La disabilità è come il mare, sta a noi farci trasportare da esso – La disabilità nel rapporto tra fratelli.

Spesso i fratelli di bambini con disabilità vanno incontro ad un maggior carico: se da piccoli devono capire e rapportarsi con un bambino “diverso“ da grandi, specialmente se mancano i genitori o quando questi invecchiano, devono pensare ad un fratello “speciale”, ed in qual modo, a volte, devono fare le veci dei genitori.

Dopo aver parlato della mia personale esperienza di ragazza disabile con una sorella normodotata nell’articolo: Two is better than one – L’importanza di avere una sorella. Che troverete nel link: http://www.piccologenio.it/2014/08/19/two-is-better-than-one-limportanza-di-avere-una-sorella/ vorrei affrontare in modo più generale questa importante tematica e soffermarmi sul punto di vista del soggetto familiare non disabile.

Spesso le dinamiche che si istaurano tra bambini e fratelli “diversi“ sono varie e possono variare dal totale rifiuto ad un profondo amore, aiuto e complicità.  I bambini portatori di handicap possono dare un amore intenso ai fratelli  e sostegno morale e psicologico, tutto questo può creare tra di loro un’unione speciale e aiutare ambedue i fratelli ad ottenere dei risultati positivi nelle loro vite, ma può’ anche causare ansia, per esempio durante un momento di separazione.
Ci sono casi estremi nei quali la madre decide di ritirare la figlia maggiore da scuola per assistere la sorellina disabile in ospedale, come mi è capitato di leggere navigando sul web. Anche se ora sembrano felici, perché entrambe piccole, come sarà il loro rapporto in futuro segnato da rimorsi e sensi di colpa? Come si possono stravolgere così tanto le vite di due ragazzine che un domani saranno donne?

I libri, il vissuto, il sentito dire a volte servono a cambiare idea e quindi rotta. È fondamentale il ruolo dei genitori per creare l’armonia e attutire i sensi di colpa del disabile per non essere “normale“ e del figlio “normodotato“ per aver una sana voglia di farsi le sue normali esperienze di vita all’interno ed all’esterno del nucleo familiare d’appartenenza.

Fare rete, in qualche forma, in qualche modo – soprattutto nella totale assenza dello Stato – è un antidoto potente all’isolamento in cui tante persone disabili si ritrovano, spesso anche nei confronti delle proprie famiglie. Forse non salva, però aiuta: tante individualità che si trovano a superare insieme, ciascuno con le proprie capacità e forze, il dramma. Forse, con una provocazione, si potrebbe dire che la ferita lasciata nei famigliari è quasi una disabilità permanente. Ma essa si può affrontare se si vuole, se si è in grado di chiedere aiuto, se non si pensa solo alla propria ferita ed al lato negativo della cosa. Un figlio, un fratello speciale non sarà mai uguale agli altri, ma quanto saranno importanti le sue conquiste, le sue vittorie quotidiane? La disabilità può essere come il mare sta a tutti noi farci trasportare da esso.

In passato si credeva che il rapporto tra fratelli, dove uno di questi fosse portatore di handicap, sarebbe stato meno positivo e meno affettuoso. Ma, in alcuni casi si è riscontrato il contrario. Secondo lo studioso Stoneman il rapporto tra fratelli, dove uno di questi è portatore di handicap, è risultato più positivo del convenzionale rapporto tra fratelli, tuttavia quando sussistono delle discordie, queste sono più frequenti nei confronti di fratelli maggiori disabili.

Aldilà delle specifiche caratteristiche, il rapporto tra fratelli di cui uno è portatore di una disabilità è comunque diverso, alcune ricerche hanno osservato che nell’interazione tra fratelli, quando uno di questi ha disabilità, il bambino non disabile tende a prendere un ruolo d’aiuto e quindi un ruolo protettivo nei confronti del fratello disabile.

La disabilità, prima o poi, porta sempre ad un livello di solitudine più o meno accentuato, tanti genitori scappano tornando alla vita che svolgevano prima “dell’arrivo del figlio della discordia“ altri si rifugiano nell’alcol e nella depressione. I fratelli sono spesso in grado di rapportarsi meglio con gli insuccessi, i sensi di colpa, ma anche le sfide e le vittorie di una persona disabile perché nascono e crescono nella disabilità insegnando e imparando da essa.
E di solitudine parla anche Sandro Rizzi dalle pagine del Corriere della Sera (http://www.corriere.it/salute/cardiologia/13_ottobre_28/dopo-l-ictus-il-passo-diventato-lento-parole-hanno-ancora-piu-valore-0a12689a-3fdf-11e3-9fdc-0e5d4e86bfe5.shtml )descrivendo un “Prima“ dell’ictus che stenta a diventare un “Dopo“ perfettamente compiuto. Lo fa usando un’immagine di rara suggestione: “Gli anziani spesso si sentono isole, i disabili in più sono atolli. Sono lì da vedere, difficili da viverci“. “Ora che il passo è diventato lento, le parole hanno ancora più valore“ recita il titolo dell’articolo. Ed è vero che le parole sono ponti che permettono a tante solitudini diverse tra loro per origini, contenuti e protagonisti , di mettersi in comunicazione profonda,  così rendendo l’essenza della disabilità. Che non è altro che l’atollo descritto da Rizzi; un’isola con un buco in mezzo, una laguna  difficile da vivere, certo, ma tutta da scoprire. Un cerchio  imperfetto che non si perde come una tangente, piuttosto si curva, si chiude lentamente come un abbraccio e ridefinisce uno spazio dentro il quale si forma e vive un altro ecosistema, unico più che solitario.

 

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Una testimonianza su alcune ombre sulla situazione dei disabili in Italia.

In un’epoca come la nostra, l’epoca del fare, dell’agire in fretta ed efficacemente, spesso dimentichiamo la potenza delle parole, del dialogo, della trasmissione orale delle esperienze: in una parola l’importanza delle testimonianze. Dedicando qualche minuto del nostro scarsissimo tempo al dialogo, possiamo permette ai nostri interlocutori di aprire delle finestre nuove sulla realtà che noi conosciamo. In questo modo si alimenta la consapevolezza su tematiche e situazioni che altrimenti non emergerebbero. Dal seme della consapevolezza, certe volte, nasce un’azione convinta e profonda. Più circolano le informazioni, più cresce la probabilità di una reazione comune a ciò che non funziona.

L’articolo di oggi si basa appunto su una testimonianza di cui sono stata depositaria. La condivido con voi sperando di attivare una catena di consapevolezza e cambiamento.

Ciò che mi accingo a raccontare mi è stato riferito da un’operatrice di una cooperativa la quale si occupava dell’assistenza domiciliare ai disabili. Durante la sua carriera è stata mandata a fare assistenza ad una signora, circa cinquantenne, con sindrome di down, allettata a seguito di un incidente. Lo stato nel quale vivevano la madre e la figlia era a dir poco degradato e degradante. La figlia soffriva di allucinazioni in quanto viveva ormai a letto senza stimoli. In quel letto mangiava e faceva i bisogni, le lenzuola non venivano mai cambiate. Lei usava il catetere, una volta l’assistente domiciliare ha visto la madre che strappava con forza il catetere dalla vagina della figlia procurandole un forte dolore. Se l’assistente domiciliare voleva cambiare le lenzuola, la madre si opponeva e non c’era verso di farle cambiare idea. Anche la doccia alla signora down ,che chiamerò Rosa come nome di fantasia, doveva essere fatta assolutamente dalla madre, a modo suo. Quando Rosa veniva lavata urlava perché ormai associava quel gesto materno, o quando possibile delle operatrici, al dolore fisico. L’assistente domiciliare è riuscita, con garbo e premura, a tagliare le unghie della ragazza che erano talmente incolte che si erano ripiegate entrando nella carne delle dita.

Parlando a lungo con la madre della ragazza l’assistente aveva scoperto che da giovane lei rifiutava la figlia disabile. Prima dell’incidente Rosa lavorava, prendeva i mezzi pubblici da sola…  e sua madre stava giorno e notte al lavoro nel proprio ristorante in quanto non tollerava di avere una figlia disabile. Adesso con la vecchia erano arrivati i rimorsi di coscienza. Rimorsi che erano riusciti a segregare madre e figlia in una stanzetta umida, con le pareti scrostate ed una totale mancanza di igiene. Le due donne soffrivano di allucinazioni, ma sfido chiunque a vivere in una simile situazione e rimanere mentalmente lucido! Il medico di famiglia era al corrente della situazione e non faceva nulla. L’assistente domiciliare cercò di convincere la madre a rivolgersi ad una casa famiglia dove le avrebbero accolte entrambe, ma lei era troppo spaventata dal cambiare vita, temeva di perdere il totale controllo su Rosa, era terrorizzata dal cambiamento, in fondo in quella follia sentiva di avere tutto sotto controllo e per questo preferiva vivere in un tugurio, con i soldi per l’essenziale, e le sue assurde regole che le permettevano di tenere in pugno la figlia e le loro allucinazioni.

La madre faceva cose strane ad esempio spostava una pianta davanti la porta dando la colpa a gli spiriti maligni. Lasciava la figlia guardare il vuoto all’infinito.

L’assistente domiciliare aveva spiegato la situazione alla cooperativa dove lavorava, ma si era sentita rispondere che non erano fatti che competevano né a lei né a loro: meglio svolgere il proprio lavoro in silenzio. È così che vanno le cose in Italia, la regola dell’omertà e del silenzio vige ormai in molti ambiti. A mio avviso se ci fossero più denunce e maggior rispetto della dignità  umana si eviterebbero tanti episodi di cronaca nera.

Recentemente a Fermo si è verificati un caso a danni di bambini e ragazzi autistici fra gli 8 e 20 anni picchiati e tenuti sequestrati in una stanza di contenimento (cosa purtroppo non rara per la sindrome autistica). È  la pesante accusa che ha portato in carcere 5 educatori della struttura socio educativa e riabilitativa ‘Casa di Alice’ a Grottammare, in un’operazione condotta dai Carabinieri di San Benedetto del Tronto, e coordinata dalla procura di Fermo.

Si vede un uomo a torso nudo chiuso dentro e lasciato a terra da solo. Un ragazzino con una felpa che tenta disperatamente di farsi aprire la porta ma nessuno gli dà retta. Ad una ragazza vengono tolti i sandali con la forza. In un’altra stanza, arredata con tavolinetti e sedie colorate, ogni volta che un ragazzo cerca di alzarsi in piedi viene afferrato per le braccia e ributtato sulla sedia. I filmati sono stati girati dai carabinieri con telecamere nascoste.

C’è anche da aggiungere che questi episodi non sono nuovi alle forze dell’ordine in quanto dietro all’apertura di cooperative, case famiglie, ospizi… spesso ci sono interessi economici e non spirito di servizio o valori umani come dovrebbe essere. Ogni utente è una fonte di reddito per la casa famiglia, cooperativa sociale e/o casa di riposo per anziani, dunque perché non cercare di metterci le mani? In fondo si sa che molti disabili hanno problemi ad esprimersi, farsi capire o non vengono ascoltati, quindi perché non esercitare il potere e la propria volontà come insegnante, genitore, terapista o assistente?

Ovviamente non vorrei banalizzare e fare di tutta l’erba un fascio, ci sono anche strutture di eccellenza e persone che sono assistite nel modo migliore possibile vivendo da sole o con la propria famiglia. Queste situazioni dovrebbero diventare la norma per uno stato dell’Unione Europea.

 

 

 

 

 

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Il bacio, tra amore, attualità e storia.

Il bacio può essere considerato la più grande forma di comunicazione che esiste.

Venne inventato dai cavalieri medioevali con lo scopo di capire se le mogli avessero bevuto mentre loro erano alle crociate. Fortunatamente il bacio non è rimasto circoscritto al consumo di alcool, ma ha preso piede.

Un bacio può essere delicato, amichevole, triste, conclusivo, simpatico, educato, invitante, passionale, devastante o distaccato.

Può essere usatoper trasmettere qualsiasi tipo di messaggio si desideri, specialmente in amore.

Il bacio però è soggettivo, ciò che piace ad una persona non farà necessariamente lo stesso effetto ad un’altra. Baciate dunque nel modo in cui vorreste essere baciati, in maniera che il vostro partner possa capire ciò che desiderate. Se inizia a baciarvi nella maniera giusta, ditegli quanto vi è piaciuto e mostrategli che vi sentite alquanto eccitati. In fondo il bacio serve anche ad avviare l’eccitazione sia maschile sia femminile.

Ci sono persone che baciano e coccolano benissimo ma poi nel rapporto sessuale si rivelano poco durevoli e poco capaci di far provare l’estasi al partner, cosa fare? A volte il tempo aiuta a raggiungere quell’intimità ed empatia necessarie che faranno  suonare i due strumenti all’unisono, altre volte il dialogo, le spiegazioni, i messaggi non verbali, gli aiuti per capire cosa piace lasciano il tempo che trovano ed allora la coppia scoppia!

E’ stato teorizzato che una donna decide nei primi 5 minuti di incontro con un uomo se ci sarà un seguito con lui.

Se un uomo è attratto da una donna e scopre che lei è una pessima baciatrice probabilmente  il rapporto sessuale “verrà ugualmente consumato“ , mentre una donna che scopre un uomo essere un pessimo baciatore probabilmente deciderà di non spingersi oltre.

È riduttivo, tuttavia, descrivere il bacio solo come veicolo dell’attrazione tra un uomo e una donna al primo appuntamento. Il bacio è molto di più; certamente è indispensabile per riconoscere il feeling in una coppia, ma ha delle enormi potenzialità inesplorate. Come dicevo all’inizio dell’articolo il bacio è un potente mezzo di comunicazione: è comunicazione affettiva, pace, passione, armonia tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Oggi come oggi non vale più la regola dell’uomo cacciatore e la donna subalterna. La società si sta evolvendo. Le manifestazioni d’affetto e d’amore escono dagli schemi rigidi di una volta e comprendono fortunatamente anche persone LGTB.

Il bacio non è solo una forma d’amore e passione, è importante il bacio dato ai bambini come accettazione e gratificazione del loro comportamento, ha la stessa potenza ed immediatezza comunicativa di uno schiaffo. È un importante mezzo educativo.

Vorrei qui riportare la storia di tre famosi baci dell’epoca contemporanea.

Il primo è quello che Julia e Auriane si sono scambiate nel bel mezzo della manifestazione organizzata a Marsiglia (e in altre 75 città francesi) dall’associazione “Alliance Vita“ contro il progetto di legge su matrimonio e adozioni per coppie omosessuali. In questo caso il bacio è stato il mezzo attraverso cui le due giovani ragazze hanno espresso il loro dissenso nei confronti dei manifestanti; questo ha avuto una diffusione enorme ed è entrato a fare parte della simbologia per la lotta ai diritti delle coppie omosessuali.

 

 

 

 

 

 

 

Il secondo bacio cui vorrei fare riferimento è quello tra Breznev e Honecker, all’epoca rispettivamente presidente dell’Unione Sovietica e della Germania dell’Est. L’immagine di quel bacio divenne presto una delle più fortemente simboliche della Guerra fredda, soprattutto dopo che l’artista russo Dmitry Vrubel ne dipinse una copia sulla parte est del Muro di Berlino con la scritta: «Dio mio, aiutami a sopravvivere a questo bacio della morte».

 

 

 

 

 

Strano, ma non impossibile, fotografare un bacio tra due giovani in primo piano ed una sommossa sullo sfondo. Mi riferisco all’immagine del bacio tra due ragazzi, scattata a Vancouver, durante gli scontri tra i tifosi dell’hockey e la polizia. La ragazza era stata colpita dallo scudo di un poliziotto ed è caduta a terra, il suo ragazzo ha cercato di tranquillizzarla, le ha dato un bacio e le ha detto “Andrà tutto bene“; il fotografo ha scattato la foto proprio in quel momento.

Il bacio è storia, racconto, passione, emozioni, testimonianza, è un modo immediato quanto potente per mostrare la propria presenza e l’esigenza di comunicare con il prossimo. Con lo stesso input – il bacio appunto- possiamo adottare una comunicazione a vari livelli. Purtroppo spesso lo dimentichiamo e sottovalutiamo l’importanza di quanto riportato in questo mio breve articolo.

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E’ ora il tempo del #DopoDiNoi

Cos’è il dopo di noi? Ci vuole urgentemente una legge che tuteli la qualità della vita per i disabili dopo la morte dei genitori. In Italia sono numerose le famiglie afflitte dal pensiero di cosa succederà al figlio disabile dopo la morte dei genitori. Ovviamente questo macigno è tanto più grande quando il disabile è figlio unico. Le famiglie spesso, si mettono a cercare strade e possibilità per dopo la loro dipartita, ma nella maggior parte dei casi in Italia le risposte –quando ci sono- sono tutt’altro che adeguate o soddisfacenti per i bisogni dei singoli disabili.

C’è urgenza di sostenere le tante famiglie in questa incresciosa situazione. L’autonomia dei disabili dovrebbe essere un diritto ed una garanzia per tutta la vita non una cosa labile che può venir meno mandando in fumo sforzi disumani sostenuti dall’intero nucleo familiare.

L’attualità e l’urgenza del tema hanno portato la deputata del PD Ileana Argentin –lei stessa ha una disabilità fisica degenerativa- a promuovere una proposta di legge sul “Dopo di noi“, supportata anche dai cittadini attraverso una petizione popolare lanciata dalla parlamentare stessa. La petizione non sarebbe necessaria, in quanto ogni parlamentare è dotato di un autonomo potere di iniziativa legislativa, ma è senza dubbio un utile strumento per fare pressione su senatori e deputati e per dimostrare quanto questo tema sia sentito e condiviso da una buona parte dei cittadini italiani.

Vi propongo qui di seguito il link della piattaforma su cui trovare il testo della proposta di legge e il modulo per sottoscrivere la petizione popolare.

http://www.change.org/it/petizioni/urgentemente-una-legge-sul-dopodinoi-2

http://www.youtube.com/watch?v=-sJemhFKBMU Dopo di noi.

 

 

 

 

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Il segreto del piacere femminile. (aggiornato il 31/07/2014)

In questo mio post vi propongo un articolo che ho trovato interessante e complementare con i due post precedenti in tema di sessualità, pubblicati sempre in questo portale (http://www.piccologenio.it/2014/07/26/lesperienza-di-un-piacere-intenso/  http://www.piccologenio.it/2014/07/23/il-piacere-magico-del-massaggio-tantrico/).  L’articolo che vi riporto lo potete trovare al seguente riferimento Masturbazione femminile: tabù o pudico segreto? http://www.wellvit.it/blog/masturbazione-femminile-tabu-o-pudico-segreto/

La masturbazione è un aspetto importante della sessualità di ragazze e ragazzi, uomini e donne, disabili e normodotati. Essa accompagna i momenti intimi solitari e di coppia. Ai disabili cognitivi si può insegnare che ci sono tempi, luoghi e modi per viversi l’autoerotismo. In un recente convegno al quale ho avuto modo di partecipare, si è parlato proprio dell’importanza di “insegnare“ piuttosto che “negare“, l’esito sui ragazzi era stato positivo.

Una volta, tramite Internet, un ragazzo che stava in sedia a rotelle  mi raccontò che la sera si masturbava fino a raggiungere l’orgasmo. A mio avviso il suo racconto dettagliato era una pura fantasia in quanto non eseguiva il tutto in modo corretto. Già l’autoerotismo è solo una parte dell’amore, in più troppo spesso ancora oggi purtroppo, i disabili si devono accontentare di lavorare di fantasia. Tutto ciò avrebbe bisogno di risposte concrete e di aiuti all’intero nucleo familiare, in questo modo si eviterebbe anche il fenomeno, sempre più frequente, delle madri che masturbano i propri figli.

In questo articolo vorrei parlare della masturbazione femminile, parlandone con un’ottica rivolta a tutti e non soffermandomi solo alle persone diversamente abili come ho fatto in passato in altri articoli.

In passato la masturbazione è stata considerata, dal punto di vista medico e religioso, come fonte di malattie fisiche e psichiche (insania ex masturbatione) e in essa è stato visto soltanto il peccato (vizio solitario). Per fortuna ci siamo evoluti, non c’è niente di sbagliato o peccaminoso nel toccarsi basta farlo nei giusti contesti

L’autoerotismo femminile è ancora uno dei grandi tabù sulla sessualità, qualcosa che non si confida nemmeno alla migliore amica. In effetti gli esempi da me sopra citati riguardavano ragazzi e non ragazze. Nonostante la libertà sessuale di oggi, la masturbazione della donna porta con sé un certo alone di immoralità, vergogna e spesso senso di colpa tipico delle società occidentali; ciò ben evidenzia la complessità psicologica e sessuale della donna e la relazione con il proprio corpo: in poche ammettono di ricercare il piacere da sole e, se lo fanno, precisano che si tratta di una soluzione estrema in periodi forzati di astinenza. Ma questo potrebbe anche non significare nulla: l’autoerotismo non è necessariamente legato a un periodo di astinenza e spesso rappresenta semplicemente un metodo alternativo per la ricerca del piacere.

Sono contraria a tanti tabù della “civiltà“ occidentale, forse dovremo avere l’umiltà di imparare alcune cose da culture molto diverse dalla nostra, sono certa che ne trarremmo giovamento.

Gli uomini praticano la masturbazione senza che nessuno, tantomeno loro, si scandalizzi per questo e lo fanno tutti nello stesso modo. Questo dato di fatto è fondamentale per abbandonare retaggi maschilisti e anacronistici sul tema.

Masturbazione femminile: un aspetto naturale della sessualità

Masturbazione femminile e autoerotismo eppure, la masturbazione è un aspetto naturale  fondamentale  della nostra sessualità e quindi, non andrebbe assolutamente trascurato perché,  pur essendo una dimensione apparentemente solitaria e privata, porta con sé molti aspetti positivi: innanzitutto, consente alla donna di conoscere più approfonditamente il proprio corpo e le proprie reazioni e la sua capacità di ricevere piacere in modo naturale e semplice; in secondo luogo può aiutare ad abbassare l’ansia legata al rapporto sessuale e a vivere più serenamente il sesso con il proprio partner. Questo vale tanto per i “normodotati“ quanto per i disabili: ce ne sono diversi con disabilità motoria o sensoriale che vivono a pieno il rapporto di coppia.

Anche in una relazionale in generale la masturbazione femminile ha risvolti positivi: molti uomini infatti apprezzano la capacità delle donne di cercare ed ottenere piacere, anche da sole.

Perché una donna dovrebbe praticare la masturbazione?

Vediamo quindi perché per una donna la masturbazione è importante:

€¢Per riuscire a capire profondamente come funziona il proprio corpo e le proprie sensazioni erotiche e rappresenta una via privilegiata di conoscenza sui propri punti sensibili.

€¢Per insegnare al partner come procurale piacere e come le piace essere accarezzata. Una donna che scopre i suoi punti piacevoli e sa come raggiungerli sarà in grado di guidare il proprio partner al raggiungimento di soddisfazione sessuale di coppia, oppure provare piacere dalla stimolazione ricevuta senza necessariamente aspettare di avere un orgasmo assieme.

€¢Per rilassarsi e alleviare lo stress.

€¢Per eccitare ancora di più il proprio partner.

€¢Per sentirsi sessualmente appagata a prescindere dall’esistenza o meno di un partner.

€¢Perché si ama!

La cultura scientifica

Masturbazione femminile tabù o segreto L’eroticità e la masturbazione femminile è stata per lungo sconosciuta e rimossa anche dalla cultura scientifica (specie da teorie psicoanalitiche ortodosse) che ha visto lo sviluppo psicosessuale della donna solo in funzione dell’aspetto riproduttivo della sessualità, la maternità, e il ruolo familiare come pilastri dell’identità femminile.

I primi a parlarne con un certo rilievo sono stati Masters & Johnson che in uno studio degli anni Sessanta svelarono che era una pratica abituale tra le donne americane, anche se quasi sempre negata.

Oggi fortunatamente la posizione della scienza è cambiata e sono numerose le ricerche e gli studi sulla masturbazione femminile e i suoi benefici per la donna.

E’ frequente riscontrare che molte donne raggiungono l’orgasmo solo masturbandosi, e già negli anni ’80 Shere Hite nel suo trattato sul piacere femminile parlava di 85% di donne che raggiungevano l’orgasmo con la masturbazione piuttosto che con il rapporto sessuale (dove il rapporto di orgasmi raggiunti era 1 su 4 rapporti sessuali consumati).

Numerose ricerche in sessuologia clinica hanno riscontrato che le donne che si dedicano all’autoerotismo hanno una vita sessuale molto più attiva e soddisfacente e raggiungono più facilmente l’orgasmo rispetto a quelle che non la praticano.

Molte donne, invece, che non riescono a raggiungere l’orgasmo con il proprio partner spesso dichiarano di non essersi mai masturbate.

Riferimento: http://www.wellvit.it/blog/masturbazione-femminile-tabu-o-pudico-segreto/

Come accennavo nella parte iniziale dell’articolo, non riconosco nella masturbazione sia maschile sia femminile un tabù, anzi ritengo possa essere un modo per superare le proprie paure, inibizioni, accettarsi e conoscersi meglio, superare tabù e imbarazzi in primis con se stessi (accettarsi vuol dire anche evitare tanti problemi psicologici e psicosomatici legati alla propria corporeità)  e poi col proprio partner. Troppo spesso ancora oggi si fa di tutto per evitare che il disabile si masturbi, a mio avviso  lo si dovrebbe educare a questa pratica in quanto il proibizionismo ingigantisce il problema; spesso l’autoerotismo può essere l’unico mezzo per vivere la propria sessualità ed esserne appagato. L’auspicabile previsione formale della figura dell’assistente sessuale potrebbe apportare delle importanti novità in questo ambito. Questa figura professionale potrebbe giovare sia alle persone disabili sia alle loro famiglie. L’assistenza sessuale consiste nell’educare la ragazza o il ragazzo disabile a conoscere il proprio corpo e a recarsi piacere; non comprende il rapporto sessuale tra l’assistente e l’assistito. Il tutto viene affrontato con le dovute accortezze in termini psicologici e pedagogici.

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L’esperienza di un piacere intenso (aggiornato il 31/07/14)

Dopo i numerosi articoli sulla sessualità in questo portale, mi sono resa conto di non aver affrontato un particolare momento dell’esperienza sessuale: l’orgasmo. Per questo vi propongo questo  post nel quale voglio soffermarmi sulla magia del piacere femminile, più complesso di quello maschile, più “meccanico“ e semplice da raggiungere. Per parlare di tutto ciò mi avvarrò di testi scientifici, ed informazioni selezionati nella grande quantità, più o meno attendibile, che si trova in rete.

Da dove deriva la parola orgasmo? La spiegazione la offre il dizionario Treccani: dal greco  ὀργασμός, der. di ὀργάω «essere pieno d’ardore, di voglia ardente».

Sulla Non Enciclopedia si leggono delle spiegazioni sarcastiche, ma si sa che l’ironia cela sempre un fondo di verità: nella specie umana, sia uomini che donne possono avere l’orgasmo. Gli uomini lo hanno sempre saputo, ma per secoli hanno tentato di nascondere questa verità alle donne per evitare che queste ultime li caricassero di responsabilità. D’altronde gli uomini non sono nuovi a certe mistificazioni: fino a vent’anni fa avevano fatto credere alle donne che la saliva femminile avesse proprietà antibatteriche.

Negli uomini l’orgasmo si presenta come un picco rapido di eccitazione seguito dall’eiaculazione, a cui segue la fase che in termini scientifici i sessuologi chiamano “fase dell’ho-avuto-quel-che-cercavo-per me va bene così- buonanotte“.

Nelle donne l’orgasmo è molto più incerto, più difficile e più problematico da raggiungere.

L’orgasmo è per lo più associato, in ambedue i sessi, ad altri tipi di azioni involontarie, come emissioni verbali, di solito vocali.  L’orgasmo si accompagna altresì a spasmi muscolari in diverse parti del corpo e a una sensazione di generica euforia.

L’orgasmo femminile è da sempre circondato da un alone di mistero dovuto in parte al fatto di non essere testimoniato, come invece accade per quello maschile, da alcun segno esteriore e visibile. Come recitava Giorgio Gaber: “Per l’uomo è chiaro, è evidente: quando arriva al massimo c’è la prova, ma le donne come funzionano? Maledizione! Non c’è la prova!“.

Per raggiungere il culmine del piacere, un segreto da tener presente, risiede nel fatto che la stimolazione diretta, o indiretta, del clitoride è probabilmente sempre essenziale per il raggiungimento dell’orgasmo femminile!

Molto spesso non vi è nessun automatismo per raggiungere l’estasi del piacere femminile, è “sufficiente“ che lei venga stimolata in modo prolungato e adeguato e che il rapporto avvenga in un contesto di sintonia, intimità, tranquillità e passione.

La donna, a differenza, dell’uomo può raggiungere molte volte l’apice del piacere in un breve arco di tempo. A volte capita che  l’uomo pensi solo a se stesso e non intenda minimamente far star bene la propria partner, questo atteggiamento è più frequente di quanto non si creda. Viceversa se un uomo fa di tutto per far star bene più e più volte la propria donna la coppia è più affiatata e duratura.

Ma che cosa accade esattamente in una donna durante l’orgasmo?

Anche in questo caso la dicotomia tra orgasmo maschile, meccanico e sempliciotto, e quello femminile, complesso e dinamico, si ripropone. Mentre negli uomini vi è un variabile lasso di tempo in cui non è possibile riprendere la sequenza eccitazione-orgasmo, nelle donne è a volte possibile che la curva dell’eccitazione risalga e che si raggiunga nuovamente il picco del piacere.

Certamente questo è un modo molto distaccato di descrivere un’esperienza estremamente complessa e personale che non può essere ridotta ad un mero meccanismo fisiologico. L’orgasmo femminile, come tutto ciò che concerne il piacere sessuale, è, infatti, un fenomeno essenzialmente psicosomatico (Kaplan, 1974) ed è regolato non solo a livello genitale ma anche a livello centrale e pertanto condizionato da pensieri, emozioni, convinzioni, vissuti e significati. È questa complessità della donna che in condizioni normali rende il piacere un traguardo unico ed estremamente importante da raggiungere. Di certo se c’è amore e passione sarà più facile viversi l’apice del piacere diversamente se l’atto sessuale è meccanico, c’è meno attenzione a questo aspetto.

I massaggi tantrici sono indicati per raggiungere uno o più orgasmi, cosa che non sempre accade del rapporto sessuale.

Il fatto che la risposta sessuale sia regolata anche a livello emotivo e mentale comporta non poche complicazioni: molti disturbi sessuali, che sono conseguenza di paure, idee, convinzioni che influiscono negativamente sul normale andamento delle diverse fasi.

Ad esempio, ci sono persone molto allarmate dall’idea di manifestare di fronte al partner un’emozione così intensa, che fa sentire vulnerabili. Altri possono non accettare di dipendere da qualcun altro per ottenere sensazioni così vigorose e ne fanno una lotta di potere. Questa lotta sotto le lenzuola può essere anche una lotta tra sessi “io sono il maschio ed io devo godere, tu donna non ne hai il diritto e ciò non è un mio problema“.

Abbiamo detto, inoltre, che durante l’orgasmo c’è un leggero annebbiamento della coscienza: molte persone hanno paura di perdere il controllo e questo può causare anorgasmia, ovvero l’impossibilità di raggiungere l’orgasmo dopo una fase di adeguata eccitazione. In realtà quello che accade è un restringimento del campo di coscienza, come quando si va al cinema o si legge un libro molto intensamente e ci si immerge in quel mondo per goderselo appieno. Durante questa fase la coscienza si offusca, ma non c’è assenza di coscienza di sé. Ci si lascia andare attivamente, orientando la coscienza verso l’esperienza sessuale, ed è possibile riprendere il controllo della situazione in qualunque momento.

Il restringimento del campo di coscienza porta alla riflessione su di un altro mito relativo all’orgasmo, quello della simultaneità: l’orgasmo, proprio per questa lieve alterazione della coscienza, è il momento in cui si è maggiormente concentrati su se stessi e quanto più è intenso quanto più si sta da soli. Al massimo è un fenomeno contemporaneo, ma di scarsa condivisione. Forse la sincronia fa sentire un po’ meno colpevoli, un po’ meno egoisti, ma essere molto attenti all’altro non aumenta il piacere, distrae, invece, dall’esperienza fisica, facendone perdere una parte.

A mio avviso si dovrebbero tener presenti tempi e modalità diverse, donare piacere e non pretendere di godere insieme. Spesso si pensa solo al proprio soddisfacimento ed alla domanda dell’uomo “tesoro hai goduto“ il sì diventa doveroso. Perché non tenere presenti le normali differenze che ci sono tra uomo e donna anche in questo campo? Chissà se tanti post serviranno a fare un’informazione migliore ed aumentare un pochino la coscienza di chi s’informa.

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Il piacere magico del massaggio tantrico

Il seguente post è tratto da internet  ed è stato rielaborato dalla redattrice di piccologenio.it.

Ho deciso di condividere questo articolo in quanto la pratica del massaggio tantrico è ancora poco conosciuta nel nostro Paese e merita di essere divulgata, considerate anche le potenzialità che ha per le persone che hanno difficoltà, per diverse ragioni, ad instaurare rapporti di coppia.

“Il massaggio Tantrico dal punto di vista pratico si propone come una esperienza polisensoriale: luci, profumi, suoni, si fondono per andare a stimolare e catturare ogni aspetto della fisicità, stimolazioni tattili che giocano sapientemente durante il massaggio alternando tecniche incisive e sfioramenti delicati seguite da manualità sensuali ed altre meditative, andando ad attivare i chakra ed energie sottili. Tutto questo ed altri aspetti ancora del Tantra fanno sì che il massaggio non risulti un massaggio fatto di giochi erotici, bensì sia il risultato di pratiche dal sapore sciamanico, con intenti propiziatori.

Si crea una connessione a livello del cuore che ci apre le porte verso l’estasi tantrica e gli stati profondi di coscienza.“

Vorrei portare come esempio un articolo sul tantra tratto dal sito http://www.tantralove.biz/massaggi-tantra/cosa-e-il-massaggio-tantrico/  per far capire e divulgare questa interessante disciplina, che può dare molto a chi per varie ragioni ha poche occasioni di raggiungere un orgasmo intenso e duraturo, o semplicemente trova difficile lasciarsi andare, o per vari motivi (di handicap, contesti culturali  e sociali che tendono a negare e reprimere, o fattori come la depressione, la timidezza, la mancata accettazione di sé, il non sentirsi accettato e capito dal/la proprio/a partner  ect) quindi non riesce a viversi tranquillamente il rapporto sessuale. Nel tantra il raggiungimento dell’orgasmo avviene sempre, esso è intenso, duraturo e più essere ripetuto nel caso delle donne, elementi che nel rapporto sessuale non sempre avvengono.

La disciplina del tantra nasce in India, da noi c’è ancora molto bisogno di chiarezza e comunicazione. Questo mio portale può essere un punto di riflessione.

Nella seduta vengono aperti e chiusi i sette punti del chakra. Essi partono dalla base della nostra colonna vertebrale per arrivare fino alla parte del cranio. Andare a lavorare su essi fa sì che si ricrei un equilibrio tra il terreno e lo spirituale. Il ricevente di tale massaggio deve stare in completo relax, ma nello stesso tempo in ascolto se desidera veramente capire che cosa è il TANTRA e percepire emozioni e risveglio dei cinque sensi. Una persona si lascia andare veramente a questo tipo di massaggio quando si permette l’accesso totale a se stesso, ai suoi bisogni, istinti, appetiti sessuali, al suo vero sentirsi fuori e libero da schemi e condizionamenti sociali.

In concreto, ciò che caratterizza di fatto la pratica, è l’ aspetto spirituale che si esprime attraverso una corretta attenzione che è portata a livello del “Cuore“ e alla consapevolezza della “Sacralità “ del corpo che ospita l’ Anima. Il termine “massaggio tantrico“ non individua quindi una specifica sequenza, o delle precise manualità, ma soltanto un modo di massaggiare, un particolare tipo di sensibilità nel tocco. In sostanza, ciò che caratterizza il massaggio tantrico non è il “cosa“, ma il “come“ del massaggio.

La pelle segna il limite visibile del nostro corpo ed il punto di contatto con il mondo. Si può osservare che attraverso la respirazione diviene più viva, più fremente, più morbida. Con la pratica del massaggio si scopre che il corpo non è limitato dalla pelle. Le vostre sensazioni ed emozioni tattili, sessuali, legate all’affettività, all’orgasmo, si amplificheranno in un susseguirsi di onde del piacere che daranno la sensazione di allontanarsi di molto, toccare il mondo e ritornare al corpo. E’ una sensazione molto piacevole.

I Tantrika praticano questo massaggio tutta la vita perché per loro l’arte del tocco tantrico è uno yoga a tutti gli effetti, in quanto è la porta d’accesso alla sensorialità e stimola l’essere ad una creatività costante.

I Tantrika parlano della preminenza del senso del tatto, per loro l’essere umano recupera la propria unità quando è toccato profondamente, ovvero quando il contatto non è una strategia sessuale, quando nulla è “voluto“.

 

A cosa serve il Massaggio Tantrico?

Fare o ricevere un massaggio tantrico consente di raggiungere il giusto equilibrio fra mente e corpo e di trasferire questa condizione anche nell’atto d’amore per esempio con il proprio partner, attraverso lo sblocco energetico, così s’intensificano le emozioni e s’impara a controllare e prolungare il piacere e i momenti di estasi.

Ovviamente tutto ciò è ostacolato dai nostri schemi mentali, dal nostro carattere, dalle nostre ferite interiori, dai nostri condizionamenti morali e il tantra può rappresentare il superamento di questi nel tempo. Con il massaggio non ci si vuole addentrare nella psicologia, ma semplicemente aiutare con la capacità e consapevolezza del presente ad avere una percezione più diretta e marcata delle sensazioni sensuali del proprio corpo e a far vivere meglio il presente, “ il qui ed ora“ vivendo a pieno ed in modo prolungato l’esperienza dell’orgasmo.

Nella nostra società, tutto ha assunto un carattere formale dalla stretta di mano agli aspetti più intimi, e c’è da scommettere che molti contatti amorosi si svolgano in modo standardizzato con gesti ripetuti e scontati, nell’assenza di ogni creatività e con poca soddisfazione reciproca. Nella civiltà delle macchine l’uomo appare meccanizzato non soltanto nel corpo, ma perfino nei pensieri e nei sentimenti. Tra questi due estremi, la stretta di mano e la congiunzione amorosa, esiste oggi, dal punto di vista del contatto, un grande vuoto. Se il sentimento della solitudine è così diffuso, le cause sono da ricercare almeno in parte in questa semplice realtà. Il contatto attraverso il massaggio, quando è applicato correttamente, è un filo di Arianna che consente di uscire dal labirinto più buio.  Gli stimoli dolci, armoniosi e passionali infondono fiducia. E’ risaputo che il contatto fisico nutre l’autostima e la capacità di affidarsi e abbandonarsi.

Tra gli effetti immediati del massaggio tantrico possono riscontrarsi  risultati positivi sulla  sfera psico-affettivo-sessuale, il rilascio delle tensioni e dello stress, ricarica energetica, inoltre possono verificarsi trasformazioni e cambiamenti sul modo di percepire noi stessi e la realtà che ci circonda compresa una riattivazione delle energie sessuali.

Inoltre si propone di favorire, la dove ce ne fosse bisogno, lo sblocco dell’energia affinché scorra liberamente nel corpo attraverso i “meridiani“ condizionando positivamente tutti gli aspetti della vita.  In generale anche dove fossero assenti blocchi emozionali, permette un miglioramento energetico corporeo, anche sessuale.

Come viene sviluppato il Massaggio Tantrico:

Il Massaggio tantrico avviene in nudità, sia per chi riceve il rituale che per chi dona; il fatto di essere nudi porta ad una sensibilità più acuta nel ricevere il massaggio, unito a un senso di libertà maggiore. Durante il trattamento, le energie del corpo sono stimolate in modo da scorrere meglio, aumentando anche il piacere. Tutto ciò serve per migliorare la percezione dei propri sensi, dei propri istinti, passioni, a conoscersi meglio sia dall’interno di sé che in relazione con l’esterno. È praticato con manualità molto intense e, soprattutto, con un atteggiamento interiore particolare.

Diventa così una grande opportunità di meditazione ed espansione del Sé; un ascolto continuo.  Sotto l’ aspetto tecnico, il Massaggio Tantrico si esprime attraverso un’intensa successione di manualità atte a stimolare uno stato meditativo attraverso una più intensa percezione della fisicità e delle capacità sensoriali senza evitare anche la stimolazione genitale, anzi usandola molto in quanto dal primo chakra (esso è situato nel perineo) e poi con gli orgasmi si liberano le energie di tutto il corpo, per questi motivi il massaggio tantrico a volte è finalizzato al puro piacere e soddisfacimento sessuale.  Il corpo umano è una totalità e tutto è sacro, degno e meritevole di attenzione. Non esistono zone interdette dallo Spirito. Purtroppo nella nostra società, e particolarmente in Italia, la cattiva informazione ed educazione sono ancora molto diffuse. Il Massaggio Tantrico non è sesso, tanto meno un’occasione per esprimere bassi istinti: per questo esistono semmai specifiche prestazioni in altri ambiti.

Il Massaggio Tantrico non può essere effettuato in serie, cambierà e si trasformerà da persona a persona poiché ognuno ha un fisico, un’energia diversa e delle esigenze diverse.  Inoltre anche effettuato sulla stessa persona il massaggio non sarà mai lo stesso perché l’energia sia del massaggiatore, sia del cliente cambierà con esso di volta in volta.

Che sensazioni ed effetti dona il massaggio tantrico ?

Le sensazioni e gli effetti sono del tutto soggettivi, tuttavia, si può dire che come effetti costanti si osserva un profondo senso di liberazione, di pace, di armonia,  riequilibrio e appagamento.

È opportuno osservare che ciò è dovuto al fatto che il Massaggio Tantrico non è una tecnica standard che si apprende su un libro o su una videocassetta o peggio in un videocorso on line, bensì un’espressione di attenzioni veicolate dal Tantrika. Infatti la tecnica di massaggio nasconde spesso delle trappole che ingabbiano l’operatore olistico in schemi, che mal si adattano con il massaggio tantrico.

Il massaggio Tantra può essere effettuato seriamente solo da chi “è nella Via del  Tantra“: qualcuno cioè che abbia realizzato l’essenza del tantra nella propria vita e poiché il tantra è esperienziale, ecco che non può essere spiegato ma solo vissuto e percepito personalmente. Non si può studiare, semmai in parte può essere una trasmissione diretta.

Il tocco tantrico è uno strumento che sviluppa la consapevolezza che è il vero ed unico obiettivo del Tantra.  Il massaggio rituale tantra è sensuale pur non essendoci penetrazione o uso del pene per questo gli assistenti sessuali per disabili dovrebbero essere formati anche su questa antica arte, il sesso fine a sé stesso è una cosa meccanica e vuota, che non ha senso.

 

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La mia prima esperienza di tirocinio-lavoro

Sono una ragazza che ha conseguito la laurea triennale in Scienze dell’Educazione e della Formazione con lode. Ho terminato il mio percorso di studi specializzandomi in Editoria e Scrittura  alla facoltà di Lettere della Sapienza, votazione 108 su 110.

Mentre studiavo ho pubblicato il mio primo libro, un romanzo di formazione dal titolo Nata viva.

Come tanti altri giovani, anch’io da  neolaureata ho cominciato ad inviare il curriculum ad un numero considerevole di enti sia privati sia pubblici. Molti di questi si sono congratulati per le mie esperienze pregresse, dicendomi che gli sarebbe piaciuto avermi nel loro organico, ma purtroppo non avevano possibilità di assumermi.

Dopo mesi di ricerche, mi si aprì un unico spiraglio per il curriculum inviato al comune di Roma, precisamente allo Sportello Disabili Adulti. Una dottoressa mi chiamò dicendomi che potevo iniziare un “tirocinio-lavoro”. Accettai. E fu così che scoprii la realtà del lavoro per disabili, una realtà che quando mi impegnavo per tenere alta la media dei tanti esami universitari, non avrei mai immaginato. Prima di una vera e propria assunzione bisogna fare un lungo tirocinio e non conta se hai un bel curriculum o meno, se hai una disabilità solamente fisica o un ritardo cognitivo, se sei plurilaureato o hai conseguito la licenza media… Il tirocinio dura sei mesi senza prospettive garantite per il dopo, ed è per tutti di basso livello. C’è chi sistema libri tutto il giorno, chi mette a posto le merci nel magazzino di un supermercato e chi come me dovrebbe catalogare le foto in un grande istituto  per disabili. E’ proprio in un istituto per disabili che mi sono trovata. Avendo una disabilità motoria mi è  stato offerto un “compito” al pc di catalogazione foto e di scrittura. Poca roba direte voi, ma si sa che all’inizio c’è la gavetta per tutti! Andavo lì ogni giorno come un vero par-time peccato che il pc era sempre occupato! Ho fatto pochissime ore di  lavoro effettivo, anche se dovevo andare lì comunque tutti i giorni in quanto avevo firmato un contratto con il comune di Roma, dal quale ho ricevuto un piccolo rimborso spese; mentre il pc serviva ad altro, ad altri o non era ancora stato formattato mi era stato detto che potevo sedermi al bar a prendere un caffè. Pensavo che sarebbe stata una cosa momentanea, invece passavano giorni, settimane,  mesi ed il mio posto sembrava essere solo al bar con altri handicappati che come me non facevano nulla. Non potevano fare nulla! Io attendevo senza rassegnarmi: raccontavo tutto alla psicologa del Comune di Roma che a  sua volta parlava con la mia tutor all’interno della struttura, ma l’unico computer disponibile o non era pronto o era occupato e nell’Istituto non c’era nessuna mansione più utile e gratificante da svolgere. La noia, l’accidia e l’inutilità incombevano, ma non i sensi di colpa. Non potevo sentirmi in colpa per il mal funzionamento dovuto ad altri.

Questa non era la mia prima esperienza all’Istituto, durante la laurea triennale avevo svolto un altro tipo di tirocinio, mi  ero trovata bene. Affiancavo una dottoressa, osservavo dei casi di bambini, disabili e non, con problemi scolastici. Sempre in quell’occasione avevo inoltre seguito un interessante corso sulla Comunicazione Aumentativa Alternativa. A conclusione di quell’esperienza formativa avevo anche tenuto una conferenza, per gli insegnanti, sugli ausili informatici per l’handicap. C’è stata anche un’altra occasione dove il mio vissuto è servito a dare lustro all’Istituto: in occasione della presentazione del mio romanzo autobiografico. In quell’occasione, oltre a parlare del libro, ho presentato la mia evoluzione professionale, all’interno dell’Istituto e all’esterno con un progetto pedagogico nelle scuole. Quest’ultimo progetto è stato molto gratificante: mi ha permesso di raccontare l’handicap a tanti ragazzi di medie e licei che mi hanno accolta e benvoluta anziché  negare la disabilità o non volerla capire come spesso avviene a quell’età.

Al bar vedevo altri disabili che passavano interminabili mattinate a guardare il vuoto, mi ha colpito un ragazzo la cui disabilità non gli permetteva di parlare, lo vedevo sonnecchiare in una posizione scomodissima, erano pochi i disabili non inseriti in qualche interessante laboratorio.

Mentre mi annoiavo feci amicizia con un ragazzo che come me  ha solo una disabilità motoria. Anche lui si annoia ed è molto critico verso l’Istituto. Ci siamo messi d’accordo e abbiamo iniziato a vendere il mio libro a tante persone che passavano per quel bar. Lo so che è sconcertante farsi i propri interessi sul luogo di lavoro, aspettavo  che la mia tutor mi dicesse qualcosa ed ero pronta a rispondere “lo so che non devo farlo ma qui continuo a non aver nulla da fare!” Gli affari andavano a gonfie vele, la mia tutor mi vide fare le dediche, prendere i soldi e non mi disse mai nulla. Le chiesi spesso se la biblioteca, con l’unico pc disponibile, si fosse liberata; mi rispondeva che era questione di pochi giorni.

-Nel  frattempo posso restare a casa? – le chiesi- Comincio a sentire la fatica di venire qui tutti i giorni.-

-Facciamo così: il lunedì sarà il tuo giorno libero, gli altri giorni vieni perché anche se l’esperienza non è come te l’aspettavi puoi firmare la presenza.-

Non capisco questa mentalità di volere vedere gli handicappati  impegnati in qualcosa, non importa cosa e se siano veramente impegnati.

Mi rendo conto della difficoltà di realizzare piani individuali, ma la frustrazione, la rabbia, l’aggressività e l’autolesionismo che possono  sfociare da questa marginalizzazione dei disabili nel mondo del lavoro, o nell’assistenzialismo, di questo sembra che, nella maggior parte dei casi, nessuno se ne preoccupi o se ne occupi nel modo giusto.

All’istituto mi ha colpito una ragazza con ritardo cognitivo e con un problema di udito molto accentuato. Con me era dolce, mi accarezzava, mi chiedeva se avevo una caramella, mi salutava sempre… con gli operatori che la richiamavano ai suoi compiti era aggressiva, urlava e diceva moltissime parolacce. Anche se noi tutti le  dicevamo che le parolacce non si dicono lei continuava: era l’unico modo che aveva per ribellarsi e mostrare i suoi stati d’animo.

Tornando alla spinosa questione del lavoro per le persone disabili, l’articolo 1 della Legge 68/99 recita: “La presente legge ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”. La Legge 68/99 stabilisce che i datori di lavoro privati e pubblici con più di 15 dipendenti al netto delle esclusioni, siano tenuti ad avere alle proprie dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette (disabili) iscritti in appositi elenchi gestiti dall’Agenzia del lavoro della provincia di riferimento.

Per le aziende che occupano più di cinquanta dipendenti la percentuale riservata all’assunzione delle persone disabili è il 7%. La legge prevede questo, ma nella prassi applicativa le cose sono molto diverse, molte aziende preferiscono pagare una multa piuttosto che assumere personale con varie invalidità. Inoltre è importante notare che la realtà imprenditoriale italiana è costituita in buona parte da piccole e medie imprese a conduzione familiare (si stima infatti che la dimensione media delle imprese italiane sia di 3,7 impiegati ) per cui è quanto meno residuale, se non irreale, l’obbligo di assunzione previsto dalla suddetta legge e riferito alle aziende con più di 15 dipendenti.

È riconoscibile un fenomeno di integrazione subalterna dei disabili, che prescinde dal titolo di studio e dalle attitudini personali.

Ci sono molte persone che non si arrendono a questa realtà, organizzano associazioni, convegni, bussano a tutte le porte possibili… ma la strada è ancora lunga e la rabbia  cresce di giorno in giorno.

L’esempio riportato dimostra come, ancora una volta, per ottenere il rispetto dei propri diritti si debba portare avanti una battaglia solitaria.

La mia riflessione non vuole essere un’accusa o una lamentela. Durante la recente esperienza sono stata affiancata da due persone, la mia tutor e la psicologa del Comune di Roma, valide, presenti e molto attente al loro lavoro, ma purtroppo impotenti di fronte ad un sistema in difetto.

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Nata viva, un racconto sulla differenza tra vivere ed esistere

Marzia Castiglione Humani parla di Nata viva e di Zoe Rondini.

Il romanzo di formazione Nata viva è un piccolo libro che narra l’esperienza di vita di Zoe la cui esistenza è stata segnata da un’anossia neonatale. Quel respiro arrivato con quasi cinque minuti di ritardo ha causato un danno permanente ai neuroni che controllano i movimenti, ma non ha impedito alla protagonista di vivere a pieno la vita e cercare percorsi alternativi per raggiungere e conquistarsi la “normalità“, l’autostima e la serenità che tutti bramiamo.

Zoe, sarei io. Nata viva ha rappresentato per me un fondamentale canale di comunicazione con il mondo esterno. Nell’incipit mi presento così al lettore “Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale a gli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio.“

Nel romanzo racconto della mia infanzia ed adolescenza caratterizzate dalla famiglia, che ha sempre creduto in me e mi ha stimolata ed aiutata. Figure di spicco nella commedia della mia vita sono mia madre e mia nonna, che mi hanno permesso di fare tantissima fisioterapia, viaggiare, c’è un capitolo dedicato ai Caraibi e New York, studiare fino al conseguimento della laurea quinquennale, conquistarmi la patente di giuda.

 Mia madre mi ha concepita all’età di venticinque anni. È una donna forte, che si è trovata a dover superare molte prove nel corso della vita. Sin da quando ero ancora molto piccola, si è trovata ad affrontare la mia crescita da sola. Mio padre è un uomo debole ed egoista, si è dileguato dopo poco.

Quando ero piccola piangevo perché volevo essere come il protagonista del mio cartone preferito, mamma riusciva a consolarmi e poi giocavano insieme. “Oggi, rivedo lo sforzo e la bravura comunque di mia madre nell’essere costretta, da sola, come meglio poteva, a consolare una bambina di cinque anni, grondante di una quantità inimmaginabile di lacrime e mocciolo, così tanto da non poter considerare che tanti litri di acqua e muco, potevano uscire da un minuscolo naso e dagli occhi di un’unica bambina cinquenne.

 Ecco, si, ora ricordo! Quando piangevo per quel cartone animato, mamma mi spingeva a fare il gioco della lotta. Era lei ad iniziare, mi diceva: «Dai Zoe dammi un pugno; no non così più forte! Dai mena mena, ecco brava così, dai ancora, dai… ancora uno!». Mamma non è mai stata masochista ma mi spingeva a fare quel gioco per insegnarmi a “muovermi“ ed a reagire.“

Infondo mia madre non era del tutto sola; come spesso accaduto nella storia della nostra famiglia ha trovato conforto in un’altra figura femminile: mia nonna. Signora energica ed elegante. Io e nonna abbiamo intessuto un rapporto speciale, profondo. È stata un’amica preziosa, con lei ho riempito buona parte del mio tempo libero con mostre, cinema, teatro, negozi e ristoranti!

Non tutti gli adulti, però, sono stati in grado di interagire con me. Nel romanzo ragiono sulla mia diversità e su come sia percepita dall’esterno: “mi domando quand’è che ho cominciato a capire che avevo qualcosa che mi “distingueva“ dagli altri, qualcosa che non gli permetteva di accettarmi, li metteva a disagio. Non a tutti si intende, ma già dal modo in cui la gente si avvicinava a me, riuscivo subito a distinguere se una persona era sensibile, senza pregiudizi e senza imbarazzi, oppure no.“

Il mio primo approccio con l’altro, gli altri, al di fuori del nucleo famigliare, è avvenuto, come per molti, a scuola. Qui mi sono scontrata con chi non voleva aiutarmi a camminare; a ricreazione rimanevo seduta al banco, per andare in bagno e partecipare alle gite scolastiche doveva intervenire mia madre, in quanto tutto il personale scolastico era terrorizzato dal prendersi la responsabilità.

I miei primi ricordi risalgono all’asilo; qui non giocavo: dovevo esercitarmi ad imparare a scrivere e camminare poiché mi sarebbe servito più tempo per riuscire a farlo rispetto a gli altri bambini.

All’elementari, poi “la suora era brava, ma molto esigente. Io andavo male, facevo una gran fatica a leggere e memorizzare. Lei non lo capiva, mi faceva leggere ad alta voce e scrivere a mano, così la mia  collezione di brutti voti cresceva di giorno in  giorno. All’inizio ero mortificata, poi per me divenne una cosa normale andare male a scuola.

Se ripenso a  quei cinque anni, mi sembra un tempo dilatato: cinque anni, solo cinque anni, durati come una vita intera.“

La scuola dovrebbe essere un luogo dove oltre ad apprendere, si istaurano relazioni, si gioca, ci si confronta, si cresce… non dovrebbe rappresentare un incubo, soprattutto da bambini!

 Gli anni più difficili, nel confronto con gli altri, sono stati quelli dell’adolescenza. Camminavo male, troppo male per uscire con i coetanei, prendere con loro i mezzi pubblici  o andare a ballare. Dovevo rimanere a casa. Isolata. Per non perdermi d’animo è a questo punto della vita che comincio a scrivere un diario. Ecco a tredici anni prendono forma le prime pagine di quello che poi diventerà Nata viva. Scrivere è stato il mio modo per capire gli altri e le vicende della vita, sentirmi viva ed utile.

 L’atro è rappresentato anche dal secondo marito di mia madre. Figura maschile che, insieme a nonno, ha rappresentato, nell’universo femminile della mia famiglia, un importante punto di riferimento. Un uomo simpatico, un secondo padre presente e giocherellone, un adulto che portava addosso i postumi della poliomielite. Forse proprio per queste sue caratteristiche mi capiva meglio di chiunque altro. Rickie, questo era il suo soprannome, visse con noi per nove anni. La sua morte improvvisa segnò in tutta la famiglia un duro colpo. Non è casuale la scelta di iniziare a narrare in un diario i ricordi legati a lui per evitare che sbiadissero con il passare del tempo e per condividerli da prima con la famiglia e pochi amici, poi con tutti i lettori di Nata viva.

Dicono di Nata viva: Zoe non sale mai in cattedra, non si lascia andare a inutili piagnistei, anzi è proprio con pungente ironia, ed auto ironia, che narra l’incontro tra luci e tenebre, presenza ed invisibilità, civiltà e pregiudizio, dialogo e assenza.

Questo libro è a tutti gli effetti un romanzo autobiografico, non un trattato sulla disabilità, anche se ha alti contenuti pedagogici.

Il “segreto“ dell’autrice è non dare  mai per scontato nulla e soprattutto non accontentarsi mai del buon quieto vivere che spesso la società assegna alle persone disabili.

Lo stile è scorrevole,  rapsodico adatto ad adulti e ragazzi. È un testo appassionato ed appassionante, che spizza vitalità (tratto dalla sinossi dell’opera, a cura di Matteo Frasca).

 Nata viva, edito dal Gruppo Albatros il Filo (2011). L’autrice scrive con il nome d’arte di Zoe Rondini, foto di copertina realizzata da Daria Castrini. 

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Nata viva: il coraggio di ribellarsi ad un destino predeterminato

Dal sito Crederciperessere (http://crederciperesserci.blogspot.it/2014/05/nata-viva-il-coraggio-di-ribellarsi-ad.html)

C’è chi si trova “proiettato” nel mondo ed invece di scegliere la propria vita ed il proprio percorso decide di lasciarsi portare dalla corrente, o lasciarsi vivere  “a come viene”, alla meno peggio.
C’è invece chi comincia il proprio percorso con delle  difficoltà accessorie, con delle “barriere all’ingresso”, che gli impedirebbero di scegliere dove voler andare e chi essere, ma quel qualcuno proprio non ci sta e con determinazione e forza preferisce “scegliere di essere nel mondo”.
Perchè autodeterminarsi è un diritto di tutti, in quanto essere umano,  e non basta respirare per vivere… anzi tra vivere e sopravvivere c’è una bella differenza.

Zoe Rondini, autrice del libro Nata viva, edito da Albatros, ha con sè il coraggio di  compiere una scelta, non sempre facile ma sicuramente consapevole.

A fare la differenza sin da subito nella sua vita sono purtroppo i cinque minuti che tolgono il respiro in negativo.
Un’anossia di appena cinque minuti , un danno al cervello e la vita cambia, si complica…
E’ a quel punto che bisogna fare una scelta tra lasciarsi schiacciare dalle difficoltà, da una scelta che sembra imporcisi da parte delle circostanze o reagire e lottare per far emergere la propria essenza.
Ecco perchè Zoe sceglie con Nata viva di condividere il suo percorso esistenziale negli anni… il libro stesso è una sfida…

“Crederci fino in fondo – racconta Zoe (pseudonimo dell’autrice)  – diventa sfida quando gli obiettivi non sono utopici. Avere grandi bbiettivi ma raggiungibili e lottare giorno per giorno ci aiuta a raggiungere importanti traguardi”
Il libro racconta delle sfide ma anche delle sconfitte e delle amarezze, delusioni e ferite quotidiane. 

Perchè è anche e soprattutto attraverso la sofferenza che si approda alla consapevolezza di sè e si compie un percorso di concreta crescita.
Sulla strada sono tanti gli ostacoli per riuscire ad “incontrare” il proprio sè più autentico.
Più “tosti” degli ostacoli fisici, delle barriere architettoniche, sono le barriere pscologiche ed emotive, le chiusure del cuore e della mente di alcuni interlocutori.
“Non ho avuto molti problemi con le barriere architettoniche – continua l’autrice –  bensì con quelle culturali delle persone che non volevano capirmi ed aiutarmi (nel capitolo della scuola soprattutto).
Ma chi si sente veramente capito negli anni dell’adolescenza? Per questo Nata viva è un libro adatto a tutti: ai cosiddetti normali ed amche chi non ritiene di essere incluso nel concetto di “NORMALITA’.”.

Per riflettere insieme, per condividere pensieri ed emozioni, per sostenere in un percorso, per far sentire meno soli, quando la solitudine ed il senso di spaesamento interiore e sociale sembrano dilagare fino ad inghiottire la speranza.
La chiave di volta è l’amore: innanzi tutto quello per se stessi che poi esonda e si proietta all’esterno, permettendo di amare davvero l’altro da sè.
Amore da intendersi come un fiume, un flusso continuo, in grado di unire e di superare le differenze.
Ma anche un amore che si traduce in  desiderio di esplorazione corporea, in voglia di contatto.
“L’amore – ribadisce Zoe –  è un aspetto della vita comune a  tutti, disabili e non.
Tutti ci innamoriamo, ci eccitiamo, abbiamo impulsi e desideri. Forse l’amore e la sessualità ci rendono uguali nell’essere unici. Io, ad esempio, Io ho amato, sono stata non corrisposta, amata, delusa, desiderata e di nuovo innamorata.
Non mi rassegno agli stereotipi della donna oggetto, del disabile asessuato o continuamente voglioso… è per questo che nel mio portale www.piccologenio.it faccio sentire la mia voce con articoli su questa importante tematica. Solo che ancora siamo culturalmente lontani dal superare certi tabù”.

Perchè quelle differenze, che rendono il corpo diverso, a volte disarmonico e sgraziato per chi ha una disabilità grave o gravissima, troppo spesso fanno ancora paura e creano distanze incolmabili.
Innanzi tutto tra la voglia di autoesplorazione e conoscenza corporea rivolta verso se stessi e la possibilità effettiva di poter dar corso a questo desiderio a causa di gravi limitazioni funzionali, che inficiano a monte la possibilità di una reale intimità.
Si è prigionieri di un “corpo disobbediente” come lo definisce Mina Welby, che frustra e limita il rapporto innanzi tutto con se stessi, prima ancora che con un possibile partner.
“Proprio per questo, la figura professionale dell’assistente sessuale (attualmente la proposta di legge popolare è in discussione al Senato) rappresenta una figura importante, già riconosciuta in molti Paesi europei cosiddetti evoluti.
In Italia abbiamo ancora moti pregiudizi e false credenze, freni moralistici e rigidità indondate. Questa figura è, invece, ben vista da molte persone con disabilità e dalle loro famiglie. In presenza di una disabilità cognitiva o motoria grave questa figura professionale potrebbe veramente aiutare.
In caso di una disabilità più lieve queste terapiste dell’amore non dovrebbero sostituirsi ad un rapporto di coppia”.
Dicevamo che l’amore scaturisce innanzitutto da quello per se stessi, riverbero di quello per la vita.
Ecco perchè, paradossalmente, si può nascere vivi o essere morti emotivamente pur respirando. 

“Il mio amore per la vita – dice Zoe – nasce certamente dall’amore che si ha per gli altri e per se stessi, ma molto fa l’affetto e l’educazione ricevuta. La spinta ad ‘amare’ in ogni senso deriva dal  non accontentarsi e cercare di fare il massimo anche quando gli altri intorno fanno il ‘minimo sindacale’. Se parlo così non è per buonismo o dottrine religiose: penso sia solo un piccolo trucco per vivere più sereni”,
 Sull’onda del suo amore per la vita e della sua Determinazione Zoe non si arrende e persegue, dunque, i suoi obiettivi di vita.
Quali? Zoe li enuncia con una semplicità che incanta, facendo sorridere di alcuni rovelli mentali ed emotivi che ci rendono vittime e progionieri.
“Far conoscere Nata viva a sempre più persone. Portare a termine un’altra pubblicazione. Trovare un lavoro soddisfacente ed avere una vita sentimentale, affettiva e relazionale buona”.

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