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Handicap e bioetica: considerazioni del professor Adriano Bompiani

In questa intervista Adriano Bompiani, chirurgo, ginecologo, politico e primo Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, che affronta la questione delle disabilità in Italia a partire dalla legge-quadro 104/1992. Bompiani ribadisce la necessità di avviare processi significativi di integrazione nella società del portatore di handicap e sottolinea il fondamentale ruolo che può avere la bioetica nel perseguire questo fine.

1) Quali rapporti intercorrono fra la bioetica e la disabilità?

 La risposta non è facile, ed occorre distinguere. Di per sé, la bioetica è un movimento culturale che – a partire dagli ultimi tre decenni del secolo scorso – ha voluto riconsiderare le questioni fondamentali della vita sotto il profilo moderno e della società tecnologica, che ha profondamente modificato l’azione possibile dell’uomo nel nascere e nel morire, oltre ciò che è “naturale”. Poiché ha un forte contenuto di “filosofia morale”, la bioetica non è apparsa subito in forme nei suoi principi e nelle conseguenze, ma si è presentata differenziata in tante correnti di pensiero quante sono le correnti filosofiche.

2) Cosa si intende per contenuti di “filosofia morale” nella bioetica?

  Significa che per gli autori che seguono il “personalismo”, si ha molto rispetto per il disabile e lo si sostiene nelle sue funzioni vitali, lo si aiuta a conseguire capacità sempre maggiori delle sue performance. Oggi la medicina riabilitativa può molto, ma il ripristino completo di tutte le funzioni è ben raro: rimane sempre uno spazio in cui è necessaria l’integrazione nella società del disabile così come è, senza praticare esclusioni, ma anzi considerarlo come un “fratello”. Questa concezione non è la medesima per gli “utilitaristi”, o i “contrattualisti”.

Per alcuni filosofi che militano in queste correnti, e si sono chiaramente espressi, ad esempio la disabilità per cause genetiche che può essere prevista prima della nascita stessa dell’embrione o del feto che porta stigmate genetiche di alterazioni che lo renderanno disabile. Qualcuno di questi filosofi arriva anche a sostenere l’opportunità che i nati non solo malformati, ma anche quelli sani ma venuti al mondo in epoca troppo precoce – prima di 23 settimane di gestazione – non debbono essere “rianimati” (e cioè sottoposti a quelle cure strumentali che li aiutano a sopravvivere) poiché hanno un alto rischio di sviluppare disabilità del sistema nervoso, disabilità motorie, quozienti intellettivi estremamente brevi e così via – cioè debbono essere lasciati morire.

3) Come le Istituzioni, soprattutto tramite lo strumento normativo, possono intervenire a sostegno delle persone con disabilità?

 Dobbiamo riconoscere che la situazione è molto diversa fra Paesi occidentali, ad elevato reddito, e sistemi sanitari e sociali avanzati, e Paesi in via di sviluppo o fortemente depressi, privi di ogni assistenza.  Tutti i Paesi occidentali, e quelli Europei in particolare, si sono dotati di leggi che partendo dal concetto della “pari dignità umana” del disabile, sviluppano adeguato sostegno sia nel campo sanitario che educativo, nella scuola sociale e – almeno in parte – nel settore dell’impiego e del lavoro. Per l’Italia, la legge-quadro (che ormai risale a circa 15 anni fa) è la legge 104/1992; ad essa sono seguite varie leggi sempre più specifiche per l’applicazione a livello regionale e locale di questo principio, che comporta la solidarietà e la sussidiarietà nella gestione del disabile.

4) In Italia, come prima accennava, la legge 104/1992 si pone a tutela dei diritti delle persone disabili; potrebbe illustrarci come è articolata?

 Volentieri. È una legge composta di 44 articoli. Una prima serie di articoli a carattere generale è dedicata alle finalità, ai principi sostenuti dalla legge e a individuare i soggetti che ne possono usufruire (1-8). Sono appunto i “portatori di handicap”, come all’epoca venivano denominati quelli che oggi si preferisce definirli “disabili”.

Una seconda serie riguarda l’inserimento sociale, i servizi di cui la persona con handicap può usufruire, gli interventi previsti dalla legge, l’integrazione scolastica, la formazione professionale, l’integrazione nel lavoro con i relativi accertamenti e le procedure per l’assegnazione della sede (9-22).

Questa prima parte della legge si riferisce ai diritti della persona, che coincidono con i principi dei diritti dell’uomo (già affermati anche nella Costituzione Italiana).

A partire dall’articolo 23 la legge si rivolge più direttamente alle Amministrazioni nazionali, regionali e locali, per dettare norme che servono ad attuare in pratica i diritti. Cioè: la rimozione degli ostacoli che impediscono le attività sportive, turistiche, ricreative; l’eliminazione delle barriere architettoniche; l’accesso all’informazione e alla comunicazione, la mobilità personale e collettiva, facilitazioni per veicoli adatti alle persone handicappate (23-28).

Poi vengono gli articoli diretti a facilitare la pratica dei diritti civili: il diritto di voto, la partecipazione sociale, riserva di alloggio; agevolazioni fiscali; provvidenze per i minori handicappati in caso di ricovero ospedaliero; tutela giurisprudenziale dell’handicappato (29-37).

I compiti che spettano alle Regioni sono indicati all’articolo 39; quelli che spettano ai commi all’articolo 40; le competenze del ministro degli Affari Sociali al 41; infine articoli di copertura finanziaria, abrogazione, entrata in vigore (42-44).

La 104 è, logicamente, una legge-quadro, che richiede poi molte norme applicative, alcune nazionali, altre regionali. In effetti, queste sono state emanate nei 15 anni che hanno seguito la promulgazione della legge; il problema è quello finanziario per una ampia e reale applicazione, il miglioramento della competenza degli operatori e soprattutto la costante volontà di attuare solidarietà e sussidiarietà verso le persone con disabilità.

5) E qual è la situazione europea?

In Europa si cerca di rendere sempre più uniformi le provvidenze previste dai vari Paesi, ravvicinando in primo luogo le legislazioni nazionali, ma sviluppando anche programmi comuni sia per la riabilitazione, sia per l’inserimento a pieni diritti nella società attiva. Oggi si parla di “inclusione” per meglio sottolineare l’essere dentro, pienamente contenuti nel sistema sociale dei disabili come cittadini di uno spazio morale ed economico unitario, senza discriminazioni.

6) La bioetica può fare qualcosa?

 Certamente. Se si ragiona con il criterio del personalismo, a “pari diritti fondamentali”, che si applicano all’essere umano in quanto tale. Il godimento dei beni essenziali che deriva dai “diritti fondamentali” deve essere assicurato di conseguenza anche al disabile, che va – anzi – sostenuto per concorrere con le sue forze, e le sue capacità, al buon esercizio della vita comunitaria. Deve poter lavorare, come tutti i cittadini, anche se nelle forme e nella misura delle sue capacità.

Come vede, c’è molto da insegnare anche alle giovani generazioni al riguardo, e questo modello “personalistico” della riflessione bioetica (che è poi quello della stessa nostra Costituzione Nazionale) può essere un veicolo molto convincente per raggiungere l’obiettivo.

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RaccontAbili: presentazione del saggio di Zoe Rondini e rassegna stampa

Copertina del saggio RaccontAbili di Zoe RondiniTitolo dell’opera: RaccontAbili
Sottotitolo: Domande e risposte sulle disabilità
Autrice: Zoe Rondini (nome d’arte)
Editore: Erickson Live
Edizione: novembre 2020
Genere: Saggio
Pagine:   275
Prezzo di copertina: euro 24,00
Progetto editoriale a cura di Matteo Frasca

 

Chi desidera acquistare la copia cartacea del libro lo può fare scrivendo a live@erickson.it, andando sul sito Erickson Live ,o contattando direttamente l’autrice scrivendo a zoe.rondini@gmail.com

 

 

 

Sinossi dell’opera RaccontAbili

Delle diverse abilità o del mondo delle disabilità non è che non si parli, anzi.  Gli psicologi e gli esperti socio sanitari vengono chiamati a discutere e a riferirne in ogni dove; gli insegnanti e le famiglie testimoniano la fatica e le difficoltà in merito, incontrate ogni giorno per colpa di un modello sociale che stenta a sostenerli. Giornalisti e autori televisivi spesso raccontano casi esemplari che rapidamente possano tramutarsi in casi mediatici su cui puntare i riflettori, pronti però a dissolversi in poco tempo. Film, romanzi e racconti ci restituiscono la verità, la profondità e la ricchezza delle tante sfaccettature che la parola “disabilità” contiene e suggerisce.

Ma poi? Chi raccoglie il punto di vista delle tante persone che sotto diversi livelli vivono la propria disabilità o quella altrui? Oltre che a protestare, denunciare, lamentarsi, o a fare parte di storie edificanti, chi li invita a raccontarsi e a raccontare la loro vita… “normale”? Quali possono essere le tante narrazioni possibili sul mondo delle disabilità, narrate da chi ogni giorno le vive in prima persona e da chi ne è a stretto contatto nel proprio ruolo, professione o vocazione?

L’autrice Zoe Rondini scommette su quest’opportunità e su questo spazio bianco

Zoe non ha mai sentito il bisogno di parlare dei massimi sistemi, con il rischio di raccogliere e di accumulare il già sentito, il già detto, le frasi di convenienza o di circostanza, i moralismi che devono essere comunque espressi. Di tutto questo, suo malgrado, è stata ben infarcita fin da piccolissima, ma fin da bambina l’ha sempre rifiutato e combattuto. A Zoe interessa sapere come stanno le persone e cosa hanno da dire, se si danno l’opportunità di riflettere su quello che vivono e se vogliono raccontare qualcosa rispetto a famiglia, scuola, tempo libero, diritto, sanità, educazione, giornalismo, politica, integrazione, teatro, musica, sport, terapia, editoria, università, lavoro, amicizia, amore e sessualità.

Un’intervista per aiutare le persone a raccontarsi

Come la protagonista del film (e del romanzo) The Help, l’autrice utilizza la forma intervista per aiutare le persone a raccontarsi e ad uscire allo scoperto. A confrontarsi con le risorse e i limiti che le disabilità impongono in tutti i campi. Cercando anche di addentrarsi in territori poco frequentati, raccogliendo testimonianze e storie legate alla sfera dei bisogni affettivi, amorosi e sessuali. Come Eugenia Skeeter Phelan, Zoe Rondini – con mille ostacoli ammessi dalla stessa autrice – incontra un gruppo di circa trenta intervistati che attraverso il loro peculiare punto di vista cercano come possono di non consumare, ma al contrario di estendere e rivitalizzare sotto lenti molteplici il concetto di disabilità.

Quello che ne vien fuori vuole essere una narrazione finalmente coralepolifonica, con le voci rappresentative di tutta la comunità coinvolta nel vivere le tante forme di disabilità, anche quelle imputabili alle mancanze di un modello culturale che non riesce ancora ad accogliere tutti e tutte.

Questo saggio corale vuole cambiare la narrazione dei e sui disabili, dando loro l’opportunità di parlare in prima persona e non scegliendo solo il disabile che diventa un super eroe grazie allo sport… o la persona che subisce un danno, viene bullizzata, o le vengono negati dei diritti: c’è molto altro di “interessante” da narrare e “far conoscere”.

RaccontAbili: la struttura del saggio

Il testo è diviso in due sezioni:

  • una prima parte che raccoglie le interviste,
  • una seconda dove si evince il punto di vista di Zoe sulle medesime tematiche, sotto forma di articoli che vengono dal suo portale Piccologenio.

Impreziosiscono l’opera la prefazione della professoressa Maria Serena Veggetti – docente di Psicologia generale presso la Sapienza di Roma e membro dell’Accademia russa per l’ordine degli psicologi – e un contributo del professore Nicola Siciliani de Cumis – pedagogista e Professore ordinario di Pedagogia Generale presso La Sapienza – sulla percezione della disabilità nel Poema Pedagogico di Anton Semenovic Makarenko.

Un’appendice raccoglie infine testimonianze che provengono dalla Rete e una puntuale nota del professore Adriano Bompiani sul legame tra bioetica, disabilità e legislatura.

Nella sua seconda prova letteraria, Zoe Rondini si rivolge alla stessa comunità protagonista delle sue interviste: persone con disabilità, famiglie, insegnanti ed educatori, giornalisti, scrittori, pedagogisti, psicologi, medici, studenti, amanti del teatro e del cinema, attori, registi e autori. Con l’auspicio che questo testo ibrido nella sua forma, al confine tra saggioinchiesta e intervista polifonica, allarghi pian piano, lì dove giunge, la comunità abile nel raccontare, che insomma ogni lettore e lettrice diventi a sua volta una o uno dei possibili, futuri RaccontAbili.

L’autrice

Zoe Rondini è il nome d’arte dell’autrice. Laureata in Scienze dell’Educazione e della Formazione e specializzata in Editoria e Scrittura alla Sapienza di Roma, dopo la sua opera prima, il romanzo autobiografico “Nata Viva”, con quest’opera ha voluto dare spazio ai vissuti e alle narrazioni sulle disabilità.
Il blog Piccologenio.it è uno degli strumenti che utilizza per partecipare alla diffusione della conoscenza del mondo della disabilità e alla promozione dei diritti dei disabili.
Parallelamente, cura un corso annuale dedicato al tema della disabilità nell’ambito del Master di Neuropsicologia dell’età evolutiva promosso dall’Università LUMSA di Roma e, dal 2011, è promotrice del progetto pedagogico di contrasto al bullismo e valorizzazione delle diversità “Disabilità e narrazione di sé: come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità” che si rivolge agli alunni della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado. Fornisce il suo contributo in diversi convegni e seminari di settore, nonché a testate giornalistiche attive nell’ambito del sociale.

Vai alla presentazione e al curriculum vite di Zoe Rondini

Rassegna stampa:

Zoe Rondini: superare la disabilità con la scrittura e la comunicazione

Sesso e disabilità, Zoe Rondini: “Con la comunicazione lotto contro tabù e pregiudizi”

Lezione per il master in Neuropsicologia dell’età evolutiva della Lumsa

Zoe Rondini compie 40 anni. Gli auguri della redazione all’autrice di RaccontAbili e Nata Viva Angeli Press

Zoe Rondini ci racconta “RaccontAbili”, il suo ultimo successo letterario  Informare Online

“RaccontAbili”: dare voce alle persone disabili riguardo a famiglia, lavoro, cultura e sessualità” DisabiliAbili

Quanta emozione alla Premiazione del XII Festival Internazionale del Cinema Patologico Il Digitale

“Handicappata a chi?” Sfatiamo la disabilità con l’intervista a Zoe Rondini Il Digitale

Scrittura, disabilità, rapporti, diritti e tabù. Con Zoe Rondini parliamo di tutto  Intervista per FinestrAperta.it

Intervista a Zoe Rondini, che ci parla del suo nuovo libro “RaccontAbili” Spettacolo News

ZOE RONDINI: “LA SCRITTURA È LA MIA COMPAGNA DI VITA DALL’ETÀ DI 9 ANNI” Intervista di Paolo Restuccia per Genius

Sex 05. Zoe, disabilità e diritto alla sessualità L’Espresso

La disabilità in “Raccontabili” di Zoe Rondini  Dianora Tinti Letture e D’intorni

Raccontare la disabilità: intervista a Zoe Rondini Giornale Radio Sociale

Quattro chiacchere con Zoe Rondini Vis Vitaes

Zoe Rondini una straordinaria storia di normalità JobMeToo

RaccontAbili su Piuculture

Intervista sul periodico Vis Vitae

RaccontAbili: tutto quello che avreste voluto sapere e non avete mai osato chiedere sulle disabilità su Repubblica Cultura

Intervista sul “Il Benessere Olistico”

RaccontAbili su Ubiminor

RaccontAbili. Domande e risposte sulle disabilità su Angeli Press

RaccontAbili, la nuova opera di Zoe Rondini su Italia Olistica

Video

O Anche No

RaccontAbili all’Unione Italiana dei Ciechi di Roma

Presentazione online del saggio polifonico “RaccontAbili. Domande e risposte sulle disabilità”

RaccontAbili al Festival Fuori Posto 2020

Contributi per Piccologenio.it

Per una presentazione da remoto di RaccontAbili di Zoe Rondini

La Professoressa Maria Serena Veggetti, docente di psicologia alla Sapienza di Roma, racconta RaccontAbili

Qui non troverai i Supereroi

RaccontAbili: i primi passi

Se volete un libro con dedica potete contattarmi via e-mail: zoe.rondini@gmail.com

Oppure mi potete scrivere in privato sulla pagina Facebook ZoeRondiniAutrice o sul  profilo Istagram

 

 

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Educazione Sessuale e Disabilità: Zoe Rondini esplora le tematiche

Assistenza sessuale per disabili
Foto di Alessio Mingiardi

Sono tante le testimonianze che mi giungono da adulti con disabilità che non sanno come appagare i desideri di affetto, d’amore e sessualità. A volte la persona con disabilità si approccia all’altro sesso parlando o facendo parlando e facendo domande solo sulla disabilità propria o altrui. Per fortuna siamo persone quindi si può tentare un approccio più originale ed interessante, che non risulti quasi fastidioso. È vero che le persone non sono il loro handicap o la loro malattia… ma sta prima di tutto a noi vedere e far vedere che c’è molto altro e che spesso è più interessante.

C’è poi da tener presente che, non tutte le famiglie sono in grado di promuovere una sana  emancipazione prima di tutto a 360° ed anche una sana educazione all’amore, l’affettività e la sessualità. Non ci sarebbe nulla di scabroso a parlarne in famiglia, questo significa anche informare i figli su temi importanti, quali il consenso, il piacere di entrambi i partner, le insidie della rete.

In questo articolo tenterò, soprattutto attraverso la narrazione di storie reali, di mettere in evidenza le insidie del web e come esse possono essere evitate con un maggior dialogo e una maggior educazione.

Spesso tramite i social, tante persone con disabilità, mi parlano delle loro esperienze o frustrazioni in modo molto dettagliato, soprattutto, ma non sempre per chiedermi consiglio. Mi sono fatta delle domande a riguardo:

“Perchè a me? Perchè sono anch’io disabile? Perchè è più facile aprirsi con una sconosciuta che non giudica (se lo fa è più facile infischiarsene)? Perchè mi occupo di sessualità”.

Forse la risposa è abbastanza affermativa a tutte le domande.

L’importanza dei ruoli famigliari nell’educazione sessuale

Ci sono tante storie che senza che io le “cerco” mi giungono. Come quella di un signore con disabilità motoria Lo chiamerò Gianni. Gianni ha passato l’infanzia e l’adolescenza gattonando; era normale: si spostava in quel modo. Così facendo non perdeva occasione di scrutare sotto le gonne della madre e della zia! A distanza di qualche decennio si ricorda minuziosamente l’intimo delle donne. Non si tratta di un feticismo: lui desidera una compagna, ma vive quasi sempre a casa. Quando in tv c’è una scena erotica la madre la ridicolizza e fa di tutto per far cambiare canale al figlio ormai adulto. Forse molti genitori per loro pudore, imbarazzo ed un eccessivo senso di protezione perdono tante occasioni per educare i figli a tali tematiche; ma, probabilmente, il problema è anche che non vedono i figli come adulti.

Tornando al racconto di Gianni, la zia sapeva che il nipote le guardava sotto la gonna. Un giorno il ragazzo era a casa degli zii al lago d’estate. Stava a carponi sotto il tavolo e la zia ha dischiuso le gambe e si è lentamente tirata su il vestito. Difficile pensare che la donna non l’abbia fatto apposta e che Gianni sia rimasto indifferente. Il racconto continua: “quella non è stata l’unica occasione per mia zia di farsi guardare le gambe e più su”. Non sta a me giudicare: posso solo dare dei suggerimenti. Una psico-sessuologa (per un caso simile) mi disse di far capire alle persone in questione l’importanza dei ruoli famigliari e porre l’accento sul fatto che il rapporto di coppia e l’erotismo vadano cercati al di fuori degli affetti con i genitori, fratelli, sorelle e parenti, ciò per evitare sofferenze: una madre che masturba un figlio lo fa con un carico di sofferenza. L’amore tra famigliari deve sfociare in sentimenti e supporti di tipo diverso.

Sono stati diversi  i genitori che mi scrivono perchè vogliono far fare al figlio, o alla figlia, un’ esperienza erotica, ma non sanno a chi rivolgersi. In questi casi spesso, consiglio e do informazioni sul rituale tantrico. Aimè devo ammettere che sono pochi i genitori che mi scrivono, ma sono in continuo aumento i figli che si sentono trattati da assessuati e non sanno con chi e come parlare dei loro bisogni e desideri.

Assistenza sessuale per disabili: il mio supporto

Nel 2012, ho creato il gruppo Facebook: “Amore, disabilità e tabù: parliamone!” che oggi conta più di 1.600 iscritti tra normodotati e persone con disabilità.

Uno degli scopi del gruppo è incentivare lo scambio di informazioni tra pari e promuovere l’educazione sessuale e sentimentale. Il gruppo è anche un  luogo virtuale per conoscersi e per condividere i problemi legati a come ci vedono gli altri, o parlare dei desideri che molti non sanno come soddisfare. E’ soprattutto grazie al gruppo  e forse ai tanti articoli di questo portale, se negli anni ho letto tante testimonianze e cerco di fare del mio meglio per supportare persone con  disabilità e famigliari che mi chiedono spesso consigli.

È vero che l’amore è più totalizzante di qualche esperienza erotica. Tuttavia capisco che per un adulto sia più importante conoscere prima la sessualità e poi magari ricercare un amore corrisposto. Tante persone con disabilità hanno delle storie d’amore.

Ma per molti rimangono storie platoniche e necessità fisiche proibite.

Sono tantissime le persone con disabilità si sono rivolte a me per chiedermi consigli relativamente a come esplorare la propria componente sentimentale. In alcuni casi mi sono proposta di fare una videochiamata con loro e il famigliare più vicino. Mi è stato garbatamente risposto che volevano dei consigli e un confronto senza coinvolgere nessun altro. Ovviamente ho rispettato la loro volontà. Penso però che in certi casi sarebbe più utile trovare dei punti d’incontro tra persone con vari tipi di disabilità, genitori, famigliari e terapisti.

Mi hanno colpito anche vari  post, di un uomo che esprime sempre lo stesso desiderio. Lui ha la tetraparesi spastica e vorrebbe fidanzarsi con una donna con la sua identica disabilità. Va bene che spesso in una coppia di persone con disabilità ci si aiuta e ci si capisce di più. Ma quanto è bello farsi stupire da persone che, all’inizio non le vedresti mai come partner e poi gli eventi te le fanno osservare con occhi nuovi e diversi…? Bisogna anche guardare in faccia la realtà e farci stupire da essa. Parlando con quest’uomo ho scoperto che aveva perso la madre a circa dieci anni. Il padre lo ha messo in un istituto, “accettando” così solo la prima figlia normodotata e si è risposato.  Anni dopo, la sorella  è riuscita a “tirar fuori” il fratello dall’istituto e farlo vivere con lei, suo marito e i figli.  La famiglia, in parte, si è ricomposta. Stando al  racconto (probabilmente parziale) dell’uomo, il nuovo nucleo famigliare non beneficia di aiuti esterni e si trovano a fare diverse rinunce come uscire tutti insieme o andare in vacanza.

Un’altra storia che ha toccato le mie emozioni ha come protagonista un uomo che è stanco di dover lottare per cose come il diritto al lavoro e la voglia di essere amato. “Troppo spesso, per noi disabili – lamenta l’autore – tutto si riduce al sesso a pagamento”. La persona in questione è stufa di essere spettatore della felicità altrui… Poi spiega che di recente è stato rifiutato. Capisco che uno o più rifiuti creino rabia, dolore e frustrazione. Per questo penso sempre più fermamente, che il ruolo delle famiglie nell’educarci all’amore, al rispetto di noi stessi e degli altri, a far fronte alle delusioni amorose sia ancora più fondamentale per una persona con disabilità. Non bisogna arrendersi o aspettare di essere troppo grandi per cercare l’amore e crearsi una propria autonomia. Meglio cominciare quando si è giovani, piacenti ed un po’ scapestrati piuttosto che dopo gli “anta”, i primi capelli bianchi che ci rendono più tristi.

Crescita, autonoma e educazione sentimentale: La chiave per un futuro sereno

Altro punto sul quale riflettere: tante persone dai quarant’anni in su desiderano una vita indipendente sotto molteplici punti di vista. Non voglio scoraggiare nessuno, ma secondo me le famiglie più illuminate, e per fortuna me ne vengono in mente diverse, sono quelle che creano percorsi d’autonomia per i loro figli e altri giovani ed adulti con disabilità, a partire dal  contesto scolastico o appena il figlio ha terminato la scuola. Penso sia più facile cominciare un cammino verso l’autonomia e distacco quando famigliari e figli sono ancora giovani. Può essere più facile e meno traumatico creare presto un “durante noi” più sereno per avere meno paura del “dopo di noi”.

Educazione affettiva e sessuale per non cadere nella Rete

Tornando all’educazione dei figli con disabilità, vorrei fare delle considerazioni che valgono anche per adolescenti normodotati: molto spesso non si pensa a metterli in guardia dai vari rischi della rete. Ad esempio si può essere vittima di Revenge porn: ovvero la condivisione pubblica di immagini o video intimi, senza il consenso dei protagonisti degli stessi. O di cyberbullismo che viene così definito dal vocabolario Zanichelli: “comportamento a danno di minori consistente in atti molesti o persecutori, utilizzando illecitamente dati personali.” Il bullismo e il cyberbullismo sono fenomeni pericolosi e diffusi tra i ragazzi, ma anche giovani e adulti con disabilità troppo spesso vengono presi di mira.

C’è anche un altro rischio molto diffuso sui social network del quale si parla poco. Si tratta di uomini e donne maturi e stranieri che raccontano di essere soli con dei figli a carico in un paese lontano. Queste persone si prendono tutto il tempo necessario per raccontarti di loro, per sapere come si svolge la tua vita, dopo averti illuso che è possibile ricominciare tutto da zero in un bellissimo rapporto d’amore eterno arriva puntuale la richiesta di denaro.

Una persona che conosco ha mandato del denaro e foto intime. Il giorno che la persona in questione si è rifiutata di mandare altri soldi si è sentito minacciare al telefono da un uomo che chiedeva 1.000 euro, altrimenti avrebbe pubblicato le foto. Per fortuna la storia ha un lieto fine, in quanto la vittima non ha versato altro denaro e i due truffatori sono spariti.

Purtroppo l’illusione di un amore rende tutti delle potenziali prede, questo vale soprattutto per chi non ha mai avuto esperienze e pensa che i sogni e le fantasie fatte per decenni si possano trasformare in amore vero. Anche in una coppia alle prime armi si può erroneamente pensare che le foto intime si cancellino facilmente e non saranno mai condivise con terze persone, purtroppo però a volte la realtà è diversa dalle nostre  fantasie o aspettative: i fatti di cronaca ce lo ricordano quasi ogni giorno.

Autonomia Relazionale e Sessuale: Riflessioni sulla Maturità Emotiva nelle Persone con Disabilità

Alle tante persone con disabilità che mi chiedono consiglio su come crearsi una relazione, spiego quanto sia difficile ma essenziale assumere dei comportamenti che ci facciano sentire adulti e ci mostrino come tali a chi ci sta maggiormente accanto.

A mio parere molti problemi ed insoddisfazioni sono determinati da tanta solitudine associata ad una negata educazione sentimentale e sessuale.  Ai molti ragazzi e genitori che mi scrivono, spesso ho spiegato l’importanza della privacy, ma non mi sento di prendere decisioni al posto della persona, anche se a volte è questa la richiesta. Andreste da uno psicologo che vi dicesse in ogni minimo dettaglio come vi dovreste comportare? Infondo nel bene e nel male siamo un po’ artefici della nostra vita. Anche l’essere totalmente inerme è una scelta, magari non si è totalmente consapevoli di questa opzione o del fatto che non ci vogliamo impegnare in un processo di cambiamento, quindi rimaniamo inerti, ci lasciamo trattare come eterni bambini, lasciamo che gli altri o gli eventi si sostituiscano alla nostra volontà. Non chiariamo i nostri desideri agli altri e nemmeno a noi stessi.

Vorrei comunque sottolineare che  l’ immaturità emotiva non giova a nessuno e spesso, ad un certo punto, le persone scoppiano: si passa da una esagerata tolleranza ad un’esplosione di tutto ciò che, il contrario di tolleranza ci suggerisce .

RaccontAbili e altre iniziative: trasformare le conversazioni in azioni

Nel 2020, ho pubblicato il saggio polifonico RaccontAbili che, attraverso le interviste a trenta persone dedica ampio spazio a tematiche quali la famiglia, l’amore e la sessualità. Quest’anno (2022-2023) ho iniziato una collaborazione in qualità di esperta di sessualità delle persone con disabilità al programma “O Anche No”, di Rai Tre, dedicato all’inclusione e alla solidarietà realizzato con Rai per il Sociale. Ogni anno, dal 2017, tengo delle lezioni su “Amore, sessualità e disabilità” nell’ambito del Master in Neuropsicologia dell’età evolutiva, promosso dall’Università LUMSA. Vengo invitata spesso a convegni che parlano di donne doppiamente discriminate: perché donne con disabilità. Sono laureata in scienze dell’educazione e della formazione e specializzata in lettere. Mi informo continuamente sul tema della sessualità. Mi piacerebbe molto poter mettere ancora di più a disposizione del prossimo le competenze che ho acquisito e continuo a coltivare con passione.

Diritti fondamentali: Amore, Affettività e Sessualità

I diritti all’amore, all’affettività e alla sessualità dovrebbero essere riconosciuti quali diritti di ciascun individuo. Sarebbe auspicabile che tutte le famiglie, con il supporto di vari specialisti, creassero un percorso ben studiato per promuovere una vita piena e indipendente per la persona con disabilità, in famiglia e al di fuori di essa. Solo coltivando un sereno ed equilibrato “Durante Noi” ci si può liberare dalla paura del “Dopo di Noi”. Sulla base del mio bagaglio di studi ed esperienze pratiche, alla luce delle riflessioni fatte in questo articolo ed in varie sedi, mi piacerebbe fare un lavoro di equipe per supportare maggiormente tante situazioni. Mi sento comunque in grado di continuare la mia attività, a supporto delle persone con disabilità e i loro famigliari, per suggerire varie strategie adatte a  migliorare vari aspetti della vita quotidiana. 

Libri:

Per comprare il saggio RaccontAbili clicca qui

Per comprare il romanzo autobiografico e di formazione Nata Viva clicca qui

Contatti:

E-mail: zoe.rondini@gmail.com

Oppure mi potete scrivere in privato sulla pagina Facebook ZoeRondiniAutrice o sul profilo Istagram

Il gruppo Facebook “Amore, disabilità e tabù: parliamone” è aperto a tutti!

Leggi anche:

Le persone con disabilità, la comunicazione nel web ed il devotismo

Storia di un devotee: tra il proprio “demone” ed il rispetto

Presentazione del saggio “RaccontAbili”

Convegno Erickson “Sono adulto! Disabilità diritto alla scelta e progetto di vita”

L’esperienza del tantra vissuta da una donna normodotata ed un uomo disabile. Due testimonianze a confronto per capire e sapere.

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Intervista per “Il Telespettatore”

Ringrazio la rivista Il Telespettatore di avermi intervistata, sui libri, sulla valenza terapeutica della narrazione del sè, su disabilità e mezzi di comunicazione e su tutte le mie  attività che hanno come fil rouge l’importanza di promuovere una vita piena, per me e per tante famiglie. La persona disabile è una persona a tutti gli effetti, questo dovrebbe bastare  per uscire dai tanti, troppi stereotipi!

Ha scelto di farsi chiamare Zoe, parola che deriva dal greco,  e non Marzia. Perché questo nome?

 

Per motivi di privacy, prima di pubblicare la mia prima opera, il romanzo di formazione Nata Viva (Società Editrice Dande Alighieri) ho cambiato tutti i nomi dei personaggi ed anche il mio. Zoe, in greco vuol dire vita e Rondini mi ha fatto pensare  al volo degli uccelli, quindi alla libertà. La vita e la conquista della liberta, sono le ematiche principali del romanzo.

Se le dicessi di raccontarsi brevemente, cosa scriverebbe?

Sono  autrice del saggio “RaccontAbili. Domande e risposte sulle disabilità” e del romanzo autobiografico “Nata Viva”, dal quale è stato tratto l’omonimo  cortometraggio. Il cortometraggio della regista Lucia Pappalardo, è stato il primo classificato nella categoria Corti della realtà; nell’ambito del Premio L’Anello debole 2016, al Festival di Capodarco. Dal 2006, curo il portale Piccologenio.it; dove mi occupo di varie tematiche correlate alle diverse disabilità.

Per fortuna le mie attività sono molte: spesso non mi annoio! Infatti a seguito del conseguimento della laurea triennale in Scienze dell’Educazione e della Formazione ho acquisito competenze in ambito pedagogico e sociologico, che metto in pratica nel progetto: “Disabilità e narrazione di sé” portato in diversi istituti scolastici con studenti dai dieci anni in su. Lo scopo è incentivare la narrazione del sé, fare prevenzione a tutte le forme di bullismo ed educazione  al rispetto delle differenze. I contenuti degli incontri nelle scuole sono ispirati al romanzo “Nata Viva” come spiegherò meglio più avanti.

Ogni anno, tengo delle docenze su disabilità, amore e  sessualità e su disabilità e narrazione del sé, presso l’Università Lumsa. Inoltre, mi campita spesso di trattare queste ed altre tematiche in vari convegni, in tv: quest’anno sono opinionista, in qualità di esperta, al programma “O Anche No”, di Rai Tre. Infine, da diversi anni, collaboro con varie testate giornalistiche, in particolare Superando.it e Ubiminor.org.

In tutte le attività divulgative e formative cerco sempre d’approfondire gli aspetti psicologici, sociologici e pedagogici legati all’handicap; affronto argomenti quali i rapporti tra la persona con disabilità e la famiglia, la scuola, gli ausili informatici, l’amore, l’affettività,  la sessualità e la narrazione del sé come strumento di empowerment e di terapia, la vita indipendente e disabilità e mass media. In tal modo spero di fare la mia parte per contribuire ad un necessario cambiamento culturale che dia più valore alle abilità di ogni persona.

 

Ci parli del suo recente lavoro “RaccontAbili, domande e risposte sulle disabilità“.

RaccontAbili, domande e risposte sulle disabilità” (Edizioni Erickson Live, 2020); è un saggio polifonico che racchiude le “voci” di trenta persone, tra disabili e chi, per vari motivi, conosce bene il mondo della disabilità. L’intento dell’opera letteraria è quello di offrire il punto di vista dei diretti interessati, uscendo dall’ottica di interpellarli solo nei casi migliori o peggiori delle loro/nostre vite. Gli argomenti delle interviste sono quelli che ci accomunano tutti, si parla infatti di famiglia e società, routine, lavoro, interessi, arte, amore e sessualità. Il volume è arricchito da testimonianze di caregiver, siblings, psicologi, psicosessuologi, registi, scrittori, giornalisti,  attori e docenti universitari.

L’auspicio dell’opera letteraria è cercare di cambiare la narrazione dei e sui disabili, dando loro l’opportunità di parlare in prima persona e non scegliendo solo il disabile che diventa un super eroe grazie allo sport… o la persona che subisce un danno, viene bullizzata, o le vengono negati dei diritti: c’è molto altro di “interessante” da narrare e “far conoscere” nella vita ordinaria di ogni persona.

RaccontAbili è diviso in due sezioni: una prima parte che raccoglie le interviste ed una seconda dove si evince   il mio punto di vista sulle medesime tematiche, sotto forma di articoli che vengono dal portale Piccologenio.

In  fine il testo si rivolge alla stessa comunità protagonista delle interviste: persone con disabilità, famigliari, insegnanti, educatori, giornalisti, scrittori, psicologi, medici, studenti, amanti del teatro e del cinema, attori, registi e autori.

Qual è, a suo giudizio, la valenza terapeutica della narrazione del sé?

La narrazione del sé ha il potere di aiutare le persone, di ogni età, ad elaborare le forti emozioni e distaccarsi dal proprio vissuto.

Ognuno può avere l’esigenza di esprimere ciò che ha provato tenendo un diario o facendo dei disegni. All’ospedale pediatrico Bambino Gesù, si stimolano i piccoli pazienti a narrare le loro paure e aspettative, ciò migliora la presa il carico e le cure.

Oggi posso affermare che raccontarmi in forma scritta, è stata la mia ancora di salvezza. Gli anni dell’adolescenza sono stati segnati da un lutto famigliare improvviso e da un forte senso di solitudine.

La narrazione del mio vissuto mi ha sempre aiutata a superare i momenti bui e riordire le emozioni forti. Il romanzo autobiografico Nata Viva, nasce dal diario che ho tenuto negli anni dell’adolescenza.

Dopo aver sperimentato l’effetto decisivo e dirompente che la scrittura ha avuto per me, ho deciso di utilizzare tale strumento per aiutare altre persone a narrarsi per comprendere quanto di straordinario c’è nelle loro vite. Dal 2012, porto agli studenti dalle quinte elementari ai Master universitari, il progetto: “Disabilità e narrazione di sé; come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità”.

La finalità perseguita dal progetto è quella di “educare alle differenze”.

Per quanto riguarda le scuole primarie e secondarie tale scopo viene declinato in un’ottica di prevenzione e contrasto al bullismo. Invece, negli incontri che si svolgono in ambito universitario, avendo come interlocutori dei futuri “addetti ai lavori” (pedagogisti, terapisti, logopedisti, fisioterapisti e insegnanti e insegnanti di sostegno) la lezione si focalizza sul fornire loro il punto di vista del vissuto di una bambina e ragazza con disabilità.

L’intento degli incontri, soprattutto nelle scuole, è quello di stimolare la narrazione di sé quale strumento di presa di coscienza dei propri limiti, mancanze, ma anche delle proprie potenzialità.

Attraverso il confronto si cerca di dimostrare che determinate sensazioni e esperienze ci accomunano, aldilà delle differenze nel nostro modo di apparire. In questo contesto si cerca anche di trasmettere il messaggio che la “diversità” è negli occhi di guarda e che questa può rappresentare una risorsa.

L’ambizione del progetto è quella di seminare nei ragazzi la voglia di esplorare la diversità e appassionarsi, nel corso della loro crescita, a nuove narrazioni. La parte più emozionante degli incontri con gli alunni è ascoltare le loro domande e stimolare le loro narrazioni.  Dopo ogni lezione penso sempre che quello che mi hanno trasmesso gli alunni, in termini di narrazione, curiosità e empatia è molto di più di quello che ho cercato di dare loro!

Quale tematica in particolare ha ancora troppo poco spazio nel  dibattito culturale del nostro Paese  e quale la responsabilità dei media e della TV in particolare.

Nel nostro paese siamo ancora molto indietro sulla questione amore, disabilità, sessualità e affettività.

Negli ultimi anni noto con piacere che se ne parla di più in tv e sui vari mass media. Indubbiamente è un bene perché i mezzi di comunicazione sono fruibili veramente da ogni persona: ricca, povera, adulta o in età della formazione, laureti o diplomati…  ma la strada da percorrere è ancora lunga.

Per cercare di dare il mio contributo nel processo di apertura su queste tematiche, oltre le attività raccontate fin ora, nel 2012 ho aperto il gruppo FacebookAmore, disabilità e tabù: parliamone!“, di cui sono moderatrice e che, ad oggi, conta oltre 1.500 membri. In questi anni, sono moltissime le famiglie che mi hanno contattata dopo aver letto i miei articoli su PiccoloGenio, il libro RaccontAbili o dopo essere entrati a far  parte del gruppo Facebook.

Purtroppo molti familiari di persone con disabilità, o persone con disabilità, si sentono lasciate sole ad affrontare le naturali pulsioni dei figli che crescono. Dalle tante persone ascoltate e da me intervistate mi sento di poter dire che  di certo è un problema culturale, ma anche di leggi. In molti paesi del nord Europa il sex worker è una realtà regolarizzata. È vero che l’amore è più importante del sesso, ma dall’ascolto mi sembra che per tante  persone, il desiderio di scoprire la sessualità viene prima di tutto. Dopo di che,  in alcuni casi, la persona disabile riesce a costruirsi una relazione ed una famiglia. Ma per molti purtroppo ricevere un contatto fisico e amorevolezza all’infuori della famiglia rimane una cosa proibita, o se è un discorso accettato dalla famiglia è  comunque un sogno difficile da realizzare.

 Quali sono oggi i temi forti su cui riflettere e quale il posto che oggi viene dato nella cinematografia al tema della disabilità?

Tutti i temi legati al raggiungimento di una vita più piena ed indipendente possibile, fornendo anche indicazioni utili sui progetti, gli sportelli informativi, i centri di eccellenza e i professionisti che si occupano della riabilitazione, dell’inserimento scolastico e lavorativo e tutti i molteplici aspetti utili ad avere una vita piena e soddisfacente.

Per le persone “fragili” sussistono ancora molti ostacoli per crearsi una propria autonomia. Mi riferisco in particolare, a varie problematiche  poco raccontate. Ad esempio le misere pensioni di invalidità, le agevolazioni sul  collocamento lavorativo  che molto spesso non vengono rispettate. Ci vorrebbero più interventi per garantire il diritto all’istruzione e quindi per agevolare lo studio ad ogni età.

Creare dei percorsi ad oc verso il raggiungimento di una vita piena e indipendente toglierebbe tante famiglie  dall’angoscia del “dopo di noi” e darebbe un “durante noi” sereno e  dignitoso alle persone con disabilità e alle loro famiglie. L’Istat rivela che nel nostro Paese, nel 2019, le persone con disabilità sono 3 milioni e 150 mila. Non tutti hanno problematiche gravi; con i dovuti supporti e adattamenti potrebbero avere una vita  piena e soddisfacente. A giovarne sarebbe tutta la società; purtroppo molti, finita la scuola dell’obbligo vivono confinati in casa o in istituti invece di avere una vita produttiva.

Quali a suo giudizio gli ultimi migliori film che si sono fatti portatori di messaggi a favore di una migliore conoscenza della disabilità.

Negli ultimi anni la disabilità è divenuta oggetto di riflessione culturale, ciò è un bene perché i film possono approfondire di più un aspetto a differenza delle notizie del telegiornale che sono brevi  e quasi sempre negative.

Dagli anni ’80 circa la disabilità è entrata nel linguaggio artistico e cinematografico investendo vari generi. Con il passare del tempo i personaggi hanno acquisito maggiore spessore e sono usciti dagli stereotipi buonisti per raccontare vicende sempre più realistiche.

C’è da sottolineare il fatto che, i film sulla disabilità stanno riscontrando grande successo in termini di pubblico. Il film forse più visto, esilarante è “Quasi Amici”,  che racconta le avventure ordinarie e straordinarie  di Driss e Philippe.  Philippe Pozzo di Borgo è un ricco signore tetraplegico  ed è in cerca di un badante. Tra i tanti aspiranti, elegantemente vestiti e con molte referenze, si presenta Driss Bassari, un ragazzo trasandato e rozzo.

In poco tempo tra i due iniziano ad instaurare un bellissimo rapporto: Driss si pone verso Philippe senza preconcetti, facendogli dimenticare del suo problema fisico.
I due trascorrono tanto tempo insieme, ciò crea  tra i protagonisti una forte complicità che li porta a scambiarsi confidenze: Philippe racconta a Driss di essere diventato tetraplegico dopo un incidente successo mentre faceva parapendio.

Diss sa che Philippe ha una relazione di tipo epistolare con Éléonore alla quale non ha mai voluto mostrarsi temendo che il suo stato fisico potesse spaventarla e allontanarla, ma Driss lo sprona a non avere paura e ad avere stima di sé stesso.
Tra un concerto e un volo con il parapendio l’amicizia tra i due si consolida, poi è il momento dell’incontro con la donna amata. È Driss a organizzare il tutto e esce di scena per lasciare spazio ai due innamorati.

Tra i tanti film che ho visto mi sono particolarmente piaciuti: “La teoria del tutto”, pellicola biografica su Stephen Hawking, celebre fisico, astrofisico e cosmologo. Il film racconta una vita di intenso studio, lavoro e vicende famigliari di un uomo che oggi viene spesso ricordato per l’importante contributo che ha dato nel suo settore e  non come persona con una grave e progressiva  disabilità fisica.

Il binomio tra assistente e persona con disabilità è un legame forte che funziona benissimo anche nel film “La Teoria Di un Volo”, è  la storia di Jane, ragazza affetta da una forma incurabile di degenerazione muscolare e Richard, suo assistente. Jane confessa a Richard il suo più grande desiderio: perdere la verginità prima di morire. Fra molti dubbi e incertezze, Richard decide di aiutare la ragazza a realizzare il suo sogno e tenta di contattare un gigolò. Ben presto però entrambi si rendono conto di non poter proseguire lungo questo sentiero ed infine è lo stesso Richard a realizzare il desiderio di Jane.

I film che “rappresentano” la vita delle persone con disabilità sono tanti sarebbe troppo lungo raccontare tutte le trame di quelli che ho visto. Posso dire che la maggioranza sono veramente lodevoli!

Contatti: e-mail: zoe.rondini@gmail.com, oppure mi potete scrivere in privato sulla pagina Facebook ZoeRondiniAutrice o sul profilo Istagram

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Disabilità e comunicazione: dal sensazionalismo al pietismo

Il 15 dicembre 2022, sono stata relatrice al convegno: “Disabilità e comunicazione: dal sensazionalismo al pietismo”, presso l’ambasciata della Santa Sede a Roma.
È stata un’importante occasione per tutti noi relatori, per cercare di portare la nostra esperienza nell’intento comune di andare verso una società più inclusiva: che tenga presente i bisogni (tal volta minimi) di tutti.
Il mio intervento si è focalizzato sull’importanza della scrittura come strumento di emancipazione e di aiuto per me stessa e per tante persone con disabilità e normodotate.
Presenti al tavolo dei relatori: Francesco Di Nitto, ambasciatore presso la santa sede in Italia, Sandra Cioffi, presidente del Consiglio Nazionale degli utenti, Maria Teresa Bellucci, Vicepresidente del Lavoro e delle politiche sociali, Suor Veronica Amata Donatello, Responsabile del Servizio Nazionale CEI per la Pastorale delle persone con disabilità, Silvia Leone coordinatrice del Gruppo Disabilità del Consiglio Nazionale degli Utenti. Roberto Natali, Direttore Rai.
Non sono mancati i contributi video di Giuseppina Versace Vicepresidente Commissione Cultura e patrimoni culturale, istruzione pubblica del Senato, di Giacomo Lasorella coordinatore della Commissione di vigilanza RAI, e di Alessandra Locatelli, Ministro per le Disabilità.
Nella seconda parte del convegno, abbiamo parlato delle nostre esperienze di vita e lavorative: Giampiero Griffo, Coordinatore dell’Osservatorio Nazionale delle Condizioni delle Persone con Disabilità, Magdalena Casa, Co-fondatrice dell’Associazione BluAliké Asd Onlus ed io. A moderare l’incontro è stata Paola Severini Melograni, Direttrice di Angeli Press e autrice del programma RAI “O Anche No”.
Grazie di cuore a chi si è prodigato per questa importante iniziativa, a gli amici presenti in sala insieme alla mia professoressa di psicologia della Sapienza.
Il ringraziamento più importante va a chi decide; un giorno alla volta, di condividere sfide, cadute, traguardi e successi che, come altre persone, probabilmente non avrei vissuto se non fossi… Nata Viva!

Un estratto del mio intervento:

Libri:

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Contatti:

E-mail: zoe.rondini@gmail.com

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Il gruppo Facebook “Amore, disabilità e tabù: parliamone” è aperto a tutti!

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Convegno Erickson “Sono adulto! Disabilità diritto alla scelta e progetto di vita”

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La dimensione affettiva-sessuale nelle disabilità: sfide, proposte e negazioni

Non è da poco tempo che si discute sulla legge che dovrebbe regolamentare la figura dell’O.E.A.S. operatore all’affettività, all’emotività ed alla sessualità delle persone con disabilità. Difatti, negli ultimi anni, grazie alla tenacia di Maximiliano Ulivieri, presidente del comitato Logiver, sono stati presentati due disegni di legge in materia.

Si tratta di proposte oramai dimenticate in Parlamento.

La prima proposta di legge è stata presentata nel 2014, da Sergio Lo Giudice del Pd, la seconda nel 2016, da Elvira Savino di Forza Italia: «Entro la fine dell’anno vogliamo avere risposte, altrimenti siamo pronti a mettere in atto anche azioni eclatanti di disobbedienza civile: così non si può più andare avanti. Ogni persona è diversa da un’altra -interviene Galvani- ci sono gradi e tipologie di disabilità talmente differenti che ogni caso fa storia a sé: i tetraplegici o gli amputati sono una cosa, gli allettati un’altra, gli psichiatrici un’altra ancora».

Per chi è contrario a regolamentare la prostituzione e vorrebbe archiviare definitivamente il disegno di legge del comitato Lovegiver, dovrebbe riflettere anche sulle parole della deputata  Ileana Argentin in un colloquio con Luce Tommasi pubblicato sul sito di Anmil: «Ritengo che sia assolutamente ingiusto che madri di 80 anni siano costrette alla masturbazione di figli di 50 con disabilità mentale. Non possono esistere donne che vivono questa violenza per la sola colpa di essere madri. Il 65% degli uomini con ritardo mentale usufruisce della prostituzione, ma sempre di nascosto. Le donne con disabilità psichica, che vivono all’interno di strutture, spesso entrano in intima complicità con le compagne».

Secondo l’Istat, le persone con disabilità in Italia sono 3,1 milioni, non dovrebbe essere un dato trascurabile, ma spesso le famiglie ricevono aiuti irrisori o peggio, (soprattutto al centro Italia e al sud) le persone disabili sono affidati a grandi istituti dove ci sono pochi operatori rispetto al numero di assistiti, quello che talvolta accade lo ha espresso bene l’Argentin.

L’educazione sessuale di una persona con disabilità e lasciata ai famigliari, che non sentendosi aiutati tal volta negano, o gestiscono in ambito domestico i bisogni sessuali del famigliare con disabilità. Ovviamente non è per tutti così, nei casi dove c’è un buon inserimento lavorativo, si può contare su una rete d’amicizie… avere una vita affettiva e sessuale appagante non è un’utopia. Ma in altre situazioni le famiglie andrebbero sostenute maggiormente. Bisognerebbe puntare di più sull’educazione e il riconoscimento dei bisogni. Anche il livello socioeconomico del nucleo familiare incide sul riconoscimento dei bisogni della persona con disabilità. Non tutte le famiglie riescono a favorire l’emancipazione ed il rapporto di coppia.  Spesso i genitori non si sentono aiutati dalle istituzioni o dagli psicologi, medici e terapisti. Ecco che non è raro, come è stato bene evidenziato dall’On. Argentin, che la persona con disabilità ricorra alla prostituzione, commettendo un reato e non trovando risposte al bisogno naturale di sentirsi accolto, valorizzato e coccolato.

In Italia l’ostacolo maggiore al riconoscimento della figura dell’Operatore all’Emotività, all’Affettività e Sessualità è la paura al regolamentare il sex worker e fare delle leggi più chiare sul favoreggiamento alla prostituzione. Va ricordato che ci sono molti giri illegali, di mafie straniere che operano in Italia, dietro le molte donne che “offrono” il loro corpo a pagamento.

In paesi come Svizzera, Danimarca, Germania, Paesi Bassi ed Austria, la prostituzione è regolamentata, anche per questo motivo, gli assistenti sessuali sono una realtà di supporto alle persone con vari tipi di disabilità. Sarebbe auspicabile prendere esempio da realtà più “avanzate” della nostra.

Spesso, tramite il gruppo FacebookAmore, disabilità e tabù parliamone!” e questo sito, mi contattano tanti genitori o uomini con disabilità. La loro richiesta è come possono aiutare i figli a fare un’esperienza erotica.

Dopo un primo momento dove cerco di capire la situazione, provo a suggerire varie strade, la prima se si tratta di un genitore, è il dialogo per capire i desideri del figlio. In molti casi suggerisco i forum per persone con disabilità, altre volte gli indirizzo verso i siti d’incontri per fare nuove conoscenze, ma metto in guardia dai devotee o dalle persone con fantasie particolari che non sempre sono condivise. Nei siti d’incontri è bene parlare molto per capire se i gusti e le intenzioni dell’altro coincidono con le proprie. Quando la richiesta è dettata da un’urgenza di carattere sessuale, suggerisco l’accoglienza e l’amorevolezza del rituale tantrico, facendo molte domande per capire la serietà e la preparazione dell’operatore. Mi rendo conto che nel rituale tantrico manca l’amore, il rapporto di coppia e l’innamoramento… ma diverse persone mi hanno riferito di aver fatto un’esperienza migliore e più accogliente rispetto alle prostitute.

Il rituale tantrico è amorevole e va in profondità, quindi mi sento di suggerirlo anche alle coppie dove cala il desiderio e, talvolta, fare l’amore diventa un atto meccanico.

Del  diritto alla sessualità e all’affettività delle persone con disabilità, ne parla anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS: “la salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali dell’essere sessuato, allo scopo di pervenire ad un arricchimento della personalità umana e della comunicazione dell’essere“. Già nel 1993, l’Assemblea Generale ONU aveva approvato un’importante documento dove veniva riconosciuto il pieno diritto a tutti i portatori di handicap di esprimere la propria sessualità. Il concetto importante venne successivamente ribadito anche nella Dichiarazione dei Diritti Sessuali, nel 2006, dove si affermava che è diritto di tutti gli esseri umani raggiungere il più alto livello di salute sessuale.

Scoprire l’amore e l’erotismo è spesso parte di un percorso di crescita, emancipazione e affermazione di sè. Di frequente questo percorso non fa parte degli istituti o case famiglie per persone con disabilità complessa. A mio avviso dovremmo ripensare parte della società e delle strutture per disabili per garantire a sempre più persone una vita piena e soddisfacente, togliendo tante famiglie dall’angoscia del “Durante e Dopo di Noi”.

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Sex 05. Zoe, disabilità e diritto alla sessualità L’Espresso

Dalla riabilitazione all’affermazione di sé: come sono diventata regista della mia vita

O Anche No Rai Due

 

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E se foste disabili?

 

“Provate a immaginarvi Disabili. Come cambierebbe la vostra vita? Riuscite a immaginarvi Disabili? Avreste voglia di raccontarvi? Tempo fa proposi alla mia rete LinkedIn di rispondere a una semplice domanda: «Come immaginereste la vostra vita lavorativa se diventaste Disabili non autosufficienti?». Il quesito l’ho poi reso più conciso ed è venuto fuori un bel punto di domanda: «Se diventassi Disabile anche io?», ovviamente siete voi che vi dovete rispondere in quanto io – come molti nostri lettori – sono già Disabile”.

Queste le parole di un giornalista che mi hanno aperto tutta una serie di riflessioni sulla mia situazione e i legami con il mondo dei normodotati che da sempre mi circonda.

La domanda era posta ai così detti normali e forse c’è stato stupore leggendo su Facebook la mia reazione. Tante volte ho sentito e sento come un rimprovero il fatto che io non mi sforzo di capire gli altri, e devo ammettere che per me gli altri oggi come oggi, si dividono in chi mi capisce al volo: senza bisogno di parlare, queste persone forse mi capiscono più di quanto mi capisco io stessa, poi c’è chi mi capisce con poche parole, chi mi capisce a volte, e chi proprio non vuole capire.

La mia vita è caratterizzata da un handicap motorio cominciato quando avevo la testa in questo strano mondo ed il corpo ancora al calduccio dentro il ventre di mia madre. Quindi ho avuto un trauma, mi è stato giustamente spiegato che questo fa la differenza tra me ed una persona che si è formata diversa fin dalle sue origini nel grembo materno. A quanto pare essere disabile a causa di un trauma (durante la nascita o in un qualsiasi momento della vita), fa una grande differenza. 

Tornando ad interrogarmi sul quesito del giornalista “provate a immaginarvi disabili. Come cambierebbe la vostra vita?“ Io da disabile penso che per alcune persone sarebbe una catastrofe. Più che la vita gli cambierebbe innanzi tutto il carattere… che già non è dei migliori senza l’aggravante di un handicap certificato e palese. Conosco persone così detti normodotati che si fanno problemi immensi per un non nulla… Allora se handicap è il termine inglese per indicare un problema queste persone hanno un handicap/problema. Forse è proprio per questo che si dice handicap cognitivo e non handicap mentale, o giustamente si specifica persona con disabilità fisica e/o cognitiva.

Tornando a me, alla mia disabilità e a quanto questa interferisca, o a me sembra che interferisca, tra me e gli altri; spesso gli altri preferiscono evitarti, non vederti perché sono o forse mi fanno sentire… colpevole di avere qualche esigenza in più perché sono disabile. Sono colpevole di essere disabile. Sembra come se al momento del parto qualcuno mi avesse chiesto:

-Senti un po’ ma tu come vuoi essere?

-Eih dici a me?

-Si!

-Ammazza cominciamo con le domande difficili!

– Aoh non ti lamentare: ne dovrai prendere tante altre di decisioni difficili… Beh allora? Si può sape’?

– Beh io vorrei essere diversa, muovermi in modo anarchico, con un bel handicap motorio… che dici di questa idea?

– Contenta te! Non ti faccio respirare per 5 minuti e sei a posto per tutta la vita!

-Ma perché mi trovo qui?

-Ahahah il destino a volte si diverte, ma non ti preoccupare capirai tante cose crescendo!

Mi sa che non è andata proprio così…!

Sono nata, crescita e tanta gente è fuggita da me, dal mio handicap e soprattutto ha preso le distanze, in vario modo, dalla mia famiglia. La serie qui sarebbe bella lunga… recenti, meno recenti, uomini soprattutto, ma a anche donne… persone importanti e meno importanti (a seconda del grado di parentela, affettività, conoscenti, insegnanti, persone che per fortuna appartengono al passato. Un passato che spero si riproponga il meno possibile…) Io li divido in ordine di importanza e cronologico, ma questa sono io…! Forse altri fanno ancora di tutta l’erba un fascio, e questo è un handicap/problema, qualcosa che toglie la serenità con se stessi, con me, con gli altri.

A volte io stessa devo capirmi, capire la realtà e prendere delle decisioni. In prima battuta sbaglio perché tendo a fare una scelta piuttosto che un’altra per compiacere l’altro poi con fatica emerge la mia decisione, e con il passare del tempo questa prende forma, per me e per chi non si sforza di capirmi.

L’altra mattina ho fatto un incubo: ero rifiutata da un uomo, ciò ha rovinato un momento importate e magico… proprio perché lui pensava “ah ma  è disabile” (il sogno era più lungo ma posso anche non dilungarmi.) Le cose brutte si ricordano di più, i brutti sogni rimangono impressi per giorni e giorni. Comunque faccio finta di niente “per far star bene gli altri”, per non litigare, e funziona! Si funziona ma solo per poco tempo…! Anche se dentro hai una rabbia che spacceresti il mondo, non si vede, e funziona fino ad un certo punto! Poi arriva un pretesto banale e esplodi come una bomba ad orologeria, o implodi da sola a casa come un palazzo che viene giù all’ improvviso.

Ma poi i traumi ce li hanno sempre di più gli altri, c’è chi dice: “Mi sono rotto di tutta la famiglia, mollo tutto e tutti perché non accetto la disabilità di Zoe.“ Oppure “Zoe vieni così chi ti accompagna mi da una mano… tanto tu non puoi!” Si però poi gli altri capiscono questo meccanismo e non va bene.

Poi capita che non posso guidare e ti aiutano a patto che lo sappiano tre, quattro giorni prima, se vuoi fare dei giri di punto in bianco rinunciaci! Oppure lo schiribbizzo di fare una commissione all’improvviso fattelo venire giorni prima in modo programmato, o se no cavatela da sola e pagati il taxi. Se non trovi il taxi ed hai un impegno… arrivi in ritardo!

Cito le parole di una persona da me molto stimata che ha provato a darmi delle risposte al mio post su Face-book: “qualsiasi disabilità è sì immaginabile, ma non la si può sperimentare; perchè la realtà e la vita ha senso solo se è vera; e la vita, qualsiasi essa sia, è bella e non la si può barattare con nessuna condizione di (dis)abilità. Zoe Rondini questo lo sa; e sulla sua “esperienza” ha scritto un libro fantastico “Nata Viva” che consiglio di leggere a tutti, abili e disabili, normodotati e superdotati, piccoli e grandi, maschi e femmine. Una lettura che farà ricredere chi è convinto che la (dis)abilità è… barattabile o, comunque, una condizione esistenziale di cui sbarazzarsi.”

È bello che tante persone da me stimate, tante scolaresche, alcuni professori universitari abbiano capito tanto di me con la lettura di quel libro, il rapporto con nonno, mia sorella, gli amici… è migliorato grazie al romanzo e questo è più bello dei tanti progetti portati avanti con successo e soddisfazioni.

Delle altre persone che dire? Nel poema pedagogico di Anton Semenovyc Makarenko, uno dei fondatori della pedagogia sovietica, nato a fine 800, parla dei ragazzi moralmente handicappati, niente di più attuale e convincente a mio avviso, fa riflettere che nell’800 era una cosa riconosciuta ed assodata, oggi non si può dire altrettanto.

In conclusione non auguro a nessuno di essere disabile, ne alla gente in gamba: perché lo dovrebbero essere/diventare? Ne alla gente che forse lo è… ne alla gente che ha già un carattere particolare perché augurarli l’aggravante? Poi ci sono quelli che probabilmente hanno paura di esserlo veramente o diventarlo ma già lo sono e non lo dico io, ma Makarenko. Infine non lo auguro ai bambini che nasceranno perché la disabilità è uno svantaggio, spesso è indelebile a volte ma solo per periodi di tempo rapidi e ben determinati è una risorsa.

 Leggi anche:

Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi

Nata viva e l’attuale condizione dei disabili nel nostro paese

“Fai bei sogni” e “Nata viva”, la verità per vivere con i nonostante

Rassegna stampa delle due opere “Nata viva” di Zoe Rondini

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Parti del mio elaborato di laurea

il questa pagina trovate le parti per me più significative del mio eladorato di laurea. Le ho sritte nell’anno accademico 2006 / 2007, e grazie al mio corralatore ed alla mia correlatrice, ho terminato brillatemente il triennio di Scienze dell’educazione e dalla formazione a “La Sapieza” di Roma.

titolo dell’eleborato di laurea: “teatro e diverse abilità” 

A mia nonna Mariagrazia,
che ha sempre creduto
me e con coraggio e costanza mi ha
sempre accompagnata nella vita
fino a questo importante traguardo

  Premessa
Ho deciso di scrivere un elaborato di laurea sul teatro, vedendolo come uno strumento valido per il recupero di diverse patologie.
In Italia e all’estero sono state fatte numerose rappresentazioni teatrali con persone che avevano uno handicap psico-fisico più o meno grave.
Nel 1998 ho conosciuto personalmente Alessandra Panelli, che mi ha spiegato e fatto vedere come riesce a far lavorare i ragazzi diversamente abili insieme a persone normodotate. Alessandra ha vinto una grande sfida: far scomparire le differenze durante tutta la realizzazione e la messa in scena dello spettacolo. Ho visto e ho provato personalmente come un laboratorio teatrale può giovare ai movimenti e alla parola per chi ha delle difficoltà. È stata proprio Alessandra che in un primo momento mi ha indirizzata al laboratorio teatrale di Stefano Viali che si teneva nel liceo Giulio Cesare. Ho partecipato a questo laboratorio per sette anni, dal secondo anno di liceo al secondo di Università e mi dispiace tanto pensare che un laboratorio di espressione, importante per molti adolescenti, è stato chiuso per mancanza di fondi da parte della scuola e di interesse e partecipazione del corpo docenti. Ringrazio il regista Stefano Viali che con tenacia e fiducia in me mi ha fatto superare molti ostacoli e mi ha aiutata a scoprire tante mie capacità; tutti gli alunni del Giulio Cesare che mi hanno insegnato tanto e mi hanno accolto senza dare peso al mio handicap fisico rispetto a tutti loro “normodotati“. Ringrazio anche Alessandra Panelli perché fin dalle prime pagine di questa tesi lei mi ha aiutato con lunghe telefonate, scambi di mail, di opinioni e di informazioni.
Ringrazio anche mio nonno Adriano che mi ha aiutata a reperire dei testi in cui si spiegava il legame tra il teatro, la pedagogia e la psicologia; da questi testi ho estrapolato tutta la prima parte del mio elaborato di laurea. Un grazie particolare va a Sara, che conosco da quattro anni, e Carmen che mi hanno aiutata a preparare molti esami superati sempre con ottimi voti e mi hanno aiutata a mettere su carta le mie tante idee su questa mia esperienza.
Nella parte esperenziale ho voluto sottolineare la figura di Stefano ed anche di Igor che purtroppo ci ha lasciati a causa di un incidente in motocicletta.
Nell’ambito universitario ho instaurato un rapporto di stima con il Professor Nicola Siciliani de Cumis che oltre ad essere un docente con il quale ho sostenuto cinque esami, molti dei quali con la lode, è diventato per me un punto di riferimento, una persona a cui chiedere consigli sui miei esami e anche su questioni personali che lui ha conosciuto bene, sto pensando alla mia passione per la scrittura e a quando gli ho chiesto un consiglio a proposito di corsi o scuole inerenti.
Ringrazio anche la Professoressa Maria Serena Veggetti, con la quale ho sostenuto due esami di psicologia entrambi con voto di ventisette su trenta. In particolare, ricordo che al test scritto del secondo esame presi ventuno e lei mi consigliò di rifiutare il voto dandomi la possibilità di sostenere l’esame orale e migliorare il mio profitto. Ho chiesto a lei la correlazione dell’elaborato perché volevo unire l’esperienza del laboratorio teatrale sia alla pedagogia che alla psicologia.
Un ringraziamento particolare va al Professor Lucisano, Presidente del Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione e della Formazione,  che mi ha spinto a rapportarmi con l’Università in un momento in cui avevo deciso di non aver più nulla a che fare con professori e con i libri poiché ero terrorizzata non solo dall’impegno dello studio ma anche dall’idea che mi potessi ritrovare in un clima di ostilità ed incomprensioni con i docenti, così come avevo  vissuto durante gli anni del liceo.
Per spiegare meglio faccio un passo indietro.
Mi ricordo che dopo la maturità avevo deciso di non proseguire gli studi perché al liceo, in particolare nell’ultimo anno, avevo avuto degli scontri con la preside e la vicepreside: in quell’anno mi sono impegnata con degli sforzi immani per me, spesso capitava che studiassi anche nove o dieci ore al giorno.
Intanto, all’interno della classe si è venuto a creare un clima di contrasti in seguito ad atteggiamenti di scarsa apertura e di inutili paure dell’insegnante tutor: in occasione di una gita scolastica che durava solo dalla mattina alla sera, avevo espresso il desiderio di non dover ricorrere all’accompagnatore (un familiare o una persona scelta dalla mia famiglia), data la mia discreta autonomia. L’insegnante, in mia assenza, ha convinto le mie compagne di classe del fatto che tale mia esigenza potesse compromettere la buona riuscita della gita, in quanto avrebbe limitato la libertà e il divertimento di tutti. Pertanto, al rientro a scuola, ignara dell’accaduto, sono stata messa al centro di una discussione e le mie compagne hanno iniziato a dirmi che non se la sentivano di assumersi “la responsabilità morale e giuridica di aiutarmi“. Vorrei precisare che il loro “gravoso aiuto“ sarebbe consistito solo nel pormi un braccio nel momento in cui dovevamo camminare, cosa che loro già facevano a scuola. Anche lì però, a mio parere, la modalità con cui loro mi aiutavano fisicamente non era autentica e ciò sicuramente ha influenzato il tipo di rapporto tra noi: era l’insegnante tutor a decidere chi, a turno, giorno per giorno mi doveva aiutare. Ritengo che questo metodo era poco funzionale e poco significativo in quanto già dal primo anno di liceo io non  mi sentivo del tutto integrata nella classe. La differenza che percepivo non era solo un fatto fisico, quindi legato all’handicap, ma era una differenza di natura più profonda dovuta alle esperienze fatte, alle famiglie che in apparenza erano tutte perfette e unite mentre io ero l’unica ad avere i genitori divorziati e a trascorrere i pomeriggi insieme a mia nonna al cinema e ai musei invece di andare in discoteca e in giro per i locali della città alle prese con i primi flirt.
Ritornando all’episodio della gita, alla fine sono riuscita a far valere il mio diritto: mi sono preoccupata di trovare all’interno del museo, in programma da visitare, un accompagnatore e per il resto ce l’ho fatta da sola. Durante tutta la giornata le mie compagne di classe hanno fatto finta che non ci fossi ed io ho fatto lo stesso con loro, ma ero comunque soddisfatta e serena nel socializzare con i ragazzi delle altre classi, invece, disponibili.
Tutto questo comunque ha avuto un risvolto negativo. Al rientro dalla gita, il rapporto con le mie compagne di classe era ormai sempre di più peggiorato ed anche quello con l’insegnante tutor. Inoltre, anche la preside del liceo non era molto presente; infatti alle mie quotidiane richieste di intervento e di aiuto per risolvere la spiacevole situazione che si era creata, non ha preso posizione. Man mano che il tempo passava si è stabilito il clima di apparente normalità che c’era prima.
Ho reso partecipe il Professore Lucisano di questa mia esperienza e lui mi ha sostenuta e incoraggiata a iscrivermi al corso di Laurea dicendomi che nel caso in cui non mi fossi trovata bene potevo comunque abbandonare e dedicarmi alla ricerca di un lavoro.
Con queste parole il Professore mi ha convinto ad iscrivermi e lo ringrazio perché, dopo i primi esami andati tutti inaspettatamente molto bene, mi sono convinta che la fase negativa, scolastica, di immaturità della mia vita era terminata e cominciava una fase in cui ero più consapevole e pronta a studiare e a relazionarmi in un ambiente che per fortuna non  sentivo ostile e di costrizione come la scuola.

Introduzione
Ho voluto fare un elaborato di laurea perché per molti anni ho avuto la possibilità di partecipare ad un laboratorio teatrale. Da questa importante esperienza di crescita personale posso affermare che il teatro ha un grande valore pedagogico (questo si impara anche dall’importanza che Makarenko dà al teatro all’interno del suo collettivo) ed ha anche una funzione psicologica che ho voluto provare leggendo il testo di  Lev  Semenovic Vygotskij, Fondamenti di difettologia.
Ho ritenuto opportuno dividere il presente lavoro in due parti. Nella prima ho voluto esplicitare il legame che c’è sempre stato tra il teatro e la pedagogia analizzando anche dei testi di Alessandro Pontremoli: il Pontremoli spiega che anche nella Grecia antica il teatro veniva associato a riti legati a mitologia e espressioni popolari e, quindi, anche in tempi antichi il teatro non si limitava ad una semplice rappresentazione ma era un forte manifestazione, che coinvolgeva sia gli attori quanto il pubblico che si recava in quel luogo anche per lo svolgimento di un rito oltre che un semplice spettacolo. Sempre nella prima Parte spiego come, andando avanti nella storia, il teatro viene impiegato come forma di terapia o, anche, supporto ad altre terapie convenzionali. Prima di ciò, però, ho ritenuto opportuno spiegare il concetto di disabilità e la differenza tra menomazione, disabilità e malattia e, inoltre, ho ritenuto opportuno, aiutandomi con il testo di Vygotskij, spiegare le differenze tra un tipo di disabilità a l’altra.
La Parte seconda è quella relativa alla mia esperienza come attrice e spettatrice dei registi Alessandra Panelli e Stefano Viali. La mia amicizia con Alessandra mi ha dato tanto materiale, riflessioni, scambio di idee attraverso e-mail, telefonate e discussioni. Ho dedicato i primi capitoli della Parte seconda dell’elaborato al racconto dell’incredibile esperienza che “fare teatro“ mi ha dato. Spero di aver reso l’idea di quanto mi ha giovato sia per l’integrazione con altri ragazzi della mia età non disabili, sia per il grandissimo lavoro che posso equiparare alla fisioterapia e alla logopedia. Mi è sembrato giusto parlare delle persone che ho conosciuto al laboratorio teatrale, delle prove, degli spettacoli e della compagnia che dal secondo anno di liceo al secondo di università mi hanno accompagnata, facendomi crescere ed emozionare. Ho diviso questa seconda parte in due capitoli “riflessioni di un’attrice“ dove parlo del laboratorio teatrale e “riflessione di una spettatrice“ dove racconto gli spettacoli che ho visto e descrivo (quando la regia era di Stefano o di Alessandra) la grossa mole di lavoro, impegno, fatica e i problemi economici, che ci sono stati dietro ad ogni singolo spettacolo.
Nel terzo capitolo della seconda Parte, racconto di quando sono andata con mia nonna a Torino per vedere uno spettacolo di danza con ballerini disabili e non; la compagnia CANdoCO è nata in Inghilterra ed è diventata famosa soprattutto nei paesi anglosassoni.
In questo capitolo racconto anche di quando ero bambina e del mio sogno di diventare una ballerina di danza classica, purtroppo, però, ci furono molti impedimenti, in parte provocati dai fisioterapisti e in parte dovuti all’assenza di corsi di danza per persone disabili. In questo capitolo parlo anche della mia devozione e dei tanti impedimenti che non mi hanno permesso di raggiungere il mio sogno. Concludo il capitolo con la speranza che dopo molti anni nel nostro Paese si siano diffuse forme di arte intesa anche come terapia e quindi accessibile a tutti.
Nel quarto capitolo parlo di quella che è la manifestazione italiana più importante per quanto riguarda l’arte e la disabilità: sto parlando del Festival di Carpi, che si tiene in primavera ormai da una decina di anni; io personalmente non ci sono mai andata, però mi piacerebbe molto. Per la stesura di questo capitolo mi sono documentata su internet, riportando il programma di quest’ anno, vari articoli e in particolare mi ha colpito un aneddoto: un bambino assistendo ad uno spettacolo teatrale chiede alla mamma: «Mamma quando salgono i ragazzi disabili sul palcoscenico?» e la mamma stupita risponde «Ci sono già!», questo è un esempio di come i bambini non vedono le differenze tra una persona disabile e una persona normodotata, sono solo gli adulti che creano a se stessi e tante volte anche agli altri e soprattutto ai bambini problemi, paure e diversità.
A seguire ho inserito il capitolo che riguarda il Poema pedagogico di Anton Semënovi? Makarenko, ho ripreso il libro, la tesina che avevo fatto per l’esame di Pedagogia generale e ho preso l’elaborato di laurea della mia amica Sara Collepiccolo perché lei ha svolto un lavoro sul concetto di handicap che emerge nel Poema pedagogico e a me sembrava coerente con i temi centrali da me affrontati nel corso dell’elaborato.

Riflessioni di un’attrice
   In questo capitolo racconto la mia esperienza nel laboratorio teatrale che ho frequentato per sette anni al Liceo “Giulio Cesare“ di Roma.
Ma diventerò un’attrice?
Era l’inverno del 1998, le mie giornate trascorrevano l’una identica a l’altra: la mattina a scuola, il pomeriggio a casa alle prese con pagine e pagine di compiti e poche ore di fisioterapia. Il fine settimana andavo al cinema con nonna. Non ero né felice né appagata di questa routine.
Un giorno al cinema incontrai un attore di televisione, feci una grande corsa per salutarlo e per scambiarci quattro chiacchiere. Fu proprio da quell’incontro che venni a conoscenza del laboratorio teatrale del regista Stefano Viali che si teneva il lunedì e il venerdì pomeriggio nel liceo Giulio Cesare.
La sera precedente alla mia prima lezione, nel mio letto pensavo: «domani mi troverò davanti ad un palcoscenico con i ragazzi col copione in mano e il regista seduto, impegnato a dare consigli ad ognuno, proprio come si vede nei film».
Ricordo ancora la prima lezione: arrivata al Giulio Cesare trovai una ventina di ragazzi, in un’aula, tutti in cerchio in piedi e senza scarpe.
Conobbi Stefano: «Buongiorno Stefano sono Marzia». «Ciao Marzia, dammi del tu senza problemi, dai vieni in cerchio vicino a me».
Quel giorno feci la mia prima improvvisazione teatrale e nonna è rimasta lì a guardarmi per tutta la lezione strabiliata per come facevo nuovi esercizi  e movimenti e anche per la mia naturalezza nel chiedere «mi aiuti in questo» oppure «no grazie questo riesco a farlo da sola».
Dopo quel pomeriggio tornai là ogni lunedì e venerdì; mi piaceva troppo esprimermi con improvvisazioni ed esercizi fatti da sola o insieme agli altri ragazzi che ben presto diventarono “i miei amici“.
Man mano andavo sempre più volentieri perché ad ogni lezione scoprivo che ero in grado di fare movimenti, esercizi, corsette e usare molto meglio la voce più di quanto immaginassi.
I mesi passarono. Con la fine della scuola si concluse anche una parte del laboratorio teatrale e  ne cominciò una nuova: la preparazione dello spettacolo.
1.2. Vado in scena…
A giugno cominciammo a fare le prove per quello che sarebbe stato il mio primo spettacolo di fine anno. Lavoravamo tutti i giorni per  otto ore al giorno e dal nulla, in soli dieci giorni, creammo il nostro spettacolo intitolato Percorsi Teatrali.
Lo spettacolo era diviso in due parti. Nella prima parte mettemmo in scena una nostra lezione tipo della durata di circa un quarto d’ora. Nella seconda parte, invece, di durata maggiore ripercorremmo con delle brevi scene l’evoluzione storica del teatro.
Che paura la mia prima volta in scena davanti al pubblico! Ma ce l’ho fatta!
Siamo andati in scena la sera nella chiesa Valdese di Piazza Cavour; tutti i ragazzi si ricordano ancora la mia faccia terrorizzata mentre stavo nel camerino aspettando di andare in scena. Stefano era stato cortese quella volta, mi aveva dato molto tempo per cambiarmi il costume di scena per questo ho passato molti minuti seduta in preda al panico, assente e ignoravo tutti gli altri ragazzi che mi dicevano: «dai rilassati, respira! La parte l’hai sempre detta bene,vedrai che non ci saranno intoppi».
E così fu! Il mio primo monologo andò bene. Io interpretavo la parte di un mendicante.
A giugno già mi sentivo diversa rispetto all’inverno: ero un po’ meno insicura, avevo imparato a impostare la voce usando la respirazione diaframmatica, quindi parlavo  meglio, scandendo le parole, ma soprattutto da quell’anno mi rapportai e mi confrontai con ragazzi della mia età.
Gli anni successivi Stefano mi trattò diversamente, ormai avevo fiducia nelle mie capacità per questo mi chiedeva sempre cose nuove e più impegnative. Era consapevole, più di quanto lo fossi io, delle prove che ero in grado di superare.
A ottobre ricominciò il laboratorio ed io ero sempre lì. C’erano dei ragazzi nuovi, erano più timidi e inesperti dei ragazzi del primo anno ed anche di me!  Per due tre mesi ripetevamo sempre i nostri nomi e facevamo esercizi in coppia o in gruppo: «la cosa più importante per una compagna teatrale è conoscersi, e ricordatevi che se il gruppo non è unito, se gli attori non si conoscono e non si fidano uno dell’atro, il pubblico lo noterà e rimarrà deluso», ci ripeteva continuamente Viali e col tempo mi resi conto che aveva ragione.
Non so raccontare e spiegare tutti gli esercizi che facevamo, erano tanti e difficili. Alcuni servivano a “risvegliare“ tutti quei muscoli che normalmente si usano poco. Tante tantissime volte mi tremavano le gambe ed avevo il fiatone dopo solo dieci minuti di questi esercizi. Altri ancora erano di respirazioni o di rilassamento, ma le cose più belle e faticose erano le improvvisazioni. Ricordo che ne facevamo tante sui sentimenti, sulla guerra, sulla nascita di noi stessi, sul tango, su un abbraccio, sulle prostitute… Sì, erano belle le improvvisazioni perché per farle bisognava mettere in gioco le emozioni, l’istinto, il coraggio, bisognava usare il cuore e lo stomaco, non la testa; era come fare un grande tuffo in un mare che si conosce appena.
Quell’anno Stefano ci ripeteva che noi ragazzi del secondo anno dovevamo spronare ed incoraggiare i ragazzi del primo ed anche se tutti eravamo consci della correttezza delle sue parole, ci riusciva difficile trasformarle in pratica. Nonostante le buone intenzioni restavano sempre delle divisioni interne che non permettevano la completa integrazione tra noi ed i nuovi ragazzi.
Poi a primavera successe qualcosa di magico: non so, forse l’avvicinarsi della fine dell’anno, forse l’aspettativa del nostro spettacolo, forse qualcos’altro ancora, fatto sta che il gruppo rispondeva alle attese del regista e non c’erano più lacune interne tra noi ragazzi. È questa la bellezza e la magia del laboratorio teatrale!
A giugno siamo andati in scena con lo spettacolo Il congresso degli Uccelli che è per me lo spettacolo più bello ed entusiasmante.
Raccontava la storia di un gruppo di uccelli che durante una riunione si scoprono diversi l’uno dall’altro, insoddisfatti e incompleti nella loro individualità. Decidono di partire per un lungo viaggio pieno di ostacoli e pericoli, per raggiungere il monte Simorg e poter parlare ed avere dei consigli dal saggio che vi risiedeva. Lungo il viaggio il gruppo di uccelli dovette attraversare deserti e vallate incontrando strani personaggi; ed è proprio in una vallata che loro incontrano il mio personaggio: l’uccello Marciatore.
Ancora oggi, ripensando al mio personaggio mi vengono i brividi perché l’uccello marciatore disse a tutti gli altri uccelli che nella sua vita aveva rinunciato a raggiungere il monte perché aveva capito che ormai il suo obiettivo era già raggiunto: camminare nonostante la fatica e le difficoltà era il suo punto d’arrivo, perciò decise di rimanere per sempre nel deserto.
Questa parte mi ha emozionata perché  lo scritto da cui è stato tratto lo spettacolo, senza che venisse apportata nessuna modifica, era un antico racconto africano. Mi ricordo l’energia fortissima di quell’andata in scena: lo spettacolo era accompagnato da due ragazzi senegalesi che suonavano i tamburi e ci aiutavano ad alzare l’energia delle scene. A fine spettacolo eravamo così felici e pieni di energia che i musicisti iniziarono una vorticosa escalation musicale, mentre noi attori davano inizio ad una scatenata danza circolare con al centro del cerchio, a catalizzare tutto il nostro entusiasmo il nostro regista Stefano Viali che, contagiato dalla nostra allegria, girava anche lui come una trottola più veloce di tutti noi. Anche il pubblico fu contagiato dal nostro entusiasmo e tutti, dalla prima all’ultima fila, battevano le mani ed i piedi a ritmo.
Lo spettacolo finì ma l’entusiasmo continuò lungo i corridoi e nelle aule adibite a camerini.
Le sere successive uscivamo sempre in gruppo. In quel periodo mi sono divertita tantissimo ed il Congresso degli Uccelli è stato senza dubbio lo spettacolo che ho amato di più.
L’anno successivo fu una catastrofe perché i nuovi ragazzi, pur essendo presenti a tutte le lezioni, erano totalmente passivi, indifferenti ad ogni stimolo, esercizio o improvvisazione proposti da Stefano. Stefano si metteva le mani nei capelli e cercava di convincere noi ragazzi più esperti ad aiutare i nuovi arrivatiti; un giorno si rivolse proprio a me: «dai Marzia lo so che tu sei arrivata dopo Margi, Vittoria, Roberta, Giacomo, però oramai in po’ di esperienza ce l’hai quindi cerca di stimolare quelli nuovi». Dare una mano ai nuovi arrivati sarebbe stato compito nostro, abbiamo fatto qualche tentativo ma non era facile mettere in pratica i suggerimenti del regista, seppure giusti.
Quell’anno Stefano perse molto del suo entusiasmo, nel giro di pochi mesi si demotivò molto, non richiedeva più improvvisazioni ma si limitava a esercizi banali e noiosi. Il suo stato d’animo si rifletté ben presto anche su di noi; settimana dopo settimana eravamo anche noi annoiati e stufi, ricordo che quando uscivo da quelle lezioni non provavo più quelle belle sensazioni dell’anno precedente, anzi ero annoiata e  scocciata per quelle lezioni prive di interesse. Mi viene in mente un esercizio che si chiamava esercizio dello specchio: i ragazzi si mettevano in ordine sparso nella stanza, tutti con il viso rivolto verso un loro compagno detto lo specchio e dovevano imitarne tutti i movimenti. La situazione che si era creata a teatro era la stessa: tra noi e Stefano c’era uno specchio invisibile che ci rifletteva l’un l’altro noia e demotivazione.
Durante l’inverno ci fu una novità, Stefano per cercare di risollevare la situazione chiamò Igor a fare da aiuto regista.
Igor era un ex alunno del Giulio Cesare che per anni fece il corso di Stefano. Dopo la maturità si iscrisse al Dams, a lui interessava specializzarsi in regia per questo fu molto contento dell’incarico propostogli da Viali. La sua presenza diede una spinta al gruppo: Stefano si sentiva supportato nel suo ruolo e noi ragazzi ci sentivamo a nostro agio in quanto lui era un ragazzo poco più maturo di noi perché aveva fatto tanti anni di laboratorio con Stefano e perché era avanti rispetto a noi negli studi, ma allo stesso tempo  lo sentivamo più come un compagno che come un regista.
Ho dei bei ricordi legati alla figura di Igor, tra me e lui non c’era un’amicizia particolare però mi invitò un paio di volte alle feste che organizzava, mi divertivo molto.
Ricordo ancora un pomeriggio, dopo teatro siamo stati io, lui ed un’altra ragazza a chiacchierare sull’ esito positivo del mio esame per la patente, ad un certo punto gli ho chiesto:
«Igor l’hai mai guidata una macchina con il cambio automatico?»
«Si Marzia perché?»
«Ok, allora siediti al posto di guida e facci fare un giro»
Abbiamo fatto il giro del palazzo e durante tutto il tragitto non abbiamo mai smesso di ridere.
Durante il teatro è capitato diverse volte che lui mi aiutasse a fare degli esercizi e che addirittura recitasse in coppia con me.
Dal momento che non era stato un anno molto proficuo, a causa della svogliatezza dell’intero gruppo quell’anno non si concluse con il tradizionale spettacolo, bensì con una lezione aperta ai genitori ed ai professori fatta in aula magna.
Del terzo anno teatrale non ricordo particolari avvenimenti, la situazione era migliorata, il gruppo era più unito ed anche l’atmosfera che si respirava era più vivace. Venne di nuovo fatto lo spettacolo di fine anno e questo fu importante perché ebbe degli sviluppi inaspettati.
Lo spettacolo si ispirava alla storia della Romania a partire dal periodo di dittatura di Cheauchescu fino alla sua deposizione in seguito alla rivoluzione popolare. La foresta pazza, questo era il titolo dello spettacolo, narrava la storia di alcune famiglie, degli stenti patiti sotto la dittatura e della sollevazione contro un dittatore che li obbligava alla fame e alla paura di manifestare liberamente le loro idee. Parte centrale dello spettacolo era la rappresentazione della rivoluzione, gli attori erano sparsi nello spazio scenico ed in mezzo al pubblico, ed ognuno di loro recitava un monologo riguardante il loro modo di vivere la rivoluzione.
Il secondo tempo dello spettacolo era incentrato sul post rivoluzione, rappresentava il processo e la successiva condanna a morte del dittatore e di sua moglie. Lo spettacolo terminava con la scena di una grande festa, tutti quelli che avevano partecipato alla rivoluzione si salutavano, si abbracciavano e gioivano per la libertà conquistata. Il mio personaggio, una anziana fattucchiera, entra in scena nel mezzo della festa. Al suo ingresso la musica cessa improvvisamente e tutti rimangono immobili guardandola. Si avvicina ad una coppia di futuri giovani sposi e rivela loro una profezia:

    Piccola sposa, piccola sposa
Tu stai ridendo, noi abbiamo pianto.
Ti rende fiera essere una moglie
Ma non è una vita senza doglie.
Tuo marito non è tuo fratello,
tua suocera non è tua madre.
È più divertente correre libera e selvaggia,
invece di rimanere a casa a occuparsi di un bambino.
Piccola sposa, non essere triste,
non sposarsi sarebbe folle.
Le ragazze sole sono in lacrime,
saranno sole per, molti anni.
Bella ragazza, sei come un fiore,
bella solo per alcune ore.

   Questa filastrocca prendeva spunto dalla unione dei due ragazzi per rappresentare metaforicamente ciò a cui sarebbe andato incontro il popolo rumeno. Stava festeggiando la liberazione dal dittatore, ma ben presto, come la giovane sposa avrebbe dovuto soffrire i dolori del parto, cosi il popolo avrebbe dovuto affrontare i sacrifici della ricostruzione.
Voleva anche far capire che  è meglio affrontare le difficoltà per costruirsi una vita libera che vivere  senza poter esprimere le proprie idee.
Dopo la profezia la fattucchiera esce di scena, mentre la festa continua in un crescendo di euforia,priva però della musica, perché ormai la scena è ormai affidata all’energia dei soli attori. Lo spettacolo termina con il popolo, ormai completamente ubriaco, che perde il controllo fino ad arrivare alla violenza.
Questo spettacolo ha avuto ulteriori rappresentazioni, anche al di fuori della scuola. Abbiamo formato una compagnia teatrale fatta da ragazzi del Giulio Cesare, ragazzi disabili che facevano teatro con Alessandra Panelli, la stessa Alessandra e attori adulti non professionisti amici di Stefano. Noi ragazzi del Giulio Cesare eravamo veramente elettrizzati dal fatto che Stefano ci avesse scelto. Ciò che mi rendeva particolarmente felice e che, nonostante quell’anno il corso di teatro fosse stato sospeso per alcuni mesi nel bel mezzo dell’anno, a causa dei malcontenti dei professori che cominciavano a capire che il teatro era ormai privo di partecipazione, Stefano ha voluto darci l’opportunità di vivere il teatro in un contesto professionale.
Il comune di Roma ha sponsorizzato lo spettacolo La foresta pazza che è andato in scena all’ex mattatoio nel periodo di Natale. Grazie ai locali messi a disposizione del comune, siamo riusciti a fare le prove per dieci giorni prima di Natale, nonostante la fatica, il sonno e il freddo abbiamo lavorato fino all’abbrutimento, cosa che ci ha fatto molto divertire. Dovendoci confrontare con un pubblico più eterogeneo e soprattutto non conosciuto, Stefano decise di dare una nuova interpretazione dello spettacolo. Le scene ed i personaggi rimasero gli stessi ma cambiò l’ interpretazione. Il mio personaggio ad esempio, mutò radicalmente. Nel saggio scolastico aveva una vena ironica, sulla scena dovevo ridere, scherzare e dare pacche sulle spalle della sposa, nella rappresentazione del mattatoio invece era lugubre e drammatico.
Fu l’unico spettacolo per il quale ricevemmo una modesta somma di denaro che in minima parte ci ripagava per il lavoro svolto.
Altra andata in scena è stata a Fiesole, preannunciata molti mesi in anticipo. Ci avevano invitato a riproporre lo spettacolo all’interno di una manifestazione locale, ed anche in questo caso abbiamo ripresentato La foresta pazza con lo stesso allestimento del mattatoio. È stata la prima volta che partivo “sola“ senza una persona di sostegno apposta per me.
Siamo partiti alle sei di mattina da Roma con un pullman privato,  e ricordo che durante il viaggio c’era un mio amico che faceva le imitazioni di Stefano, Igor ed Alessandra e la cosa mi divertiva molto. Stefano aveva organizzato tutto nei minimi dettagli e con orari ben precisi. Arrivati a Fiesole siamo subiti andati  a portare le nostre cose nella chiesa sconsacrata che per quella sera sarebbe diventata il nostro palcoscenico.
Abbiamo fatto qualche prova, e subito siamo stati presi dallo smarrimento perché non sapevamo come muoverci all’interno dello spazio scenico. Nonostante tutto, lo spettacolo si è concluso con successo.
Riflettendo sulla mia esperienza posso dire che tra i saggi di fine anno e lo spettacolo al mattatoio non c’è stata molta differenza perché mi sono data da fare con lo stesso impegno. La mia preoccupazione principale, oltre a recitare bene, era quella di invitare i miei amici; li avvertivo sempre per tempo così da dar loro modo di organizzarsi, ma alla fine solo in pochi riuscivano a venire. Mi è sempre dispiaciuto non aver potuto condividere, che con poche persone, un’esperienza per me così importante.
Mamma e nonna ad esempio, sono venute a tutti i miei spettacoli ma, vuoi per le condizioni estreme in cui si svolgevano le rappresentazioni, a volte un freddo polare a volte un caldo tropicale, vuoi per l’eccessiva lunghezza delle stesse, fatto sta che non hanno mai espresso un giudizio positivo sulla mia performance, anzi capitava che  mi demoralizzassero, facendo commenti esclusivamente del posto in cui si svolgeva lo spettacolo.
Nei due anni successivi non abbiamo più fatto né saggi né spettacoli, il corso andava male e molti professori pressavano il preside affinché destinasse i fondi per il teatro ad altre attività. In poco tempo Stefano fu licenziato ed il laboratorio teatrale del Giulio Cesare dopo tanti anni di attività, dopo che tanti ragazzi vi avevano partecipato per breve o per lungo tempo, chiuse i battenti. Così anche un capitolo importante della mia vita si chiuse definitivamente. Per mancanza di tempo e per impegni di studio non mi sono più inserita in altri laboratori, anche se gli anni passati al laboratorio teatrale mi hanno dato molto sia sentimentalmente sia come insegnamenti di vita.
Dopo un paio di anni, la mia vita aveva subito molti cambiamenti, innanzi tutto ero andata a vivere per conto mio, poi mi ero iscritta all’università alla facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione de «La Sapienza» di Roma. Non pensavo ormai più al laboratorio, quando un giorno ricevetti una telefonata. Era Angiola, una mia amica conosciuta al laboratorio, con la quale avevo condiviso una bella amicizia che mi disse:
«Ciao Marzia come stai? Ti chiamo per darti una triste notizia, questa notte Igor ha avuto un incidente con la moto ed è morto».
Al funerale erano presenti molti ragazzi che avevano conosciuto come me Igor al laboratorio teatrale, era presente anche Alessandra Panelli con i ragazzi disabili del suo corso. È stato triste rincontrarsi in una simile circostanza.

CANdoCO
3.1.   La prima compagnia di danza contemporanea con diversamente abili e normodotati
Il 24 febbraio 1999 sono andata con mia nonna al Teatro Nuovo di Torino per assistere allo spettacolo della CANdoCO Dance Company cioè “si può fare“.
La Compagnia era formata da due ballerini in sedia a rotelle, un altro senza gambe e tre ballerini normodotati. Uno spettacolo duro, non convenzionale, sicuramente diverso dagli spettacoli che il teatro “normale“ ci propone. I sette ragazzi della CANdoCO, a modo loro, sono atleti eccezionali; infatti, in otto anni, la loro Compagnia (nata nel 1991)è diventata un piccolo fenomeno di culto sulla scena europea.
La storia della CANdoCO nasce in Inghilterra nel 1991 durante uno stage di danza con un gruppo di studenti abili e disabili. Un lavoro che in poche settimane portò a risultati concreti e all’idea di creare una vera e propria compagnia che integrasse danzatori professionisti e disabili. Inizialmente creò scalpore ma con il tempo si rivelò una scommessa vincente ricompensata poi con numerose tournée.
Vedendo lo spettacolo, mi colpì in particolare la scena dove il ballerino senza gambe, ridotto a poco più di un busto, riusciva ad ondeggiare nell’aria sorretto da braccia ampie come ali. Questa scena mi fece venire in mente un albatros… goffo e barcollante sulla terra ma agile ed elegante in cielo.
Quella sera ho provato una forte eccitazione, mi sono ricordata del mio grande sogno di quando ero bambina: sostituire la noiosa e monotona fisioterapia con la danza. A dir la verità, durante lo spettacolo ho provato anche molta rabbia verso la mia fisioterapista e verso quei tanti medici a cui mamma e nonna avevano espresso il mio desiderio di ballare. Questi  hanno sabotato il mio desiderio dicendo a mamma e a nonna: “non vedete come Marzia mette i piedi storti e quanto è precario il suo equilibrio? È semplicemente una sciocchezza da bambini pensare che Marzia possa avvicinarsi alla danza e noi adulti saremmo folli e utopisti ad assecondarla…“. Eppure quei ragazzi danzavano ed anche bene!
Tornata nella mia città ho contattato la compagnia CanDoCo ed essa mi ha dato numerosi indirizzi di danzaterapia in Italia. Così dopo poco tempo ho partecipato ad un Workshop della durata di tre giorni, tenuto a Roma da una fisioterapista toscana.
Purtroppo si è trattata di un’esperienza isolata in quanto la  CanDoCo (e nessun altra Compagnia) in quegli anni non organizzava corsi e laboratori a Roma.
Ho potuto così constatare a distanza di anni che la danzaterapia esiste e viene praticata con ottimi risultati anche se io non l’ho potuta praticare.
Con il passare degli anni sicuramente in Italia e a Roma la danzaterapia si è andata diffondendo. Spero che oggi, a distanza di quindici anni dalla mia infanzia, molte bambine disabili o con varie patologie possano trovare il modo di esprimersi e di migliorare la loro condizione di vita attraverso il ballo.

Conclusioni
In questo mio elaborato di laurea, ad eccezione della prima parte, è forte il connotato autobiografico e della mia esperienza diretta di vita. Sono orgogliosa di aver potuto dare questa connotazione al mio lavoro. Le mie esperienze, positive e non, mi hanno infatti permesso di comprendere in modo più ampio gli argomenti trattati nei testi universitari e in quelli che ho in parte consultato e che ho riportato nella bibliografia.
La parte dell’elaborato che mi ha appassionata di più è stata quella relativa alla trattazione autobiografica in quanto, come ben sanno molti dei miei professori, scrivere di me stessa è sempre stata la mia passione. Pertanto è stata un’occasione ed anche una sorpresa inaspettata poter scrivere parte del mio elaborato sottoforma di scritti personali e autobiografici. Ho potuto, infatti, conciliare questa mia passione con l’impegno che l’elaborato ha richiesto.
Oltre al primo e terzo capitolo della seconda parte, anche nella premessa, dopo aver parlato del teatro e della mia esperienza di questi tre anni alla Sapienza, ho anche raccontato un fatto che mi è capitato in quinto liceo che è stato per me doloroso e traumatizzante; l’ho raccontato perché è fortemente legato ai contatti che ho preso con il professor Lucisano dall’anno precedente alla mia immatricolazione in poi.
In particolare, ho focalizzato la mia attenzione sui laboratori teatrali tenuti da Stefano Viali e Alessandra Panelli, ai quali ho avuto la fortuna di partecipare. Sono convinta che in Italia esistono innumerevoli gruppi che si occupano di teatro sperimentale sia per handicappati, sia per persone normodotate, sia gruppi integrati.
Alla fine del percorso seguito restano comunque dei punti aperti che mi sarebbe piaciuto approfondire in prima persona. Tra questi mi riferisco al Festival di Carpi di cui ho trattato nel capitolo quinto, per la stesura del quale mi sono basata esclusivamente sul materiale reperito in internet. Mi dispiace di non avervi mai partecipato e quindi non posso dare un resoconto esperienziale di questa interessante manifestazione a carattere nazionale, conosciuta anche all’estero.
Nonostante l’incompletezza dei temi trattati, ritengo comunque che l’elaborato possa rappresentare un punto di partenza per tutti quegli studenti che, curiosi e appassionati, vorranno approfondire l’argomento sul teatro e la disabilità.

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La sessualità tantrica come aiuto al benessere di ogni persona

Non di rado, tramite il gruppo Facebook “Amore, disabilità e tabù: parliamone!“ e non solo, molte persone con vari tipi di disabilità o i loro  familiari mi domandano come gestire al meglio le pulsioni sessuali di una persona che non vuole nuovamente sentirsi rifiutata e vuole scoprire la sessualità e l’amorevolezza. In diversi casi consiglio il rituale tantrico. Dopo anni di osservazioni  e di richieste, ho potuto constatare che quasi nessuno è a conoscenza del Tantra e del Tantrismo.

L’amore e la sessualità rappresentano un’esperienza infinitamente misteriosa e soggettiva. Lungi dall’esprimere giudizi moralistici, vorrei parlare della filosofia tantrica e del rituale tantrico, mettendo in luce la visione di alcuni autori e spiegando come, tali pratiche, in alcuni casi,  possano aiutare molte persone. Tenterò di mostrare altresì, quanto il Tantra sia legato ai concetti di totalità, amore e rispetto di se stessi e dell’altro.

Definizione e brevi cenni storici:

Innanzitutto definiamo cos’è il Tantra: la parola Tantra o Rituale Tantrico, rievocano le sensazioni di  sentirsi a proprio agio, ricollegare cuore e sesso, rilassarsi nell’atto amoroso e goderselo fino in fondo.

Con la millenaria filosofia e religione del tantrismo, possiamo esplorare uno stato di meditazione, di ascolto totale che ci aiutano ad accettarci per quello che siamo, con i sentimenti, i desideri e bisogni più intimi e profondi. Come in altre discipline  olistiche, il Tantra è la celebrazione della vita, che si basa sul «qui e ora», dove  corpo,  mente e  spirito vengono rigenerati.Le origini  risalgono alle culture pre-vediche, agli albori stessi della storia indiana. Il tantrismo è un indirizzo di pensiero che ha influenzato i grandi sistemi religiosi dell’India (induismo, buddhismo, jainismo). È presente come componente del buddhismo soprattutto in Tibet, in Cina e in Giappone. Il tantrismo considera le passioni di per sé né buone né cattive; esse non vengono quindi represse, poiché significherebbe respingerle a un livello più profondo.[1] Il Tantra è arrivato in Occidente nel ventesimo secolo, trovando un terreno culturale fertile grazie alla rivoluzione sessuale e all’emancipazione della donna. Oggi riscontra, in molti casi, sempre più curiosità ed interesse perché unisce in un’unica pratica i desideri umani più profondi: quello di amare e quello di essere veramente se stessi.

I  benefici:

Il Rituale Tantrico  può aiutare a superare i blocchi emotivi e ritrovare una profonda intimità. Il Tantra è legato al concetto di amore, di rispetto e fiducia in se stessi e nell’altro. Non è una pratica che riguarda esclusivamente la sessualità, come spesso erroneamente si tende a credere. Il rituale tantrico ha dei forti risvolti erotici, ma in realtà questa componente è solamente una parte del Tutto. Infatti, il Tantra considera l’individuo (normodotato o con disabilità) nella sua totalitàIl tantrismo non rinnega il corpo: è la religione che unisce la fisicità alla spiritualità. Per parlare in modo serio, semplice ed approfondito del Rituale Tantrico mi sembra utile procedere con ordine. Innanzitutto, come altri tipi di massaggi, anch’esso è una manipolazione, un trattamento. La cura e l’attenzione prestati all’armonia e alla fluidità durante il massaggio, il contatto non interrotto durante la seduta, il silenzio, il ritmo, la musica, la circolazione energetica, conducono in chi lo riceve ad una maggior consapevolezza del proprio schema corporeo ed energetico, insieme a una crescita di sensibilità e di capacità percettiva sia del mondo esterno che di se stessi e del partner nel qui e ora.

Non tutti conoscono le differenze tra il sesso tradizionale e quello tantrico (che non coincide a sua volta con l’esperienza del massaggio): il sesso tradizionale, in genere, dura meno di quello tantrico. Quest’ultimo va a risvegliare i chakra, punti dove risiedono le nostre energie talvolta bloccate; facendo ciò, l’energia vitale è rimessa in circolo e dona una sensazione di benessere che dura anche dopo la pratica.

Le vostre  domande frequenti:

Le domande più frequenti relative al Tantra che mi vengono poste sono: “di cosa si tratta?” e “con questa pratica posso raggiunge l’orgasmo?” Per rispondere è bene premettere che ci sono operatori seri, capaci di mettere la persona a proprio agio, questi capiscono facilmente le esigenze della Persona e, a meno che non ci siano ancora blocchi e timori da superare, dopo aver risvegliato l’energia creatrice della Kundalini, possono far sperimentare alla persona l’orgasmo cosmico dove tutto il corpo è coinvolto in una lunga sensazione di piacere.  Nel rituale tantrico fatto da persone con esperienza sono importanti aspetti quali: l’ascolto, l’amorevolezza, la fiducia, l’empatia e lo scambio energetico tra chi lo “dona” e chi lo riceve.  Alcuni autori rafforzano questi concetti:

“La fiducia reciproca e l’aspetto spirituale dell’erotismo sono i punti fondamentali.  Il Tantra ci suggerisce di vedere l’unione sessuale come celebrazione dell’unità con il divino. (…) Con esso possiamo arrivare a vivere intensamente l’orgasmo aprendo la via al superamento dell’ego come individualità separata e quindi alla percezione gioiosa del divino come beatitudine.[2]Vediamo ora i benefici che in Rituale  Tantrico può portare alle persone con disabilità:

  • Il Tantra può essere utile ad alcune persone, anche con disabilità, per diventare più consapevolidel loro corpo e della loro libido e può insegnare a praticare l’autoerotismo.
  • Il rituale tantrico non nasce per chi è disabile,per questo non si pone come un’ulteriore terapia. L’aspetto terapeutico è fin troppo presente nella vita di molti di noi. Grazie a questa pratica si può vivere la sessualità in modo più totale e rispettoso verso noi stessi e verso l’altro.
  • Con il massaggio le tensioni muscolari ed eventuali blocchi emotivi si allentano e lasciano il posto aduna sensazione di benessere e tranquillità, che dura anche dopo  il trattamento.
  • Il Tantra può aiutare anche le persone con disabilità cognitiva a scoprire la corporeità e il tocco. Molte persone hanno bisogno di esplorare questi aspetti per essere appagati e meno aggressivi. Mi torna in mente un passaggio dedicato al bisogno d’amorevolezza per le persone con autismo che si può estendere anche a persone con problemi cognitivi: “La disabilità è spesso affiancata  alla diversità,  all’emarginazione, alla malattia; l’individuo con autismo vede spesso negata la complessità dei suoi sentimenti, dei suoi bisogni. Spesso le sue normali pulsioni non trovano la naturale evoluzione. Tante persone, ad esempio, potrebbero pensare che chi è nello spettro autistico non abbia interesse nelle frequentazioni o nelle relazioni, tendendo a stereotiparle come asessuali. Ovviamente ci sono persone che non sono interessate a questo aspetto della vita, ma tantissimi soggetti sentono la necessità di avere una relazione. Tuttavia, a causa delle sfumature sociali che sono coinvolte nel processo e della loro vulnerabilità, è difficile intraprenderle.[3]

  • Molte persone, anche con disabilità, cercano in questo massaggio un atto d’amore: questo massaggio è emozionale e di coppia. Il massaggio Tantrico può portare la persona  a scoprire o essere più consapevole della propria intimitàe affrontare consapevolmente una relazione. Ciò detto, in alcuni casi, può spaventare i famigliari e i caregiver che non sono pronti ad accettare il fatto che il figlio o l’assistito non è un eterno bambino.
  • Personalmentetemo per le molte persone che esprimono attraverso i socialnetwork il forte desiderio di scoprire la sessualità e avere una relazione, ma non sanno minimamente come proteggere se stessi e l’eventuale partner dai rischi che ne potrebbero derivare. Va anche tenuto presente che, non sono poche, le persone con disabilità che non hanno sviluppato un’adeguata consapevolezza nel gestire il bisogno di autoerotismo.

Chiarimenti sugli operatori ed operatrici

Generalmente un operatore olistico e tantrico qualificato sviluppa una spiccata sensibilità ed è portato a donare benessere all’altra persona. Egli deve essere empatico, attento ai bisogni dell’altro, pur mantenendosi distaccato per evitare un eccessivo coinvolgimento. Chi esegue il massaggio deve donare la propria energia e competenza senza aspettarsi nulla in cambio se non lo scambio energetico. Nell’ambito della disabilità sarebbe opportuno e necessario prevedere lo sviluppo di una figura professionale formata al fine di poter coniugare il sapere olistico con le competenze dirette ad interfacciarsi con la disabilità, fisica o cognitiva.

Purtroppo c’è chi si improvvisa esperto per guadagnare approfittando dell’esigenza e del desiderio sessuale di una persona impreparata.  Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il donare la propria energia e competenza per far stare bene l’altra persona. Ci vogliono preparazione (teorica e  pratica) e dedizione per agire sulle energie e far rilassare chi riceve il rituale tantrico. È un fatto che la richiesta di massaggi sia aumentata negli ultimi anni, così come i centri (non sempre seri) che li praticano, gli annunci pubblicitari degli operatori, i siti che ne parlano. È importante essere accorti, fare molte domande sulla formazione dell’operatore e dubitare delle persone poco esperte e con pochi anni di formazione. Non tutti poi hanno la sensibilità e un tocco tale per poter praticare questo o altri tipi di manipolazioni.

Conoscere il proprio corpo, il corpo dell’altro, avere una buona sessualità, riuscire ad esprime l’autoerotismo, rispettare la privacy di un figlio con disabilità dovrebbero essere concetti assodati presso famiglie, istituti e persone con disabilità.

C’è anche da tener presente che la paura di molti genitori porta a negare alla persona disabile aspetti legati all’amore e alla sessualità. Ciò a causa spesso di tabù,  censure socio-culturali e al timore di educare, ma tutto ciò espone il disabile a non essere valorizzato e essere trattato come un eterno bambino e a cadere nei rischi del web.

l’OMS (2001) ha equiparato il diritto alla salute sessuale ai diritti umani in generale. Con ciò la sessualità è entrata a far parte a pieno titolo delle componenti che creano il benessere di una persona, analizzata anche in funzione psicoeducativa e sociale. Tale principio dovrebbe valere per ogni individuo. Purtroppo ancora oggi si tende a negare piuttosto che aiutare la persona ad esprimere una sana sessualità.

Questo articolo rientra nella sezione “Il punto di vista di Zoe” del mio saggio “RaccontAbili. Domande e risposte sulle disabilità” nel quale tratto ampiamente il tema dell’amore e della sessualità delle persone con disabilità. Scrivetemi se desiderate una copia con dedica!  Contatti 

Per concludere, mi sento di consigliare questo video:  “il non attaccamento e l’ etica sessuale nel buddismo”. Nel buddismo si  celebra una sessualità sana: dove ci si astiene da pratiche erotiche “dannose” verso noi stessi e l’altra persona.

[1] Dal “Manuale di sesso Tantra e Kamasutra” di Nuela Cossatti

[2] https://www.designhub.it/cometa/the-special-need.html

[3] https://www.erbasacra.com/it/aree-tematiche/tantra/perche-il-tantra.html.

Leggi anche:

L’esperienza del tantra vissuta da una donna normodotata ed un uomo disabile. Due testimonianze a confronto per capire e sapere.

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“Nata viva” di Zoe Rondini: romanzo e cortometraggio

Nata viva Zoe Rondini

 

 

 Titolo dell’opera: Nata viva

 Autrice: Zoe Rondini (nome d’arte)

Editore: Società Editrice Dante Alighieri

Edizione: novembre 2015

Genere: romanzo di formazione; romanzo autobiografico

Pagine:   252

Prezzo di copertina: 12

ll volume è impreziosito dalla prefazione della Prof.ssa  Serena Veggetti, docente di psicologia presso l’Università la Sapienza di Roma, ed un racconto ispirato a mio nonno: il Prof. Adriano Bompiani.

Potete trovare ed acquistare il volume sui siti:

L’e-book è disponibile qui

Per tutte le informazioni potete usare i seguenti contatti: E-mail: zoe.rondini@gmail.com Oppure mi potete scrivere in privato sulla pagina Facebook ZoeRondiniAutrice o sul profilo Istagram

Sinossi del romanzo “Nata viva”

“… Tutti i dottori si affrettano a rianimarmi, ma rimango cinque minuti completamente senza respirare. Si tratta solo di cinque minuti, ma sono i primi della mia vita“.

Poi Zoe comincia a respirare. E a vivere. Quei cinque minuti dopo rispetto agli altri neonati – a causa di un respiro intrappolato per un tempo infinito in un corpo troppo piccolo – la costringeranno a confrontarsi, fin dai primi mesi, con una vita che è cominciata sì cinque minuti più tardi, ma che pian piano non tarderà a essere così tanto desiderata da consentire a Zoe di superare qualsiasi ostacolo, senza rinunciare a nulla, a costo spesso di immane fatica e incomprensione da parte degli altri.

Una Battaglia per l’Indipendenza

“… Cammino un po’ male, parlo un po’ male, controllo un po’ male i movimenti delle mani, delle dita, dei bulbi oculari… non ho un movimento, un arto o un muscolo che non fa capo al mio sistema nervoso centrale che è stato lesionato a causa di quei cinque minuti“.

Zoe imparerà con suoi tempi a camminare, a parlare, a leggere e all’età di nove anni scoprirà la inesauribile passione per la scrittura, cominciando a scrivere i suoi primi racconti.

Ma è all’età di tredici, che per superare il momento più difficile della sua vita – a causa di lutto doloroso –  intraprende l’avventura più importante, e un po’ per bisogno, un po’ per caso, un po’ per scelta, decide di dare vita ad un racconto autobiografico che l’accompagnerà per ben dodici anni.

Una Voce di Resilienza

Lungi dall’essere un trattato o un saggio autobiografico sulla disabilità, “Nata viva“ vuole essere un racconto appassionato e antipedagogico di una ragazzina e poi di una ragazza che, tra luci e tenebre, ha saputo lottare per raggiungere e conquistare quella serenità che tutti bramiamo, non dando mai per scontato nulla e soprattutto non accontentandosi mai del buon quieto vivere che spesso la società assegna alle persone disabili.

Nel suo stile rapsodico, squisitamente discontinuo, frammentario e spesso profondamente ironico, Zoe si fa cantore e testimone, con la sua voce, dell’incontro sorprendente tra limite e prospettiva, civiltà e pregiudizio, presenza e invisibilità, costruendo, capitolo dopo capitolo, la propria visione del mondo, dove la normalità sembra non appartenere a nessuno, per fortuna.

Ne nasce un racconto a suo modo epico in cui riconoscersi, popolato da  personaggi indimenticabili, amici e nemici che  Zoe sa tratteggiare con sapiente tocco tra familiari, compagni di scuola, dottori, fisioterapisti, maestri, insegnanti, docenti universitari, presidibabysitters, viandanti, incontri fortuiti.

E insieme a lei, anche noi riviviamo il nostro essere stati bambini o adolescenti incompresi, in famiglia come a scuola, dentro o fuori dal gruppo, allontanati e maltrattati spesso inconsapevolmente, a volte con una certa presunzione da chi non la pensava o non poteva essere come noi.

Nel suo romanzo di formazione Zoe costringe il lettore a non dimenticare mai lo scarto enorme che c’è tra vivere ed esistere, inchiodandoci all’idea che per nascere veramente, ad ogni occasione, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo al mondo intero.

L’autrice

Zoe Rondini autrice di Nata VivaZoe Rondini è il nome d’arte dell’autrice. Laureata in Scienze dell’Educazione e della Formazione e specializzata in Editoria e Scrittura presso l’Università Sapienza di Roma.
Il romanzo autobiografico “Nata Viva” è la sua opera prima.
E’ anche autrice del saggio “RaccontAbili domande e risposte sulle disabilità”, edizioni Erickson Live.
Il blog Piccologenio è uno degli strumenti che utilizza per partecipare alla diffusione della conoscenza del mondo della disabilità e alla promozione dei diritti delle persone con  disabilità.
Parallelamente, cura un corso annuale dedicato al tema della disabilità nell’ambito del Master di Neuropsicologia dell’età evolutiva promosso dall’Università LUMSA di Roma e dal 2011, è promotrice del progetto pedagogico di contrasto al bullismo e valorizzazione delle diversità “Disabilità e narrazione di sé: come raccontare le proprie piccole e grandi disabilità” che si rivolge agli alunni della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado. Fornisce il suo contributo in diversi convegni e seminari di settore, nonché a testate giornalistiche attive nell’ambito del sociale.

Nata Viva: cortometraggio

 È  la storia di Zoe Rondini una ragazza che per i primi 5 minuti della sua vita non ha respirato.
Zoe ha scritto un libro che racconta la sua vita, allegra e faticosa. Lucia Pappalardo l’ha trasformato in un breve film grazie al supporto dell’Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani. Il cortometraggio è il seguito del romanzo di formazione in quanto racconta gli ostacoli e le conquiste della Zoe adulta.

Nel 2016, il mini-film ha ottenuto il primo premio nell’ambito del concorso “Capodarco L’Altro Festival – L’Anello Debole” categoria “Corti della realtà”.

È stato poi premiato fuori concorso al Festival Ciak sul Fermano.

Rassegna stampa per le due opere:

La video storia di Zoe Rondini: come se mi guardassi allo specchio

Quanta emozione alla Premiazione del XII Festival Internazionale del Cinema Patologico

“Nata viva”: un’autobiografia che è un viaggio introspettivo di crescita e di riflessione

“NATA VIVA” ROMANZO DI ZOE RONDINI E FILM DI LUCIA PAPPALARDO

Zoe Rondini il mio blog per aiutare i disabili

La mia vita è un romanzo

Sessualità, adolescenza e disabilità. Un convegno oltre ogni pregiudizio

Nata viva sul Venerdì di Repubblica 

Zoe Rondini è Nata Viva

Nata Viva“ tra i corti finalisti di Capodarco, L’anello debole 2016

Premio Anello debole, vince forza di Zoe

Nata Viva minifilm su DisabilityStyle il blog di Maximiliano Ulivieri

Nata viva sul magazine della scuola di scrittura Omero. di Arturo Belluardo  10 dicembre 2015

Zoe Rondini, una donna coraggiosa

Cinque minuti e poi…

Interviste:

Intervista per Piccolo Genio

Intervista per il portale Italia Olistica 

Intervista per il blog IlBenessereOlistico

Intervista a Radio Ginius, la radio della Scuola di Scrittura Ginius

Intervista  radiofonica a Radio3 “Tutta la città ne parla”, (parlo al diciottesimo minuto)

Zoe a Radio LiveSocial, Storie ed Interviste

 Nata viva e l’attuale condizione dei disabili nel nostro paese. Intervista all’autrice 

Zoe Rondini: intervista all’autrice di “Nata viva“ di Disabilibidoc.it

Zoe Rondini su Slash Radio

Zoe a Radio Freccia Azzurra

La Cantastorie Zoe Dal romanzo Nata viva è stato tratto lo spettacolo teatrale La Cantastorie Zoe che è stato trasmesso da Radio Onda Rossa.

Con Nata viva ha preso vita il progetto Disabilità e racconto di sè rivolto a alluni dalla quinta elementare ai master universitari, ecco il racconto di queste importanti esperienze:

La narrazione di sé per potenziare l’autoconsapevolezza

Inoltre dal 2021, fornisco il mio contributo su “Disabilità e narrazione del sé” nell’ambito della lezione conclusiva del Master di neuropsicologia dell’età evolutiva, presso Università LUMSA di Roma. Il materiale usato per le lezioni è disponibile ai seguenti link:

La narrazione del sé come strumento di empowerment

Lezione al master in neuropsicologia dell’età evolutiva presso l’Università Lumsa

Lezione per il master della Lumsa

“Nata viva, ma con 5 minuti di ritardo” la vita dopo un’asfissia neonatale

Partecipazione a convegni e simposi:

Convegno Erickson “Sono adulto! Disabilità diritto alla scelta e progetto di vita”

Convegno “Adolescenza, tra affettività e sessualità, oltre ogni pregiudizio” promosso dalla Commissione pari opportunità della Regione Marche, presso la sala consiliare del Comune di Ancona.

In occasione della Giornata Mondiale del Libro, invitata in qualità di autrice alla presentazione del libro “Nata Viva” presso l’Aula Magna del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne del Polo Universitario Annunziata, organizzata dal Comitato Unico di Garanzia (CUG) e dall’Università degli Studi di Messina.

Relatrice nell’ambito del convegno “Disabilità e integrazione: diritto a una cittadinanza attiva” organizzato  dal DISFOR – Dipartimento Di Scienze Della Formazione di Genova e l’Istituto italiano di bioetica. Titolo dell’intervento: “Il mito del normale.Disabilità e affettività: il rapporto con l’altro tra paure, stereotipi e riconoscimenti”.

Premi letterari del romanzo Nata Viva:

Nella sua prima stesura, il romanzo ha ottenuto diversi riconoscimenti ai seguenti premi letterari:

  • Finalista al Premio Firenze 2011 – Centro culturale Firenze Europa “Mario Conti” – XXIX Premio Firenze sezione D -narrativa edita.
  • Segnalata al concorso letterario “Premio nazionale di letteratura Prof. “Francesco Florio” 23 edizione 2011 – Licata” con un diploma di elogio, ottenendo il punteggio di 93/100.
  • Menzione d’onore con diploma di merito al Premio nazionale di poesia, narrativa e fotografia “Albero Andronico” V edizione.
  • Semifinalista e Menzione d’onore con diploma di merito al XVIII Premio letterario internazionale “Trofeo penna d’autore” nella sezione A: libri narrativa e saggistica.

Presentazione e curriculum vite di Zoe Rondini

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