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Le mie riflessioni partendo da lo spettacolo “Non mi ricordo“.

Questo artico l’ho scritto per la rivista “Vis Vitae“ dell’Associazione Risveglio di Roma.

Salve a tutti i lettori, mi chiamo Marzia, è da poco che ho l’onore e l’opportunità di scrivere su questo giornale.
Oggi vi vorrei intrattenere con un breve articolo. Pochi mesi fa mi è capitato di vedere su you dube lo spettacolo intitolato “Non mi ricordo“ di e con  Giuseppe Mainieri detto Pino e sua moglie Ginetta Maria Fino; un video che ha subito suscitato in me delle emozioni e delle riflessioni che ho voluto fissare su carta e condividere con voi.
Ho trovato la breve performance bellissima e di una potenza straordinaria! Lo spettacolo parla di una rinascita, di una storia d’amore, unisce il racconto di uno splendido matrimonio prima e dopo un tragico incidente. Tutte queste cose non si trovano molto spesso così vere, autentiche, fortemente volute, desiderate ed anche conquistate duramente in quanto Pino prima dell’incidente con la vespa  era una persona diversa dal “Pino di oggi“ dopo l’incidente!
Dopo la visione del video nella mia testa si sono insinuate tante prorompenti domande alle quali è difficile dare delle risposte.
Ma perché, mi chiedo, per una donna è più facile accettare, amare, ma anche reagire nei confronti di un uomo con un handicap? Perché, mi piacerebbe sapere, gli uomini spesso fuggono? O comunque nella stragrande maggioranza dei casi non si rapportano con una donna disabile? Perché non riescono/non vogliono conoscerla profondamente?
Mi ha colpito una frase del video; quando la mamma dice al figlio “ Qualsiasi cosa succede ricordati che hai avuto un bravo papà per tredici anni! C’è chi ha un padre cattivo per tutta la vita!“ Cavolo quant’è vera questa affermazione!
L’amore tra uomo e donna è alla base della vita, ansi è la vita stessa!
Ma perché tanti mariti  scappano di fronte ad un incidente che rende la persona cara “diversa“ e disabile? (non tutti è chiaro, non è giusto generalizzare).
Perché spesso quando nasce un bimbo con un handicap è il padre che nega questa situazione e si allontana?
Come è possibile che molte ragazze belle, con tante qualità, rimangono single solo perché disabili ed invece per molte donne è semplice vedere cosa e quanto c’è di bello in un uomo anche se sta sulla sedia a rotelle, o se cammina male?
Spero di non avervi annoiato troppo con le mie domande. Grazie a tutti voi per l’attenzione.

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Come si naviga sul web? (testo anche in versione mp3)

TESTO IN MP3 

Sto preparando un esame sulla comunicazione dei siti web; nei testi si ripete molte volte il concetto che un bravo navigatore dovrebbe usare l’indice, addentrarsi nelle pagine e nelle categorie con curiosità, voglia di scovare quello che più gli interessa, lasciare commenti là dove è possibile senza avere paura di dire la propria opinione. Scrivo questa pagina perché sono d’accordo sul fatto che non bisogna fermarsi all’apparenza che su Internet significa fermarsi all’ home page.
Tutti noi siamo portati a commentare solo gli articoli più recenti, quelli delle prime pagine; ma perché non osare di più e lasciare il nostro commento all’interno di una categoria? Chi fa una ricerca per parole chiave potrebbe trovare prima una pagina interna, con un commento molto bello e interessante. In un secondo momento il navigatore potrebbe andare all’home page, oppure decidere di non andarci per nulla e di guardare la pagina successiva. Per questo motivo sono importanti commenti e testi in qualsiasi pagina essi si trovino.    
Anche nei blog ho notato che si tende sempre a commentare gli articoli appena usciti come se avessimo paura che sono gli unici posti dove possiamo divulgare le nostre idee.
Un sito va consultato come se fosse un quotidiano: i titoli vanno sempre letti, dovremmo cliccare sulle varie sezioni ed andare avanti ed indietro. Anche le pagine che in apparenza hanno un titolo che ci può sembrare inutile o poco chiaro potrebbero avere al loro interno informazioni e link per noi interessanti.        
Ad esempio, tutti noi compriamo il giornale e dopo aver dato uno sguardo ai titoli della prima pagina scegliamo degli articoli interni da leggere con attenzione dall’inizio alla fine. Leggere su un portale è la stessa cosa, non trovate? I siti ci danno in più l’opportunità di interagire con altri navigatori e di scrivere e-mail al responsabile del sito stesso. Allora perché non fruttiamo tutte le opportunità del web?
Forse pensiamo che girare più pagine di un portale ci rubi troppo tempo?
Oggi come oggi i siti sono pieni di indici, mappe e frecce, quindi navigare ci prende meno tempo della lettura di un giornale. C’è da dire anche che gli articoli in Internet sono più brevi e con dei caratteri più grandi di quelli usati dai giornali e quindi secondo me è più rapido e semplice leggere un post su un sito.
Se ci capita di trovare un testo più lungo del normale, perché invece di pensare (come spesso accade): “questo testo mi ruberà troppo tempo“ oppure “mi si stancheranno sicuramente gli occhi prima della fine“; non proviamo a stampare e a leggere su carta, quando abbiamo tempo e siamo seduti sul nostro divano preferito?
Avanti miei prodi! In Internet bisogna osare, sperimentare, mettersi in gioco ed usare la fantasia. Lasciamo anche le tracce della nostra navigazione magari con un e-mail alla redazione e non solo con i commenti.                 

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i bambini hanno gli occhi

Questo articolo l’ho scritto basandomi su un intervista che ho avuto il piacere di fare con il regista Antonio de Palo e con Francesco Ruggieri, che interpreta il ruolo di Francesco.

La mia prima domanda è stata come mai ha scelto questo titolo? La risposta di Antonio, la posso sintetizzare e spiegare dicendo che il cortometraggio “i bambini hanno gli occhi“  vuole analizzare il dolore e l’affettività, in un contesto famigliare e quindi in chiave contemporanea.
I protagonisti sono i bambini.

Il dolore è l’elemento essenziale, forse la musa ispiratrice di tutto il lavoro, esso viene analizzato nel suo duplice significato: quello personale e universale.
“Il dolore è universale“ continua il reggista “in quanto tutti gli esseri umani, nel loro percorso di vita lo provano –ne fanno esperienza- e quindi da questa considerazione possiamo dire che esso ci accomuna tutti; in questo sta la sua universalità.
Il dolore personale, invece, è intimo ed intraducibile, cioè ognuno di noi elabora un proprio modo di provare dolore, e di reagire a questo in modo estremamente intimo e diverso da persona a persona.“ Il regista parte da queste sua analisi e dalle sue considerazioni sul dolore per tessere la trama dell’opera filmica.
Quando gli chiedo  come mai abbia scelto proprio un  titolo così strano, ed in un primo momento difficile da comprendere: “i bambini hanno gli occhi“ mi viene spiegato che in condizioni normali, non patologiche, i bambini hanno la possibilità di vedere/conoscere la realtà che lì circonda.
Ci sono però dei casi, nella vita reale, come in questa storia, nei quali l’adulto non si impegna a fornire gli strumenti ai più piccoli per vedere/conoscere la situazione ed il mondo che li circonda (partendo ovviamente dalla realtà che di norma è più vicina ad ogni bambino: il contesto famigliare). Sono le scelte di non volontà, di apatia, di chi dovrebbe aver cura dei propri figli che determina una cecità metaforica nei protagonisti del film: Angela e Francesco. Questo è bene spiegato a livello scenico, da tante porte che, nel corso di tutta la storia, il “padre-padrone“ le chiude in faccia ad Angela e Francesco. I due diventati ormai grandi, rivedono e rivivono quello sbattere di  porte che non permette loro di rielaborare il passato, ma glie lo fa solo rivivere con tutto il patos di quei momenti che non sono poi così lontani dalle loro vite presenti.

All’inizio del cortometraggio c’è una scena di vita reale: tanti barboni che dormono alla stazione Termini. Quei barboni non sono tanto diversi da alcune scene di vita di Francesco, questo “gioco“ tra realtà e narrato, riesce a far avvicinare la condizione  reale  dei barboni ai sentimenti dello spettatore.
Il cortometraggio si basa sulle scene e i dialoghi sono ridotti al minimo, all’essenziale; quindi i movimenti sono il linguaggio principale che danno un tocco di unicità o per lo meno di rarità all’opera.
A questo punto chedo: “D’accordo che lo sguardo  spesso, viene considerato, il mezzo di conoscenza più immediato che ci permette il primo contatto col mondo che ci circonda, però esistono altri “canali“; tu che ne pensi?“
Antonio risponde che il canale visivo non è l’unico canale di conoscenza, ma nel “i bambini hanno gli occhi“ si sottolinea la privazione dello sguardo rivolto al mondo, in un contesto famigliare negativo e problematico dove un padre, oltre a quello che si è già detto,  sceglie di essere assente nella vita e nella quotidianità del figlio. Questo porta a vivere nel figlio “sano“ una situazione di forte privazione che lo rende uguale ad una persona completamente non vedente. Naturalmente un non vedente può rafforzare gli altri sensi, imparare metodi  di scrittura e di apprendimento alternativi, ma anche qui torna la volontà dell’adulto di fornire, stimolare, far apprendere o negare l’uso di linguaggi, tecniche e strumenti alternativi.
Ho avuto anche il piacere di parlare con l’attore Francesco Ruggieri e di ascoltare la sua versione del significato del lavoro e l’esperienza che ne ha potuto trarre.
Francesco si è imbattuto in un personaggio difficilissimo da interpretare: lui giovane attore normodotato doveva interamente calarsi e quindi diventare in tutto e per tutto un non vedente. Come cammina una persona priva della vista che vive ai margini della società?
Come mangia?
Come scende le scale?
Come si siede per terra?
Come parla alle persone che incontra per strada? Ci sono voluti mesi e mesi di prove per trovare le risposte a queste domande. Mesi nei quali l’attore si è fatto crescere i capelli e la barba. Quest’ultima ha creato un forte stess all’attore e serie difficoltà a mangiare in presenza di altre persone. La metamorfosi fisica e il provare stress, vergogna, disagio ed anche una grande dose di sacrifici e di voler arrivare fino alla fine, hanno fatto si che il personaggio del cortometraggio si esprimesse fino alla fine, in tutto il suo essere “Francesco“.
Le poche battute del copione non erano per lui una facilitazione e una cosa in meno da dover affrontare, bensì un fattore che dava ad ogni singolo gesto un’importanza ancora maggiore. Per questo neanche un “battito di ciglia“ poteva essere lasciato al caso o non voluto dalla storia.
Anche la camminata della protagonista femminile: Angela, i suoi gesti, le sue espressioni, la sua pettinatura… è tutto studiato, misurato, fatto con la stessa cura e lo stesso metodo di Francesco.
La fine di questa storia non poteva essere che tragica, Francesco uccide il padre e si toglie la vita mettendosi due pezzi di vetro negli occhi. Angela scopre i due cadaveri e anche lei, a sua volta, si suicida. Secondo me la morte è l’unica soluzione per la fine della storia; è l’elemento catartico che libererà e rende giustizia a Angela e Francesco.
Questa storia, in particolare il finale, mi fa pensare allo schema delle tragedie greche dove la soluzione dei rapporti esasperati e disperati si risolveva quasi sempre con la morte di uno o più personaggi coinvolti; basti pensare al caso di Medea, dove la donna abbandonata per vendicarsi del marito uccide i propri figli. All’epoca la presentazione di dinamiche così forti e tragiche e la loro risoluzione sconvolgente serviva appunto a creare un sentimento di empatia del pubblico per i protagonisti delle storie, in modo da indurre i cittadini a non ripetere le azione viste sulla scena.
Anche se il cortometraggio ha molti elementi classici è comunque pieno di fonti, di trovate e di pensieri belli da una parte facilmente riconducibili alla realtà di tante famiglie di oggi; dall’altra parte ha tante idee assolutamente nuove e molto studiate se teniamo conto che si sta parlando di un cortometraggio e non di un film e quindi tutto è concentrato in un tempo ridotto.
 

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GLI OCCHI NON SONO SOLO LO SPECCHIO DELL’ANIMA. (con un’immagine di un quadro)

Molte persone mi chiedono come mai, quando scrivo, faccio ancora parecchi errori. Tanti di voi già sanno che ho un handicap motorio legato al momento della mia nascita.

Fin dai tempi dell’asilo veniva un terapista a casa per insegnarmi a scrivere. La dottoressa che mi seguiva aveva deciso che dovevo imparare a scrivere prima degli altri bambini, perché non riuscivo a controllare molto bene i movimenti.

Mentre gli altri bambini giocavano io ho passato tante, troppe ore seduta al banco dell’asilo ed il pomeriggio in camera mia, a riempire pagine e pagine di lettere “A“ poi “B“ poi “C“ e così via.

Alle medie mi cominciò a seguire un logopedista molto bravo. Fu lui a spiegarmi che i bulbi oculari sono circondati da muscoli e quando una persona legge i muscoli devono consentire all’occhio di muoversi da sinistra verso destra con una certa rapidità. “Marzia, i tuoi muscoli sono molto più deboli del normale, puoi fare degli esercizi specifici per rinforzarli così leggerai con meno lentezza e fatica, e aumenterà la tua capacità di apprendimento.“ Questo logopedista mi spiegò che anche se  mi impegnavo negli esercizi non sarei comunque riuscita a recuperare al cento per cento. Gli esercizi li ho fatti da grande: è stata una mia scelta. Ma mi era stato anche spiegato che se li avessi fatti nell’età dell’asilo e della scuola elementare, avrei ottenuto risultati di gran lunga migliori.

Ho scritto quest’articolo per spigare il mio problema visivo, che apparentemente non si vede e non si può intuire. Non voglio colpevolizzare nessuno, ma spero che conoscendo un altro aspetto del mio handicap, delle persone, magari mamme, maestre, presidi e anche (spero) terapisti, possano capire ed aiutare i bambini con la mia stessa difficoltà.

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IL MITO DI ULISSE (Il fascino dell’avventura)

LE RISPOSTE DELLO PSICOSESSUOLOGO

IL MITO DI ULISSE. Il fascino dell’avventura.

di  FRANCESCO TASSIELLO.

La storia di Ulisse, nonostante il tempo trascorso, mantiene il suo fascino ed una forma di attraente attualità. L’eroe omerico si propone, in particolare verso i giovani, con una caratteristica che lo contraddistingue e lo fa preferire ad altri illustri eroi storici. Gli ingredienti che compongono e contraddistinguono il fenomeno sono numerosi e variopinti; di questi alcuni contribuiscono a farne, insieme al mito, anche la sindrome. Per cui il titolo può diventare MITO E/O SINDROME DI ULISSE, perché l’eroe di Omero, oltre alle doti guerrieri di condottiero, le sue strategie belliche, e le sue astuzie, si è posto alla nostra attenzione anche per le sue curiosità umane e le sue debolezze psicologiche che lo hanno visto cedere alle tentazioni di vario genere, che oggi chiamiamo dipendenze. Le cronache con crescente frequenza ci raccontano storie tragiche di novelli eroi omerici che, in passato si avventuravano nel mondo fuggendo dalla famiglia, metafora dell’isola omerica, adesso fuggono rifugiandosi nelle droghe di varia natura. Gli episodi di alcolismo, di impasticcamento da estasi, di fumo di vario genere, e quant’altro il mercato del facile edonismo è in grado di offrire, sono ormai puntuali ad ogni week-end. Nonostante le numerose campagne preventive condotte in maniera “efficace ed efficiente“, gli avvertimenti proposti dalle tragedie puntuali ad ogni suddetto week-end, i progetti portati nelle scuole, e quanto altro ritenuto utile, il persistere delle offerte di sostanze incriminate sul mercato fanno realisticamente pensare che c’è una domanda crescente. La legge del mercato è rappresentata dalla domanda e dall’offerta. Alcune sostanze sintetiche possono essere prodotte facilmente e abbondantemente, per cui aumenta l’offerta  e la domanda ne trae vantaggi economici; il prezzo diminuisce e diventa accessibile alle tasche dei giovanissimi. Il viaggio di Ulisse continua inarrestabile. Non è casuale che uno dei termini utilizzato per l’uso/abuso di sostanze, oltre allo sballo è il viaggio. Non possiamo prenderci in giro e prendere in giro i giovani dicendo loro solo gli aspetti negativi e dannosi dell’uso di sostanze; perché non funziona. Allora, paradossalmente diciamo che è buona e fa bene, come una medicina, che come tale viene rifiutata; ma non voglio scherzare, per rispetto delle numerose famiglie colpite dalla tragedia. Un giovane ragazzo ha raccontato, forse unico nel genere, che si è trovato ad una festa, in un gruppo intorno ad un tavolo, in cui girava il “fumo“ come se fosse una catena di montaggio; c’era chi preparava il tabacco, chi aggiungeva la miscela, chi “rullava“, con una capacità professionale stupefacente. La cosa altrettanto stupefacente del giovane ragazzo è stata la sua astensione, nonostante le reiterate provocazioni ad ogni passaggio dello spinello nelle sue mani. Possiamo semplicemente dire bravo al ragazzo ed alla sua capacità assertiva (proposta come acquisizione indispensabile dai progetti di educazione sessuale nelle scuole), se non fosse per il suo personale disappunto e rincrescimento per il sentirsi escluso dal gruppo a causa della sua paura e timidezza. Anche quest’ultima caratteristica di personalità, per la quale è chiamato ad intervenire lo psicologo, deve essere riconsiderata e quasi rivalutata; ma anche qui non voglio scherzare, per rispetto dei numerosi giovani, che per timidezza sono oggetto di scherno ed isolamento dal gruppo. L’offerta di queste sostanze, che rappresentano il facile guadagno per le mafie di tutto il mondo, toccano la voglia di tutti coloro che ardono dal desiderio di provare sensazioni sempre nuove ed ammalianti, così come Ulisse nell’incontro con le sirene non resiste alla tentazione di offrire a se stesso ciò impediva ai suoi compagni di avventura. Ulisse ci ha insegnato molte cose, e forse, con le sue numerose strategie, potrebbe esserci ancora utile. Ma… il mercato delle sostanze, di cui l’alcool e l’eroina sono gli esemplari più appariscenti, rispondono ad esigenze di mercato gestite dai governi di paesi che ne traggono tali vantaggi che sopportano gli “svantaggi“ dei piccoli orfani e privati della buona Penelope.
Per maggiori informazioni sul tema si può telefonare direttamente al Dottor Francesco Tassiello 392-9753748 o 06-9852852; E-mail: francesco.tassiello@tiscali.it

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Il bacio erotico tra sacro e profano (le ricerche attuali e il fascino storico culturale)

del Dottor Tassiello 

I nostri nonni si baciavano?  Nelle attuali culture tribali si baciano? I cinesi si baciano? A questo proposito un esperto del Tao così scrive: <<… Esiste un mito sui cinesi e il bacio. Molti occidentali sono fermamente convinti che i cinesi non si bacino. Certo i cinesi  non si salutano per la strada scambiandosi “beccatine“ sulle labbra o sulle guance, come i francesi o gli americani, ma non è questo il tipo di baci di cui stiamo parlando. Vi è un’enorme differenza tra il fraterno bacio sulla guancia e quel profondo, appassionato invito all’amore, in cui la bocca, le labbra e la lingua parlano senza parole. È difficile dire dove e come sia nata l’idea che i cinesi non baciano. Il Maestro dell’Amore Wu Hsien tratta estesamente il bacio erotico nel suo saggio “Le sorgenti delle tre cime“. Queste sorgenti producono essenze importantissime per l’armonia di Yin e Yang e tutta la struttura metafisica taoista …>>. Il bacio, nella sua semplicità, rappresenta un fenomeno estremamente complesso descritto dai poeti più illustri. Anche gli scienziati hanno fatto qualche tentativo; tra questi, Wilhelm Fliess, collaboratore di Freud, così scriveva a proposito del bacio: “Quando la dolce brezza primaverile risveglia la terra con un tiepido bacio, quando il tenero verde trasforma per incanto il freddo paese, quando i fiori si schiudono e le rondini fanno il nido e l’allodola sale alta nel cielo, quando foreste e campi si riempiono di gioia, allora il nostro petto si gonfia di desiderio e l’amore si mette a gemmare, a fermentare e a fiorire nei nostri cuori. E’ allora che i sessi si attraggono, e che gli esseri umani si sentono in profonda armonia con tutto. Mentre la morte annienta senza pudore, i sessi rinnovano la vita e la rendono immortale otre ogni annientamento“. Il bacio rappresenta l’essenza del comportamento amoroso, quindi dell’Amore, quale antidoto alla morte (A = negazione; mors = morte). Il bacio è vita. Pensiamo a come gli uccelli alimentano i loro cuccioli, con il becco. Gli antropologi asseriscono che, anticamente, le mamme nutrivano i loro neonati masticando il cibo (non c’erano gli omogeneizzati!) e imboccandoli bocca-bocca. Anche alcuni innamorati si dilettano in questo modo. Il bacio conserva una sua fondamentale validità, perché, attraverso di esso, oltre al piacere eccitativo, passano alcune sostanze ormonali, indispensabili per il miglior funzionamento sessuale. Nel contatto orale viene facilitato il “travaso salivare“, ed il passaggio di ormoni dall’uno all’altro. Gli studi del Prof. Emmanuele Janini dell’Università dell’Aquila, dimostrano che i fluidi salivari del maschio hanno una maggiore concentrazione di testosterone nella fase di eccitazione; mentre quello femminile ha una maggiore concentrazione di estrogeni. Gli estrogeni femminili “donati“ al maschio, durante il “famigerato“ bacio hanno un effetto che il Prof. Janini paragona a quello del Valium, cioè di un calmante naturalissimo (che più naturale non si può) e dolcissimo, che sgorga copioso da alcune “fontanelle“ poste in concomitanza dell’attaccatura inferiore della lingua, e che conferiscono al fluido femminile un aroma e un gusto dolce ed inebriante. L’effetto di tale calmante naturale può essere facilmente intuibile da quegli uomini che soffrono di E.P. Ma anche per la partner femminile il contenuto del fluido salivare maschile, cioè la maggiore concentrazione di testosterone, ha un effetto particolarmente utile e funzionale! Pensiamo ad esempio al calo del desiderio e alle  frequenti forme di anorgasmia femminile, che vengono “erroneamente“ definite frigidità.
Sul tema vitale ed essenziale del bacio erotico mi piacerebbe avere spunti e osservazioni, oltre che suggerimenti e integrazioni per un confronto personale oltre e più che professionale. 
 

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la mia Supernonna

scansione0001.jpgEcco come mi immagino possa essere la mia Supernonna tra dieci anni!
Lei adesso ha 81 anni e chi la conosce non ci crede, rimane stupito e dice “ non è possibile. Complimenti le davo massimo 65 anni!“
Io le dico che si mantiene “Sprint“ perché sta sempre con me che la prendo in giro, la faccio ridere ed insieme usciamo spesso per andare al cinema, in pizzeria o a volte mi accompagna all’università.
Ovviamente a nonna ho fatto vedere la foto qui sopra dicendole “ora ti faccio vedere come sarai tra dieci anni“ lei sorridendo e mi ha risposto “dubito che sarò così“. In effetti ha spesso mal di schiena, quindi non credo che riuscirà mai ad alzare la gamba così tanto; ma ha simpatia, voglia di vivere e di vivere bene, penso che ha già superato e continuerà a superare la nonnetta della foto.

Un consiglio, se anche voi avete una nonna che è un turbine di energia, fatela “vivere”, ridere e divertire con voi ma attenti a non farla arrabbiare…!

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Maria Montessori: l’educazione del bambino in età prescolare

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Pedagogista ed educatrice, fu la prima donna in Italia a conseguire la laurea in medicina, questo fu senza dubbio un traguardo importante per lei e per il paese stesso che prima d’allora non ammetteva le donne all’università. I suoi studi e il suo carattere tenace e deciso la portarono a viaggiare molto nei paesi poveri, dove operò come medico, e nel resto del mondo dove fu conosciuta come pedagogista. Fece molti congressi per portare le sue idee ed il suo metodo educativo. Ho letto dei libri dove c’erano molte relazioni dei congressi fatti. La Montessori sosteneva che l’adulto non ricorda più il suo essere “puro e fanciullo“, quindi è ormai incapace di capire e assolvere le necessità dei più piccoli. Secondo me questa visione è troppo netta ed esasperante, in quanto vede il bambino solo vittima, e l’adulto solo incompetente ed incapace. Ho letto tante relazioni dei suoi congressi, dove non si tiene mai in considerazione che certi bambini sono più scontrosi e capricciosi di altri e dunque l’educatore dovrebbe dire un bel “no“ autoritario.
Oltre a viaggiare molto, la Montessori lavorò anche a Roma nel quartiere di san Lorenzo. Ai primi del 1900 questo quartiere era molto povero, è proprio qui che la Montessori si dedica a bambini con problemi psichici, convincendosi che con il trattamento educativo otteneva maggiori risultati che con l’uso di cure mediche tradizionali. Da questa esperienza la Pedagogista pensò che se il suo metodo avrebbe dato dei buoni risultati sui bambini con handicap mentale, ed avrebbe potuto essere anche applicato con successo ai bambini normodotati, da qui viene l’idea di aprire le scuole montessori. Nel 1906 fonda “la casa dei bambini.“
La Montessori fu anche criticata per la sua volontà di trasferire su tutti i bambini un metodo che nasceva per aiutare bambini con handicap e che quinti partivano da un livello di scolarizzazione, percezione di se e della realtà circostante completamente differente da un coetaneo normodotato. Un’altra critica, che condivido, è relativa alle questioni economiche, ai costi elevati che hanno sempre avuto le scuole montessoriane, raprpesentando fonti di grande discriminazione tra bambini nati in realtà sociali diverse. La Pedagogista frequentava la nobiltà romana e proprio da questa cerchia si era fatta dare dei locali all’interno di Palazzo Taverna, è ovvio che i primi e unici utenti di questi locali furono i figli delle famiglie benestanti.
Il metodo che si è sempre applicato, dagli albori delle scuole montessoriane a oggi, consiste in giochi manipolativi, stimolando ad andare da soli verso la scoperta, la conoscenza, la crescita; ma esulava da comminazioni di punizioni e conferimento di premi, ritenendo che l’autonomia e la serenità che raggiungevano potesse essere una ricompensa ben più adeguata. Il fanciullo doveva avere un ambiente adatto a lui adatto: i materiali (sedie, tavoli, utensili per pulire la casa e fare giardinaggio) dovevano essere piccoli e leggeri per permettere al bambino di svolgere da solo le attività che vedeva svolgere dalle persone che gli stavano intorno. Ritengo sia sbagliato pensare di ricreare, a scuola ed in famiglia, un ambiente apposta per il piccolo spendendo soldi, tempo e energie. Trovo più giusto preoccuparsi di accogliere un bambino nella serenità e nell’amore. Queste
La maestra montessoriana deve avere particolari qualità che consistono nel dover “regolarizzare“ il bambino che arriva all’asilo da un ambiente per lui caotico e quindi lui stesso è agitato e con poca capacità di concentrazione. Dopo questa prima fase, la maestra deve essere “umile“, capace di tirarsi indietro e lasciare libero il bambino di autogestirsi. Infine anche la maestra, dopo aver osservato le attività svolte dalle classe, deve rielaborarle e scriverle sul registro di classe che viene usato anche al giorno d’oggi ma risale proprio alla Montessori.
Tornando alle mie idee critiche sul metodo montessoriano ho avuto modo di confrontare delle situazioni: la testimonianza di una madre che ha fatto educare il figlio alla Scuola Montessori e una giovane che ha frequentato questa Scuola. Nel primo caso, la mamma ha lamentato l’ingombro dei materiali didattici ed il permissivismo delle insegnanti; mentre nel secondo caso la giovane ha vissuto un impatto traumatico nel passare alle scuole ordinarie.
 

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UNO SPECCHIO DIFETTOSO

ESERCIZI DI SCRITTURA FATTI PER IL LABORATORIO MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “BOMBA CARTA“

 racconto della redattrice.

Mi trovavo nel giardino dell’università, avevo appena finito le lezioni. Da lontano vidi una persona di spalle, la notai perché camminava male, feci più attenzione; camminava proprio come me. Stava andando al bar. Accelerai il passo ed entrai anch’io. C’era tanta gente dopo poco l’ho riconosciuta. Era di spalle. Aveva i capelli arruffati, una maglietta, dei jeans consumati e un grossa bisaccia piena di libri di studio: perfetta moda anni 70-pensai- quella che non ho mai seguito-.
Sono riuscita ad avvicinarmi a lei piegando le ginocchia e facendomi lentamente spazio per camminare. Non è facile camminare in questo modo ma funziona sempre!
Beveva un cappuccino usando la cannuccia mentre con le mani e gli avambracci, si aggrappava al bancone. Finalmente le misi una mano sulla spalla, ci guardammo in faccia con stupore: eravamo uguali. Qualche secondo di silenzio poi lei accenna una rissata ed io:
– ciao, come ti chiami?
– Marzia.
– mi prendi in giro?
– Perché?
– anch’io mi chiamo Marzia.
Bevve un sorso del cappuccino, poi con calma mi disse:
-senti, perché non ci sediamo su una panchina e tentiamo di capirci qualche cosa.
– buon’idea.
Ci sedemmo all’ombra di un grande albero pieno di fiori, d’improvviso mi sembrò che in tutta la facoltà c’eravamo solo io e lei, o forse dovrei dire solo io.
Ripresi a parlare
-non ti chiederò come mai cammini così: scommetto che anche tu, quando sei nata non hai cominciato subito a respirare…
-già.
-quindi hai una lesione celebrare
-proprio cosi.
Rispose lei senza nessuna espressione, come se la cosa non la riguardasse.
-bene allora parliamo d’altro; immagino che stai al secondo anno di scienze dell’educazione.
Lei ebbe uno scatto che le coinvolse tutto il corpo, poi esclamò:-no sono al terzo. Come è possibile, allora non siamo uguali.
Si bloccò, non sapeva più che dire, ma mi fissava. Anch’io per qualche instante me ne stetti in silenzio poi ripresi
-calma, calma, io sono indietro perché mi sono fermata un anno per digerire l’esperienza della scuola privata.
-“scuola privata“ disse con tono deciso, mi fa ribrezzo soltanto la parola.
– a chi lo dici!
– fin da piccola avevo delle idee ben precise: dalla finestra di camera mia vedevo le bambine che uscivano da un asilo di suore, avevano tutte la gonna a pieghe e i cappelli legati. Mi facevano tanto ridere. Crescendo poi, ho continuato a seguire le mie idee. Sono arrivata per fino a scappare di casa. I miei genitori erano arrabbiatisi… dopo qualche giorno poi, lì ho chiamati e gli detto che sarei tornata solo se mi lasciva libera di fare le mie scelte. È passato del tempo e molti litigi, ma alla fine mi hanno detto “fa come ti pare, peggio per te, la vita è tua!“
Rimasi a pensare, eravamo uguali, ma in fondo tanto diverse. Chi era lei, perché mi raccontava, le sue cose.
Comunque le chiesi:
-non pensi che sia più giusto accettare i consigli degli altri e cercare di evitare i problemi invece di crearli?
– perché, per essere una “bambina ubbidiente“ e dire di si a tutto e tutti?
– che centra. Accettare i consigli significa essere intelligenti, pronti a farli propri per arricchirsi.
– anche fare delle scelte porta ad arricchirsi, bisogna essere intelligenti.
– anche, forse si, forse ai ragione tu… no ansi forse abbiamo ragione tutt’e due.
Avevo freddo: si era alzato il vento, ero stordita. Mi chiusi bene la giacca e faci un grande sbadiglio. Mi accorsi che nel giardino non c’era più nessuno, il cancello della facoltà si stava chiudendo; riuscii ad uscire appena in tempo.
Tornando a casa ripensavo a quella giornata, ricordavo di aver seguito le lezioni, ma non sapevo di quali materie; ricordavo di essere stata al bar, ma non sapevo cosa avevo mangiato; ricordavo di aver parlato con qualcuno, ero sicura di aver parlato con qualcuno, ma non ricordavo nient’altro.
-non vedo l’ora di arrivare a casa sono stanca e ho fame.

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