IL GRIDO DI ZOE (prima breve recensione)

Dott. Maria Luigia Carpentieri

Partendo da una verità espressa da Zoe “il diverso degli altri è il diverso per il disabile“ ritengo
fondamentale l’orizzonte in cui ci poniamo quando analizziamo i fatti della sua vita:
la quotidianeità, il superfluo, l’essenziale, il contingente, il trascendente.
I conflitti adolescenziali elaborati dalla protagonista risultano amplificati a causa di una ingombrante
burocrazia che prevalica sulla vera vita e relazioni parentali e sociali sviluppate su interazioni nutrite da
problematiche rese esponenziali.
Il rapporto fra Zoe e sua madre risulta composto da amore ed odio in una alternanza rapida e sconvolgente
mentre fortemente equilibrante è quello con l’ amatissima nonna: struttura portante dell’albero della vita
e della famiglia.
L’educazione ricevuta da Zoe e da lei stessa coltivata è costruita su realtà psicologiche d’evoluzione:
stimoli  risposte, effetto  causa, proiezioni freudiane.
La scrivania di studio descritta e percepita come una sedia elettrica e l’aula  come cella scolastica sono
concetti geniali: come docente li condivido ma non per solidarietà bensì per esperienza personale
nonostante la mia posizione sia al di là della cattedra.
Nominalmente ogni termine ha una sua funzione specifica ma nel vituperato relazionismo implica analogie
diametralmente opposte.
Zoe è una giovane donna inserita nell’attuale società che si occupa di comunicazione, di crescita del
femminile in una forma di responsabile consapevolezza.
Si muove su una base di interazioni sincroniche in cui la volontà  forte e intraprendente è animata
dal desiderio.
Zoe grida la sua voglia di vivere sin dalla sala parto, ciò che lei ci racconta è un inno alla libertà,
è una dichiarazione di amore, di indipendenza, di crescita, di coraggio cantata all’interno della sinfonia
armoniosa dell’esistenza.

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Giovani scrittori nell’Italia d’oggi: A tu per tu con l’autrice di “Nata viva“

Una giovane autrice ci racconta la sua passione per la scrittura e la pubblicazione, meno di un mese di fa, del suo primo romanzo autobiografico. Un racconto di sé che parte proprio da quel secondo respiro, da quella seconda possibilità che la vita le ha donato e che lei oggi ha deciso di condividere con tutti. Un romanzo per tutti, per ritrovarsi, riconoscersi o semplicemente capirsi e comprendere come con passione e forza si sia sia in grado di superare ogni ostacolo. E semplicemente vivere.

  La tua passione per la scrittura è sbocciata quando eri poco più che una bambina, in seguito ad un tragico evento.

Ho cominciato a scrivere i miei ricordi al tredici anni. Era autunno, erano passati pochi mesi dall’agosto ’94, un agosto segnato da un lutto improvviso nella mia famiglia. All’improvviso Rikchey, il secondo marito di mia madre se ne era andato per sempre! Rikchey era un padre per me, era stato nove anni con mamma, aveva vissuto con noi tutti i giorni, tutte le sere, tutti i Natali tutti i compleanni dai miei quattro ai quasi tredici anni. Non volevo perdere anche i ricordi legati a lui. Così a tredici ho cominciato a scrivere su un quaderno i ricordi del passato. All’inizio non avrei mai pensato che stavo intraprendendo un’avventura letteraria che sarebbe durata per sedici lunghissimi anni! A fasi alterne s’intende: in certi periodi ho scritto e corretto molto, in altri lo studio non mi lasciva tempo per la mia vocazione per la scrittura.

 

Durante l’adolescenza, hai vissuto lo scrivere come un compagno di viaggio, un amico con cui parlare senza limiti di sorta.

Negli anni dell’adolescenza non potevo uscire, andare in discoteca, o in centro come tutti i miei compagni di classe. Il mio handicap motorio mi permetteva di fare solo una cosa in completa autonomia: SCRIVERE! Così ho scritto tanto, non solo di Richey, come volevo fare all’inizio ma più di me, della mia vita iniziata con quasi cinque minuti senza respirare! Quasi cinque minuti… un tempo lunghissimo senza ossigeno nei polmoni, senza che la circolazione del sangue cominciasse “NORMALMENTE“ a circolare, come succede a tutti, come lo ha deciso la natura, com’è normale che accada… Magari ora chi legge sta pensando che dovevo essere morta poco dopo… beh sì avete ragione! Sono stata fortunata a farcela, e poi grazie ai dottori, grazie a tantissima fisioterapia, ed all’impegno e lo sforzo immane della mia famiglia e mio, ho imparato a camminare, parlare, muovermi, fare tanti “gesti quotidiani“ anche se con non poche difficoltà.

“Nata Viva“ in fondo è sempre stato dentro di te, perché parla di te, è la tua storia che si fa parola scritta per aprirsi ad un pubblico più grande. Perché hai scelto questo titolo?

Il mio libro è nato come un diario, un appiglio, un’ancora di salvezza. Durante l’adolescenza sentivo forte l’esigenza di scrivere e raccontarmi, proprio da queste necessità è scaturito il romanzo autobiografico: “NATA VIVA“. Ho scelto questo titolo perché ritengo che abbia due significati importanti: il primo è riferito alla mia nascita, a quello che mi è accaduto subito dopo, ed il secondo si lega al concetto che la vita va vissuta, e non va subita passivamente; tenendo sempre presente l’enorme differenza che c’è tra “vivere“ ed “esistere“! Ogni cosa è desiderata, conquistata, ottenuta… non c’è mai nulla di banale o scontato e questo ho cercato di “gridarlo“ con molta forza pagina dopo pagina, ed i lettori si sono riconosciuti in questo testo che spesso parlava di ognuno di loro (persone normali e non persone disabili), mi hanno capita ed apprezzata. Un’altra scelta direi “azzeccata“ poiché mi ha permesso di raccontare molte più cose… è stata quella di sostituire tutti i nomi, compreso il mio, con degli pseudonomi.

Il libro è una somma delle tue esperienze, un viaggio per comprendere quanto sia speciale la vita e quanto questa vinca poi sopra ogni eventuale barriera.

In “Nata viva“ ci sono anche i bellissimi viaggi che ho fatto (soprattutto, il più bello ed emozionante) quello a New York, l’esperienza della scuola, le vacanze al mare, c’è la mia famiglia, c’è raccontato il rapporto con i parenti, l’intesa speciale tra me e la mia nonna materna; ci sono i giochi e le favole di mia madre, la complicità tra me e mia sorella ed il rapporto di quando eravamo bambine, c’è la scoperta che ho fatto pian piano da grande di un nonno attento, premuroso e simpatico; con il quale ho trovato sempre più argomenti per arricchire il nostro dialogo. Ci sono io, i miei pensieri, le cose che a voce non ho mai detto. C’è tanto da leggere tutto di un fiato. 

Qual è lo stile di scrittura che hai adottato per questo tuo primo romanzo?

“Nata viva“ è un romanzo autobiografico, non un saggio pedagogico sulla disabilità. Lo stile di scrittura è semplice, minimalista, ironico, autoironico, a volte volutamente pungente, ma sempre leggero e scorrevole. È questo il “segreto“ e la “ricetta“ che ha dato vita al breve romanzo adatto a tutti. Lo possono leggere i ragazzi dalla scuola media in poi, le maestre, le insegnanti di sostegno, i genitori. Sarei felice di sapere che una maestra o professoressa abbia letto alcune pagine in classe così come sarebbe anche bello sapere che dei Nonni lo abbiano letto, gli sia piaciuto e abbiano deciso di leggerlo ai loro nipotini, la sera quando stanchi dopo una giornata piena di giochi e grandi corse, si ritrovano tutti sul divano.

Non mi resta che augurarvi buona lettura!

Scheda del libro:

Autore: Zoe Rondini

Editore: Gruppo Albatros Il Filo

Collana: Nuove voci

Data di pubblicazione: Aprile 2011

ISBN: 8856743035

Il libro lo potete ordinare in qualsiasi libreria d’Italia o comprarlo su vari siti internet; qui di seguito ve ne riporto alcuni:

http://www.bol.it/libri/Nata-viva/Zoe-Rondini/ea978885674303/

http://www.deastore.com/libro/nata-viva-nata-viva-/9788856743036.html

http://www.ibs.it/code/9788856743036/rondini-zoe/nata-viva.html

lo trovate anchè presso la libreria Mdd Bookshop via Ascanio Sforza, 37 MILANO e la libreria MANZONI a ROMA in VIALE PARIOLI 16.Per eventuali informazioni scrivere a info@piccologenio.it

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Il Libro Nata Viva (aggiornato il 9/01/2012)

 Zoe Rondini

“… Tutti i dottori si affrettano a rianimarmi, ma rimango cinque minuti completamente senza respirare. Si tratta solo di cinque minuti, ma sono i primi della mia vita”. Poi Zoe comincia a respirare. E a vivere. Quei cinque minuti dopo rispetto agli altri neonati, la costringeranno a confrontarsi fin dai primi mesi, con una vita che è cominciata più tardi ma che pian piano non tarderà a essere così tanto desiderata da consentire a Zoe di superare qualsiasi ostacolo. All’età di tredici anni, a causa di un lutto doloroso, Zoe intraprende l’avventura più importante: dare vita ad un racconto autobiografico, che l’accompagnerà per ben 16 anni. Lungi dall’essere un trattato o un saggio sulla disabilità, Nata Viva vuole essere un racconto appassionato e antipedagogico di una ragazzina e poi di una ragazza, che tra luci e tenebre ha saputo lottare per raggiungere e conquistare quella serenità che tutti bramiamo. Nel suo stile rapsodico, Zoe si fa cantore e testimone con la sua voce, dell’incontro sorprendente tra limite e prospettiva, civiltà e pregiudizio, presenza e invisibilità. Insieme a lei, anche noi riviviamo il nostro essere stati bambini o adolescenti incompresi. Nel suo romanzo di formazione Zoe costringe il lettore a non dimenticare mai lo scarto enorme che c’è tra vivere ed esistere, inchiodandoci all’idea che per nascere veramente, ad ogni occasione, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo al mondo intero.

Zoe Rondini è lo pseudonimo dell’autrice. Laureata in Scienze dell’Educazione e della Formazione, attualmente sta studiando per ottenere la laurea magistrale in Editoria e Scrittura (giornalismo). In passato ha pubblicato molti articoli riguardanti i problemi e i diritti delle persone disabili su vari siti, su un quotidiano on-line e sulla rivista italiana dell’Opera Montessori. “Nata Viva” è la sua opera prima.

Dove acquistare Nata viva

http://www.ilfilo.eu/zoerondini/  .

http://www.ilfiloonline.it/index.php?page=shop.product_details&product_id=274455371&category_id=11&flypage=flypage.tpl&option=com_virtuemart&Itemid=175 .

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Incipit Nata Viva

Zoe Rondini
Premessa
“Nulla di utile”

Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale agli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio. Adesso mi domando quand’è che ho cominciato a capire che avevo qualcosa che mi “distingueva” dagli altri, qualcosa che non permetteva loro di accettarmi, li metteva a disagio. Non a tutti si intende, ma già dal modo in cui la gente si avvicinava a me, riuscivo subito a distinguere se una persona era sensibile, senza pregiudizi e senza imbarazzi, oppure no. Forse ho percepito questo fin dall’asilo, visto che i miei primi ricordi risalgono a quegli anni, forse da molto, molto tempo prima, quando osservavo gli altri bambini sgambettare dall’interno dell’incubatrice. O forse l’avevo già intuito quando mi trovavo nella pancia di mia madre e avevo tutta quella fretta di uscire e tutta quella paura, non potevo non aver paura, “qui sono al sicuro”, devo aver pensato. Non volevo ritrovarmi in un mondo troppo grande per me, troppo rumoroso, pieno di doveri e regole da rispettare. Dove tutti corrono e poche persone hanno tempo e voglia di aiutare chi resta indietro.”La nascita è un cambiamento troppo grande per me”, devo essermi detta, e io ho sempre temuto i cambiamenti. Non so dire quando ho intuito che avevo qualcosa di “diverso”, ma so che la consapevolezza della mia diversità l’ho acquisita piano piano, crescendo, sentendo gli altri bambini che di nascosto ridevano e parlavano di me e dicevano «guarda i suoi scarabocchi». O quando rimanevo seduta ad osservare tutti gli altri muoversi, bambini che correvano, dispettosi e allegri, saltavano, salivano e scendevano dagli alberi, dalle altalene, dai muretti alti, ogni giorno sempre più alti. E poi c’erano i grandi che sempre dovevano andare da qualche parte, sempre avevano qualcuno da chiamare, da andare a cercare, qualcun altro con cui stare. Non capivo perché avessero bisogno di muoversi tanto. Forse sto meglio io, non mi stanco come loro, posso giocare qui per terra, potrei giocare qui in ginocchio per interi pomeriggi. Mi dicevo questo e non pensavo a quello che mi mancava.

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PAGINE CONSIGLIATE. (I PRIMI 2 LINKS GLI HO AGGIUNTI IL 12/06/2010)

Sono Marzia la redattrice di questo sito. Qui di seguito metterò l’indice delle pagine a me più care, i racconti, gli articoli che reputo scritti meglio, i più ricchi di contenuti e sentimenti. Le pagine che spero siano informative pedagogiche ed utili per chi non ha avuto o per chi avuto tante esperienze belle e meno belle.
Buona lettura e spero che mi aiuterete a far conoscere questo sito a ragazzi ed adulti!

http://www.piccologenio.it/?p=496 INTERMITTENZE DELL’AMORE PER ABILI E DISABILI.

http://www.piccologenio.it/?p=504
UN DIBATTITO “PER TUTTI“ NELLA SETTIMANA DEL “PER TUTTI“!
http://www.piccologenio.it/?p=509 UN CLIMA FESTOSO PER TUTTI.

http://www.piccologenio.it/?p=426 il mio rittratto.

http://www.piccologenio.it/?p=17 confidenze di un’allieva scrittrice.

http://www.piccologenio.it/?p=12 esperienze scolastiche 1.

http://www.piccologenio.it/?p=18 esperienze scolastiche 2.

http://www.piccologenio.it/?p=19 esperienze scolastiche 3.

http://www.piccologenio.it/?p=12 il primo articolo che ho scritto e pubblicato sulla rivista “vita dell’infanzia“ della scuola Montessori.

http://www.piccologenio.it/?p=16  il secondo articolo che ho scritto e pubblicato su un giornale che si occupava di cultura sociale.

http://www.piccologenio.it/?p=90 Lettera a Indro Montanelli (brevissima ma efficace).

http://www.piccologenio.it/?p=377 gli occhi non sono solo lo specchio dell’anima.

http://www.piccologenio.it/?p=211 la mia Supernonna! (articolo breve e divertente).

http://www.piccologenio.it/2007/09/29/la-depessione/ la depressione.

http://www.piccologenio.it/?p=329 come si naviga.

http://www.piccologenio.it/?p=364 Il natale è luce da donare.

http://www.piccologenio.it/?p=353 giovani, la difficoltà di amare è la difficolta’ di grescere.

http://www.piccologenio.it/?cat=2 i miei racconti.

http://www.piccologenio.it/?page_id=28 recenzioni.

http://www.piccologenio.it/2014/10/04/presentazione-curriculum-e-riconoscimenti-dellopera-nata-viva-di-zoe-rondini/ il mio curriculum vitae.

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INTERMITTENZE DELL’AMORE PER ABILI E DISABILI.(post con una foto)

È un tema importante e attuale del quale se ne parla molto su internet, gli si dedicano convegni, articoli  su blog, siti, riviste specializzate e non. Sto parlando della sessualità per le persone disabili.
Anche nel mio sito questa tematica viene ampiamente e saggiamente trattata nella categoria “HANDICAP E SESSUALITA’“ dal Dott. Tassiello. In uno dei suoi tanti post, dal titolo: “OCCUPARSI DELLE PERSONE TENENDO CONTO DELLA LORO SPIRITUALITÀ“ egli afferma che una persona con handicap, spesso nel suo percorso evolutivo tende a isolarsi e ad allontanarsi sempre più dalla realtà della vita, spinta dalla necessità e materialità di quei bisogni che sono semplici e banali per i sani “normodotati“. È vero e purtroppo è molto facile cercare un rifugio nelle proprie fantasie per tentare di scappare da una realtà che non ci piace, fatta di tante cose che ci mancano terribilmente e che sono molto lontane da noi, quindi estremamente difficili da raggiungere e realizzare.
Ho anche letto che in Inghilterra nei primi anni settanta, all’interno del movimento radicale dell’Union of the Physically Impaired against Segregation, si è andato sviluppando il cosiddetto modello sociale della disabilità. Esso ha introdotto una nuova idea: la disabilità è un prodotto sociale. La disabilità viene perciò considerata una costruzione sociale e non più l’esito di una menomazione fisica o psichica. Da questo ne consegue un’importante idea che caratterizza un modo di pensare di molte persone; purtroppo non è ancora un’idea recepita e interiorizzata da tutti quelli che cercano di abbattere le barriere architettoniche e culturali per facilitare il potersi esprimere di chi è diverso. A tale proposito partirei con affermare che il diritto di amare e di portare avanti il proprio percorso di crescita sentimentale e sessuale, dovrebbe essere un diritto esteso a tutti , “normodotati“ e “disabili“. Ci sono molti genitori, pedagogisti, psicologi… che sono favorevoli ad organizzare convegni, occasioni reali e virtuali, per parlare di questo argomento. Ci sono anche persone che aborriscono all’idea di riempirsi la bocca di parole su questa tematica.  Bruno Tescari, presidente della Lega Arcobaleno e vicepresidente della Federazione italiana superamento handicap (Fish), non ne poteva più di sentir parlare di disabili e sessualità in modo non corretto anche da parte dei cosiddetti esperti. “Mi sento offeso e molto seccato quando nei convegni intervengono, come relatori, psicologi, assistenti sociali, pedagogisti, operatori ed esperti vari, che parlano della sessualità dei disabili. Ci mettono sotto il vetrino della loro scienza e concludono immancabilmente con “Anche i disabili hanno diritto alla sessualità!“
La sessualità è una caratteristica naturale degli esseri viventi – compresi i disabili – strettamente connaturata sin dal momento della nascita. Ed allora, non parlate, Signori esperti, di diritto alla sessualità; semmai, di diritto al SESSO!”
Secondo me dipende, da come e quanto se ne parla. Se i dibattiti e gli articoli sono fatti bene, perché condannarli? Ci sono tante situazioni che meritano lo stesso ed anche maggiore interesse del sesso delle persone disabili, sto pensando a tutti quegli uomini e quelle donne che hanno perso l’intesa e sono cadute nella noia e nella monotonia del rapporto di coppia. Mi chiedo se queste problematiche non meritano più spazio e più attenzione. Vorrei ricordare che molti disabili fisici e cognitivi, non hanno decifit sentimentali ed affettivi; allora perché molti genitori si scandalizzano tanto e vivono come un lutto il prendere coscienza che la figlia disabile si è affacciata al mondo dell’amore, della passione, del desiderio? Generalmente sono le femmine quelle più penalizzate dalla famiglia e dalla società.
Oggi si comincia a discutere delle tante ragazzine che diventano mamme tra i tredici ed i diciannove anni. È una situazione diffusa all’estero ma in Italia ci sono molti più casi di quanto si pensi. Ci sono molti argomenti legati all’amore che  meriterebbero più attenzione e più spazio, ma ancora, purtroppo, suscitano meno interesse e meno attenzione, forse perché appartengono ai “normali“? Ma se al centro di una vicenda ci fossero due diversamente abili? Se il titolo della notizia fosse più o meno questo: “una coppia di adolescenti disabili danno alla luce un bebè“… come reagirebbe l’ opinione  pubblica? Con lo stesso interesse che si ha per due ragazzini normodotati o le  idee, la curiosità, il gossip, e l’attenzione sarebbero ingiustamente centuplicati? Temo che si verificherebbe una pioggia incessante di parole e di attenzione.
C’è anche da dire  che se per i ragazzi normodotati l’amore, in genere, si affaccia durante la fase adolescenziale, per un disabile può essere una conquista  che richiede maggior impegno ed attesa prima di poter essere raggiunta e vissuta.
Gli esempi e gli argomenti sarebbero ancora un’infinità, ma non voglio addentrarmi troppo in un’analisi dei fenomeni e delle ragioni socioculturali; preferisco puntare l’attenzione sulle idee e sulle opinioni, senza addentrarmi troppo nella materia specifica (come del resto è consuetudine di tutti gli articoli del mio sito).
Vorrei avviarmi ad una conclusione scrivendo ancora delle opinioni personali che possono essere condivise o aprire un dibattito costruttivo: ogni uomo ed ogni donna che vivono la propria crescita sentimentale e sessuale vanno capiti, rispettati, aiutati ed amati. A mio avviso l’amore e la sessualità ci rendono tutti uguali e tutti diversi, unici nel nostro essere; capaci di accogliere l’altro, amarlo, coccolarlo, rispettarlo e fare tutto ciò anche con noi stessi!
Sotto quest’ottica non si può più parlare di abili e disabili, normali e diversi! Ma solo di amore e rispetto delle persone e dei ruoli che le persone (innamorati, genitori, parenti, psicologi, pedagogisti, terapisti, assistenti…) svolgono nella loro vita.

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Giovani: la difficoltà di crescere

Da ormai due generazioni,  sono caduti molti tabù rispetto alla sessualità. Gli adolescenti di oggi possono confrontarsi con gli adulti su questo argomento; la nascita di consultori, l’educazione sessuale a scuola hanno permesso, a livello cosciente, una conoscenza più adeguata e reale del rapporto sessuale, facilitando l’accesso all’informazione e l’uso di metodi contraccettivi oltre ad un’educazione sanitaria di base. Tutto questo lo reputo giusto perché la famiglia, la scuola, la società si trovano a fare i conti con una realtà: i ragazzi di oggi in molte cose sono più precoci rispetto al passato, ed anche le loro paure, insicurezze, ansie… sono molto più violente ed arrivano in età più giovane, rispetto ad un ragazzo di due o tre generazioni precedenti a quella odierna.
Purtroppo però, se da una parte ci sono più mezzi per accedere all’informazione, dall’altra persistono pregiudizi e atteggiamenti discriminatori su ciò che riguarda l’omosessualità, la masturbazione e la verginità; questo perché gli adulti, per paura o per vergogna preferiscono evitare o ignorare chi presenta tali atteggiamenti.
Anche molti ragazzi, prendendo esempio da certi adulti, evitano, fanno sentire solo ed escluso dal gruppo il ragazzo con atteggiamenti di insicurezza, omosessualità, o semplicemente escludono il più “brutto“, il più “sfigato“, l’amico “timido“ e quello che “non piace alle ragazze“.
Nell’adolescenza rimanere solo, escluso dal gruppo di amici, rappresenta quanto di peggio ci possa essere. Significa essere rifiutato, essere diverso e  quindi avere qualcosa che non va, e questo genera solitudine, paura, isolamento, non accettazione di se stesso, ansie, e in alcuni casi terrore e atteggiamenti aggressivi o autolesionisti. Tali problematiche si possono riscontrare sia nei maschi sia nelle femmine. Comunque c’è da dire che  è in questa fase che si comincia a guardare con interesse l’amico o l’amica, si sogna il primo bacio o il primo fidanzato e si avvertono anche i primi batticuori.
Tutti questi sconvolgimento sono normali,  S. Freud se n’è interessato affermando che: “compito dell’adolescenza è il raggiungimento di una sessualità genitale attraverso l’abbandono dei primi oggetti d’amore infantile (i genitori interiorizzati): questo abbandono può avvenire solo attraverso una ripetizione delle dinamiche inconsce relative a queste prime relazioni, tale ripetizione è fondamentale per la rielaborazione dei conflitti psichici e il conseguente rimodellamento dell’apparato psichico.“ In questo periodo della vita l’adolescente si trova a fare i conti non solo con una nuova  sessualità, che arriva dopo la fase edipica e di latenza, ma anche con l’identificazione dell’Io, quindi la personalità, i divieti del Super- Io (la moralità e l’etica), le immagini ideali dell’Ideale dell’Io (le idealizzazioni, i principi ideali).
È senza dubbio un periodo difficile della vita di ogni persona, dove talvolta genitori ed insegnanti sono visti come un ostacolo, non possono capire i nostri sentimenti e cosa stiamo passando. Ma è solo un periodo della vita e si sa che i periodi, belli e brutti, prima o poi si superano.
 

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Come si naviga sul web? (testo anche in versione mp3)

TESTO IN MP3 

Sto preparando un esame sulla comunicazione dei siti web; nei testi si ripete molte volte il concetto che un bravo navigatore dovrebbe usare l’indice, addentrarsi nelle pagine e nelle categorie con curiosità, voglia di scovare quello che più gli interessa, lasciare commenti là dove è possibile senza avere paura di dire la propria opinione. Scrivo questa pagina perché sono d’accordo sul fatto che non bisogna fermarsi all’apparenza che su Internet significa fermarsi all’ home page.
Tutti noi siamo portati a commentare solo gli articoli più recenti, quelli delle prime pagine; ma perché non osare di più e lasciare il nostro commento all’interno di una categoria? Chi fa una ricerca per parole chiave potrebbe trovare prima una pagina interna, con un commento molto bello e interessante. In un secondo momento il navigatore potrebbe andare all’home page, oppure decidere di non andarci per nulla e di guardare la pagina successiva. Per questo motivo sono importanti commenti e testi in qualsiasi pagina essi si trovino.    
Anche nei blog ho notato che si tende sempre a commentare gli articoli appena usciti come se avessimo paura che sono gli unici posti dove possiamo divulgare le nostre idee.
Un sito va consultato come se fosse un quotidiano: i titoli vanno sempre letti, dovremmo cliccare sulle varie sezioni ed andare avanti ed indietro. Anche le pagine che in apparenza hanno un titolo che ci può sembrare inutile o poco chiaro potrebbero avere al loro interno informazioni e link per noi interessanti.        
Ad esempio, tutti noi compriamo il giornale e dopo aver dato uno sguardo ai titoli della prima pagina scegliamo degli articoli interni da leggere con attenzione dall’inizio alla fine. Leggere su un portale è la stessa cosa, non trovate? I siti ci danno in più l’opportunità di interagire con altri navigatori e di scrivere e-mail al responsabile del sito stesso. Allora perché non fruttiamo tutte le opportunità del web?
Forse pensiamo che girare più pagine di un portale ci rubi troppo tempo?
Oggi come oggi i siti sono pieni di indici, mappe e frecce, quindi navigare ci prende meno tempo della lettura di un giornale. C’è da dire anche che gli articoli in Internet sono più brevi e con dei caratteri più grandi di quelli usati dai giornali e quindi secondo me è più rapido e semplice leggere un post su un sito.
Se ci capita di trovare un testo più lungo del normale, perché invece di pensare (come spesso accade): “questo testo mi ruberà troppo tempo“ oppure “mi si stancheranno sicuramente gli occhi prima della fine“; non proviamo a stampare e a leggere su carta, quando abbiamo tempo e siamo seduti sul nostro divano preferito?
Avanti miei prodi! In Internet bisogna osare, sperimentare, mettersi in gioco ed usare la fantasia. Lasciamo anche le tracce della nostra navigazione magari con un e-mail alla redazione e non solo con i commenti.                 

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i bambini hanno gli occhi

Questo articolo l’ho scritto basandomi su un intervista che ho avuto il piacere di fare con il regista Antonio de Palo e con Francesco Ruggieri, che interpreta il ruolo di Francesco.

La mia prima domanda è stata come mai ha scelto questo titolo? La risposta di Antonio, la posso sintetizzare e spiegare dicendo che il cortometraggio “i bambini hanno gli occhi“  vuole analizzare il dolore e l’affettività, in un contesto famigliare e quindi in chiave contemporanea.
I protagonisti sono i bambini.

Il dolore è l’elemento essenziale, forse la musa ispiratrice di tutto il lavoro, esso viene analizzato nel suo duplice significato: quello personale e universale.
“Il dolore è universale“ continua il reggista “in quanto tutti gli esseri umani, nel loro percorso di vita lo provano –ne fanno esperienza- e quindi da questa considerazione possiamo dire che esso ci accomuna tutti; in questo sta la sua universalità.
Il dolore personale, invece, è intimo ed intraducibile, cioè ognuno di noi elabora un proprio modo di provare dolore, e di reagire a questo in modo estremamente intimo e diverso da persona a persona.“ Il regista parte da queste sua analisi e dalle sue considerazioni sul dolore per tessere la trama dell’opera filmica.
Quando gli chiedo  come mai abbia scelto proprio un  titolo così strano, ed in un primo momento difficile da comprendere: “i bambini hanno gli occhi“ mi viene spiegato che in condizioni normali, non patologiche, i bambini hanno la possibilità di vedere/conoscere la realtà che lì circonda.
Ci sono però dei casi, nella vita reale, come in questa storia, nei quali l’adulto non si impegna a fornire gli strumenti ai più piccoli per vedere/conoscere la situazione ed il mondo che li circonda (partendo ovviamente dalla realtà che di norma è più vicina ad ogni bambino: il contesto famigliare). Sono le scelte di non volontà, di apatia, di chi dovrebbe aver cura dei propri figli che determina una cecità metaforica nei protagonisti del film: Angela e Francesco. Questo è bene spiegato a livello scenico, da tante porte che, nel corso di tutta la storia, il “padre-padrone“ le chiude in faccia ad Angela e Francesco. I due diventati ormai grandi, rivedono e rivivono quello sbattere di  porte che non permette loro di rielaborare il passato, ma glie lo fa solo rivivere con tutto il patos di quei momenti che non sono poi così lontani dalle loro vite presenti.

All’inizio del cortometraggio c’è una scena di vita reale: tanti barboni che dormono alla stazione Termini. Quei barboni non sono tanto diversi da alcune scene di vita di Francesco, questo “gioco“ tra realtà e narrato, riesce a far avvicinare la condizione  reale  dei barboni ai sentimenti dello spettatore.
Il cortometraggio si basa sulle scene e i dialoghi sono ridotti al minimo, all’essenziale; quindi i movimenti sono il linguaggio principale che danno un tocco di unicità o per lo meno di rarità all’opera.
A questo punto chedo: “D’accordo che lo sguardo  spesso, viene considerato, il mezzo di conoscenza più immediato che ci permette il primo contatto col mondo che ci circonda, però esistono altri “canali“; tu che ne pensi?“
Antonio risponde che il canale visivo non è l’unico canale di conoscenza, ma nel “i bambini hanno gli occhi“ si sottolinea la privazione dello sguardo rivolto al mondo, in un contesto famigliare negativo e problematico dove un padre, oltre a quello che si è già detto,  sceglie di essere assente nella vita e nella quotidianità del figlio. Questo porta a vivere nel figlio “sano“ una situazione di forte privazione che lo rende uguale ad una persona completamente non vedente. Naturalmente un non vedente può rafforzare gli altri sensi, imparare metodi  di scrittura e di apprendimento alternativi, ma anche qui torna la volontà dell’adulto di fornire, stimolare, far apprendere o negare l’uso di linguaggi, tecniche e strumenti alternativi.
Ho avuto anche il piacere di parlare con l’attore Francesco Ruggieri e di ascoltare la sua versione del significato del lavoro e l’esperienza che ne ha potuto trarre.
Francesco si è imbattuto in un personaggio difficilissimo da interpretare: lui giovane attore normodotato doveva interamente calarsi e quindi diventare in tutto e per tutto un non vedente. Come cammina una persona priva della vista che vive ai margini della società?
Come mangia?
Come scende le scale?
Come si siede per terra?
Come parla alle persone che incontra per strada? Ci sono voluti mesi e mesi di prove per trovare le risposte a queste domande. Mesi nei quali l’attore si è fatto crescere i capelli e la barba. Quest’ultima ha creato un forte stess all’attore e serie difficoltà a mangiare in presenza di altre persone. La metamorfosi fisica e il provare stress, vergogna, disagio ed anche una grande dose di sacrifici e di voler arrivare fino alla fine, hanno fatto si che il personaggio del cortometraggio si esprimesse fino alla fine, in tutto il suo essere “Francesco“.
Le poche battute del copione non erano per lui una facilitazione e una cosa in meno da dover affrontare, bensì un fattore che dava ad ogni singolo gesto un’importanza ancora maggiore. Per questo neanche un “battito di ciglia“ poteva essere lasciato al caso o non voluto dalla storia.
Anche la camminata della protagonista femminile: Angela, i suoi gesti, le sue espressioni, la sua pettinatura… è tutto studiato, misurato, fatto con la stessa cura e lo stesso metodo di Francesco.
La fine di questa storia non poteva essere che tragica, Francesco uccide il padre e si toglie la vita mettendosi due pezzi di vetro negli occhi. Angela scopre i due cadaveri e anche lei, a sua volta, si suicida. Secondo me la morte è l’unica soluzione per la fine della storia; è l’elemento catartico che libererà e rende giustizia a Angela e Francesco.
Questa storia, in particolare il finale, mi fa pensare allo schema delle tragedie greche dove la soluzione dei rapporti esasperati e disperati si risolveva quasi sempre con la morte di uno o più personaggi coinvolti; basti pensare al caso di Medea, dove la donna abbandonata per vendicarsi del marito uccide i propri figli. All’epoca la presentazione di dinamiche così forti e tragiche e la loro risoluzione sconvolgente serviva appunto a creare un sentimento di empatia del pubblico per i protagonisti delle storie, in modo da indurre i cittadini a non ripetere le azione viste sulla scena.
Anche se il cortometraggio ha molti elementi classici è comunque pieno di fonti, di trovate e di pensieri belli da una parte facilmente riconducibili alla realtà di tante famiglie di oggi; dall’altra parte ha tante idee assolutamente nuove e molto studiate se teniamo conto che si sta parlando di un cortometraggio e non di un film e quindi tutto è concentrato in un tempo ridotto.
 

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Operazione Lieta Onlus.

   IN PASSATO TUTTI ABBIAMO SENTITO PARLARE DI FALSE ADOZIONI A DISTANZA. TRUFFE ORRIBILI PERCHE’ FACEVANO LEVA SULLA BONTà DELLA GENTE. ORTRE A RUBARE I SOLDI HANNO RUBATO LA SPERANZA DELLA GENTE DI DARE AD UN BIMBO LONTANO UNA PROSPETTIVA DI VITA MIGLIORE.
CONSAPEVOLE DI Ciò VORREI RICHIAMARE LA VOSTRA ATTENZIONE SULL’OPERAZIONE LIETA. È UNA ONLUS CHE DA DIVERSI DECENNI A QUESTA PARTE AIUTA MOLTISSIMI BAMBINI IN BRASILE, DANDO LORO LA POSSIBILITà DI VIVERE IN UN ECCELLENTE ISTITUTO, CON IL CALORE DI MOLTI VOLONTARI CHE SI DANNO DA FARE PER CREARE, AL SUO INTERNO, UN CLIMA FAMIGLIARE.
CHE DIRVI ANCORA? POSSO DIRVI CHE CON L’OPERAZIONE LIETA ONLUS TANTI BAMBINI SONO DIVENTATI ADULTI, ISTRUITI E CAPACI DI SVOLGERE UN MESTIERE, POSSO RACCONTARVI CHE UNA MIA AMICA C’è ANDATA TANTE VOLTE A FARE VOLTARIATO NELLE CASE FAMIGLIA E QUINDI è TUTTO VERO!
POSSO DIRVI CHE AI TANTI PADRINI E MADRINE CHE GIA’ HANNO ADOTTATO UN BIMBO O UNA BIMBA ARRIVANO COSTANTEMENTE LETTERE, FOTO, PAGELLE SCOLASTICHE, PER SEGUIRE “PIU’ DA VICINO“ IL VOSTO BAMBINO.
COMUNQUE L’ADOZIONE A DISTANZA NON è L’UNICO MODO DI AITARE L’OPERAZIONE LIETA; VI TRASCRIVO TUTTE E TRE LE INIZIATIVE CHE POTETE SCEGLIERE:

 CON 8 EURO AL MESE PUOI UNIRE LA TUA “GOCCIA” A QUELLE DI TANTI ALTRI AMICI CHE IN QUESTO MODO SOSTENGONO IL LAVORO DEI VOLONTARI PER I BAMBINI E LE BAMBINE CHE VIVONO NELLE CASE DI PACOTÃŒ, DI EUSEBIO, DI LIMOEIRO E FORTALEZA.
 

CON 14 EURO AL MESE PUOI PUOI ASSICURARE UN PASTO AI BAMBINI E ALLE BAMBINE CHE GRAZIE ALLE MENSE CREATE NELLA FAVELAS SORTE AI MARGINI DELLA CITTÀ, HANNO LA CERTEZZA DI POTER MANGIARE ALMENO UNA VOLTA AL GIORNO.

INFINE CON 18 EURO AL MESE PUOI DARE VITA AD UNA “ADOZIONE A DISTANZA“ PER SEGUIRE PIÙ DA VICINO I BAMBINI DI PACOTÃŒ, EUSEBIO, LIMONEIRO, FORTALEZA E, DA QUEST’ANNO, ANCHE A PONTA GROSSA (PARANÀ) E SAO BENTO (MARANHÃO). RICORDIAMO CHE PER IL MANTENIMENTO DI OGNI BAMBINO SONO NECESSARIE TRE ADOZIONI, E DUNQUE OGNI BAMBINO HA TRE PADRINI.
DA QUALCHE MESE OPERAZIONE LIETA HA AVVIATO LE ADOZIONI A DISTANZA ANCHE PER ALCUNE CENTINAIA DI BAMBINI DELLE MISSIONI PIAMARTINE DI PONTA GROSSA, NEL SUD DEL BRASILE, E DI SAO BENTO, ZONA POVERISSIMA DEL NORD.
ORA BASTA PARLARE, VI COPIO QUI SOTTO TUTTI I RECAPITI DELLA SEDE DI BRESCIA E LE INFORMAZIONI PER CHI LA VOLESSE SOSTENERE
BUENA VIDA A TUTTI
MARZIA (la redattrice di questo sito)
 

recapiti
Operazione Lieta onlus
via Ferri, 91
25123 Brescia
telefono 0302306463
www.lieta.it

Volontari
Tutto è cominciato con il centro Educacional di Fortaleza. Poi il sogno di Padre Luigi Rebuffini, il sogno di dare casa, cibo e affetto a migliaia di bambini che ne erano privi si è allargato a Pacotì, Eusebio e Limoeiro. Un sogno che si fa concreto ogni giorno grazie anche al cuore, al cervello, alle braccia e alle gambe di tanti volontari, gente che ha scelto di dedicarsi, chi per qualche mese e chi per qualche anno, a dimostrare che con l’amore i miracoli succedono per davvero. Si possono leggere, i miracoli, negli occhi dei bambini e delle bambine della case nate dal sogno di un missionario in cui i volontari si sono dati un semplice obiettivo: far rivivere un clima di famiglia.
Il resto viene di conseguenza. 20 marzo 2010

Come si fa?
Per far giungere il vostro aiuto potete usare

il conto corrente postale n. 10422251 intestato a:
Associazione Operazione Lieta ONLUS
via Ferri,91 -25123 Brescia
IBAN: IT 77 J 07601 11200000010422251

Agevolazioni Fiscali. Ogni donazione a favore di Operazione Lieta è detraibile dalle imposte sia per i singoli che per le aziende (sotto forma di deduzione), fino ad un massimo di 2.065,83 euro. Per poter usufruire di tali agevolazioni è necessario conservare la ricevuta di versamento
Se avete un conto corrente in banca, potete dare disposizioni di fare il versamento del vostro contributo su uno dei seguenti conti bancari:

Banco di Brescia (Agenzia 2)
conto n. 9345, ABI 03500, CAB 11202
IBAN: IT 49 O 03500 11202 000000009345

Banco di Brescia (Agenzia 21)
conto n. 9764, ABI 03500, CAB 11230
IBAN: IT 63 B 03500 11230 000000009764

Banca Popolare di Brescia (via Leonardo da Vinci)
conto n. 52660, ABI 5437, CAB 11200
IBAN: IT 27 I 05437 11200000005266050

Banca Intesa (via Moretto)
conto n.235721/72, ABI 3069,CAB 11210
IBAN: IT 84 M 03069 11210 000023572172
BCC di Pompiano e Franciacorta (filiale di Brescia)
conto n.351261/24, ABI 8735, CAB 11200
IBAN: IT 89 K 08735 11200014000351261

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