Nata viva di Zoe Rondini, la forza delle donne

 

 

 

 

 

 

 

Dal sito Dianora Tinti (http://www.dianoratinti.it/nata-viva-di-zoe-rondini-la-forza-delle-donne/)

L’AUTRICE

Zoe Rondini è lo pseudonimo dell’autrice. Con una laurea in Scienze dell’Educazione e della Formazione alle spalle ed una magistrale in Editoria e Scrittura (giornalismo), ha pubblicato molti articoli sui problemi e diritti dei disabili e con Nata Viva  ha vinto premi e menzioni d’onore in vari concorsi letterari.
Da questa storia è stato tratto uno spettacolo teatrale, “La cantastorie Zoe“, scritto dalla stessa autrice e Matteo Frasca con la supervisione di Tiziana Scrocca, attrice, autrice e regista, andato in scena a Roma presso il Teatro Abarico e il Teatro Arvalia.

DI COSA PARLA

Nata viva racconta la storia di Zoe che, fin dalla nascita, convive con un grave problema fisico al sistema nervoso centrale dovuto al fatto che nei primi cinque minuti della sua vita non ha respirato.

COSA NE PENSO

Nata Viva non è soltanto la storia di una neonata, bambina, adolescente e donna speciale: Zoe. E’ molto di più…
Leggendo questo intenso racconto non si può certo dubitare che sia autobiografico, ma oltre alla protagonista non esiste pagina dove non si senta forte la presenza di altre due donne: la mamma e la nonna di Zoe.
Ecco perché, a parte qualche figura maschile, quella dell’amato nonno al quale viene dedicato un capitolo ed un’altra in particolare, lo definirei un romanzo al femminile.
La storia di tre donne, quindi, con le loro solitudini e zavorre che quotidianamente si portano dietro, ma anche con la loro dignità e i loro sogni perché quelli non mancano mai.
Già il titolo ci trasmette l’idea di qualcosa di palpitante, vitale, energico. Nascere vivi, vuol dire nascere per esistere, per conoscere, sfidare, osare, arrivare più in là possibile. L’essere umano è programmato per la vita e nessuno lo è meglio di una donna.

L’uomo nasce e piange. È così. Lo ha deciso madre natura. Senza zio Aristide
probabilmente io non sarei neanche nata. Ma io nasco e non piango. Non respiro
neanche. Tutti i dottori si affrettano a rianimarmi, ma rimango cinque minuti completamente senza respirare. Si tratta solo di cinque minuti, ma sono i primi della mia vita…

Zoe, dentro, è una bambina come tutte le altre, ma fuori no. Quei primi cinque minuti della sua vita la costringeranno a confrontarsi fin da subito con un mondo che ha tanto da offrire ma che esige ancora di più.

“Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale agli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio.“ Cosi inizia il libro.

Nata Viva è un inno alla vita. Sgombrate la mente da pensieri negativi, qui non troverete niente di ciò.
Certo, trasuda dolore, in alcuni casi delusione e sgomento, ma ciò che prevale è la convinzione che è sempre possibile farcela e il male procurato da alcuni avvenimenti è addolcito dalla delicatezza con la quale vengono descritte le impressioni e gli stati d’animo sia della protagonista che degli altri personaggi.

Non è facile mettersi a nudo, mostrarsi completamente senza veli, senza alcuna protezione. L’autrice invece lo fa, mostrando un animo forte come una roccia e delicato come una margherita.

La stessa forza che ritroviamo nella nonna, donna di raro valore, faro e punto di riferimento nella tempestosa esistenza di Zoe.

Il rapporto con l’altra donna di questa storia, la mamma, appare più conflittuale, ma ovunque traspare per lei amore e comprensione. Come se l’autrice dicesse sottovoce: ..non deve essere stato facile neanche per lei…

Zoè Rondini è riuscita con maestria a confezionare una storia particolare, non la solita autobiografia. Per questo la sua personale vicenda diventa un emblema e un monito per tutti coloro che non si accontentano, ma che inseguono i propri desideri nutrendoli continuamente con nuove, anche se incerte, aspettative.

Perché come conclude lei stessa… “Eppure la vita riserva inaspettate sorprese alle persone che nonostante tutto… nascono vive!“

Dove comprare “Nata viva

È  possibile ordinare “Nata viva“ in tutte le librerie d’Italia.

È consigliabile comprarlo direttamente alla casa editrice:

È possibile ordinare Nata viva alla casa editrice, scrivendo a:

ordini@ilfiloonline.it

o per comunicazioni relative alla distribuzione in libreria:

distribuzione@gruppoalbatros.com

E presso il sito internet: 

http://www.ilfiloonline.it/index.php?page=shop.product_details&flypage=flypage.tpl&product_id=274455371&category_id=11&option=com_virtuemart&Itemid=239&vmcchk=1

Alcune copie sono già presenti presso:

Libreria Manzoni, Viale Parioli 16L (Roma).

Libreria Il Filo, Via Basento 52 (Roma).

Libreria Mdd Bookshop via Ascanio Sforza, 37 (Milano).

Il libro è acquistabile online presso i seguenti siti:

http://www.ilfiloonline.it/index.php?page=shop.product_details&flypage=flypage.tpl&product_id=274455371&category_id=11&option=com_virtuemart&Itemid=239&vmcchk=1

http://www.deastore.com/libro/nata-viva-zoe-rondini-gruppo-albatros-il-filo/9788856743036.html

http://www.ibs.it/code/9788856743036/rondini-zoe/nata-viva.html

http://www.bol.it/libri/Nata-viva/Zoe-Rondini/ea978885674303/

http://libri.dvd.it/altri-generi/nata-viva/dettaglio/id-3309930/

http://www.libreriauniversitaria.it/nata-viva-rondini-zoe-gruppo/libro/9788856743036

http://www.amazon.it/Nata-viva-Nuove-voci-Rondini/dp/8856743035

http://www.webster.it/libri-nata_viva_rondini_zoe_gruppo-9788856743036.htm

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“NATA VIVA“ di Zoe Rondini edizioni Gruppo Albatros il Filo Aprile 2011 di Alessandro Leggieri

Nata viva di Zoe Rondini

Recensione a cura di Alessandro Leggieri per www.piccologenio.itSono sorretta da molti cuscini: non ho forza nei muscoli, sono come una bellissima bambola di pezza, lancio delle intense occhiate a mamma e nonna: è l’unico modo che ho di comunicare“.

E’ in questo modo che l’autrice descrive il momento del ritorno a casa dall’ospedale dopo essere sopravvissuta alla propria nascita; si perché Zoe, dopo essere uscita dal ventre materno, non respira e non può esprimere la sua gioia di vivere con il consueto pianto che tutte le mamme aspettano di sentire come segno che tutto si è concluso per il meglio. Il pianto arriverà solo dopo cinque minuti, purtroppo non senza conseguenze permanenti.

Un po’ diario autobiografico, un po’ romanzo di formazione, “Nata Viva“ è il racconto di un’esperienza di crescita. Racconto che non è solo un resoconto degli accadimenti ma anche sostegno, come sottolinea l’autrice stessa, nei momenti difficili.

Particolarmente difficile è stato per Zoe il periodo dell’adolescenza. Dopo la separazione dei suoi genitori, il padre naturale si fa sempre più assente, un dolore che l’autrice decide di tenere per sé e solo accenna. Principale figura paterna diventa allora Rickie, il nuovo compagno della madre con il quale Zoe instaura un ottimo rapporto. “Rickie era così, riusciva a trasformare le piccole cose in qualcosa di speciale e sempre divertente: (…) ed era sempre pronto a scherzare e giocare con tutti“. 

Improvvisamente, all’età di tredici anni, Rickie muore lasciando un vuoto profondo nel cuore di chi gli voleva bene. “Rickie non c’era più (..). ma io conservo ricordi dentro di me e li scrivo sulla carta in modo che non sbiadiscano“. E’ in questo modo che Zoe inizia l’avventura della scrittura.  “In quegli anni trascorrevo interminabili pomeriggi a casa e scrivevo era l’unica cosa che potevo fare senza l’aiuto di nessuno“. La scrittura diventa allora per l’autrice anche un’ancora di salvataggio nei confronti della solitudine, della tristezza e della noia.

Comincia in questo periodo la consapevolezza delle “profonde diversità“ che portano l’autrice ad un isolamento forzato dai coetanei. “Mi perdevo in lunghi ragionamenti su cose che per gli altri erano banali: il passare del tempo, l’avvicendarsi delle stagioni, i legami tra le persone che conoscevo“. E’ solo attraverso questo “riflettere tra me e me“ che l’autrice diventerà consapevole dei propri limiti e delle proprie capacità. 

Accanto ad episodi prettamente adolescenziali come un pomeriggio passato sulle transenne dell’entrata di una discoteca in attesa delle amiche che non si presenteranno, episodio però significativo in quanto testimonianza di un’autonomia voluta e ricercata, l’autrice ci narra anche di “sostegni buoni e cattivi“, di azioni banali che diventano difficoltose per l’incapacità di prendersi delle responsabilità da parte degli adulti. E’ così che durante le medie Zoe deve attendere la madre alla fine delle lezioni per andare in bagno in quanto né bidelle né professoresse si prendono la briga di accompagnarla al piano di sopra per paura che possa succedere qualcosa e loro possano andarci di mezzo

Come un filo d’Arianna nel labirinto di quel periodo della vita che trasforma ognuno di noi da bambini in uomini e donne, Zoe ci conduce attraverso episodi piccoli e grandi  e ci svela il suo personale percorso; un percorso più tortuoso della norma ma che alla fine porterà l’autrice ad un elevato grado di comprensione ed accettazione delle difficoltà legate alla propria condizione sia per sé che per gli altri.

La lettura di questo romanzo di formazione è consigliata ad adolescenti, giovani, genitori, docenti, presidi, insegnanti di sostegno e nonni. È un romanzo di formazione a tutti gli effetti (è un racconto non un saggio sulla disabilità) ma può essere anche di insegnamento per chi, adolescente, cerca la sua strada e la propria identità dentro e fuori dal gruppo, dalla famiglia, dalle convenzioni… o quasi…! A chi l’ha già trovata e desidera aiutare i più giovani che si stanno ancora cercando e scoprendo!

Zoe Rondini è una scrittrice, blogger e giornalista; il suo blog è www.piccologenio.it. È laureata in lettere e pedagogia. Da anni la sua scrittura si incentra sui diritti delle persone disabili ma anche su  cinema e le tematiche pedagogiche sue grandi passioni. Ha anche pubblicato su altri siti, blog, giornali on-line e su “La Vita dell’Infanzia”: la rivista italiana della Montessori. Ultimamente si è dedicata ad un’altra importante tematica: nel suo blog sono presenti molti articoli sull’amore la sessualità e la disabilità. Sogna di avere più visibilità sui media per far sentire la sua voce a favore dell’infanzia e dei disabili. Nata viva è la sua opera prima.

 

 

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La sessualità delle persone disabili, presa sul serio, ma con leggerezza.

Regia: Carlo Zoratti
Anno di produzione: 2013
Durata: 82′
Tipologia: documentario
Genere: biografico/sociale
Paese: Germania/Italia/Austria
Produzione:
DETAiLFILM, Videomante; in collaborazione con ZDF, Rai Tre (Doc3)
Distributore:
Tucker Film
Data di uscita: 01/04/2014
Formato di ripresa: HD
Formato di proiezione: DCP e Digibeta, colore
Titolo originale: The Special Need
Altri titoli: L’Amore Secondo Enea

 

Tutti nella vita desiderano trovare l’Amore, e prima o poi, tutti, ce la fanno.

The Special Need racconta la storia di un giovane uomo che, come tanti altri, a trent’anni vuole una compagna, tutta sua, con cui fare l’amore. Per Enea soddisfare quest’esigenza appare davvero complicato. Il suo principale ostacolo è l’autismo, o meglio, il modo in cui questo viene percepito all’esterno. È infatti molto diffuso il luogo comune che porta a considerare le persone disabili come degli eterni bambini. A scontrarsi contro la futilità di questo pensiero è Carlo Zoratti, giovane regista del film e amico di Enea fin dall’adolescenza. I due crescono insieme, fino a quando per un periodo Carlo si allontana dalla città in cui vivono. Al suo ritorno, come racconta nel suo intervento a Che Tempo Che Fa, incontra Enea alla fermata del bus. È cresciuto, sono coetanei, entrambi ormai due uomini. La prima cosa che Carlo si domanda è come il suo amico si rapporti con le esigenze di un adulto, prima fra tutte quella di avere la morosa. Ed in effetti Enea desidera tantissimo avere una ragazza. Carlo, insieme all’amico Alex, si assume allora l’impegno di intraprendere la missione trovare una ragazza ad Enea! Da qui l’idea di documentare attraverso un road movie questa incredibile avventura, che li condurrà sino in Germania.  In Italia la soluzione al bisogno di Enea, per ora, non esiste. È la legislazione addirittura ad impedirlo, sanzionando chi ha rapporti con persone con disabilità intellettiva quasi allo stesso modo di chi ha rapporti sessuali con minori.

Il film affronta con grande delicatezza il tema dell’assistenza sessuale, senza inutili giri di parole, denunciando la situazione legislativa italiana e mettendola a confronto con quella europea. La professione dell’assistente sessuale è esercitata da terapiste dell’amore, che aiutano le persone disabili a esplorare il proprio corpo, le proprie pulsioni e i proprio desideri. Dato il labile confine che la separa, apparentemente, dalla semplice prostituzione, l’assistenza sessuale viene percepita negativamente da chi ne fa un questione puramente morale. In Italia, paese laico solo sulla carta, tale figura non riesce a prendere piede, viene denigrata, relegando la questione della sessualità delle persone disabili all’intimità della famiglia  e, in alcuni casi fortunati, agli amici. Tuttavia la maggior parte dei diversamente abili e dei loro familiari è favorevole a questo tipo di assistenza, che si fonda anche su una preparazione psicologica e terapeutica.

Il viaggio di Enea è anche un viaggio interiore. Il protagonista negli 82 minuti del film cresce. All’inizio della pellicola gioca con il liquidator, mentre sulla via del ritorno, ragiona sul desiderio di incontrare l’amore e di poter ballare con la sua fidanzata sulle note della sua canzone preferita.   Per questo cambiamento si potrebbe paragonare The special Need ad un romanzo di formazione. Il film narra una storia ironica,  commovente, raccontata con sapiente delicatezza. Aiuta lo spettatore a riflettere sui pregiudizi,  sulla morale, sulla figura dell’assistente  sessuale per disabili, sull’amore, la sessualità, la complicità tra amici; su aspetti della vita di ogni persona, non solo e necessariamente delle persone disabili. I confini tra normalità e disabilità, moralità e diversità sembrano non appartenere a nessuno per fortuna.

La “favola moderna di Enea“, come la definisce Carla Meneghin, la terapista che si occupa di Enea, in un’intervista rilasciata alla rivista Il Redattore Sociale (http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/457539/The-special-need-il-film-on-the-road-che-rompe-il-tabu-su-sesso-e-disabilita) apre un nuovo sguardo su un problema molto urgente delle persone disabili e delle famiglie. Nell’intervista la dottoressa Meneghin parla dell’Enea del film che appare come un giovane uomo spiritoso e vivace. Tale leggerezza e vivacità, sebbene dolorosamente autentiche, rischiano di confondere gli spettatori. “L’Enea del film – come spiega Carla Meneghin – è l’esito di una pazientissima relazione, terapeutica e affettiva, con me e con i suoi splendidi genitori. Un processo che non avrà mai fine, anche se i risultati non smettono mai di sorprenderci“.

Applauditissimo al Festival di Locarno (unico italiano nella sezione Cineasti del presente); vincitore per 4 volte nel 2013 nelle rassegne Trieste Film FestivalZagrebDoxSXSW Film Festival e Dok Leipzig e da ultimo primo classificato al DALLAS INTERNATIONAL FILM FESTIVAL, nella sezione documentari http://diff2014.dallasfilm.org/congratulations-2014-dallas-international-film-festival-winners-2/ , The Special Need è stato definito dalla stampa il caso cinematografico del momento.

 Un piccolo film che apre la mente e tocca il cuore.

 Di Zoe Rondini.

 

Gli altri mie post su amore, sessualità e disabilità sono:

http://www.piccologenio.it/2013/07/24/amore-e-sessualita-unoccasione-per-un-cambiamento-sociale-e-culturale/ AMORE E SESSUALITà, UN’OCCASIONE PER UN CAMBIAMENTO SOCIALE E CULTURALE

http://www.piccologenio.it/2013/07/20/disabilita-sessualita-e-famiglia-la-condizione-in-italia/  DISABILITA’ SESSUALITà E FAMIGIA, LA CONDIZIONE IN ITALIA.

http://www.piccologenio.it/2010/07/19/intermittenze-dellamore-per-abili-e-disabili/ INTERMITTENZE DELL’AMORE PER ABILI E DISABILI.

http://www.piccologenio.it/2010/04/28/un-dibattito-per-tutti-nella-settimana-del-per-tutti/  HO PARLATO IN UN DIBBATTITO SULL’AMORE E SESSUALITà PER LE PERSONE DISABILI.             

http://www.piccologenio.it/2008/10/26/giovani-la-difficolta-di-amare-e-la-difficolta-di-crescere/ GIOVANI, LA Difficoltà DI AMARE è LA Difficoltà DI CRESCERE

 http://www.piccologenio.it/2012/03/28/lurlo-silenzioso-di-zoe/ L’URLO SILENZIOSO DI ZOE

 

 

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Nata viva su Arte e Cultura, comune di Torino

Nata viva

“Nata viva“ è la storia appassionata e appassionante di una bambina che ha la sfortuna di venire al mondo con un problema grave: difficoltà respiratoria.
Nasce viva Zoe, ma comincia a respirare cinque minuti dopo la sua nascita e quei cinque minuti segnano la sua vita per sempre: un respiro intrappolato per un tempo infinito in un corpo troppo piccolo la costringono, fin dai primi mesi, a lottare per quella vita che in quei primi cinque minuti sembrava le fosse negata. È infatti la storia di questa bambina che, crescendo, impara a superare tutti gli ostacoli, ad affrontare le incomprensioni di chi non la capisce, a sostenere sforzi sovrumani per un unico obiettivo: condurre una vita normale, vivere e non solo esistere.

Zoe, lentamente ma coraggiosamente, con testardaggine diremmo, impara a camminare, a parlare, a leggere e a nove anni scopre la grande passione per la scrittura: comincia così a scrivere i suoi primi racconti. Ma a tredici anni si trova a superare il momento più difficile della sua vita a causa di un lutto doloroso. Un momento di dolore, ma anche uno stimolo a tentare l’avventura più importante: per necessità o per caso o per bisogno di reagire oppure per libera scelta, decide di iniziare un racconto autobiografico che l’impegna per dodici anni.
Ecco come una bambina, divenuta ragazzina e poi ragazza, nelle varie fasi della sua crescita, ha saputo lottare, in un’alternanza di luci e di ombre, di vittorie e di sconfitte, per arrivare con le sue sole forze a quella serenità alla quale tutti aspiriamo, acquisendo una personalità forte e veramente ammirevole che colpisce. Poiché Zoe non si è mai adagiata nel suo problema, non si è mai rassegnata al “non vivere“ per la sua disabilità, ma ha saputo trovare la strada a lei più congeniale per “vivere la vita che nei primi cinque minuti“ sembrava le volasse via. Poiché Zoe vuole “vivere’ e non solo “esistere“ e dare un significato alla sua vita.
In questo libro sono presenti tutti i protagonisti della sua stupenda e coraggiosa vicenda: amici e nemici, familiari, compagni di scuola, dottori, fisioterapisti, maestri, insegnanti, docenti universitari, presidi, babysitters, viandanti. Un libro adatto a tutti: studenti, adolescenti, adulti, genitori, insegnanti…

L’AUTRICE
Zoe Rondini è lo pseudonimo dell’autrice. Laureata in Scienze dell’Educazione e della Formazione, attualmente sta studiando per ottenere la laurea magistrale in Editoria e Scrittura (giornalismo). In passato ha pubblicato molti articoli riguardanti i problemi e i diritti delle persone disabili su vari siti, su un quotidiano on-line e sulla rivista italiana dell’Opera Montessori. Nata Viva è la sua opera prima, segnalata al concorso letterario“Premio nazionale di letteratura Prof. “Francesco Florio“ 23 edizione 2011 – Licata“ con un diploma di elogio, ottenendo il punteggio di 93/100.

“Nata viva“
Autore: Zoe Rondini
Editore: Il Filo – 2011
Costo: 15,50 euro

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recensione di Nata viva a cura di Enrico Arata

 

Nata Viva
Nata Viva

La vita vien così, tutta d’un tratto.

Non conosco neanche un uomo che abbia mai deciso di vivere ancor prima che la vita fosse cominciata. Molti di voi potrebbero ben risentirsi di un’affermazione così ovvia. Frattanto, quanti di voi sanno dirmi di donne e di uomini che scelgono di vivere quando la vita sembra essere gracile o dannatamente faticosa? Dal canto mio posso raccontarvi di amici tanto cari che della vita non hanno tollerato le prime oscillazioni, né i consecutivi trasalimenti.

Parliamo d’altro, di cose a noi gradite, di fiori nascenti e di giochi per bambini. I più bei giochi sono  quelli che si fanno per terra, perché è proprio lì che si coltivano le prime relazioni con la vita. Il gioco per terra affina la percezione tattile, educa al riconoscimento olfattivo e alimenta il senso critico di ogni bambino. Sì, giocare per terra è bello e giusto, finché non ci si dimentica della protezione che ci rende la terra. Ci si rivolge maliziosamente al volo degli uccelli. I bambini lentamente si discostano dal suolo, svelano a tutti la sommità del capo. Osservano esterrefatti l’immensità dell’orizzonte. È quando si sta in piedi che si cresce e ci si allontana gradualmente dalle piccole cose. Si perde l’attenzione per il dettaglio e per il frammento e ancora per l’individuo e  finalmente per la vita, tutta…Ma Zoe resta ancora giù, interdetta, che rigira tra le mani il suo piccolo mondo. Le quotidiane compagnie sono distratte, e non si bada a certe cose che oramai non dilettano più. Avanti Zoe, alzati!

Vi siete mai chiesti quante cose si possono fare in cinque minuti?

In cinque minuti possiamo preparare un buon caffè; fumare una sigaretta;  stravolgere l’andamento della borsa; segnare il goal della vittoria; ascoltare un brano musicale; chiedere la mano di una donna. Di cinque minuti possiamo rimandare la sveglia della mattina, poi di altri cinque minuti e volendo di altri cinque minuti ancora, finché di cinque minuti in cinque minuti non ci si accorge d’aver rimandato la sveglia di un’ora e quarantacinque minuti. Con cinque minuti si intende un intervallo di tempo che generalmente va dai cinque ai trenta minuti.

Beh, facciamo un gioco, così per divertirsi.

No, non preoccupatevi, questo è un gioco di quelli che durano poco, pochissimo! Vi chiedo solo di trattenere il respiro per cinque minuti…

Sapete, noi tutti ammiriamo l’orizzonte, la somiglianza che esso ha con l’eterno, con il desiderabile e l’inafferrabile. L’orizzonte è le nostre aspirazioni, i nostri capricci, i nostri vizi, le nostre conquiste. L’orizzonte è la proiezione ricercata di un domani più sereno. Cinque minuti sono un’inezia, il più piccolo dettaglio di  un’intera esistenza. Zoe l’orizzonte non lo vede, è troppo lontano, è tanto in alto. C’è che restare cinque minuti senza mai respirare al momento della nascita è cosa eterna per il nostro cervello, sufficiente a determinare quel che saremo, ma non necessariamente quel che faremo. La zona del sistema nervoso di Zoe, quella che interessa il movimento muscolare è lesa.

La piccola Zoe non potrà mai alzarsi. Non potrà mai camminare.

La vita vien così, tutta d’un tratto. È compito nostro darle un valore, un senso compiuto.
Zoe, la madre, la nonna, il nonno, Fiore, Ricky, Georgia hanno combattuto, tutti, affinché nulla restasse incompiuto; affinché il destino non si rivelasse già determinato. Si capisce, c’è chi non sopravvive alle battaglie, e forse qualcuno decreta troppo presto la propria resa. Ma vi dico, per di più, che Zoe cammina, proprio così, proprio lei, cammina. Credetemi, non è poco.

No, non chiedo di conoscere quel che non possiamo capire. Ma vedere il mondo da terra, ritrovarsi poi ad alzarsi e superare giorno per giorno il proprio limite è qualcosa che ci lega, tutti.

Così, la nostra Zoe indica l’orizzonte, ancora indefinito, anche per lei accattivante. Come tutti lo insegue, nei beni e nei mali, consapevole che niente nella vita è mai perduto.

Un giorno capiremo che la vita vien così, tutta d’un tratto.

Nata viva è il racconto di un frammento di vita, uno di quei romanzi brevi detti esistenzialisti. È la storia di una bimba, un’adolescente, una donna nata “diversa“, ma viva, più di tutti!

È un implicito inno alla vita. Ben distante da ogni pensiero nichilista, per non dire scettico, questo prezioso romanzo infonde nel lettore valori come il coraggio e la determinazione. Estremamente equilibrato nelle dinamiche, scritto con un dire delicato, a tratti pungente.

Uno dei racconti più autentici della letteratura italiana contemporanea. Zoe all’età di tredici anni iniziava a scrivere il suo diario, come fa d’altronde ogni bambina di quell’età. Scriveva già coll’urgenza che affligge gli scrittori, con quella necessità di dire e di comunicare e di capire le cose, attraverso la scrittura. Ha scritto tanto, e mentre le bimbe ben presto abbandonavano il loro diario, Zoe, il suo, lo arricchiva sempre di nuovi e ancora nuovi contenuti. Oggi quel diario è qui, in questo romanzo, tagliato e cucito, sì, ma autentico, che conserva ancora il sentimento del bambino.
Lasciatemi dire, poi taccio, una parola sul vizio del normale.

Normale. L’inquietudine degli esseri serba la necessità di definire una collettiva percezione dell’ordinario. Normale. Che ingenua ironia. Io penso al naso. Io penso ineluttabilmente a un naso!

Per un bambino le opzioni sono categoricamente due: i nasi sono  a patata o sono all’insù.


Tutto il resto  dei nasi è normale, non conta. Il resto non conta, ma quei due nasi anomali implicano tutta la meticolosa descrizione del volto. Per un bambino non è poco. Per la vita non è poco. Per me non è poco. Le realtà insolite, poco ordinarie, al tempo stesso  intimidiscono e saziano la vita.

I giochi più belli erano proprio quelli per terra, luogo fertile per fantasticare, per vivere.

Di normale non c’è niente o forse abbiamo tutto. Questo lasciamolo decidere ai bambini.

Zoe oggi è una donna, una scrittrice, una dottoressa, una sorella, una figlia, un’attrice, una viaggiatrice, un’amica, e se dalla sua anormalità si può trarre del coraggio, torniamocene a giocare per terra.

 

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Disabilità come risorsa. In un romanzo autobiografico, il racconto di un esistenza vissuta con fede ed energia

Nata Viva
Nata Viva

pdf: 036-038 l’ultimo articolo su Zoe Rondini e Nata viva, c’è solo un errore di nomi per il resto è bello e con tante foto! fonte: rivista “A Sua Immagine” n.44- 9 novembre 2013. Articolo di Domitia Caramazza.

buona lettura!

“Tutti i dottori si affret­tano a rianimarmi, ma rimango cinque minuti completamente senza respirare. Si tratta solo di cinque mi­nuti, ma sono i primi della mia vita… in quei momenti nessuno, nemmeno i medici potevano capire il perché non mi era arrivato abbastanza ossigeno al cervello: è questo che mi provocherà la morte di alcune cellule del sistema nervoso centrale, proprio quelle che controllano i movimenti…“. Marzia sintetizza così, nel primo capitolo del suo romanzo autobiografico, Nata viva, i primi minuti di vita in cui ha rischiato di morire, fatali per la lesione cerebrale che le ha causato un handicap motorio. Nel tempo, lo ha saputo trasformare in vera e propria risorsa, grazie a tanto carattere, all’amore delle persone care, in particolare della nonna, e alla fede. “Quando ero piccola tutti mi diceva­no che ero uguale agli altri bambini, poi, crescendo, mi è venuto qualche dubbio“. Esordisce autoironicamente Marzia, convinta che negare le diffe­renze non sia un’arma per combatterle. Ha imparato a ‘giocare’ con i propri limiti, per migliorarsi. La passione per la scrittura le ha aperto una finestra sul mondo, che racconta con vivace intelli­genza. È il suo concetto di esistenza che non sposerà mai l’idea di normalità, nella più banale accezione, in quanto crede nell’unicità della vita di ciascuno, “anche in tutti gli equilibri mancati“. Niente è scontato per Marzia. Non lo è stato nascere, non lo è stato parlare o scrivere, e soprattutto non lo è stato camminare.

 

Primi difficili passi

Cinque minuti di blackout

Cinque minuti di blackout
Cinque minuti di blackout

“Sono una persona deambulante, an­che se a volte sembra che stia per cade­re o in procinto di schiantarmi al suolo. Anche se barcollo tanto, oramai, a 28 anni, sono poche le volte che realmen­te cado per terra e quelle poche volte non faccio in tempo a toccare il suolo che già mi sono rialzata“. Marzia in­troduce così quella che definisce l’im­

Nata viva

Dalla sua opera prima è stato tratto uno spettacolo teatrale

La Cantastorie Zoe

L’handicap

come ricchezza Marzia, in arte Zoe Rondini, ha fatto

della sua disabilità una risorsa di vita.

E lo racconta con forza, coraggio ed energia

di Domitia Caramazza

 presa più assurda e faticosa della sua vita: camminare. Quando ha ancora pochi mesi, gioca per terra, come tutti i bambini, poi, nel rimanere seduta a osservarli muoversi e camminare, ac­quisisce progressivamente la consape­volezza della propria disabilità. Sono numerosi e conflittuali i ricordi legati ai medici e ai fisioterapisti, soprattutto quello che fa riferimento a Damian, l’inglese al quale riconosce il merito della sua deambulazione autonoma. È con lui che Marzia inizia a cammi­nare sola, stringendo forte i pantalo­ni sull’esterno coscia per mantenere l’equilibrio. È una bambina, ma deve esercitarsi anche durante l’estate. Non può rischiare di perdere tutti i piccoli ma faticosi progressi raggiunti. Da­mian la raggiunge a Roma per alcuni periodi di terapia intensiva, durante i quali le impone infinite camminate. Il suo metodo è la motivazione psicolo­gica. “I medici che mi visitavano nei primi anni di vita, dicevano che non avrei mai camminato. Invece, adesso, mi muovo da sola“. Afferma risoluta Marzia.

Persone importanti

Insieme a nonno, sorella e mamma
Insieme a nonno, sorella e mamma
Insieme alla nonna
Insieme alla nonna

Negli anni della prima infanzia la mamma e la nonna lottavano per farla crescere serena: “Non sapevo che papà non riusciva ad accettarmi, non sapevo che i miei stavano per se­pararsi“. All’età di due anni, i genitori chiedono l’annullamento del matri­monio. Più tardi, la madre si fidanza con Rickie, entrato a far parte della loro vita “in punta di piedi“. Lui, re­duce da una poliomielite infantile, sa benissimo come e quando dover aiu­tare Marzia, stimolandola a fare mol­tissime cose. Riesce a comprenderne le difficoltà e a rassicurarla più di altri. La parte destra del corpo di Rickie è rimasta più piccola rispetto a quella sinistra. È completamente autonomo, ma ha un braccio che non riesce più a utilizzare quasi per niente. Rickie, però, muore all’improvviso, nell’estate del 1994, periodo in cui Marzia/Zoe, decide di iniziare a scrivere Nata viva. Ad accompagnarla nell’impegnativo passaggio dall’infanzia all’adolescen­za, dopo i primi anni di vita trascorsi con la tata ‘Nonna Ali’, è la ventenne Ingrid, ex capo scout. Niente coccole, al contrario, la rende autonoma nel la­varsi, asciugarsi e mettersi il pigiama, facendole capire che non serve chi la compatisca. La persona più impor­tante della sua vita, però, è la nonna: “L’unica che non ha smesso di aiutar­mi e di starmi vicina, ha sempre credu­to nelle mie potenzialità e per questo mi ha fatto raggiungere molti traguar­di“. Marzia è cresciuta con lei. È con la nonna che usciva nel tempo libero. È stata la nonna a imporsi perché im­parasse a camminare. A sostenerla nelle difficoltà scolastiche. A regalarle il viaggio più bello, a New York. Ad aiutarla a scrivere il primo articolo. La nonna è stata sempre e amorevol­mente vicina. Il nonno, invece, “uomo saggio e importante“, l’ha aiutata a preparare i primi esami universitari.

I traguardi della vita

L'Abbraccio
L’Abbraccio

“Mentre gli altri bambini giocavano, io ho passato tante, troppe ore sedu­ta al banco dell’asilo e il pomeriggio”

Storie di fede MARZIA RONDINI

 

IN LIBRERIA

Tra vivere

ed esistere

Non è un trattato o un saggio sulla disabilità, ma un appassionato romanzo autobiografico di formazione, in cui la protagonista, Zoe, diviene testimone del sorprendente incontro tra limite e prospettiva, civiltà e pregiudizio, presenza e invisibilità, non accontentandosi del “quieto vivere“ che spesso la società assegna alle persone disabili. Per maggiori informazioni gli indirizzi e-mail

sono info@piccologenio.it,

e ordini@ilfiloonline.it.

Nata Viva

Nata Viva

Zoe Rondini

Editore: Gruppo Albatros Il Filo

Anno di pubblicazione: 2011

Numero pagine: 195

Prezzo: € 15,50

Cinque minuti di blackout Nei primi attimi di vita non ha respirato, riportando danni molto gravi al sistema nervoso centrale

A Sua Immagine 37

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incontrare Pinocchio – lettura di “Nata viva”

Roma, 21 marzo 2013 – Istituto Leonarda Vaccari

di Matteo Frasca

Mai avrei pensato di incontrare Pinocchio così da vicino. Sia come storia che rivive in un’altra storia, in un’ altra rapsodia narrata, sia come personaggio che si racconta in prima persona. E che questa sera, proprio questa sera, questo Pinocchio me lo ritrovassi proprio accanto a me, in questa prestigiosa sede. 

 Non avrei mai pensato fino a qualche anno fa di ascoltarne la voce legnosa, rugosa,  insolita, dal suono fantastico che si fa parola e la parola che diventa bugia, intesa non tanto come affermazione non corrispondente al vero che – ad essere sinceri – è definizione coerente con il concetto stesso di letteratura – quanto come a quell’immagine di bugia  intesa come contenitore, come porta candela, dove la fiamma si autogenera e vive delle parole che illuminano, bugia  come una scatola magica da cui fuoriescono il corpo, la storia, le immagini, le emozioni più profonde, ma straordinariamente concrete, dell’autrice.

Nelle tante occasioni che abbiamo avuto Zoe ed io, di raccontare la sua storia, Zoe ci ha sempre tenuto a definire “Nata viva“ non come un’autobiografia, né come racconto in prima persona della disabilità, né tanto meno un pamphlet  lamentoso che dispensa consigli e spara a zero sulla società che mal comprende le esigenze delle persone con disabilità, che non le accetta, che non le facilita. L’ha definito sempre un racconto o ancor meglio un breve romanzo di formazione.  E non riesco a vederne altre di più azzeccate, rispetto al genere letterario a alla tradizione letteraria in cui si colloca. Al Pinocchio che vi sto raccontando non gli importa niente di spiegare, di urlare, di generalizzare, di creare fazioni, di dividere, di rimanere in superficie, di dire “è tutto uno schifo“. A Pinocchio non gli è mai riuscito granchè tutto questo e non gli è mai interessato.

In questo caso Pinocchio è un burattino che fin dal suo primo soffio di vita (arrivato cinque minuti più  tardi rispetto ai bambini normali), si rifiuta di obbedire, di percorrere strade tracciate da qualcun altro, di rannicchiarsi in qualche angolo di mondo, in uno spazio pensato per le persone che si muovono un po’ male, parlano un po’ male, vedono un po’ male.

A Pinocchio e a Zoe, innamorati della vita e consapevoli di questo strano soffio, straordinario, tormentato, conquistato respiro che li anima, non interessano gli angoli, gli armadi chiusi, i ripostigli, i letti, la naftalina dove conservarsi immobili, i sensi unici, le strisce gialle.  A loro interessa tutto il mondo. Percorrerlo in lungo e in largo. Arrivare ovunque. E se non ci arrivano con il corpo, beh… diciamo che è facile pensare quali armi hanno a disposizione. Sappiamo cosa gli riesce meglio.

Tutti e due ci prendono gusto a raccontare storie. A raccontarsela la vita per quello che sentono, per quello che provano e soprattutto per quello che pian piano, con la loro testa e il loro cuore, scoprono, a costo anche di dolori, illusioni, frustrazioni.

Mai però rinunciare a voler scoprire. Ecco quindi perchè credo che “romanzo di formazione“ sia alquanto coerente.

Nel racconto di “Nata viva“ è possibile scorgere la Bambina azzurra e il grillo parlante nella presenza importante di alcuni familiari, che hanno sempre creduto in lei, che non l’hanno abbandonata pensando che fosse uno strano ceppo di legno vivo, con limitate possibilità, ma hanno visto in lei la prospettiva, la forza, il coraggio, la luce, il suono, la musica che ne sarebbe e che ne è uscita. E Pinocchio/ Zoe si è con loro sempre confrontata, e quando doveva ha sempre disobbedito, armata anche lei di martello schiaccia grillo, o di sincera devozione nei confronti delle fate incontrate o dei Mangiafuoco incontrati, basti pensare alla figura della nonna materna giramondo o del nonno saggio.

Pinocchio/Zoe pur essendo costretta dal legno da cui è composta a fare determinati movimenti e a non poterne fare altri, a faticare tanto per spostarsi, cerca il movimento fluido altrove… nelle intenzioni, nella scoperta, nel viaggio e nella scrittura come avrà modo di capire chi si immergerà nel suo avvincente romanzo di formazione di cui ho avuto il privilegio di accompagnarne la forma definitiva, il punto finale. Che poi per i lettori ne è sempre l’inizio.

E quali accenni si possono fare, quali spunti, quali scoperte si possono trovare, tracciate nel corso del romanzo di Zoe?

La scuola non è affatto bella, ci si annoia, i compagni di classe possono fissarti o fregarsene di te, in gita è meglio che un burattino venga con il suo accompagnatore, per fare la pipì a scuola è meglio chiamare qualcuno da casa che ti accompagni in bagno, non si sa mai che ti capiti qualcosa di male, meglio non averne di queste responsabilità, però in gita ci vado lo stesso e da sola, ecco e poi scrivo, e poi Lucignolo è simpatico e mi fa tanto ridere e mi insegna una certa anarchia, e poi si può raccontare tutto, di quando si fissano i soffitti vuoti ascoltando la musica come fanno tutti i ragazzini, di quando le amiche non si presentano all’appuntamento, che te l’avevano proprio promesso, ma tu scopri che anche da solo ha senso uscire di casa, il sabato pomeriggio… e poi guidare il motorino o la macchina, rincorrere come si può il cantante preferito… andare al cinema, alle mostre, immergersi in altri colori, in altre storie, forse in altri Pinocchi, andare con nonna persino a New York e… essere comunque una sorella maggiore, una mammina rompiscatole e volerle così bene… oppure aggrapparsi ai propri pantaloni e imparare a cinque anni camminare.

Camminare appunto, scoprire, viaggiare intorno a noi stessi.  Diventare. Diventare bambini veri, o persone vere, che nella propria evoluzione,  sorridono ancora alle immagini di burattini lasciati sulla sedia, che tanto ci hanno permesso di diventare quello che vogliamo essere. E prima di chiudere sono sicuro che similitudini, chiavi di lettura, accostamenti, raccordi, accordi e disaccordi, prospettive incrociate possono essere disseminate anche in tanti altri racconti di formazione, nella possibilità sempre sofferta sapersi scegliersi – riflessivo quindi saper scegliere se stessi – in Pin che impara a fidarsi pian piano degli adulti o comCosimo tra gli alberi nel barone di calvinesca fattura, come Arturo fu e ori da Procida di Elsa Morante, nelle grammatiche fantastiche rodariane che sanno ad ogni rigo inglobare e rompere gli schemi e i limiti prefissati, elogiare gli errori, i dubbi, le stranezze di quel che si racconta proprio perché lo si racconta. E in definitiva tutta la letteratura è un infinito romanzo di formazione che ci permette di vivere bene noi stessi e forse anche di sopravvivere a noi stessi, come ricorda la stessa Zoe che da burattino si è trasformata in: “Io, moderna Sherazade“ .

 

 

                                                Fine

 

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Dalla scuola alla rete: cyberbullismo e dintorni

di Zoe Rondini 

Parolacce, offese e “prese in giro“, ma anche minacce, botte e danni alle proprie cose. Sono queste gli atti di bullismo che i ragazzi hanno denunciato più frequentemente. Da una prima indagine in Italia sul “bullismo“ alle superiori, un ragazzo su due subisce episodi di violenza verbale, psicologica e fisica. Il bullismo è una forma di violenza minorile che ormai è diventato una vera e propria calamità sociale.
Osservandone alcuni episodi, si evince che le prepotenze di natura verbale prevalgano nettamente rispetto a quelle di tipo fisico: il “bullismo verbale e psicologico“ consiste in minacce, prese in giro, offese e calunnie da parte di gruppi di ragazzi prevalentemente di sesso maschile anche se non mancano esempi di gruppi “misti“. Per quanto riguarda le violenze di tipo psicologico, molte vittime denunciano l’isolamento di cui è stato oggetto, alcuni di loro hanno subito anche delle minacce verbali. Le prepotenze di natura fisica risultano essere più frequenti tra i ragazzi, mentre tra le ragazze e tra i più giovani, “si rimane“ nell’offesa ed aggressione di tipo verbale.
Spesso le complesse dinamiche che si sviluppano tra adolescenti, non permettono a tutti di sentirsi parte del gruppo-classe: i ragazzi più timidi o considerati diversi in quanto omosessuali, disabili o semplicemente perché non seguono le mode del momento… possono diventare bersagli di atti d’emarginazione e bullismo a scuola e via web. Molti adolescenti sono spinti ad atti estremi perché non trovano il coraggio di ribellarsi e denunciare. Troppo spesso il gruppo predomina sul singolo che si trova isolato e smarrito.
Anche se si presenta in una forma diversa, il cyberbullismo o bullismo online è un fenomeno che non deve essere sottovalutato. Si potrebbe dire che questo rappresenti la nuova frontiera della prepotenza, più labile e indefinita della prima e quindi anche più sfuggente rispetto a sanzioni e prese di responsabilità. Nell’era digitale, gli individui sono dotati di una duplice personalità: una virtuale e una reale. Paradossalmente spesso accade che il nostro io digitale ci rappresenti più fedelmente e spontaneamente. Ne deriva che un’offesa, una soppressione o un’aggressione di questa personalità colpisca tanto quanto una presa in giro o un atto di bullismo tradizionale. Insistenti prese in giro sui social network, diffusione di foto spiacevoli, o e-mail contenenti materiale offensivo possono ferire più di un pugno o un calcio. Se analizziamo queste due forme di bullismo, “reale e virtuale“ possiamo affermare che vi è una differenza sostanziale: il cyber-bullo agisce non tanto per esercitare una violenza su qualcuno, bensì per attrarre su di sé tutte le attenzioni possibili ed avere visibilità oppure per scaricare le proprie ansie frustrazioni sul così detto nemico adatto, un incubatore di rabbia e insicurezza che può essere incarnato da chiunque sia diverso, più debole o più esposto.
L’ obiettivo del cyber-bullo non è tanto essere violento, piuttosto attrarre su di sé l’attenzione di molti utenti della rete, e, qualora sia possibile, essere “protagonista“ anche su altri mezzi di informazione. Questa ambizione di visibilità spesso cela insicurezza, poca autostima ed il bisogno di trovare nel mondo esterno quelle attenzioni che mancano da parte degli adulti di riferimento.
Lo sviluppo di siti per la condivisione di file, come quelli video (vedi You Tube), ha infatti dato un contributo notevole a rinforzare il fenomeno del cyber-bullying. Evitare che tali siti diffondano i video di bullismo sarebbe certamente un passo importante per contrastare il fenomeno, ma come ci insegna la prassi è ancora difficile individuare coloro che si macchiano del reato della diffamazione online. Non è semplice stabilire da dove sia partito l’insulto, chi sia il server ospitante e anche una volta individuati si pone il problema del tribunale competente. Morale della favola chi diviene vittima di bullismo on line non vede ancora riconosciuta una tutela della sua reputazione e dignità pari a quella riconosciuta alla vittima di diffamazione su carta stampata o altri mezzi audiovisivi. Tale disparità di tutela tuttavia non trova alcuna giustificazione, poiché come dice il giurista Rodotà “quello che è illegale offline, è illegale anche online“.

ARTICOLO PUBLICATO ANCHE SULLA RIVISTA “NEAR, Più VICINI Più UGUALI”:

http://www.retenear.it/2013/10/dalla-scuola-alla-rete-dalla-rete-alla-scuola-il-cyberbullismo/ 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Amore e sessualità, un’occasione per un cambiamento sociale e culturale

 In un mio articolo sull’handicap l’amore la sessualità in rapporto alle famiglie, scritto un anno fa  affermavo che: “Per quel che attiene alla vita sessuale di una persona disabile ritengo che i disabili debbano essere aiutati e compresi per arrivare ad avere un’attività sessuale cosciente anche fuori del matrimonio o della convivenza; come accade naturalmente per tutti gli uomini e le donne che scoprono queste pulsioni. Nella cultura attuale permangono ancora pregiudizi e negazione della sessualità dell’handicappato.“

A distanza di tempo dal post sopra citato torno a riflettere, su questo argomento, su quanto sia importante e difficile averne una piena coscienza e su come troppo spesso in Italia si neghi al disabile anche la conoscenza di semplici situazioni che fanno parte della vita.

Negli ultimi anni ci siamo trasformati, parlo di noi occidentali, in “maleducati sentimentali“, cito qui Massimo Gramellini. Oggi parlare di amore, di temi quali spiritualità e sentimenti, è divenuto un tabù. Non ci si pone alcuno scrupolo a toccare il fondo del degrado e della volgarità, ma ci si imbarazza a esprimere ciò che si prova. Ci siamo disabituati a riconoscere e distinguere i sentimenti dalle emozioni. I primi hanno alla base una progettualità reale e sono molto vicini ai sogni; le seconde sono estemporanee, nascono dalla pancia, dal cuore, ma non sempre arrivano al cervello. Possono trasformarsi in sentimenti, ma anche sfumare via. 

Cosa è la sessualità?

La sessualità si può, a mio avviso, definire come un aspetto fondamentale e complesso del comportamento che riguarda da un lato gli atti finalizzati alla riproduzione e alla ricerca del piacere, e da un altro anche gli aspetti sociali che si sono evoluti in relazione alle caratteristiche diverse dei generi maschile e femminile. L’ambito sessuale investe la biologia, la psicologia, la cultura, riguarda la crescita dell’individuo e coinvolge tutta la sua vita relazionale. Il termine “sessualità” quindi è riferito più specificatamente agli aspetti psicologici, sociali e culturali del comportamento sessuale umano, mentre col termine “attività sessuale” ci si riferisce più specificatamente alle pratiche sessuali vere e proprie.

In certe famiglie capita ancora e troppo spesso che si faccia di tutto per NON far conoscere al disabile nozioni semplici sulla sessualità e sull’amore, poi si esulta se lui o lei hanno perso la verginità. Magari ciò accade, ma non ci si interroga se è stato sesso o amore, se c’era abbastanza consapevolezza o se un adulto disabile rimanga un adolescente nell’approcciarsi e nel vivere la sessualità. I disabili che vivono determinate situazioni e si ritrovano in un contesto sociale e affettivo iper protettivo, dopo la prima o le prime esperienze, non si chiedono se si è trattato di amore o più semplicemente e banalmente di un atto sessuale! Queste persone disabili, sembrano a volte distanti, disinteressate e poco consapevoli di loro stesse per capire l’enorme, profonda e fondamentale differenza tra amore e sessualità! Da questo punto di vista, ad un handicap fisico o sensoriale si aggiungono problemi rilevanti sotto l’aspetto affettivo, di consapevolezza di sé, dei propri limiti, delle proprie capacità ed anche su come relazionarsi con gli altri. Il risultato può essere che se non adeguatamente supportati ed aiutate, queste persone rimangono come ragazzi immaturi incapaci di reagire ad un iper protezione della famiglia e talvolta della società. Può succedere che una persona disabile dica “TI AMO“ o “HO VOGLIA DI FARE L’AMORE CON TE“ quando andrà a compiere un atto privo di passione ed erotismo; teso a soddisfare un proprio istinto, senza quella sana consapevolezza volta a dare piacere ed a raggiungere  il piacere DI ENTRAMBI.

È un’amara realtà soprattutto degli uomini. È cosa ricorrente, riscontrata tra i normodotati ed anche tra  persone disabili che si sono fatte un’idea sbagliata e totalmente diversa dalla realtà, oltre ad avere una visione egocentrica e narcisistica del rapporto. Ci sono dei disabili ben integrati nella società, nella scuola, nel mondo del lavoro, che li portano ad avere piena coscienza di sé ed una vita socio-affettiva completamente normale. Ma esistono ancora molte realtà di emarginazione e vergogna dove la persona disabile ha come unica fonte per affrontare certe tematiche Internet, accedono con facilità a contenuti pornografici… Il rischio di farsi un’ idea distorta dell’amore e della sessualità è elevato. Inoltre questi disabili non possono e non devono parlare o confrontarsi liberamente su determinati argomenti, quindi rimangono poche idee sentite qua e là dentro e fuori il web, che spesso sono ben lontane da quella che è la realtà dei fatti.

La sessualità è parte della vita dell’essere umano, ma sembra che molti genitori ed insegnanti non riescano a spiegare questi aspetti agli adolescenti e provino ancor più imbarazzo a parlarne con un disabile. Se i ragazzi trovano le dovute spiegazioni tra amici dello stesso sesso e si approcciano spesso in età adolescenziale con i primi baci e le prime esperienze, per un disabile questo confronto è più difficile da instaurare e le prime esperienze avvengono in età adulta. È  proprio per questo che si dovrebbe “educare“ il ragazzo anziché reprimere le sue normali pulsioni. Su internet sembrano emergere schiettamente le difficoltà che un disabile incontra nel vivere l’erotismo e l’autoerotismo, ma poi certe tematiche non hanno seguito nella vita reale. Anche l’amore sta correndo il rischio di esistere solo via chat, facebook e nei forum dedicati alla disabilità. Su tali supporti l’inibizione viene meno e tutte le fantasie possono essere comunicate. Una persona che ha già avuto le sue esperienze è in grado di scindere e filtrare i messaggi virtuali; ma ci si dovrebbe interrogare di più sugli effetti che tutto ciò può avere su una persona che ha solo queste come “nozioni, modello, riscontro e sfogo“.

Il genitore, l’insegnante, lo psicologo, il terapista dovrebbero essere in grado di far capire al disabile che il sesso non è una cosa sporca, da nascondere, negare, proibire, senza dare spiegazioni o motivazioni. Il cattivo uso della sessualità può trasformarla da elemento positivo ad elemento negativo nella vita affettiva-relazionale di un individuo.

Un’ interessante articolo di Antonio Giuseppe Malafarina parla dell’idea di realizzare un cortometraggio dove si mette il luce il rapporto madre figlio di fronte al desiderio. La storia, può essere uno spunto di riflessione: narra di un bambino che diventa grande e una madre che lo segue attutendone la disabilità, come spesso avviene in molte famiglie. Fra i due protagonisti si instaura una grande complicità finché nel rapporto non si inserisce una terza persona. Una donna. E una donna, peraltro, che non c’è. Sta fotografata su un cartellone pubblicitario e appare all’improvviso su una strada che madre e figlio percorrono in macchina. L’adolescente ne è attratto. La madre non sa come reagire. Capisce che è giusto che sia così, che andrebbe guidato, ma non sa come stabilire un rapporto fra suo figlio e il mondo della sessualità, ovvero quello dell’amore al di fuori di ciò che lui aveva sempre conosciuto con parenti e amici.

E adesso? La madre è angosciata. Il figlio è confuso. Quale soluzione trovare? Ne proporrà una, se la proporrà. Il regista Franco Montanaro nel suo cortometraggio definisce Amore come lo stare svegli tutta la notte con un bambino malato. O con un adulto molto in salute. spiega il senso del corto con queste parole: «La madre del ragazzo compie un percorso, non a cuor leggero, non facile, in cui per amore verso il figlio compie un cambiamento, supera un preconcetto ma si scontra con la realtà che questo preconcetto non riesce ancora a superarlo».

Molte madri che si trovano nella medesima situazione, in diversi paesi scoprono un sostegno importante nella figura dell’assistente sessuale. In Italia questa figura professionale ancora non è riconosciuta. Ritengo che per alcuni tipi di disabilità medio-gravi  questa figura sia indicata, ma in altri casi, dove c’è solo un problema motorio LIEVE o sensoriale non trovo giusto che ci si rivolga a questa “figura“: le regole alle quali  spesso questi “operatori“ si attengono sono rigide (si esclude la penetrazione ed il rapporto orale) e non permettono di far vivere al disabile un rapporto sessuale “completo“, quando magari la persona sarebbe in grado di maturare e viversi normalmente determinate esperienze. Chissà quando cambieremo il nostro modo di pensare anche fuori dal web? Sarebbe una svolta importante per il nostro paese ed una crescita culturale enorme.

 

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