Amore e sessualità, un’occasione per un cambiamento sociale e culturale

 In un mio articolo sull’handicap l’amore la sessualità in rapporto alle famiglie, scritto un anno fa  affermavo che: “Per quel che attiene alla vita sessuale di una persona disabile ritengo che i disabili debbano essere aiutati e compresi per arrivare ad avere un’attività sessuale cosciente anche fuori del matrimonio o della convivenza; come accade naturalmente per tutti gli uomini e le donne che scoprono queste pulsioni. Nella cultura attuale permangono ancora pregiudizi e negazione della sessualità dell’handicappato.“

A distanza di tempo dal post sopra citato torno a riflettere, su questo argomento, su quanto sia importante e difficile averne una piena coscienza e su come troppo spesso in Italia si neghi al disabile anche la conoscenza di semplici situazioni che fanno parte della vita.

Negli ultimi anni ci siamo trasformati, parlo di noi occidentali, in “maleducati sentimentali“, cito qui Massimo Gramellini. Oggi parlare di amore, di temi quali spiritualità e sentimenti, è divenuto un tabù. Non ci si pone alcuno scrupolo a toccare il fondo del degrado e della volgarità, ma ci si imbarazza a esprimere ciò che si prova. Ci siamo disabituati a riconoscere e distinguere i sentimenti dalle emozioni. I primi hanno alla base una progettualità reale e sono molto vicini ai sogni; le seconde sono estemporanee, nascono dalla pancia, dal cuore, ma non sempre arrivano al cervello. Possono trasformarsi in sentimenti, ma anche sfumare via. 

Cosa è la sessualità?

La sessualità si può, a mio avviso, definire come un aspetto fondamentale e complesso del comportamento che riguarda da un lato gli atti finalizzati alla riproduzione e alla ricerca del piacere, e da un altro anche gli aspetti sociali che si sono evoluti in relazione alle caratteristiche diverse dei generi maschile e femminile. L’ambito sessuale investe la biologia, la psicologia, la cultura, riguarda la crescita dell’individuo e coinvolge tutta la sua vita relazionale. Il termine “sessualità” quindi è riferito più specificatamente agli aspetti psicologici, sociali e culturali del comportamento sessuale umano, mentre col termine “attività sessuale” ci si riferisce più specificatamente alle pratiche sessuali vere e proprie.

In certe famiglie capita ancora e troppo spesso che si faccia di tutto per NON far conoscere al disabile nozioni semplici sulla sessualità e sull’amore, poi si esulta se lui o lei hanno perso la verginità. Magari ciò accade, ma non ci si interroga se è stato sesso o amore, se c’era abbastanza consapevolezza o se un adulto disabile rimanga un adolescente nell’approcciarsi e nel vivere la sessualità. I disabili che vivono determinate situazioni e si ritrovano in un contesto sociale e affettivo iper protettivo, dopo la prima o le prime esperienze, non si chiedono se si è trattato di amore o più semplicemente e banalmente di un atto sessuale! Queste persone disabili, sembrano a volte distanti, disinteressate e poco consapevoli di loro stesse per capire l’enorme, profonda e fondamentale differenza tra amore e sessualità! Da questo punto di vista, ad un handicap fisico o sensoriale si aggiungono problemi rilevanti sotto l’aspetto affettivo, di consapevolezza di sé, dei propri limiti, delle proprie capacità ed anche su come relazionarsi con gli altri. Il risultato può essere che se non adeguatamente supportati ed aiutate, queste persone rimangono come ragazzi immaturi incapaci di reagire ad un iper protezione della famiglia e talvolta della società. Può succedere che una persona disabile dica “TI AMO“ o “HO VOGLIA DI FARE L’AMORE CON TE“ quando andrà a compiere un atto privo di passione ed erotismo; teso a soddisfare un proprio istinto, senza quella sana consapevolezza volta a dare piacere ed a raggiungere  il piacere DI ENTRAMBI.

È un’amara realtà soprattutto degli uomini. È cosa ricorrente, riscontrata tra i normodotati ed anche tra  persone disabili che si sono fatte un’idea sbagliata e totalmente diversa dalla realtà, oltre ad avere una visione egocentrica e narcisistica del rapporto. Ci sono dei disabili ben integrati nella società, nella scuola, nel mondo del lavoro, che li portano ad avere piena coscienza di sé ed una vita socio-affettiva completamente normale. Ma esistono ancora molte realtà di emarginazione e vergogna dove la persona disabile ha come unica fonte per affrontare certe tematiche Internet, accedono con facilità a contenuti pornografici… Il rischio di farsi un’ idea distorta dell’amore e della sessualità è elevato. Inoltre questi disabili non possono e non devono parlare o confrontarsi liberamente su determinati argomenti, quindi rimangono poche idee sentite qua e là dentro e fuori il web, che spesso sono ben lontane da quella che è la realtà dei fatti.

La sessualità è parte della vita dell’essere umano, ma sembra che molti genitori ed insegnanti non riescano a spiegare questi aspetti agli adolescenti e provino ancor più imbarazzo a parlarne con un disabile. Se i ragazzi trovano le dovute spiegazioni tra amici dello stesso sesso e si approcciano spesso in età adolescenziale con i primi baci e le prime esperienze, per un disabile questo confronto è più difficile da instaurare e le prime esperienze avvengono in età adulta. È  proprio per questo che si dovrebbe “educare“ il ragazzo anziché reprimere le sue normali pulsioni. Su internet sembrano emergere schiettamente le difficoltà che un disabile incontra nel vivere l’erotismo e l’autoerotismo, ma poi certe tematiche non hanno seguito nella vita reale. Anche l’amore sta correndo il rischio di esistere solo via chat, facebook e nei forum dedicati alla disabilità. Su tali supporti l’inibizione viene meno e tutte le fantasie possono essere comunicate. Una persona che ha già avuto le sue esperienze è in grado di scindere e filtrare i messaggi virtuali; ma ci si dovrebbe interrogare di più sugli effetti che tutto ciò può avere su una persona che ha solo queste come “nozioni, modello, riscontro e sfogo“.

Il genitore, l’insegnante, lo psicologo, il terapista dovrebbero essere in grado di far capire al disabile che il sesso non è una cosa sporca, da nascondere, negare, proibire, senza dare spiegazioni o motivazioni. Il cattivo uso della sessualità può trasformarla da elemento positivo ad elemento negativo nella vita affettiva-relazionale di un individuo.

Un’ interessante articolo di Antonio Giuseppe Malafarina parla dell’idea di realizzare un cortometraggio dove si mette il luce il rapporto madre figlio di fronte al desiderio. La storia, può essere uno spunto di riflessione: narra di un bambino che diventa grande e una madre che lo segue attutendone la disabilità, come spesso avviene in molte famiglie. Fra i due protagonisti si instaura una grande complicità finché nel rapporto non si inserisce una terza persona. Una donna. E una donna, peraltro, che non c’è. Sta fotografata su un cartellone pubblicitario e appare all’improvviso su una strada che madre e figlio percorrono in macchina. L’adolescente ne è attratto. La madre non sa come reagire. Capisce che è giusto che sia così, che andrebbe guidato, ma non sa come stabilire un rapporto fra suo figlio e il mondo della sessualità, ovvero quello dell’amore al di fuori di ciò che lui aveva sempre conosciuto con parenti e amici.

E adesso? La madre è angosciata. Il figlio è confuso. Quale soluzione trovare? Ne proporrà una, se la proporrà. Il regista Franco Montanaro nel suo cortometraggio definisce Amore come lo stare svegli tutta la notte con un bambino malato. O con un adulto molto in salute. spiega il senso del corto con queste parole: «La madre del ragazzo compie un percorso, non a cuor leggero, non facile, in cui per amore verso il figlio compie un cambiamento, supera un preconcetto ma si scontra con la realtà che questo preconcetto non riesce ancora a superarlo».

Molte madri che si trovano nella medesima situazione, in diversi paesi scoprono un sostegno importante nella figura dell’assistente sessuale. In Italia questa figura professionale ancora non è riconosciuta. Ritengo che per alcuni tipi di disabilità medio-gravi  questa figura sia indicata, ma in altri casi, dove c’è solo un problema motorio LIEVE o sensoriale non trovo giusto che ci si rivolga a questa “figura“: le regole alle quali  spesso questi “operatori“ si attengono sono rigide (si esclude la penetrazione ed il rapporto orale) e non permettono di far vivere al disabile un rapporto sessuale “completo“, quando magari la persona sarebbe in grado di maturare e viversi normalmente determinate esperienze. Chissà quando cambieremo il nostro modo di pensare anche fuori dal web? Sarebbe una svolta importante per il nostro paese ed una crescita culturale enorme.

 

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L’appassionante racconto di Zoe Rondini

Scritto da Redazione NEAR

http://www.retenear.it/2013/07/disabilita-e-discriminazioni-l-appassionante-racconto-di-zoe-rondini/

 15 luglio 2013

 Che Zoe parli di sé come di una persona nata viva sembra un’ ovvietà, ma neppure una riga del suo autobiografico “Nata viva“ risulta scontata: sono pagine appassionate e appassionanti, in un’alternanza originale di leggerezza e drammaticità, felicità e dolore profondi.

 Zoe nei primi cinque minuti di vita non ha respirato. Nel suo libro si racconta. Oltre alla sua disabilità ha dovuto superare tanti dolori e preconcetti. Ora che ha 31 anni ed è laureata, ha tanti progetti, un sito in cui tratta temi di disabilità e cerca di aiutare chi si trova difficoltà. Cinque minuti. Senza respirare. Zoe nei primi istanti della sua vita non ha respirato e quel breve black out ha poi provocato danni molto gravi al sistema nervoso centrale. Un’esistenza segnata da mille difficoltà, ricoveri, terapie, tempi più lunghi di apprendimento, ma grazie a chi ha creduto in lei e alla sua forza di volontà, ora Zoe è una donna. E’ diventata una scrittrice che scrive divinamente e racconta nel suo libro “Nata Viva“ la sua intensa vita, fatta di piccole e grandi vittorie. Zoe, in questa sua pubblicazione, ci fa conoscere le sue gioie, le sue paure, i suoi dolori. Scopriamo una valente autrice che ha tante cose da insegnarci.

 Comincia a raccontarsi fin dalla sua nascita e di come da piccola solo per camminare ha dovuto compiere tanti sforzi, anni e anni di fisioterapia. Più di un medico sentenziava che la sua vita sarebbe stata in sedia a rotelle. Così non è stato, grazie a milioni di esercizi e grazie alla caparbietà di sua madre e della nonna. Ora quando cammina, traballa pericolosamente, sembra sul punto di cadere da un momento all’altro, ma non cade, e se cade, in un attimo, si rialza prontamente. I danni riportati da quei famosi e maledetti cinque minuti sono disseminati in tanti muscoli e quindi tante difficoltà: nel camminare, nel leggere, nello scrivere, nel parlare. Ora, Zoe, guida, scrive tramite un pc (con la penna per lei è molto più complicato), gira il mondo, ed è una vera forza della natura. Questo libro è un grande incoraggiamento a non mollare mai, a vivere pienamente la vita e a non uniformarsi alla massa. La sua storia “punta il dito“ verso una scuola spesso poco attenta alle necessità di un disabile e di come tanta gente sfugga chi è diverso. Evidenzia anche tante figure che nella sua vita le hanno regalato amore, coraggio, tra le tante, una su tutte, una nonna eccezionale che l’ha spronata in tutti i modi e ha sempre creduto in lei. 

Il libro ruota tutto intorno a due elementi chiave che lo rendono particolarmente efficace: il primo è la convinzione di Zoe secondo cui “negare le differenze non è un’arma per combatterle“. Niente di più lontano dall’ipocrisia del politically correct con cui si affronta spesso il mondo della disabilità: negandolo, sostanzialmente, e cercando di ignorare le diversità. E il secondo ne è una diretta conseguenza: non basta riconoscere la disabilità per quel che è. È fondamentale potercisi e, soprattutto, volercisi misurare.

 Zoe cerca persone che siano disposte a coinvolgersi veramente con lei, a condividere la sua vita per intero, senza riserve né fughe. A chi le sta accanto, dai familiari ai compagni di scuola, chiede un rapporto umano pieno e leale che non lasci indietro niente, ed è questa disponibilità che osserva, racconta e giudica. Chiede tanto e dà tanto, Zoe, a chi incontra e anche quando scrive: mette in gioco tutta se stessa con il lettore e non gli risparmia niente delle asprezze nel rapporto con sua madre, dell’ assenza del padre, del bullismo a scuola, della durezza della riabilitazione. Ma anche delle amicizie preziose, delle vacanze al mare, del bellissimo viaggio a New York e del dolore grande per una morte improvvisa e dolorosissima, che l’ha spinta a scrivere. È l’avventura di una vita, di una persona, appunto, “nata viva“.

 Nel suo romanzo di formazione Zoe costringe il lettore a non dimenticare mai lo scarto enorme che c’è tra vivere ed esistere, inchiodandoci all’idea che per nascere veramente, ad ogni occasione, bisogna sentirsi vivi, gridarlo e raccontarlo al mondo intero.

 Buona lettura!

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Cara scuola ti ricordi di me? Esperienze e delusioni di una scolara disabile

Articolo pubblicato sulla rivista cartacea dell’Opera Montessori intitolata “La vita dell’infanzia“, uscita nel numero di maggio-giugno 2000

 

Quando sono nata, mamma aveva 27 anni ed erano le tre di pomeriggio del 16 settembre del 1981. Avevo sedici anni quando mamma, nonna e nonno mi hanno spiegato come sono andate realmente le cose quel giorno: quando mamma è entrata in sala parto stava andando tutto bene, era cominciato un normalissimo parto spontaneo. Intorno a “noi“ c’erano tanto medici bravissimi fra cui zio e nonno, entrambi ginecologi. Stavo giusto uscendo quando qualcosa, non si è mai saputo cosa, è andato storto: il battito del mio cuore tutt’a un tratto era sparito! Sono rimasta per cinque minuti senza respirare, di conseguenza non è arrivato abbastanza ossigeno al cervello e questo mi ha provocato la morte di alcune cellule del sistema nervoso centrale: quelle che controllano i movimenti. E come se tutto questo non bastasse, il medico che mi ha intubata ha “sbagliato“ e mi deve aver “sfondato un polmone“.

Il primo mese di vita l’ho passato in ospedale. Chi ben comincia è a metà dell’opera!!! Mamma e nonna mi sono sempre state vicine. Mamma, una volta uscita dall’ospedale veniva da me tutti i giorni a portarmi il latte. Ho delle foto dolcissime di quei giorni con mamma che mi tiene in braccio.

Anche nonna stava sempre lì con me, mi guardava attraverso il vetro.

Fin dai primi giorni di vita ho fatto tantissima fisioterapia e col passare del tempo ho recuperato molto bene. I medici che mi visitavano nei primi anni di vita, dicevano che non avrei mai camminato, invece adesso mi muovo da sola! Evviva l’onnipotenza della scienza medica!!!!!!

Quando avevo due anni e mezzo mamma e papà per qualche litigio che non si poteva risolvere in nessun altro modo decisero di separarsi e così fu!

Secondo me è stato meglio così perché, da quel che mi hanno raccontato, negli ultimi tempi litigavano di continuo. Tanta gente dice che i genitori devono rimanere uniti per il bene dei figli, ma io non sono d’accordo: penso che i figli soffrano meno ad avere i genitori separati che non quando i genitori vivono sotto lo stesso tetto e non fanno altro che litigare.

Quando papà si è trasferito nella sua nuova casa mi mancavano le favole che mi raccontava per farmi addormentare; le mie preferite erano “Occo ed Entola“ come io pronunciavo “Pinocchio e Cenerentola“.

Per me la scuola non è stata affatto semplice. Ne ho un ricordo terribile fin dall’asilo: mentre gli altri bambini giocavano, io sedevo nel mio banco e mi esercitavo a scrivere per imparare a controllare i movimenti.

Ricordo come un incubo tutte quelle ore trascorse a cercare di riempire pagine e pagine di quaderno.

Un altro brutto ricordo di quegli anni, ancora oggi chiarissimo nella mia memoria, erano le ore del mattino che io passavo con la maestra di sostegno tentando di camminare: con quanta invidia guardavo i miei compagni giocare! Un giorno durante uno di questi disperati tentativi sono caduta e mi sono tagliata il mento. Lo ricordo ancora abbastanza chiaramente. La suora e Daniela, la mia maestra di sostegno, mi hanno messo subito l’acqua fredda e mi hanno portata in segreteria; da l’ hanno chiamato mamma e quando è arrivata mi ha portata subito in ospedale. Appena ho capito che mi dovevano mettere i punti ho avuto tantissima paura, ma fortunatamente, mi hanno fatto l’anestesia totale e, quando mi sono svegliata, mi avevano messo ben cinque punti!!!!!

L’ultimo anno di asilo la mia maestra di sostegno mi aveva messo il terrore delle elementari: mi aveva detto che si studiava molto di più e che la suora era molto più esigente! Ero semplicemente terrorizzata: già gli anni dell’asilo erano stati anche troppo difficili, e non volevo certo finire dalla padella alla brace!

Speravo con tutte le mie forze che le elementari arrivassero il più tardi possibile! Di tutto questo ne parlavo col mio “migliore amico“: Titti; all’epoca avevo cinque anni e mi ero creata una compagnia immaginaria: “Titti“, era un curiosa animaletto con zampe di cane e corpo di coniglio, agile come uno scoiattolo, tutto bianco, ma la sua caratteristica fondamentale era quella di essere invisibile per tutti, tranne che per me. È significativo che io che mi muovevo con una certa difficoltà, gli avevo attribuito una capacità irrefrenabile di correre, arrampicarsi e saltare dovunque – sottolineo che non era affatto un gioco.

Titti per me è stato un compagno reale, una proiezione di qualcosa che sentivo dentro di me, era il mio confidente, non mi giudicava mai e la pensava sempre come me.

Quando andavo a scuola, o a fare una visita medica, lui mi restava vicino. I miei frequenti momenti di tristezza erano bilanciati dalla sua inalterabile allegria e vitalità.

È stata una lunga amicizia la nostra, penso che sia durata sette anni; poi crescendo ho trovato altri modi e altre forme per le mie fantasie. Forse da piccola nei miei pensieri volevo essere un’altra e forse questo potrebbe spiegare molte cose.

Il mio cartone animato preferito infatti si chiamava “Milly un giorno dopo l’altro“ ed era la storia di una bambina che viveva in campagna in un grande casale con la nonna: lei era “libera“; poteva fare quello che voleva, non aveva la bambinaia, poteva uscire dal casale, girare da sola e fare tante altre piccole cose che io non potevo fare ma le desideravo molto.

Quando le elementari sono arrivate tutte le mie paure hanno avuto conferma. Ancora oggi non ho certo un bel ricordo dei miei anni di asilo e delle elementari ho, se possibile, un ricordo ancora peggiore: la suora era brava, ma molto esigente! Io andavo male, facevo una gran fatica a leggere ememorizzare!!! Mi faceva scrivere a mano e per me era veramente un’impresa!

In quegli anni andavo malissimo a scuola: mi ricordo che quei cinque anni mi sembravano un’eternità. Il tempo non mi passava mai; ancora oggi se ci ripenso mi sembra che le elementari siano durate un’infinità di tempo!!!!

Mamma sapeva che la mia situazione scolastica era disastrosa: andavo male in tutte le materie soprattutto in matematica ma non ne faceva un dramma…tutto questo mi rendeva già infelice e tesa.

Alle medie la situazione migliorò sotto certi aspetti: ero più seguita, avevo sempre la professoressa di sostegno ed a casa ero molto aiutata.

Dopo varie lotte sostenute dalla mia famiglia con la preside ho avuto il permesso di usare la macchina da scrivere.

Intanto all’età di dieci anni mamma e nonna mi regalarono un computer e con l’aiuto di un logopedista molto in gamba che mi ha seguita imparai ad usarlo. Lo potei usare in classe solo in terza media: la legge prevedeva che le persone con problemi motori potessero usare la macchina da scrivere ma non diceva niente riguardo ai computer così ci vollero due anni di battaglie per poterlo usare a scuola!!!!

Eppure anche le medie non sono “scivolate via“ senza lasciare qualche “simpatico“ ricordino (ovviamente dico “simpatico“ ora che ho diciotto anni e ho terminato i sinonimi di “orribile“).

In seconda media, infatti, mi è successi un fatto che tuttora mi sembra inverosimile: un giorno a settimana dovevo mangiare un panino a scuola e rimanere un’ora in più. All’ora di pranzo io dovevo andare in bagno. Prima di allora non avrei mai immaginato che una semplice pipì potesse comportare un problema di dimensioni mastodontiche!

Né la professoressa di sostegno né la bidella volevano prendersi la responsabilità di accompagnarmi in bagno perché, a quanto pare, se fossi caduta, per loro sarebbero stati guai seri! All’inizio veniva mia mamma all’una e mezza, mi portava un panino e mi accompagnava al bagno. Dovevo andare a quello dei maschi perché quello delle femmine era al piano di sopra. Per me non era un problema fare un piano di scale: se qualcuno mi avesse dato una mano ci sarei riuscita benissimo ma, a quanto pare, per la preside non era così semplice perché me lo aveva proibito!

Inutile dire che a ricreazione tutti potevano uscire tranne la sottoscritta che doveva rimanere seduta al proprio banco perché nessuno voleva prendersi la responsabilità di farmi fare quattro passi fino al cortile!!! Quest’arduo compito non competeva a nessuno: non era compito né delle professoresse, né della bidella, né dell’insegnante di sostegno. Le uniche che sarebbero state felici di passeggiare con me erano le mie compagne di classe, ma fu loro severamente proibito!!!

Logicamente tutta questa situazione cominciò ben presto a pesarmi. Non capivo né il come né il perché di questi problemi insormontabili; era tutto paradossalmente assurdo: da una parte la mia famiglia che combatteva per cose che fino a quel momento mi erano sembrate ovvie, tutti gli alunni di questo mondo hanno il diritto di rimediare ai loro bisogni fisici e non capivo perché io fossi esclusa dal club, dall’altra presidi e professori iscritti al girone dei torturatori infernali.

Se fare pipì o sgranchirmi le gambe era severamente proibito, era qualcosa di diabolico, talmente grave da meritare nell’al di là e nell’al di qua condanne indicibili. Per una classe formata da tredici ragazzi dovevano esserci due professoresse a cui si aggiungeva la mia professoressa di sostegno; è ovvio che non era ancora sufficiente: la scuola voleva che andassi accompagnata!

Quel periodo è stato un incubo. Avevo una professoressa di sostegno (e paradossalmente ero io a fare da sostegno a lei per come era limitata) e una preside che non ne voleva sapere delle mie richieste di andare in bagno, anche accompagnata. Mia madre a cui avevo riferito tutto, una mattina chiese alla bidella se gentilmente mi poteva accompagnare lei; lei il primo giorno lo fece, poi, disse, che non se la sentiva di prendersi questa responsabilità, poiché c’è la professoressa di sostegno – e così si ricominciava.

La mattina, in classe, ero abbastanza integrata; la maggior parte delle mie amiche mi conosceva dalle elementari quindi “la mia figura…“ non le metteva a disagio; e perché mi chiedevo, allora, fuori della scuola per loro “ero quasi inesistente“?! io mi sentivo uguale a loro: avevo gli stessi interessa, la stessa voglia di divertirmi, di non studiare e di far danni!

Ancora non ho capito l’utilità della “mia accompagnatrice“ visto che non avevo bisogno di cose particolari!!! Ma tutto sommato…la vita è troppo breve per perdere tempo e fatica con questi grandi misteri!!!!!

Tutte queste esperienze negative hanno lasciato in me un segno indelebile: ancora oggi, a distanza di dieci anni, mi capita spesso di pensare ai primi anni della mia scuola e ci soffro, ma è anche vero che tutto questo mi ha dato una “formazione interiore“ che poche persone possiedono, e nessuno potrà mai levarmela.

 

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Articolo su “Nata viva“, uscito sull’Osservatore Romano il 26 luglio 2012

Dall’inserto “donne chiesa mondo“.
Scritto da Giulia Galeotti

NATA VIVA sull’Osservatore Romano versione pdf, nella seconda pagina c’è l’articolo di “Nata viva”

“Rimango cinque minuti completamente senza respirare. Si tratta solo di cinque minuti, ma sono i primi della mia vita“, scrive la ventottenne Zoe Rondini (uno pseudonimo) nel suo racconto autobiografico Nata Viva (Albatros, 2011) in cui ripercorre la strada fatta per recuperare, in qualche modo, quel fiato trattenuto che tanto le è costato di termini di disabilità fisica e di una diversità alla quale non si è mai arresa. Perché non c’è solo la salita d’imparare quello che a tutti viene spontaneo (“ho imparato a camminare, a cadere in avanti, a rialzarmi, quasi morendo di fatica e con tutta la rabbia possibile“), c’è il dolore di una bimba, un’adolescente e una giovane donna costretta a fare i conti con l’indifferenza, la negazione, il menefreghismo, il trincerarsi dietro le proprie sofferenze e l’insofferenza di quanti hanno incrociato la sua strada. Familiari inclusi. A 13 anni Zoe inizia a “scriversi“: il racconto del suo quotidiano diventa un quotidiano confronto con le due alternative che ha dinnanzi. Scegliere se vivere o esistere. “Quando ero piccola tutti mi dicevano che ero uguale agli altri bambini, poi crescendo mi è venuto qualche dubbio… ma forse chi non ha dubbi nella propria vita, è il vero disabile“.

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“Nata viva“, ovvero… sul bello di esistere.

 Di Gianfranco Chieppa

 Pomeriggio di primavera: ero in treno diretto verso una città vicina dove  avevo un appuntamento con la famiglia di un ragazzo meraviglioso, un ragazzo autistico, che già avevo avuto modo di conoscere. Mi restava di conoscere i genitori

 per poi passare del tempo con il loro figlio. Tempo che in seguito si è rivelato stupendo.

 Durante il viaggio in treno, decisi di leggere  un libro, il cui titolo mi aveva incuriosito particolarmente, libro che mi è arrivato direttamente dall’autrice, a cui vanno i miei complimenti per aver scritto un’opera particolarmente emozionante. “NATA VIVA“, questo il titolo. Prima di accingermi alla lettura, avevo dato inizio ad alcune mie riflessioni, come: nata viva…certo si nasce e si è vivi e felici di vedere il sole, il mare, il cielo, nata viva… e pronti a ridere, piangere, abbracciare le persone che ami, nata viva… e pronti a vedere le bellezze del mondo, ma soprattutto: nata! C’è tanta bellezza che risiede in tutto questo. Ma il bello, con tutto quello che circonda il nascere, non è sufficiente alla vera espressione della vita intera. Il bello del nascere vivi non risiede solo nell’essere vivi ma si completa con la consapevolezza della vita stessa.

Non voglio  raccontarvi il libro, ma con voi, riflettere sulla storia, sull’importanza di sentirsi parte di un mondo, di una società dove chi non ha l’intelligenza di comprendere, abbia almeno il buon senso del rispetto. L’importanza di avviare la vita verso una realizzazione, una serenità, una felicità, sentimenti che non conoscono e non hanno nessuna intenzione di fare differenze di persone, se non attraverso la cultura.

Sfogliando le prime pagine del libro, ho subito colto una parte che vi riporto di seguito: Non volevo ritrovarmi in un mondo troppo grande per me, troppo rumoroso, pieno di doveri e regole da rispettare. Dove tutti corrono e poche persone hanno tempo e voglia di aiutare chi resta indietro.

Leggendo questa frase ho subito colto la sensibilità vera e profonda, questa per me è la vera diversità, diversità da chi la sensibilità l’ha dimenticata da qualche parte del suo animo.

Paura di trovarsi in un mondo, dove la gente non ha tempo per riflettere, non ha la capacità di immergersi nella comprensione del disagio altrui, e aiutarlo anche con un semplice sorriso.

Pagina dopo pagina, le parole, i pensieri, le verità, la storia  si disegnava davanti ai miei occhi, con una grande capacità descrittiva. Rivedevo nella  storia aspetti condivisibili, aspetti di vita di tutti i giorni, dove  diversità, è semplicemente un termine, ovvero, diversi  lo siamo tutti, diversi da altri e unici nella nostra diversità.

Quando ho concluso la lettura del libro, mi sono accorto di aver letto un libro affascinante, un libro che racconta la vita di una bambina che diventa ragazza e donna, la vita di una persona.

Il mio consiglio e di leggere questo libro, che ha la capacità di trascinarvi con dolcezza alla sua lettura e pagina dopo pagina vi conduce verso una  riflessione, dimenticando una diversità, ma vi accorgerete di leggere la storia di una persona, nata si viva, ma consapevolmente esistente.

 NATA VIVA di ZOE RONDINI edizione Albatros.

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Lettera del Prof Sicialini de Cumis per la pesentazione di Nata viva all’istituto Vaccari di Roma.

Quanto segue è uno scritto del Professor Nicola Siciliani de Cumis docente di pedagogia alla Sapienza di Roma. Consiglio oltre a questa lettura anche il post: “Una lettura di “Nata viva“ a cura di M. Serena VEGGETTI, Prof. Ord. Psicologia generale“ sul link:

http://www.piccologenio.it/2013/03/18/una-lettura-di-nata-viva-a-cura-di-m-serena-veggetti-prof-ord-psicologia-generale/

BUONA LETTURA!

 

Carissima Marzia-Zoe,

tanti affettuosi auguri per l’evento che ti riguarda oggi, nel magico ambiente culturale, educativo e didattico delll’Istituto Vaccari… Tanti auguri a te e ai Colleghi che, ciascuno nel suo ruolo, collaboreranno alla lettura di Nata viva e di Zoe, autrice ed eroina della “sua” straordinaria  autobiografia…

Mi sarebbe davvero piaciuto ripetere i complimenti e le osservazioni critiche, che il tuo bel libro continua a sollecitarmi ogni qual volta che lo apro e ne leggo una pagina;  e, dunque, tutte le volte che, in mia presenza, si rivolge ad un nuovo pubblico.

Di più, se mi fosse riuscito di esserti accanto di persona al Vaccari (ma, purtroppo, mi è davvero impossibile), avrei raccontato ai presenti non solo i segreti della genesi di Nata viva nelle Aule di Villa Mirafiori, ma anche le stimolanti modalità del suo ritorno nella Casa-madre, lo scorso anno, nell’Aula I, in mezzo agli studenti del corso di Pedagogia generale…

Avrei quindi suggerito risposte e domande: sempre nuove domande per il tuo questionario, anche altre ricerche individuali e di gruppo da svolgere a partire dalle pagine del tuo racconto. Per arrivare, forse, alla soglia del tuo misterioso, prossimo romanzo: un libro che tutti aspettiamo; un’opera seconda, che è da te dovuta a quanti ci siamo accorti della qualità della tua scrittura e delle potenzialità della tua intelligenza narrativa…

E non è tutto. Se avessi potuto esserci, avrei rivelato all’onorevole pubblico del Vaccari le parole che si scambiano, le informazioni che si danno e il bene che reciprocamente si fanno il tuo Sito internet www.piccologenio.it e il Portale della Sapienza www.cartedifamiglia.it  Due nuovi conoscenti curiosi l’uno dell’altro… Due corrispondenti epistolari, che si parlano proficuamente a distanza… Due vecchi amici, insomma, che passeggiano sotto braccio nelle infinite strade del web.

Buona fortuna, Marzia,

il tuo Nicola Siciliani de Cumis

 

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Una lettura di “Nata viva” a cura di M. Serena VEGGETTI, Prof. Ord. Psicologia generale

ZOE  RONDINI,  Nata  viva,  Albatros , Roma 2011

 

Una lettura di M.Serena VEGGETTI, Prof. Ord. Psicologia generale

L.  M.  Pedagogia  e  scienze  dell’educazione  e  della  formazione

Dip. Neurologia e Psichiatria  \   Psicologia  per  Medicina

Sapienza Università di Roma

 

Rileggendo Nata viva  a distanza di tempo, rispetto al momento in cui la giovane autrice lo ha pubblicato, ho scoperto che per noi, docenti di discipline psicologiche e pertanto studiosi  ,  si dovrebbe supporre,  esperti delle principali tematiche del settore, rappresenta un “punto di non ritorno“. Si può soltanto andare avanti, procedere, senza guardare indietro, senza fermarsi :“noli remanÄ“re“ afferma la bella citazione dal Sermone  256 di S. Agostino che  l’autrice riporta in apertura della narrazione.

Spiegarne  il motivo sarà compito delle  considerazioni che seguono.

Il  XX secolo si può ritenere un pó  la scena dell’epifania della psicologia. Questa scienza nasce all’interno di vari ambiti di ricerca scientifica proprio a cavallo tra 800 e 900 e si presenta invariabilmente con un obiettivo trasversale tra medicina, pedagogia, biogenetica, fisiologia.

Un obiettivo  tanto ambizioso quanto naive,  ingenuo  . Il medico francese Binet cerca il valore dell’intelligenza normale,i comportamentisti  perseguono il “controllo“ degli stimoli per avere risposte comportamentali  pre-definite e prevedibili da parte dei viventi, gli epistemologi  genetisti  tentano di individuare le regolarità dello sviluppo psichico e  cognitivo dall’età infantile fino a quella adulta.

Ovviamente questa  primitività ,o ingenua convinzione, i ricercatori  non possono ancora conoscerla,  dato che impiegheranno quasi  cento anni per scoprirla. Si tratta della definizione della “norma“. In genere  nelle scienze umane si usa questo concetto con un riferimento a parametri statistici e con una buona dose di approssimazione. D’altra parte tutta la progettazione del nostro ambiente artificiale,  da mondo progredito e  “civile“ ,  si basa su questo .

Ampiezza e dimensioni di porte, scale, strade, percorsi, tutto viene rapportato al concetto di qualcosa, come la norma,  che non esiste e che , il più delle volte ,  viene  improvvisamente  travalicato  e  ci  costringe  a quelle  ricorrenti   affermazioni     del tipo:      “ era imprevedibile…“, “ pensavo che… “,  “come avremmo potuto  immaginare…“.

Il racconto di Zoe Rondini nel volume “Nata viva“ rappresenta la chiosa dell’insieme di queste esperienze della scientificità quotidiana, della ricerca vitale di come procedere. Dunque è il punto di arrivo , o anche, come ho affermato in precedenza, del non ritorno, per la scienza di un intero secolo , il XX,  in quanto non c’è arrivo, ma, appunto, un percorso che procede  sempre  in avanti.

Lo rappresenta efficacemente la bella fotografia della copertina del volume in esame, in cui Zoe \  Marzia  si trova, dantescamente in una  selva , che non è oscura, ma verde e folta  e fa intravedere  in avanti , sul cammino, una apertura soleggiata .

L’intero racconto della vita di Zoe è dunque , a mio parere,  l’emblema della vita stessa. Il racconto di chi nasce e – da quando comincia a respirare – deve solo guardare avanti, pur tra mille difficoltà.

Ho conosciuto l’autrice  dai tempi degli studi ,compiuti per la prima laurea triennale, in  Scienze dell’educazione,  pressola Facoltàdi Filosofia deLa Sapienza, che allora esisteva separatamente da  quella di Lettere. La sua esperienza di studentessa è stata un continuo successo , con la manifestazione,  da parte sua, di   una avidità di sapere sorprendente in quell’aspetto di minuta  figurina di porcellana che la distingue.

Dal punto di vista del docente, che per le discipline  Psicologiche ero io,  si è dimostrata  uno studente ideale: voleva sapere sempre qualcosa di piu’ e, al termine delle ore di lezione, invece di affollare la porta d’uscita , che per un buon quarto d’ora sarebbe stata impraticabile, chiedeva letture, faceva domande, poneva problemi.

In sostanza  siamo riuscite a crescere insieme, seguendo la via  del modello evolutivo  “maggiorante“ o anche “a  spirale“ , scoperto  dalle tendenze  piú produttive delle ricerche psicogenetiche.  Questo è sostanzialmente il motivo per cui  il suo racconto è stato da me definito, coerentemente con il destino dello sviluppo biogenetico , un punto di non ritorno.

D’altra parte proprio la vita è tale, anche se, con tutto il da fare  che  dobbiamo sostenere, non   sempre possiamo tenerlo  presente .

La narrazione, iniziata da quando Marzia aveva 13 anni, ci comunica coraggiosamente  la definizione  quotidiana di una promettente studiosa che scrive per superare difficoltà e,  mentre le supera, dà anche a noi la dimensione di consapevolezza necessaria  per   “continuare“  senza  fermarci ,  a guardare avanti , anche perché,  come fa comprendere  l’intera esperienza di Marzia / Zoe, non possiamo fare  diversamente , pur  volendolo.

In tal modo la seguiamo, un po’ incantati,  nelle sue vicende quotidiane, finchè non realizziamo che, al posto della ragazzina  che comincia a respirare alla nascita  con un ritardo di 5 minuti,   quanto basta per differenziare enormemente  l’inizio “ normale“  del funzionamento organico, c’è una creatura  forte,   “epica “ , alle prese con  la vicenda   della “commedia umana“.

Personalmente ho subito auspicato che venga presto , dalla stessa giovane autrice, una ulteriore narrazione  che faccia progredire anche  il percorso della nostra coscienza collettiva  verso il superamento del nostro  “limite“.  Altro concetto  apparente e astratto, indefinibile e indefinito, ma che  esiste necessariamente per tutti.

Ho evitato di fare riferimenti a produzioni letterarie analoghe perché l’analogia  è destinata a venir meno subito.  “Nata viva“ non è un “Resoconto dell’analisi di un bambino“ di Kleiniana memoria , né, tanto meno,  un diario, ma la vita che si racconta ( e non un racconto di vita). Pertanto la sua  lettura diventa  un percorso di crescita consigliata e consigliabile per chi desideri affiancare Marzia  / Zoe  al proprio tracciato individuale per ritrovare una dimensione universale.

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Zoe Rondini

il libro “NATAVIVA“ edizioni “Gruppo Albatros il filo“, di Zoe Rondini (prima edizione APRILE 2011) vi sta aspettando!

L’autrice scrive usando il nome d’arte di ZOE RONDINI.
I lettori lo reputano un libro molto avvincente.
È un romanzo autobiografico di Zoe, una persona “diversa“, una bambina, una ragazza, poi una giovane donna che tra luci e tenebre ha saputo lottare per raggiungere e conquistare quella serenità che tutti bramiamo.
Nel suo stile rapsodico, Zoe si fa cantore, dell’incontro sorprendente tra limite e prospettiva, civiltà e pregiudizio, presenza e invisibilità.

Insieme a lei, anche noi riviviamo il nostro essere stati bambini o adolescenti incompresi.
È un libro adatto a tutti: studenti, adolescenti, adulti, genitori, nonni, insegnanti, professori universitari etc.

 

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