due.
Buona visione.
Tutta la puntata è disponibile al link:
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Il 24 maggio 2020, ho avuto il piacere di essere intervistata nel programma “O Anche no” condotto da Paola Severini Melograni e con I Ladri di Carrozzelle.
È andato in onda su Rai2 ed è disponibile su RaiPlay a questo link
Con l’intervista sono state trasmesse anche parti del cortometraggio Nata viva della regista Lucia Pappalardo e prodotto da l’Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani.
Buona visione.
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Sono Zoe Rondini, autrice, divulgatrice, pedagogista e blogger.
Ho una disabilità motoria dovuta ad un’asfissia neonatale di cinque minuti. Grazie a tanta riabilitazione conduco una vita “normale”.
Il mio ultimo traguardo letterario è il saggio “RaccontAbili: domande e risposte sulle disabilità” (Erickson Live 2020). La mia prima opera letteraria è il romanzo autobiografico “Nata Viva”, (Seconda edizione nel 2015, grazie alla Società Editrice Dante Alighieri).
Dal romanzo è tratto l’omonimo cortometraggio, disponibile su YouTube, primo classificato nella categoria “Corti Della Realtà” nell’ambito del Premio L’Anello Debole – Festival di Capodarco edizione 2016.
Dal 2006 gestisco il portale www.piccologenio.it dove troverete contributi soprattutto su tematiche quali disabilità, amore, sessualità, narrazione di sé e pedagogia.
Sono laureata in Scienze della Formazione e dell’Educazione, con specialistica in Lettere, Editoria e Scrittura presso l’Università la Sapienza di Roma. In ambito accademico, ho spesso l’opportunità di intervenire come relatrice per lezioni e convegni che trattano la disabilità e tematiche ad essa correlate. In queste sedi approfondisco gli aspetti psicologici, sociologici e pedagogici legati all’handicap; affronto argomenti quali i rapporti tra la persona con disabilità e la famiglia, la scuola, gli ausili informatici, l’amore, l’affettività, la sessualità e la narrazione del sé come strumento di empowerment e di terapia, la vita indipendente, disabilità e mass media.
Zoe Rondini è uno pseudonimo che, per motivi di privacy, ho usato per le mie opere edite nel mini-film e sui social network.
Nata viva:
“Tutti i dottori si affrettano a rianimarmi, ma rimango cinque minuti completamente senza respirare. Si tratta solo di cinque minuti, ma sono i primi della mia vita”. Poi Zoe comincia a respirare. E a vivere. Quei cinque minuti dopo rispetto agli altri neonati, la costringeranno a confrontarsi fin dai primi mesi, con una vita che è cominciata più tardi ma che pian piano non tarderà a essere così tanto desiderata da consentire a Zoe di superare qualsiasi ostacolo. All’età di tredici anni, a causa di un lutto doloroso, Zoe intraprende l’avventura più importante: dare vita ad un racconto autobiografico, che l’accompagnerà per ben 16 anni. Lungi dall’essere un trattato o un saggio sulla disabilità, “Nata viva” vuole essere un racconto appassionato e antipedagogico di una ragazzina e poi di una ragazza, che tra luci e tenebre ha saputo lottare per raggiungere e conquistare quella serenità che tutti bramiamo. Nel suo stile rapsodico, Zoe si fa cantore e testimone con la sua voce, dell’incontro sorprendente tra limite e prospettiva, civiltà e pregiudizio, presenza e invisibilità. Insieme a lei, anche noi riviviamo il nostro essere stati bambini o adolescenti incompresi. Nel suo romanzo di formazione Zoe costringe il lettore a non dimenticare mai lo scarto enorme che c’è tra vivere ed esistere, inchiodandoci all’idea che per nascere veramente, ad ogni occasione, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo al mondo intero.
Raccontabili, domande e risposte sulla disabilità:
Di disabilità, o diverse abilità, si parla ormai molto. Ma qual è la prospettiva delle tante persone che in diversi modi vivono la propria disabilità o quella altrui? Quali possono essere le narrazioni sul mondo di chi ogni giorno vive la disabilità in prima persona e di chi è a stretto contatto con essa per ruolo, professione o vocazione? Zoe Rondini, alla sua seconda prova letteraria, scommette su questo spazio bianco e, attraverso la forma dell’intervista, restituisce centralità a questi punti di vista. Chi risponde cerca di estendere il concetto di disabilità guardandolo sotto molteplici lenti: dalla famiglia alla scuola, dalla routine all’arte, dal tempo libero al lavoro, dalla politica ai diritti, dall’amicizia all’amore e alla sessualità, cercando di sfatare luoghi comuni e tabù. Arricchito dai contributi dei professori Serena Veggetti, Nicola Siciliani de Cumis e Adriano Bompiani, questo testo, al confine tra saggio, inchiesta e intervista polifonica, si rivolge alla stessa comunità protagonista delle interviste: persone con disabilità, famiglie, insegnanti e educatori, giornalisti, scrittori, pedagogisti, psicologi, medici, studenti, amanti del teatro e del cinema, attori, registi e autori, nell’intento di allargare la comunità «abile nel raccontare» e con l’auspicio che ogni lettore e lettrice diventi a sua volta uno o una dei possibili, futuri… RaccontAbili.
Gruppo Facebook: “Amore, disabilità e tabù: parliamone”
Per cercare di dare il mio contributo nel processo di apertura tra disabilità e sessualità ho ideato, nel 2012, il gruppo Facebook “Amore, disabilità e tabù: parliamone!“.
Il gruppo, si propone come un luogo di incontro virtuale, per fare conoscenza, scambiare informazioni sui temi che riguardano l’affettività, l’amore e la sessualità, talvolta accolta e altre volte negata, per le persone con disabilità motoria, sensoriale e cognitiva. È aperto anche ai famigliari, e a chi, per vari motivi, vuole conoscere questi aspetti della vita che riguardano, o dovrebbero riguardare, ognuno di noi.
Non esitate a contattarmi per un supporto, per contributi nelle scuole, università e a convegni o per ricevere i libri con dedica!
Contatti:
E-mail: zoe.rondini@gmail.com
Oppure mi potete scrivere in privato sulla pagina Facebook ZoeRondiniAutrice o sul profilo Istagram
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Presentazione di “Nata viva”, romanzo e cortometraggio
Presentazione del saggio “RaccontAbili”
Educazione Sessuale e Disabilità: Zoe Rondini esplora le tematiche
Ecco a voi la mia seconda intervista alla trasmissione Eccellenze Italiane, su Odeon Tv.
La puntata da noi registrata andrà in onda lunedì 18 marzo 2024 alle 18.51 circa sul canale 163 del digitale terrestre Odeon tv.
Buona visione e condivisione!
https://editoria365.it/2024/03/20/zoe-rondini-2/
Tutte le informazioni sul romanzo Nata Viva le trovate qui
Se siete interessati al saggio RaccontAbili cliccate qui
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Presentazione del saggio “RaccontAbili”
Cara Fiorella,
ti stimo molto come cantante ed artista poliedrica!
La cosa che più mi ha colpito, oltre la tua eleganza, bellezza e bravura è la semplicità con la quale ti sei fermata a ascoltarmi quando ci siamo incontrate nell’hotel di Pestum, al supermercato ed ultimamente a luglio ai Parioli.
Ti scrivo questa lettera anche per parlarti di me, del mio impegno sociale, delle mie storie d’amore, soprattutto quella più importante. Mi soffermerò a ragionare anche sull’urgenza di porre più attenzione per tutelare le donne con vari tipi di disabilità.
Sono autrice del saggio “RaccontAbili, domande e risposte sulle disabilità” e del romanzo autobiografico “Nata Viva”, dal quale è stato tratto l’omonimo cortometraggio disponibile su YouTube.
Ma procediamo con ordine: i chiamo Marzia Castiglione, prima di pubblicare i miei due libri, per motivi di privacy ho scelto lo pseudonimo di Zoe Rondini.
Oggi sono abbastanza serena di ciò che, in vari modi, mi impegno a portare avanti. La mia vita ha avuto un punto di svolta quando, attraverso la narrazione del sé, sono riuscita a raccontare la resilienza nelle vite ordinarie di tante persone con disabilità (me compresa) e di chi, per vari motivi, si trova a relazionarsi noi.
Ho molti interessi, ma la mia più grande passione e l’inizio di ogni progetto è la scrittura. Grazie ad essa mi sono realizzata e continuo a realizzarmi. Ho trovato il mio ruolo nella società, parlo nelle scuole con un progetto contro il bullismo, che vuole incentivare la narrazione del sé. Ogni anno poi, tengo delle lezioni all’Università Lumsa.
Negli incontri che si svolgono in ambito universitario, avendo come interlocutori dei futuri “addetti ai lavori” (pedagogisti, terapisti, logopedisti, fisioterapisti e insegnanti e insegnanti di sostegno) la lezione si focalizza sul fornire loro il punto di vista della persona con disabilità e far passare il messaggio che oggi la scuola e le terapie riabilitative posso essere proposte in modo giocoso. Negli anni ’80 ho vissuto tutto ciò come una terribile condanna.
Per fortuna dall’età di 10 anni ho cominciato a amare la scrittura al computer e mi sono sempre rifugiata e adoperata per fare di una passione, un lavoro ed un porto sicuro.
Il primo step è stato creare e curare assiduamente il blog www.piccologenio.it attivo dal 2005. Grazie ad esso cerco di fare informazione su disabilità e varie tematiche. Soprattutto mi sono “specializzata” sulla sessualità e sentimenti che, il più delle volte vengono negati, quando si parla di figli o assistiti con disabilità.
Sono tante anche le persone con disabilità che mi contattano attraverso i social! Mi raccontano la rabbia verso la famiglia poiché si sentono trattate da asessuate e mi chiedono un consiglio. Devo ammettere che non è sempre così per fortuna!!!! In tanti anni sono molti i genitori che mi scrivono per chiedermi come far fare un’esperienza erotica al figlio o alla figlia. Spesso consiglio un massaggio tantrico perché è un’esperienza più sicura, dolce e totalizzante della prostituzione.
Da donna per fortuna, non ho mai subito nessuna forma di violenza, solo un po’ di bullismo a scuola. Le mie brutte esperienze mi sono servite per accendere il desiderio di cercare, con varie forme di comunicazione, di essere sempre più utile a gli altri.
Ti ringrazio perché sei molto attiva nel sostenere l’associazione “Una Nessuna Centomila”, mi piacerebbe fare qualcosa con voi! Sono d’accordo con la tua affermazione: «La legge da sola non basta, serve una rivoluzione culturale in difesa delle donne». La musica e i mas madia hanno il potere di arrivare a tutti: giovani, adulti, persone con tanta cultura o con poca. Secondo me, sfruttando al massimo i vari linguaggi artistici e tanti mezzi di comunicazione, si potrebbe fare di più in favore per tutelare le varie “categorie fragili e deboli”.
Le statistiche che riguardano le donne con disabilità, vittime di vari tipi di violenza sono allarmanti! L’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) – struttura della Polizia di Stato, rileva che: “Le vittime subiscono una discriminazione multipla, definita dagli esperti “intersezionale” – ovvero causata da più fattori – che non solo rende le donne più esposte a abusi sia dentro l’ambiente domestico che fuori.”
Il Sole 24 Ore rivela i dati: “Le donne con disabilità (con limitazioni gravi) che hanno subìto violenze fisiche o sessuali sono il 36%, una percentuale già molto alta e più alta del 30% delle donne senza limitazioni. Il 10% è stata vittima di stupro contro il 4,7% delle donne senza limitazioni. La violenza psicologica dal partner attuale riguarda il 31,4% delle donne con disabilità (contro il 25%) mentre quelle che hanno subìto lo stalking prima o dopo la separazione sono il 21,6% (contro il 14,3% delle donne senza limitazioni). I dati sono quelli dell’Istat del 2014, mancano numeri più completi e aggiornati.” La vergogna, l’impossibilità di uscire di casa, l’aiuto che ricevono dal loro aguzzino per le cose pratiche incidono negativamente sulla possibilità di esporre una denuncia. Spesso la donna con disabilità è penalizzata in quanto donna ed in quanto disabile. Spesso ho parlato di queste tematiche in numerosi convegni, a Roma e non solo… ma mi piacerebbe fare di più!
In realtà ti scrivo questa lettera anche per parlarti delle mie storie d’amore, soffermandomi su quella più importante, ancora in corso; anche se non si tratta di un fidanzamento “convenzionale”, ma per questo magari trovi spunto per una canzone.
Partiamo velocemente dalle prime esperienze: a ventidue anni ero più che mai decisa a sperimentare la sessualità (non vivevo più con i miei), così ho messo un messaggio sul forum di un sito dedicato alla disabilità. Poco dopo sono uscita con un ragazzo con disabilità motoria, siamo stati insieme ma non è scattata la scintilla. È successa una cosa analoga con un ragazzo non vedente che non viveva a Roma. Queste esperienze le ricordo ancora con dolcezza: è stato bello aiutarci a vicenda facendo insieme tante cose della vita quotidiana.
Tempo dopo, volevo vivere una storia d’amore e mi sono iscritta ad un sito d’incontri. Pensavo di non avere chance con le persone normodotate, invece mi sono stupita per la quantità messaggi ricevuti. Avevo 23 anni e grazie ad un sito ho conosciuto un uomo normodotato, ci siamo innamorati. Siamo stati più di un anno insieme, è stata una storia importante; ma per la grande differenza di età ed il fatto che non era ben visto dalla mia famiglia, hanno fatto affievolire l’innamoramento e la passione.
Fui io a lasciarlo. Verso la fine di questa storia… sullo stesso sito ho conosciuto un uomo affascinante, sexy e elegante. Lui mi ha detto subito che non voleva una storia seria. Ci siamo frequentati per un po’ e mi sono innamorata. C’è stato un momento di forte sofferenza perché ho temuto di perderlo: aveva riconquistato la compagna dopo una pausa di riflessione. Per fortuna con il tempo e l’impegno di entrambi abbiamo trasformato il nostro rapporto in una solida amicizia. A dicembre 2020 abbiamo festeggiato quindici anni di frequentazione!
Spesso ci diciamo che se era solo sesso era finita già da tanto. Anche lui mi vuole un gran bene, mi trova bella, intelligente e sexy! È vero, non è una storia convenzionale. Lui a circa 20 anni più di me, ha la sua vita, il suo lavoro. Penso che oltre la passione e l’amore gli elementi importanti che ci tengano insieme siano l’accettazione e il rispetto. Tra me e V. oggi c’è ancora passione. Ci raccontiamo tutto e ci sosteniamo a vicenda.
Ho provato ad avere altre storie serie, ma con gli anni il degrado nei siti d’incontri è aumentato terribilmente. Io stessa sono cambiata e maturata. Ho avuto delle storie brevi, ma poi la coppia Zoe e V. Vince sempre! Secondo me abbattiamo anche gli stereotipi della disabile tristemente a casa nella sua famiglia d’origine o nella “classica” storia della coppia dove entrambe le persone hanno una con disabilità!
Per fortuna, la disabilità non ha mai inciso tra me e lui, anzi è tutt’ora oggetto di battute e divertimento! V. è proprio una persona speciale!
Ho visto su Instagram che sei stata ricoverata. Niente di grave spero.
Ti faccio i miei migliori auguri per tutto.
Un abbraccio.
Zoe
Grazie di tutto e buona lettura!
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“Nata viva” di Zoe Rondini: romanzo e cortometraggio
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Sommario
Raggiungere l’orgasmo con la masturbazione. 4
Da quando l’orgasmo non è più un tabù?. 5
Quando ritenersi pronto/a e come comportarsi 6
Il piacere nel rituale tantrico. 7
Qual è il legame fra orgasmo e Tantra?. 8
Nessuno è responsabile dell’orgasmo dell’altro. 8
L’orgasmo anale esiste davvero?. 10
Spesso si sottovaluta l’importanza che l’appagamento sessuale può avere sul benessere psicofisico delle persone. Dopo molti articoli e letture sui vari aspetti della sessualità, desidero soffermarmi sull’apice del piacere sessuale, prendendo spunto da diversi libri e ricerche. Partiamo da che cos’è l’orgasmo.
L’orgasmo è un’esperienza altamente soggettiva che porta l’individuo ad uno stato emotivo e fisico di benessere e di appagamento.
Dal punto di vista etimologico, il termine orgasmo deriva dal greco e vuol dire “essere pieno d’ardore”.
Può essere inteso come un insieme complesso di reazioni neuromuscolari che si associano al momento di maggiore eccitazione sessuale provata dall’uomo e dalla donna.
Tali sensazioni vengono esperite in seguito alla stimolazione fisica degli organi sessuali e delle zone erogene di tutti i partner e grazie anche alle condizioni psicologiche e contestuali che vanno a costituire la base per potersi lasciare andare ad un coinvolgimento reciproco e ad un forte piacere erogeno.
Il dizionario Treccani riporta la seguente definizione: “Stato di eccitamento parossistico. In particolare, orgasmo sessuale, complesso evento psicofisiologico, di breve durata, che costituisce l’acme dell’eccitamento sessuale ed è accompagnato da un particolare stato di coscienza, intensamente piacevole: raggiunto in seguito a stimolazioni sia somatiche sia psicologiche, è caratterizzato da una serie di azioni neuromuscolari non controllate dalla volontà, che culminano per l’uomo nell’eiaculazione e per la donna in contrazioni perivaginali e altri fenomeni motori e secretori riflessi, determinando la risoluzione delle tensioni sessuali; con riferimento alla sessualità femminile, sono stati distinti un orgasmo vaginale e un orgasmo clitorideo (a seconda dell’area erogena più specificamente stimolata o a più spiccata eccitabilità)”. Già solo il vocabolario (testo non medico scientifico) mette in risalto il fatto che l’apice del piacere riguardi sia il corpo che la psiche.
Attorno alla tematica dell’orgasmo della donna sono state elaborate negli anni diverse teorie come quella secondo cui esisterebbero un orgasmo clitorideo e uno vaginale, quasi fossero intesi come due tipi di orgasmo totalmente distinti e non come due “facce della stessa medaglia”. Già negli anni ’60 le ricerche di Master e Johnson hanno evidenziato come sembra non esistere alcuna differenza fra orgasmo clitorideo e vaginale.
La differenza sta invece nel tipo di stimolazione ricevuta a livello della clitoride che può essere stimolata a livello diretto (orgasmo “clitorideo) o a livello indiretto (ad esempio durante la penetrazione, orgasmo “vaginale). Infatti la clitoride è collocata nella posizione anteriore delle piccole labbra e sebbene sembri essere molto piccola, si estende all’interno nelle due radici che vanno a circondare le pareti del canale vaginale. Saranno queste ultime ad essere stimolate durante la penetrazione in modo indiretto e a contribuire in gran misura al raggiungimento dell’orgasmo nella donna.
Quindi l’unica differenza che si può riscontrare tra i due tipi di orgasmo è riconducibile al solo fatto che ogni donna può viverlo in maniera diversa e unica. Ci tengo a sottolineare che la sessualità è soggettiva ed essendo anche una tematica delicata, riuscire a raccogliere dati che possano essere generalizzati all’intera popolazione a volte può essere difficile.
L’orgasmo nell’uomo è strettamente legato, all’eiaculazione. Nello specifico l’orgasmo si divide in due differenti fasi molto ravvicinate tra di loro: l’emissione e l’espulsione. La prima è legata al raccoglimento dello sperma. In questa fase l’uomo sta esperendo la forte necessità e urgenza di eiaculare. La seconda fase è caratterizzata dalle contrazioni muscolari molto veloci che fanno fuoriuscire il liquido.
Dopo l’orgasmo (periodo refrattario) sopraggiunge tipicamente una sensazione di rilassamento generale, attribuita c’è il rilascio di sostanze benefiche per in cervello, quali ossitocina e prolattina, così come delle endorfine.
La sessualità tra persone consenzienti dovrebbe essere sempre vissuta libera da tabù, ed in modo appagante. Va detto che, in molti casi, fortunatamente, l’appagamento sessuale non è più un tabù, ma in altre situazioni, soprattutto quando si ha a che fare con una persona con disabilità, ancora si tende a non svelare ed affrontare i vari aspetti legati alla sessualità.
In un rapporto sessuale non sempre si raggiunge l’orgasmo. Ma è pur vero che questo step può rappresentare un’esperienza unica per chi lo prova ed un motivo e per chi lo dona. Una corretta educazione sessuale, la voglia di giocare e sperimentarsi, associata ad una maggior confidenza e un maggior dialogo, possono essere risolutivi per sviluppare la consapevolezza necessaria per raggiungere l’orgasmo. Un rapporto sessuale senza piacere può non essere appagante. Ogni persona ha il diritto di vivere a modo proprio l’amore e la sessualità a patto che non sia dannosa per gli altri, per se sessi e sia sempre responsabile e consensuale.
Il libro: “Club Godo, una cartografia del piacere”, di June Pla, fa una distinzione tra il godimento e l’orgasmo. Il primo “è un piacere che traiamo da una certa situazione (…). L’orgasmo è l’esplosione che fa capire di aver raggiunto il massimo del piacere”.
Cerchiamo, pertanto, di fare chiarezza con dati storici e statistici.
Per molte persone, soprattutto con disabilità non è semplice esplorare il loro corpo e provare piacere da soli, ma è utile per lo meno tentare.
Si parla tanto di punto G e di posizioni sessuali ma si tende a nascondere un elemento fondamentale nel raggiungimento del piacere; ovvero, l’autoerotismo. Masturbarsi è un passaggio fondamentale per conoscersi a fondo e scoprire ciò che fa stare bene, nonché le proprie zone erogene (il collo, l’ombelico, il seno passando per le dita delle mani…).
La masturbazione non è una “pratica” riferita esclusivamente all’età adolescenziale, anzi. L’autoerotismo è un alleato del benessere e dell’orgasmo in ogni età della vita, proprio perché con gli anni cambiano anche le aree del piacere e si possono scoprire lati di sé davvero inaspettati e sessualmente interessanti. Conoscersi bene può aiutarti a scoprire anche tanti modi diversi di godere, come ad esempio l’orgasmo espanso.
Nella nostra società, l’orgasmo ha perso la sua etichetta di tabù a partire dagli anni ’50, quando si è passati da una visione funzionale della sessualità, limitata alla procreazione, all’idea che il raggiungimento del massimo grado di soddisfazione erotica costituisca la quintessenza di un rapporto felice. Il rapporto amoroso ed il piacere possono essere vissuti associati al fine riproduttivo o solamente legati al benessere delle persone.
A partire dagli anni ’60, la sessualità della coppia ha iniziato a prevedere la partecipazione attiva e coinvolta della donna. L’orgasmo femminile, così come quello maschile, non sono più un tabù né un motivo di vergogna: anche le donne iniziano a rivendicare il loro diritto al piacere. Nel 1976 Willy Pasini, padre della sessuologia italiana, scrive: “far l’amore con piacere è diventato un nuovo dovere sociale”. Grazie a vari studiosi, oggi giorno possiamo affermare che l’orgasmo non è una risposta meccanica ad uno stimolo, ma è un’esperienza soggettiva legata al piacere.
Non esistono tempi giusti per avere o non avere un rapporto sessuale, sono d’accordo con Violeta Benini che nel suo libro “Senza Tabù”, sottolinea che una persona non dovrebbe essere influenzata/o né dai coetanei che hanno già avuto questa esperienza, né dai contesto sociale che magari può esortare ad aspettare. Il momento giusto è soggettivo e nessuno meglio di noi stessi se ne può rendere conto. Per quanto concerne il piacere, è importante sottolineare che tutto il corpo è erogeno, ma vanno rispettati i tempi e i modi diversi di toccarlo. Molti testi sottolineano che, nel rapporto sessuale tutto è importante e tutto può essere piacevole. In tale ottica, in un rapporto non solo la penetrazione può essere appagante.
Inoltre, ci può essere eccitamento anche senza arrivare per forza all’orgasmo. Le fantasie, poi, possono dare scariche di endorfina: ormone fondamentale per l’eccitamento sessuale. Tutto il corpo è erogeno, fermarsi solo alle zone classiche vuol dire vedere solo la punta dell’iceberg. Tuttavia anche la Dottoressa Benini chiarisce che uno scompenso ormonale può avere degli effetti negativi sul desiderio; se il sintomo persiste e non è associato al periodo della gravidanza o allattamento, può essere opportuno quindi rivolgersi ad uno specialista.
[1][2]Confidare di avere difficoltà a raggiungere l’orgasmo, sia in un rapporto sessuale che nell’autoerotismo, non è facile. Eppure, parlare con un professionista può aiutare a risolvere il problema e riscoprire il massimo piacere.
Chi vive il disturbo dell’anorgasmia, infatti, non raggiunge né le contrazioni involontarie né la scarica completa di eccitazione irradiata a tutto il corpo, oltre a rinunciare (senza volerlo) al completo senso di soddisfazione ed abbandono che l’orgasmo infonde.
Le cause del disturbo sono svariate; tra le più importanti ci sono:
Orgasmo e Tantra sono strettamente legati, essendo il Tantra un percorso di crescita personale e relazionale che usa la sessualità consapevole come strumento primario teso al benessere individuale e di coppia. Non a caso si parla spesso di orgasmo tantrico o estasi tantrica.
Un percorso di evoluzione personale e relazionale a base tantrica ottiene sempre una crescita e un potenziamento dell’orgasmo, perché libera il corpo, la mente e l’anima degli amanti dai freni che li reprimono. Il Tantra e l’orgasmo sono legati perché il Tantra usa la sessualità consapevole come canale di accesso all’energia vitale. Parlare di sessualità consapevole significa anzitutto entrare nell’ordine di idee in cui si abbandona l’automatismo in favore della presenza. Ma prima ancora, ci sono alcuni passaggi da comprendere e alcune idee limitanti di cui liberarsi. Nessuno è responsabile dell’orgasmo dell’altro.
La prima idea limitante di cui liberarsi è che il ruolo del partner sia di donare orgasmi all’altro. Non è quello il suo compito né è sua responsabilità. Nessuno è responsabile dell’orgasmo dell’altro. In molti si considerano responsabili di “dare” ai loro amanti orgasmi favolosi. Il desiderio di donare grande estasi al partner è lodevole, soprattutto per gli uomini nei confronti delle donne, ed in qualche modo riscatta quanto accadeva nel mondo occidentale, fino a buona parte del XX secolo, quando l’unione carnale era un contesto in cui gli uomini godevano e le donne sopportavano. Vi era infatti la convinzione che le donne non fossero fisicamente in grado di provare piacere e dovessero quindi subire la lussuria maschile per poter procreare. In alcune fasi del patriarcato è subentrata la convinzione che se la donna provava piacere i suoi tessuti si ammorbidivano troppo e quindi non era in grado di sostenere una gravidanza fino al termine. Pertanto: il sesso con la moglie doveva essere sbrigativo e non piacevole, se si voleva avere una buona fertilità. Oggi sappiamo che il piacere sessuale è materia che investe entrambi gli amanti.
Tuttavia, è errato pensare che l’estasi possa essere “data”. Il piacere nasce, cresce e culmina dentro di noi, esattamente come una risata. Un comico può sollecitare nel suo pubblico l’ilarità, così come l’amante può stimolare l’eccitazione nel partner; si tratta di saper creare le condizioni che predispongono al culmine, del divertimento, nel caso del comico, del piacere nel caso dell’amante. Tuttavia il comico non può “fare” ridere, allo stesso modo in cui l’amante non può “far provare” al partner l’estasi amorosa.
Questo significa che ognuno di noi ha la responsabilità del proprio piacere: di avere cura del proprio corpo, della propria carica sessuale, della propria eccitazione e dell’espansione di essa, del suo contenimento e del suo culmine. Essere liberi di manifestare esattamente la nostra natura, anche e soprattutto in ambito di desideri sessuali, è il fondamento della consapevolezza e della libertà.
Il Tantra sottolinea molto che la fusione corpo-mente-anima-energia del maschile e del femminile non è omologazione, cambiamento o annullamento di uno o entrambi per uniformarsi alle aspettative del partner, è esattamente il contrario. Due individui consapevoli di essere perfetti e completi singolarmente, che si uniscono, nella loro diversità, arricchendosi a vicenda, anche e soprattutto sul piano sessuale.
Per noi occidentali il sesso è un’esperienza limitata nello spazio e nel tempo, questo perché, nel nostro immaginario, è circoscritta agli organi sessuali e poche zone specifiche del corpo ed attiene prevalentemente l’istante del piacere orgasmico.
Invece per il Tantra l’esperienza orgasmica è olistica, coinvolge tutto l’individuo: il corpo nella sua interezza, con tutti i sensi attivati, lo spirito, il cuore, l’energia, il cervello.
Il tantrismo parte dal presupposto che l’universo sia generato ed animato da un principio femminile ed uno maschile e che l’amore, la sessualità e l’orgasmo divini siano il processo di accumulo e rilascio dell’energia creativa nell’intero cosmo. L’unione sessuale fra due esseri umani è compenetrata e partecipe di questa espressione energetica che gli antichi consideravano divina e noi possiamo definire archetipica e simbolicamente universale, al di là delle singole convinzioni di tipo mistico o religioso. L’orgasmo tantrico è questo: la fusione di due esseri divini in quanto liberi, perfetti e completi singolarmente.
A questa domanda risponde MySecreCase: “esiste, anche se non dovremmo definirlo orgasmo anale. L’orgasmo infatti è solo uno, ed è quello che viene prodotto dal nostro cervello e che può scatenarsi grazie alla stimolazione di alcune zone del corpo, tra cui quella anale e perianale.
L’orgasmo anale non ha genere: se per chi ha il pene questa stimolazione può essere il modo migliore per scoprire tutti i pro della prostata, chi ha la vulva prova comunque piacere perché nel mentre vengono stimolati i muscoli pelvici che, tra le altre cose, stringono le pareti vaginali e il clitoride. È vero comunque che gran parte delle persone, affinché questo tipo di orgasmo arrivi, necessita di una stimolazione aggiuntiva, che sia del pene, della clitoride.
Tutte le persone hanno diritto ad essere educate al piacere, al rispetto ed al rifiuto. Sul tema del rifiuto, Eric Lindsey, professore associato del dipartimento di psicologia presso la Pennsylvania State University-Berks Campus, affermava che non si tratta di eliminare l’affetto, fondamentale allo sviluppo umano, ma di imparare a conoscerne e stabilirvi i limiti appropriati, si tratta quindi di prendere coscienza dei corpi, i desideri, i sentimenti le aspettative: sono tutti elementi che ci portano a vivere un’esperienza sentimentale sana e gioiosa.
[1] https://www.centroclinicospazioiris.it/orgasmo-sessualita/
[2] https://www.paginemediche.it/benessere/sesso-e-sessualita/perche-non-si-raggiunge-l-orgasmo
Webinar con il Dott. Francesco Battista e Zoe Rondini
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Scopriamo il piacere femminile e lo squirting con Maura Gigliotti
Sono tante le persone che mi chiedono se con il rituale tantrico si può godere. In molti articoli ho parlato della storia e la filosofia (millenarie) del rituale che collega e lascia esprimere il corpo, la mente e l’anima. Oggi vi parlerò del massaggio degli organi genitali che, in molti casi, è legato al rituale tantrico e serve a risvegliare la Kundalini. E’ bene ricordare che nel Tantra non c’è nulla di obbligatorio, per questo trovo utile suggerirvi di chiarire i desideri e le aspettative con chi effettuerà il massaggio con dedizione e preparazione.
Cominciamo dalla Yoni! Per noi donne, l’orgasmo interno ed esterno viene considerata un’esperienza molto salutare, poichè allenta le tensioni del corpo e della mente, dona l’opportunità di connettersi con la propria essenza più profonda e di vivere appieno il piacere. Ciò detto vale per persone normodotate e con disabilità.
Se vissuto in modo consapevole, l’orgasmo può aprire a stati di espansione della coscienza e attivare i chakra superiori.
Uno degli strumenti migliori a nostra disposizione per liberare il massimo potenziale orgasmico della donna è di sicuro il massaggio della zona genitale, interna ed esterna, detto anche massaggio della Yoni.
Il termine Yoni deriva dal sanscrito e significa luogo sacro: nelle discipline orientali le parti intime femminili sono infatti, considerate spazi estremamente privati e sacri poiché permettono la creazione, laddove l’energia suprema si trasforma e permette il concepimento.
Questa visione, in occidente, purtroppo si è un po’ persa soprattutto tra i più giovani a discapito del piacere femminile.
Ma scopriamo tutti i segreti e i benefici del massaggio yoni. Esso può essere utilizzato per riequilibrare l’energia che gravita tra mente, corpo e spirito, una sorta di stabilizzatore capace di risvegliare tutti e sette i chakra, il piacere e offrire un maggior benessere alla donna.
Questo particolare massaggio può essere associato al rituale tantrico. Anch’esso ha una storia molto antica e proviene dall’India e dalla Cina: fin dall’antichità, era infatti considerata una modalità per ritrovare l’equilibrio femminile mediante una pratica capace di risolvere emozioni troppo forti e blocchi. Ciò che oggi si effettua in intimità, un tempo veniva eseguito nei Templi dei Tantra dove era eseguito dai Daka: sommi sacerdoti. Si tratta di una stimolazione diversa e completa che, in genere fa raggiungere un orgasmo più lungo e intenso.
L’interno della vagina è innervato da oltre 800 fibre nervose che interferiscono profondamente con più di 15000 terminazioni dell’area del bacino. Questa connessione nervosa così marcata, fa sì che eventuali tensioni trattenute nella parete vaginale possano riflettersi su tutta la zona delle pelvi e a lungo andare creare contratture e infiammazioni delle anche, basso addome e zona lombare.
Prima di approcciare una zona così intima come la muscolatura vaginale, è opportuno rilassare lo stato generale della donna che sta per ricevere un massaggio della yoni.
Si potrebbe preparare per lei uno spazio adeguato con candele, incenso, musica rilassante e quant’altro per predisporla al rilassamento.
Ma soprattutto lo Yoni Massage ci fa conoscere meglio come siamo fatte e come funzioniamo, per questo può aiutare la masturbazione e ad affrontare la vita sessuale in un modo più piacevole e consapevole anche i parner maschili dovrebbero esserne a conoscenza per fa sentire la donna più che appagata.
Il massaggio Lingam è un trattamento di derivazione tantrica che agisce attraverso la stimolazione dell’area genitale maschile al fine di espandere le sensazioni ad essa collegate, migliorandone la sensibilità, portando ad una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni e ad un più forte radicamento psicofisico.
Il massaggio passa attraverso la natura esplosiva del piacere che, nella nostra vita quotidiana, resta canalizzato nei primi chakra, senza possibilità di uscire. Questi impedimenti danno vita a blocchi di energia e blocchi emotivi.
In sanscrito la parola “lingam” sta a indicare l’organo sessuale maschile, chiamato anche “bastone di luce”, ed è un vero e proprio rituale: coinvolgendo diverse parti del corpo dell’uomo (il cui culmine è proprio nella zona genitale), infatti, viene stimolata e favorita una maggior presa di coscienza e consapevolezza della parte, per il raggiungimento di una più ampia percezione del piacere e delle varie sensazioni che si possono provare a livello fisico, così da migliorarne la sensibilità e incrementando la propria percezione psicofisica.
Se eseguito con sapienza e dedizione, questo massaggio può migliorare la propria personale intimità e quella di coppia.
Le fasi del massaggio lingam e i benefici nel dettaglio:
Affinché il massaggio Lingam produca tutti i suoi benefici è indispensabile che venga eseguito in maniera corretta, da un operatore o operatrice preparati. Il massaggio Lingam, come il massaggio Yoni, può essere associato al rituale tantrico, ma non è una regola, quindi è bene informarsi prima.
Con il massaggio Lingam “l’energia della Kundalini[1]”, si diffonderà su tutto il corpo donando un piacere intenso. Il massaggio lingam è un massaggio esclusivamente per l’uomo, mentre lo yoni è per la donna. Se fatto nel modo giusto insegna come intensificare il piacere e aiuta a ridurre alcuni problemi come la prostatite e la sterilità.
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[1] La Kundalini è l’energia vitale, potente, è legata alla sessualità, all’innamoramento ed alla nostra creatività. Tale forza spesso rimane dormiente nell’area del primo chakra che porta il nome sanscrito di Muladhara, ovvero chakra della radice, dove affluisce la vita.
La serie Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, vincitore del premio Strega Giovani nel 2020, riesce ad affrontare la questione delle malattie mentali in modo leggero e profondo al tempo stesso senza sconti e senza ipocrisie. Un racconto da guardare tutto d’un fiato.
La serie invita a riflettere su chi siano i veri “matti”. “I matti stanno là fuori”, afferma il protagonista, durante il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio).
“Tutto chiede salvezza” è la storia di Daniele, un ragazzo come tanti, carico delle aspettative di una famiglia semplice ma determinata a far diventare qualcuno proprio lui, il più piccolo, perché solo lui dei tre figli aveva dimostrato di potercela fare, di avere un grande potenziale. Una dote pesante per Daniele che, schiacciato tra le aspettative e il timore di non farcela, ha sempre fatto i conti con paure più o meno manifeste, con fughe da scuola per correre in braccio alla mamma. Un macigno che, qualche anno dopo, in bilico tra alcol e droghe, una notte esplode in un episodio di violenza contro i genitori. Ecco il motivo del T.S.O. Dopo una crisi psicotica si risveglia nella camerata di un reparto psichiatrico, insieme a cinque particolari compagni di stanza con cui, all’inizio, pensa di non avere niente in comune.
Il rapporto con il personale sanitario e le telefonate alla famiglia, poco dopo il ricovero, sono molto conflittuali. Inoltre il ragazzo, si sente pressato dai medici, che gli vogliono frugare nel cervello per capire cos’abbia che non va, ed è accudito da infermieri che, inizialmente sono cinici e disinteressati. Sette giorni, tanto dura la sua permanenza nel reparto, sembrano lunghissimi e quella che all’inizio gli appare una condanna piano piano si trasforma in una delle esperienze più intense e formative della sua vita.
I sette episodi, sono un invito a riflettere sul disagio conclamato e su quello sopito e su molti aspetti dell’esistenza umana. A tal proposito mi sembrano significative le parole del regista e sceneggiatore Francesco Bruni: “Dal dolore si può uscire, e uscire migliori. Anche nel momento più buio può fare capolino la speranza, si può ridere pochi istanti dopo aver pianto e piangere poco dopo aver riso.” Nella prima puntata una frase mi è rimasta particolarmente impressa perché ritengo che sintetizzi la condizione e la fragilità umana: “Semo come piume: basta uno sputo di vento per portarci via”. La serie ci fa riflettere su molti concetti importanti e comuni all’esistenza di ogni persona, ad esempio il fatto che è il dolore che, nel bene o nel male, accende gli anfratti più nascosti di ogni essere umano. O che alla fine l’amore spinge molte persone alla ricerca di quella speranza perduta.
Nello spazio atipico dell’ospedale ed in un tempo che sembra sospeso, isolato dal mondo Daniele si trova ad affrontare i suoi demoni interiori, intraprendendo un viaggio inaspettato che si rivelerà quanto mai essenziale per scoprire le sue vere emozioni e la sua personalità.
All’inizio la serie sembra il racconto di un ragazzo viziato che pensa solo alle ragazze, le serate in discoteca ed alla cocaina, ma poi, il protagonista sarà il primo ad aiutare e confortare i compagni di stanza che, sembrano essere in situazioni più gravi della sua.
Nell’ospedale psichiatrico c’è anche spazio per una complicata storia d’amore con Nina, un’influencer che ha tentato il suicidio e che, a detta dei medici, sta molto peggio del protagonista.
“Tutto Chiede Salvezza”, è un invito a riflettere sull’importanza dell’amicizia, della famiglia, del perdono e dell’aiuto reciproco: valori non scontati. Tutto ciò spesso è difficoltoso da mantenere, donare ed ottenere.
Attorno a Daniele si raccontano le storie dei cinque compagni di stanza: Mario, maestro “a riposo”, ricoverato per aver aggredito moglie e figlia qualche decennio prima; “Madonnina”, di cui nessuno conosce il vero nome e che passa le giornate invocando, appunto, la Vergine Maria; Giorgio, un Hulk dal cuore buono, segnato dalla perdita della madre; Alessandro, affetto da una patologia neurologica che lo ha reso un vegetale; Gianluca, omosessuale e, per questo, costretto al trattamento da una famiglia bigotta e incapace di accettare la diversità. E poi gli infermieri, i medici, i familiari e tanto amore, più o meno sano: una grande nave dei pazzi in cui il confine tra normalità e follia diventa davvero labile. Di tutto, una sola certezza: tutti chiedono salvezza, chi sta fuori e chi sta dentro. Chi si prende cura e chi è curato. Chi resta a casa e chi ne sente la nostalgia. Chi cerca rifugio e chi ne rifugge. L’unica via di scampo sembrano essere i legami, gli affetti. Che, se ben vissuti, salvano.
Una bella miniserie, tutta italiana, che mette al centro la tematica delicata, ma anche drammaturgicamente sempre affascinante, delle malattie mentali che è stata raccontata dosando sapientemente leggerezza e patos, così che ogni spettatore si possa ritrovare nei vari personaggi.
La storia rappresenta anche una difficile sfida contro se stessi e contro il mondo: ritrovarsi e capire che i vuoti personali si assomigliano un po’ tutti, le sofferenze sono tante e molteplici e che nella diversità si può trovare una rara bellezza. Una meravigliosa e ritrovata leggerezza. Che, guarda caso, fa rima con salvezza.
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“Il ciclo di vita della famiglia è caratterizzato da una serie di eventi più o meno critici che possono essere causati da diversi fattori, come l’ingresso o l’uscita di alcuni componenti della famiglia, problemi psicosociali legati allo sviluppo dei bambini o semplicemente eventi particolari legati alla vita della coppia” (Gambini, 2007). Quando nasce un bambino con disabilità avviene un vero e proprio terremoto nella famiglia. All’improvviso, si devono ristabilire ruoli e competenze rispetto alle famiglie di origine.
Per i genitori la nascita del primo figlio rappresenta una vera e propria rivoluzione. Da figli diventano (anche) genitori e, da questo momento in poi, sono tenuti ad assumere l’autorevolezza e le responsabilità che la nuova situazione comporta. A volte capita che le famiglie d’origine interferiscano con le scelte dei neo-genitori rispetto al neonato. Oppure potrebbe avvenire che un partner, ancora molto dipendente dalla propria famiglia d’origine, ricerchi eccessivamente la presenza e il sostegno dei genitori.
Nessun evento in sé, dovrebbe essere considerato “critico” per lo sviluppo della famiglia, ma diventa rilevante sulla base di come viene percepito e dal significato ad esso attribuito, che è in gran parte correlato al carattere ed alle esperienze personali di tutti i componenti della famiglia. Un bambino con disabilità, suo malgrado, mette tutti davanti a nuove problematiche, per chi accetta la sfida esso può rappresentare un motivo di soddisfazioni e di traguardi da condividere.
Ma non è per tutti così, alcuni genitori possono vivere questa situazione come un “lutto” dal quale fuggire in vari modi. Tutti i sogni e progetti sulla vita “normale” vanno in pezzi e vi è la necessità di elaborare la nuova situazione dopo la diagnosi, c’è chi non ce la fa dall’inizio e chi, dopo anni, tira fuori tutto il suo dolore.
In questo uragano di emozioni e reazioni non è raro che, la negazione ed il senso di colpa, siano qualcosa di insito ed atavico in molte famiglie. Esso può essere spesso legato a comportamenti o fatti che si apprendono all’improvviso, che non si possono narrare e che non tutti hanno metabolizzato. Ciò è comune a tante famiglie e in alcuni casi non è connesso dalla presenza di un famigliare con disabilità. Va però considerato che la disabilità può rappresentare un ottimo elemento per sentirsi sbagliati: non siamo o non abbiamo il figlio normale che tutti desiderano.
Bicknell ha tentato di delineare le fasi attraverso le quali si arriva all’elaborazione del “lutto”/diagnosi:
In tale discorso poi, non è saggio sottovalutare l’aspetto dell’accudimento. Nel corso del tempo cambiano i ruoli tra chi accudisce e chi viene accudito. In una dinamica “normale” il figlio si prende cura del genitore che invecchia, ma possono esserci altri casi dove il figlio adulto e non completamente autosufficiente non riesce a farsi carico delle sofferenze, soprattutto psicologiche, del genitore perché si sente la “causa” dei mali della famiglia. Ammesso che non si siano interrotti i rapporti tra genitori e figli.
Le urgenze delle varie età, specialmente nel periodo della formazione, mettono da parte i meccanismi familiari in quanto prevale il bisogno di far emergere il proprio io, confrontarsi con il mondo esterno e con i coetanei. Raggiungendo poi la maturità bisogna fare i conti con le proprie radici. Ecco riemergere, La Storia Familiare con la sua potenza sia negli accadimenti positivi che in quelli negativi. A farne maggiormente le spese di una storia famigliare complessa sono i figli che creano la causa dei maggiori conflitti o si ritrovano catapultati in dinamiche già esistenti o che non hanno causato volontariamente e che sono fiammelle sulle quali, non si sa perché, soffia spesso il vento anziché cadere la pioggia.
Tal volta fra diverse generazioni si accumula un dolore sommerso che sfocia in rabbia, gelosie, sensi di colpa e d’inadeguatezza, facendo “scoppiare“ le famiglie. Soprattutto c’è un sentimento che può rendere tutti simili ai disabili, ma non uguali per dati oggettivi, questo è il senso di inadeguatezza. Quando il sentirsi in colpa nasce dall’inconscio, dalla confusione interiore che impedisce di discernere la verità, dalle calunnie di diverse persone, i sentimenti dalla ragione, il senso di colpa, la rabbia, i dubbi… tutti questi elementi possono diventare i nostri peggiori nemici.
La complessità è una caratteristica imprescindibile e non eliminabile delle tematiche connesse alla disabilità in generale e alla sua comunicazione in particolare. Dopo la diagnosi, le famiglie non possono semplicemente “fare un salto indietro” e tornare alla solita vecchia vita, ma dovrebbero fare “uno scatto in avanti” per passare attraverso un territorio nuovo. Per non sprofondare nella solitudine, nei sensi di colpa e nella rabbia che con il tempo o si superano o ci sovrastano. Sarebbe estremamente importante, fornire a tutto il nucleo famigliare un appropriato supporto psicologico che li aiuti ad affrontare e ridurre i vissuti negativi: la depressione, la frustrazione e, tal volta, la vergogna.
Gli obiettivi fondamentali dovrebbero includere i seguenti punti:
Quando la disabilità colpisce un membro di una famiglia, sarebbe auspicabile occuparsi per tempo dell’intero sistema familiare per evitare conseguenze negative che, talvolta creano un effetto domino difficile da gestire e disinnescare. Va anche detto che non bisognerebbe avere paura delle reazioni negative e di chiedere aiuto per tempo, prima che sia troppo tardi per affrontare con energia i vari problemi di tutta la famiglia.
“Ci ritroviamo in certe situazioni per costruire il nostro personaggio, non per distruggere noi stessi.” Nick Vujicic
Purtroppo non sempre si è disposti a lavorare su noi stessi o chiedere aiuto. Talvolta è più facile chiudersi nel proprio dolore e rancore per poi scaricarlo sugli altri, o compiere atti privi di logica e tal volta autolesionistici.
Le voci messe in giro di un possibile evento traumatico, accaduto anni prima di una nascita complicata ed accidentata non tornano e non fanno altro che alimentare dubbi, rabbia e frustrazione. La volontà di non pensarci molte volte è del tutto inefficace. Le verità sulle cause della disabilità e altri accadimenti traumatici andrebbero spiegati una volta sola quando il bambino non è molto grande di modo che sia più semplice farsene una ragione o conviverci in modo decente.
Un mio caro amico con una lieve disabilità motoria mi ha raccontato che la sua psicologa gli ha spiegato che i suoi traguardi ed ambizioni dell’età adulta non erano condivisi dai genitori, ciò è dato dal fatto che quando era piccolo l’ambizione più grande era che lui camminasse e studiasse, assolte queste situazioni (che per noi rappresentano un vissuto di sacrifici notevoli) le ambizioni dei genitori sono cessate. Nell’età adulta sia lui che io, abbiamo fatto delle scelte che ci hanno portato a vivere ogni giorno tanti traguardi, in questo modo i sacrifici fatti cominciano ad avere un senso.
Talvolta sembra che la disabilità crea traumi e spaccature in tutta la famiglia, ma non si pensa che gli altri non devono fare continuamente i conti con i limiti che un corpo “disubbidiente” ti impone e ti ricorda in modo costante.
Sarebbe bello potersi staccare dalla narrazione della mia nascita, che ha causato traumi, abbandoni e pettegolezzi non indifferenti, per essere tutti uniti e concentrati sui lati positivi di tanti traguardi e conquiste, ma questo finale mi sembra troppo fiabesco e i colpi di scena sulla storia famigliare e le cause di un parto che non è andato come doveva escono fuori sempre quando meno te lo aspetti.
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La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (detta anche CAA) è un insieme di conoscenze, strategie e tecnologie che hanno lo scopo di migliorare ed incrementare le capacità comunicative di coloro che hanno difficoltà, temporanee o permanenti, nell’utilizzo del linguaggio orale e scritto. L’uso dei gesti, simboli, immagini e ausili tecnologici, consentono alla persona con difficoltà, di sperimentare un modo di comunicare comprensibile a tutti, così da non dipendere costantemente dai famigliari, altrimenti chiamati a tradurre bisogni e pensieri.
L’insieme di strategie della Comunicazione Aumentativa Alternativa hanno anche l’obiettivo di potenziare il linguaggio verbale.
Questo tipo di comunicazione viene definita Aumentativa in quanto non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni). Viene definita Alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche diverse dal linguaggio parlato.
Tale approccio ha come obiettivo la creazione di opportunità di reale comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; pertanto dev’essere flessibile e su misura della persona stessa.
I primi semi per il futuro della CAA sono stati gettati negli anni ‘50. Michael Williams, persona con complessi bisogni comunicativi, racconta che nei suoi primi anni comunicava con suoni comprensibili solo ai suoi genitori.
In seguito, per farsi comprendere anche da persone esterne all’ambiente familiare, tracciava dei gesti nell’aria come per scrivere parole. Fino a quando un collega stanco di vederlo gesticolare nell’aria, gli portò una tabella alfabetica, tabella che diede inizio per lui ad una nuova vita.
Tra gli anni ‘50 e ‘70 il progresso delle cure mediche e riabilitative portò ad un aumento di casi di bambini sopravvissuti a nascite premature e di adulti sopravvissuti a ictus, traumi, malattie. Per molti di loro residuavano come postumi, situazioni di grave disabilità motoria e impossibilità a comunicare attraverso il linguaggio orale. Pochi riabilitatori, andando contro corrente, iniziarono a suggerire modi aumentativi per favorire la comunicazione e iniziarono a diffondere i risultati di queste esperienze.
Tra il 1960 e il 1970 si iniziò a non nascondere più la disabilità. John Kennedy e altri personaggi famosi iniziarono a rendere noto che avevano parenti con deficit comunicativi, ciò portò ad una prima iniziale accettazione della disabilità e, quindi, di modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. Le comunità di sordi anticiparono questo processo di legittimazione di un linguaggio alternativo, esigendo il diritto di essere educati utilizzando il linguaggio dei segni.
All’ospedale universitario di Jowa City dal 1964 al 1974 venne condotto un primo programma di C.A.A. rivolto a bambini con Paralisi Cerebrale Infantile. Nel frattempo si sviluppava anche l’idea che la tecnologia potesse aggirare la disabilità comunicativa e venivano usate per la comunicazione macchine da scrivere adattate.
Negli anni ’80, la C.A.A. si diffonde maggiormente in seguito alla nascita dell’Associazione Internazionale di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (ISAAC, associazione composta da professionisti, utenti e familiari).
Dopo le paralisi celebrali infantili, la C.A.A. venne usata anche per persone con ritardo mentale grave e ad altre tipologie di disabilità con disturbi della comunicazione associati, ed ai gravi disturbi di comprensione del linguaggio. Nella CAA non esistono soluzioni universali adatte ad ogni soggetto. Al contrario, per ogni persona è necessario creare un intervento ad hoc: ogni strumento va scelto in base alle caratteristiche del paziente e al momento particolare della sua vita in cui viene richiesto, e quindi lo stesso va migliorato, adattato o aggiustato secondo necessità, oltre ad essere personalizzato per la persona stessa.
Con la C.A.A. il bambino viene stimolato a progredire nella sua evoluzione linguistica, poiché sarà in grado di costruire una frase anche se non riesce ad esprimerla verbalmente. Non ci sono prerequisiti minimi necessari nel bambino, non c’è un livello cognitivo minimo, o di gravità, o di età al di sotto del quale è sconsigliato iniziare.
Tra gli strumenti più conosciuti della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, ci sono le tabelle di comunicazione. Con questo strumento la persona indica (adoperando le modalità che la compromissione rende possibili) i simboli contenuti nella tabella.
Le tabelle di comunicazione vengono costruite valutando un insieme di aspetti simultaneamente, come ad esempio: la selezione del vocabolario e gli aspetti fisici e sensoriali della persona con bisogni comunicativi complessi.
I diversi messaggi contenuti nella tabella possono essere rappresentati in modi diversi: oggetti concreti, miniature di oggetti, simboli grafici (fotografie, disegni), lettere o parole.
In Italia la C.A.A. viene impiegata prevalentemente in età evolutiva, mentre nei paesi di più lunga tradizione viene adottata anche con adulti ed anziani.
Con i bambini disabili, l’inizio precoce di interventi di C.A.A. può contribuire a prevenire un ulteriore impoverimento comunicativo, simbolico, cognitivo e la comparsa di disturbi del comportamento, altrimenti molto diffusi proprio come strategia di richiesta di attenzioni. Per questo è consigliabile un primo approccio con la C.A.A. in età prescolare e scolare.
La Comunicazione Aumentativa Alternativa è quindi un approccio molto utile non solo per le persone con problemi a esprimersi e comunicare nei canali classici (scritto e orale), ma anche per il mondo della scuola e per l’educazione in generale. In questo senso, come spiega Giorgia Terry Sbernini, educatrice esperta in CAA e nei processi d’apprendimento, “negli ultimi anni si è visto che il metodo simbolico è uno strumento inclusivo per tutto il gruppo classe, non solo per le persone con disabilità. Infatti, la simbologia della CAA è un sistema molto più immediato di quello verbale, per questo utilizzarla in classe permette a tutti di tenere lo stesso passo.”
In termini pratici, l’approccio della CAA consente di includere nel contesto classe il minore con disabilità, ma anche l’alunno con difficoltà di apprendimento e memorizzazione, lo studente straniero che deve imparare la lingua e, in generale, chi va un po’ più piano. Ultimamente la Comunicazione Alternativa Aumentativa viene inoltre utilizzata anche per il deficit di attenzione (ADHD). “La CAA – spiega ancora Giorgia Bernini – permette infatti un tempo di attenzione più ampio. Grazie all’utilizzo della simbologia, il bambino riesce a mantenere di più la concentrazione”.
Gli strumenti utilizzati dalla CAA, il sistema di scrittura in simboli o immagini, ma anche le tabelle di comunicazione, i libri personalizzati ed i programmi informatici, possono favorire una didattica più inclusiva per tutto il gruppo classe.
Le potenzialità della Comunicazione Aumentativa Alternativa nella didattica, sono in parte ancora da esplorare e la scuola italiana ha senz’altro tantissimo da guadagnarci, in termini di innovazione, efficacia e inclusività. Sarebbe quindi auspicabile una maggior formazione dei docenti, superando un approccio che ne limita l’intervento solamente ad alcuni ambiti specifici.
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